SENTENZA N. 43
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 1, lettera a), 5, comma 1, lettera a), 7, comma 2, 13, 53, 59 e 61 della legge della Regione autonoma della Sardegna 11 gennaio 2019, n. 1 (Legge di semplificazione 2018), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 18-21 marzo 2019, depositato in cancelleria il 25 marzo 2019, iscritto al n. 49 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma della Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 28 gennaio 2020 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi l’avvocato dello Stato Francesca Morici per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Sonia Sau per la Regione autonoma della Sardegna;
deliberato nella camera di consiglio del 29 gennaio 2020.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso iscritto al n. 49 del reg. ric. 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 1, lettera a), 5, comma 1, lettera a), 7, comma 2, 13, 53, 59 e 61 della legge della Regione autonoma della Sardegna 11 gennaio 2019, n. 1 (Legge di semplificazione 2018).
1.1.– Sono impugnati, anzitutto, gli artt. 4, comma 1, lettera a), e 5, comma 1, lettera a), della citata legge regionale. Con queste disposizioni sono stati modificati, rispettivamente, l’art. 3, comma 2, lettera c), della legge della Regione autonoma della Sardegna 24 ottobre 2014, n. 20 (Istituzione del Parco naturale regionale di Gutturu Mannu), e l’art. 3, comma 2, lettera c), della legge della Regione autonoma della Sardegna 24 ottobre 2014, n. 21 (Istituzione del Parco naturale regionale di Tepilora). In entrambi i casi, si interviene sulla composizione dell’organo di revisione dei conti dei due Parchi naturali che, da collegiale, diventa monocratico.
Ciò, secondo il ricorrente, si porrebbe in contrasto con l’art. 24 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), rubricato «Organizzazione amministrativa del parco naturale regionale», che prevede l’istituzione, nell’ente parco, di un organo collegiale di revisione dei conti, e non monocratico. L’art. 9 della legge statale espressamente include, tra gli organi dell’ente, «il Collegio dei revisori dei conti» (comma 2, lettera d), e stabilisce che quest’ultimo «è nominato con decreto del Ministro del tesoro ed è formato da tre componenti scelti tra funzionari della Ragioneria generale dello Stato ovvero tra iscritti nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti. Essi sono designati: due dal Ministro del tesoro, di cui uno in qualità di Presidente del Collegio; uno dalla regione o, d’intesa, dalle regioni interessate» (comma 10, terzo periodo). La modifica introdotta dalle impugnate disposizioni della legge regionale, pertanto, inciderebbe «in maniera palese sull’assetto organizzativo interno dell’ente parco, come predeterminato dal parametro interposto statale», venendosi così a determinare «una illegittima variazione novativa organica con conseguenti riflessi sotto il profilo della regolarità amministrativa dell’Ente parco stesso». Verrebbe in rilievo, secondo il ricorrente, la materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, materia in cui rientrerebbe la disciplina delle aree protette di cui alla già citata legge quadro. La modifica introdotta non rispetterebbe la normativa statale «che fissa criteri generali di tutela validi per tutto il territorio nazionale», incidendo sulla funzionalità dell’organo e determinando, per tale via, anche la violazione dell’art. 97 Cost.
Il ricorrente precisa che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la legislazione regionale sarebbe, pertanto, chiamata ad adeguarsi ai principi fondamentali della materia, quali individuati dalla legge n. 394 del 1991, poiché, nell’ambito delle aree protette, le Regioni possono derogare alla legislazione statale solo determinando maggiori livelli di tutela. Nelle materie di sua competenza, infatti, il legislatore regionale troverebbe un limite negli standard di tutela fissati a livello statale, pur potendo adottare misure che prescrivano livelli di tutela dell’ambiente più elevati. Lo standard minimo uniforme di tutela nazionale sarebbe in particolare rispettato anche con la «predisposizione da parte degli enti gestori delle aree protette di strumenti organizzativi, programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attività svolte nei parchi alle esigenze di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema». Per le aree protette regionali, dove il legislatore statale «ha previsto [...] un quadro normativo meno dettagliato di quello predisposto per le aree naturali protette nazionali», la Regione non potrebbe derogare in peius rispetto alle disposizioni della legge nazionale, neanche con riferimento all’organizzazione dell’ente parco (sono in particolare richiamati gli artt. 22, comma 1, lettera d, 23 e 24 della legge n. 394 del 1991).
In definitiva, sebbene la Regione autonoma della Sardegna «goda di competenza legislativa di tipo primario in materia di “ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale”, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera a), dello Statuto speciale», approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), tale competenza dovrebbe tuttavia attuarsi «[i]n armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica» (così l’incipit dell’art. 3 dello statuto reg. Sardegna).
1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 7, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019 (rubricato «Gestione dei terreni da parte dell’Agenzia Forestas»). Con il comma 1 di questa disposizione il legislatore regionale ha previsto il passaggio dei «terreni pubblici del Monte Pascoli di cui alla legge regionale 6 settembre 1976, n. 44 (Riforma dell’assetto agro-pastorale)», per i quali «siano intervenute le scadenze dei contratti di affitto alla data del 31 ottobre 2018», alla gestione dell’Agenzia forestale regionale per lo sviluppo del territorio e l’ambiente della Sardegna (Forestas), la quale «ne acquisisce i terreni, le strutture, le attrezzature presenti». Il comma 2 di questo articolo – impugnato dal Governo – stabilisce quindi che, «[a]l fine di garantire la continuità gestionale dei terreni e delle strutture l’Agenzia Forestas è autorizzata ad inquadrare temporaneamente nel proprio organico il personale impegnato dagli affittuari fino alla data di risoluzione del contratto anche attraverso un percorso triennale di utilizzo, nell’ambito delle risorse disponibili nel proprio bilancio e nel rispetto delle vigenti facoltà assunzionali».
Il ricorrente lamenta che, in tal modo, si avrebbe un inquadramento del personale, all’interno dell’Agenzia Forestas, in conseguenza del suo mero «utilizzo triennale», «in assenza di una procedura selettiva» e «senza uno scrutinio o una valutazione delle esigenze dell’Ente e dell’attività svolta». Ciò si porrebbe in contrasto con l’art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), per cui nel pubblico impiego le assunzioni a tempo determinato potrebbero rispondere solo ad esigenze temporanee ed eccezionali, esigenze non certo individuabili nella finalità di garantire la continuità gestionale dei terreni e delle strutture. Si richiama la competenza esclusiva statale nella materia dell’«ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.) che, in quanto trasversale, escluderebbe la «residua competenza regionale in punto di organizzazione anche per le autonomie speciali», pur a fronte di esplicite statuizioni degli statuti regionali speciali sulla competenza primaria in tema di stato giuridico ed economico del personale. Anche in questo caso, pertanto, non potrebbe giovare alla Regione resistente l’espressa previsione, nel suo statuto speciale (art. 3, comma 1, lettera a), della competenza primaria nella materia dell’«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale».
Sarebbe dunque violato il principio di accesso al pubblico impiego per concorso di cui all’articolo 97, quarto comma, Cost. e vi sarebbe contrasto anche con l’articolo 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolati dal codice civile e dai contratti collettivi.
1.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna inoltre l’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, che introduce un nuovo comma 1-bis all’art. 7-bis della legge della Regione autonoma della Sardegna 11 ottobre 1985, n. 23 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e di sanatoria di insediamenti ed opere abusive, di snellimento ed accelerazione delle procedure espropriative), avente il seguente tenore: «La disposizione di cui al comma 1 si applica anche nei casi in cui le previsioni legislative o regolamentari, comprese le disposizioni in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari, individuano misure minime».
Il comma 1 dell’art. 7-bis citato, quale introdotto dall’art. 4, comma 1, della legge della Regione autonoma della Sardegna 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio), si riferisce all’istituto delle cosiddette tolleranze edilizie, stabilendo l’inapplicabilità delle disposizioni in materia di parziale difformità che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali.
Con la novella del 2019, il legislatore regionale ha stabilito che le regole in materia di tolleranze edilizie debbano trovare applicazione anche quando altre previsioni di rango legislativo o regolamentare abbiano già prescritto «misure minime». Ne deriverebbe, secondo il ricorrente, la lesione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alle «norme cogenti e inderogabili» in tema di regolamentazione delle distanze di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765). La disciplina sulle distanze di cui al d.m. n. 1444 del 1968, adottata ai sensi dell’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), è richiamata – precisa il ricorrente – dall’art. 2-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).
Il ricorrente sostiene che le deroghe alle distanze minime dovrebbero essere inserite in strumenti urbanistici funzionali a un assetto complessivo e unitario del territorio. La loro legittimità sarebbe, infatti, strettamente connessa agli assetti urbanistici generali e quindi al «governo del territorio». Le norme regionali che, invece, disciplinano le distanze tra edifici per altre finalità risulterebbero invasive della materia «ordinamento civile» (si citano, in particolare, le sentenze di questa Corte n. 232 del 2005 e n. 114 del 2012).
1.4.– Altra disposizione impugnata è l’art. 53 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, rubricato «Durata delle attestazioni o certificazioni di malattie croniche». Essa, secondo il ricorrente, interferirebbe nella materia, di competenza statale esclusiva, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., della individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni. L’interferenza deriverebbe, anzitutto, dalla «lacunosa e generica» disposizione di cui al comma 3, che – senza peraltro fare alcun richiamo alle previsioni del decreto legislativo 28 aprile 1998, n. 124 (Ridefinizione del sistema di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie e del regime delle esenzioni, a norma dell’articolo 59, comma 50, della legge 27 dicembre 1997, n. 449), né ai regolamenti attuativi – conferisce alla Giunta regionale il compito di individuare le malattie e le condizioni di salute che danno accesso a prestazioni sanitarie, socio-sanitarie o sociali nel territorio regionale. Il ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte (in particolare, le sentenze n. 282 del 2002 e n. 338 del 2003) in cui il «confine fra terapie ammesse e terapie non ammesse» sarebbe stato ricondotto nell’ambito dei «principi fondamentali della materia».
Oggetto di censura sono anche i commi 1 e 2 dell’art. 53 citato. Il comma 1 così dispone: «[l]e attestazioni o le certificazioni di malattie croniche o di condizioni di salute necessarie al fine di ottenere prestazioni sanitarie, socio-sanitarie o sociali nel territorio regionale producono effetti sino all’eventuale regressione della malattia o della condizione di salute ad un livello non più compatibile con l’ottenimento della prestazione». Il comma 2 prevede che «[l]’eventuale regressione delle malattie o delle condizioni di salute di cui al comma 1 è comunicata dal medico curante alle pubbliche amministrazioni erogatrici della prestazione». Secondo il ricorrente, da questo dettato normativo non apparirebbe chiaro «in che modo il sanitario curante, istituzionalmente deputato ad attestare lo stato di malattia dell’assistito e, quindi, ad approntare diagnosi e prognosi, dovrebbe procedere all’individuazione delle amministrazioni destinatarie della comunicazione in questione». Né, peraltro, sarebbero specificate «le modalità attraverso le quali il medesimo sanitario curante dovrebbe provvedere alla comunicazione alle stesse amministrazioni interessate».
Inoltre, tale normativa – laddove delinea il potere/dovere del medico curante di valutare, prima della scadenza dell’attestato, l’effettivo stato di salute del paziente affetto da malattia cronica – non sarebbe «coerente» con quanto prevede il decreto del Ministro della salute 23 novembre 2012 (Definizione del periodo minimo di validità dell’attestato di esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie, rilasciato ai sensi del decreto 28 maggio 1999, n. 329), secondo cui l’assistito deve essere sottoposto a una nuova visita medica (finalizzata al rinnovo dell’attestato di esenzione) solo una volta decorso il periodo di validità dell’attestato, ma non prima della scadenza di quest’ultimo. In definitiva, la norma censurata ridurrebbe di fatto, in caso di regressione della malattia, il periodo di validità dell’attestato di esenzione già rilasciato, ma ancora non scaduto.
1.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, l’art. 59 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, rubricato «Disposizioni in materia di formazione professionale». La norma stabilisce quanto segue: «[i] soggetti ricompresi nell’elenco di cui alla determinazione n. 4578 prot. n. 43229 del 4 ottobre 2018 del Direttore generale dell’Assessorato regionale del lavoro, formazione professionale, cooperazione e sicurezza sociale che, alla data del 15 dicembre 2018, abbiano fatto ricorso al Tribunale amministrativo regionale avverso la medesima determinazione, sono iscritti d’ufficio alla lista speciale ad esaurimento di cui all’articolo 6, comma 1, lettera f) della legge regionale 5 marzo 2008, n. 3 (legge finanziaria 2008), degli aventi diritto ai sensi dell’articolo 11, comma 4, della legge regionale 11 gennaio 2018, n. 1 (Legge di stabilità 2018)».
Secondo il ricorrente la norma regionale impugnata sarebbe «riconducibile nella categoria delle leggi provvedimento», essendo finalizzata «alla instaurazione di un rapporto di impiego con la regione per una delimitata categoria di soggetti, attraendo alla sfera legislativa quanto è normalmente affidato all’autorità amministrativa». Risulterebbe pertanto violato il principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost. Si fa, al riguardo, riferimento alla giurisprudenza costituzionale che, ai fini di valutare il rispetto dei limiti di ragionevolezza e non arbitrarietà, impone per le leggi-provvedimento uno stretto scrutinio di legittimità. Sarebbero, inoltre, violati gli artt. 51, primo comma, e 97, ultimo comma, Cost., poiché si consentirebbe l’instaurazione di un rapporto di impiego con la Regione senza il rispetto della necessaria procedura concorsuale.
1.6.– L’art. 61 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019 (rubricato «Progressioni professionali») è impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri per contrasto con gli artt. 3, 117, commi primo (rectius: terzo) e secondo, lettera l), Cost., «in relazione al Titolo terzo del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165». La norma impugnata stabilisce quanto segue: «[a]l personale del comparto di contrattazione regionale che abbia maturato i requisiti per le progressioni professionali per l’anno 2018 e non sia transitato nel livello economico superiore, sono riconosciuti gli effetti giuridici della progressione con decorrenza dal 1° gennaio 2018. Tale decorrenza ha valore ai fini del calcolo della permanenza effettiva in servizio nel livello retributivo».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri questa disposizione non preciserebbe «se si tratta di passaggi tra le aree, ovvero di passaggio economico all’interno dell’area». Se il significato dovesse essere inteso nel primo dei due sensi, dovrebbe allora essere garantita – secondo il ricorrente – la procedura transitoria di cui all’art. 22 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 (Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a, e 2, lettere b, c, d ed e e 17, comma 1, lettere a, c, e, f, g, h, l, m, n, o, q, r, s e z, della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche).
Qualora fosse invece esatta la seconda delle due interpretazioni, il ricorrente sostiene che la retrodatazione introdotta dalla norma censurata «confliggerebbe con gli orientamenti consolidati espressi dall’Aran, dal Dipartimento della Funzione Pubblica e dalla Corte dei Conti, che prevedono, come decorrenza, una data non anteriore a quella dell’approvazione della graduatoria o della presa delle funzioni». Per tale via, si avrebbe quindi la violazione sia dei principi di coordinamento della finanza pubblica, di cui alla competenza concorrente prevista all’art. 117, terzo comma, Cost., sia della disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, di cui alla competenza statale esclusiva, prevista per la materia dell’ordinamento civile dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Quest’ultimo titolo di competenza statale – si aggiunge – sarebbe violato dalla legge regionale impugnata anche perché questa riconosce gli effetti giuridici delle progressioni de quibus «senza che siano rispettate le disposizioni contenute nel Titolo III del D.lgs. n. 165/2001 citato, relative alla contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale».
Infine, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., «poiché per il personale delle altre Regioni, nella stessa situazione lavorativa, troverebbe applicazione un diverso trattamento contrattuale».
2.– Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna, in persona del proprio Presidente pro tempore, chiedendo il rigetto del ricorso e svolgendo, nel merito, proprie considerazioni difensive con riguardo alla prima, alla terza, alla quarta e alla quinta delle questioni sollevate dallo Stato. Nessuna difesa, invece, è stata svolta con riguardo alla seconda e alla quinta questione.
2.1.– Sulla prima questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, la Regione osserva che, secondo la giurisprudenza costituzionale, «tutela dell’ambiente» non è da intendersi come “materia” in senso tecnico, ma come valore costituzionalmente protetto, che investirebbe altre competenze regionali, poiché allo Stato spetterebbe solo il compito di fissare standard di tutela uniformi su tutto il territorio nazionale. La competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. non sarebbe dunque incompatibile con interventi specifici del legislatore regionale che attengano alle proprie competenze.
In tale quadro, il parco regionale costituirebbe «tipica espressione dell’autonomia regionale», essendo tra l’altro istituito proprio con legge regionale, ai sensi dell’art. 23 della legge quadro n. 394 del 1991. Le Regioni, pertanto, ben potrebbero istituire tipologie di aree regionali protette con finalità in tutto o in parte diverse da quelle previste dalla legge statale, «purché non venga inciso il nucleo minimo di salvaguardia del patrimonio naturale stabilito dal Legislatore statale». In tale prospettiva, secondo la Regione, le regole sulla composizione dell’organo tecnico-contabile non si riferirebbero ad «aspetti sostanziali catalogabili in termini di “tutela ambientale”» e non sarebbero, quindi, ascrivibili agli «standard minimi di tutela ambientale». Questa conclusione sarebbe avvalorata dal fatto che quello oggetto di modifica è un organo «che non partecipa nemmeno alla definizione delle linee di indirizzo di governo dell’Ente parco e non è coinvolto nelle scelte operative finalizzate alla conservazione e alla valorizzazione delle aree protette». La legge regionale impugnata sarebbe pertanto conforme al disposto dell’art. 24, comma 1, della legge n. 394 del 1991, in cui si stabilisce che, «[i]n relazione alla peculiarità di ciascuna area interessata, ciascun parco naturale regionale prevede, con apposito statuto, una differenziata forma organizzativa» e conferisce allo statuto del parco regionale il compito di indicare «la composizione e i poteri del collegio dei revisori dei conti».
Del resto, osserva la Regione, il modello monocratico dell’organo di revisione contabile «è già ampiamente presente in altri Parchi Regionali». Tale modello non determinerebbe minori livelli di tutela ambientale, anche perché «la configurazione monocratica dell’organo di controllo, determinando un contenimento dei costi della struttura, consente all’Ente Parco di destinare maggiori risorse per gli interventi di tutela ambientale».
2.2.– Sulla terza questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, concernente la norma sulle distanze minime (di cui all’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, che introduce un nuovo comma 1-bis all’art. 7-bis della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985), la Regione resistente eccepisce una «non corretta interpretazione» della norma impugnata, che non autorizzerebbe l’approvazione di un progetto in difformità (ovvero in deroga) alle disposizioni legislative e regolamentari in materia di distanze, ma semplicemente consentirebbe di evitare le sanzioni conseguenti a un abuso per violazione delle distanze previste nel progetto approvato, anche per l’ipotesi in cui nello stesso trovassero applicazione le misure minime previste da leggi o regolamenti, purché la predetta difformità si mantenga entro il limite del 2 per cento. Del resto, soggiunge la resistente, l’impugnata norma «riproduce, anche letteralmente, la disposizione contenuta nell’articolo 34, comma 2-ter, del decreto legislativo n. 380 del 2001» e si sarebbe resa necessaria a causa «di alcune difficoltà interpretative e comportamenti disomogenei degli Uffici tecnici delle amministrazioni comunali riscontrati nel territorio regionale».
2.3.– Sulla quarta questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, concernente la durata delle attestazioni e dei certificati di malattie croniche (di cui all’art. 53 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019), la Regione resistente richiama nelle proprie difese il periodo minimo di durata dei certificati e delle attestazioni previsto dal d.m. 23 novembre 2012, evidenziando che la norma impugnata «deve essere interpretata alla luce di quanto in esso disposto e non intesa nel senso di voler derogare al periodo minimo ivi previsto».
2.4.– Sulla sesta questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, la Regione resistente precisa che l’impugnato art. 61 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019 «ha ad oggetto progressioni economiche di tipo orizzontale all’interno della categoria/area di appartenenza» e sarebbe volta a «far decorrere i soli effetti giuridici dal 1° gennaio 2018, mentre quelli economici a partire dall’annualità in cui le risorse da destinare al fondo per le progressioni saranno disponibili, ovvero il 2019». In ogni caso, si precisa, l’art. 61 impugnato «verrà attuato nel rispetto del limite di spesa complessiva per il trattamento accessorio in applicazione dei principi generali in materia previsti dalla normativa statale».
3.– Con memoria successivamente depositata, il Presidente del Consiglio dei ministri ha replicato alle deduzioni difensive della Regione, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 4, comma 1, lettera a), 5, comma 1, lettera a), 7, comma 2, 13, 53 e 61 della legge della Regione autonoma della Sardegna 11 gennaio 2019, n. 1 (Legge di semplificazione 2018), deducendo, sotto diversi profili, la violazione delle proprie competenze legislative quali delineate dall’art. 117, commi secondo e terzo, della Costituzione, nonché, per alcune delle norme impugnate, la violazione degli artt. 3, 51, primo comma, e 97, quarto comma, Cost. È anche impugnato l’art. 59 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, per violazione degli artt. 3, 51, primo comma, e 97, quarto comma, Cost.
2.– Le materie cui afferiscono le disposizioni impugnate sono tra di loro diverse e sono tutte potenzialmente riconducibili ad ambiti di competenza legislativa regionale secondo quanto previsto dalle norme dello Statuto speciale di autonomia approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).
2.1.– La possibile inerenza delle varie disposizioni impugnate a materie di competenza statutaria regionale impone un preliminare vaglio di ammissibilità delle questioni sollevate. Questa Corte ha già affermato che dal ricorso, «valutato nel suo complesso», deve desumersi il riferimento ai parametri statutari che, nella materia oggetto della singola questione, possono fondare interventi del legislatore regionale (da ultimo, sentenza n. 16 del 2020, punto 4.1. del Considerato in diritto). Dal contesto del ricorso deve dedursi l’impossibilità di operare il sindacato di legittimità costituzionale in base allo statuto speciale. Al riguardo, è da ritenersi «sufficiente, ma necessaria, un’indicazione, sia pure sintetica al riguardo, in ordine all’estraneità della materia alla sfera di attribuzioni stabilita dallo stesso» (sentenze n. 147 del 2019, n. 142 del 2015 e n. 288 del 2013). In particolare, è ammissibile il ricorso «che non sia sfornito degli elementi argomentativi minimi richiesti, che vanno valutati anche in considerazione della radicalità della prospettazione operata dal Governo» (sentenze n. 153 del 2019 e n. 142 del 2015).
Il ricorso ora esaminato si fonda su argomentazioni che riflettono compiutamente i requisiti indicati dalla giurisprudenza di questa Corte, sia per la radicalità della prospettazione avanzata, sia per la coerente illustrazione delle singole materie ritenute estranee alle attribuzioni riservate alla Regione dallo statuto di autonomia.
Le censure sono state sollevate con riferimento a titoli di competenza statale esclusiva, in alcuni casi espressamente confrontati con la competenza statutaria della Regione resistente e con i relativi limiti. In altri casi, esse sono sostenute da riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte che ha ricondotto alla competenza legislativa statale norme di Regioni ad autonomia speciale oggetto di impugnativa (sentenza n. 153 del 2019, punto 2.1. del Considerato in diritto). In tal modo, il ricorrente – con implicito richiamo alla cosiddetta clausola di maggior favore di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – ha dato sufficientemente conto delle condizioni per l’applicazione delle norme di competenza di cui al Titolo V della Parte II della Costituzione nei confronti della Regione ad autonomia speciale, sulla base del raffronto fra il regime della funzione, definito in base allo stesso Titolo V, e la parallela, a sua volta complessiva, disciplina della funzione risultante dallo statuto speciale (sentenza n. 119 del 2019, punto 2 del Considerato in diritto).
Tutte le questioni sono, pertanto, ammissibili e si può passare all’esame del merito.
3.– Con la prima delle questioni promosse, il Presidente del Consiglio dei ministri censura le previsioni della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019 che – con riferimento a due specifici parchi naturali regionali, quello di Gutturu Mannu, istituito con legge della Regione autonoma della Sardegna 24 ottobre 2014, n. 20 (Istituzione del Parco naturale regionale di Gutturu Mannu), e quello di Tepilora, istituito con legge della Regione autonoma della Sardegna 24 ottobre 2014, n. 21 (Istituzione del Parco naturale regionale di Tepilora) – ha trasformato l’organo di revisione dei conti da collegiale a monocratico (artt. 4, comma 1, lettera a, e 5, comma 1, lettera a, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019).
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la struttura monocratica confliggerebbe con quanto previsto dalla legge quadro 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), i cui artt. 9 e 24 prescrivono espressamente la conformazione collegiale, e non monocratica, dell’organo di revisione dei conti e impongono la presenza nel collegio di un membro designato dal Ministro dell’economia e delle finanze. Risulterebbe, pertanto, violata la competenza esclusiva statale nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per mancato rispetto dei criteri generali di tutela, stabiliti dalla legge quadro e validi per tutto il territorio nazionale. L’incisione sull’assetto organizzativo dell’ente parco, quale predeterminato dalla norma statale – che costituirebbe espressione di uno standard di tutela dell’ambiente –, avrebbe anche «riflessi» sulla «regolarità ed efficienza dell’attività» dell’ente parco, con conseguente violazione dell’art. 97 Cost.
Nel ricordare che, a norma dello statuto speciale, la Regione autonoma della Sardegna gode di competenza legislativa primaria nella materia dell’«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale», il ricorrente evidenzia che tale competenza deve attuarsi «[i]n armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica» (art. 3 statuto reg. Sardegna).
3.1.– La questione non è fondata.
Il parametro di competenza legislativa evocato dal ricorrente non è conferente, poiché – diversamente da quanto sostenuto – la struttura collegiale dell’organo di revisione contabile dell’ente parco, pur se prevista dalla legge quadro n. 394 del 1991, non può essere ricondotta a uno «standard di tutela ambientale» inderogabile da parte delle Regioni.
Come osserva anche il ricorrente, tale legge quadro è stata reiteratamente ricondotta dalla giurisprudenza costituzionale alla materia, di competenza statale esclusiva, della «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (da ultimo, sentenze n. 121 del 2018 e n. 36 e 74 del 2017), in specie laddove, con riguardo alle aree protette – comprensive anche dei parchi regionali (sentenza n. 44 del 2011) – prescrive che gli enti gestori devono dotarsi «di strumenti programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attività svolte nei parchi alle esigenze di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema» (sentenze n. 121 del 2018, n. 74 del 2017, n. 171 del 2012, n. 263 e n. 44 del 2011 e n. 387 del 2008).
Il limite che incontra la legislazione regionale è dunque quello che si evince dalla regolazione statale assunta a “standard inderogabile” di tutela ambientale. Tale non è la previsione, che viene in rilievo nel presente giudizio, secondo cui l’organo di revisione dell’ente parco ha struttura collegiale, con necessaria partecipazione di un componente designato dal Ministro dell’economia e delle finanze (artt. 9 e 24 della legge n. 394 del 1991). Si tratta, a ben vedere, di una previsione che non attiene in modo diretto alla tutela e valorizzazione degli aspetti culturali, paesaggistici e ambientali del territorio, finalità il cui perseguimento costituisce l’aspetto qualificante del titolo di competenza legislativa statale nella materia ambientale (sentenze n. 178 del 2018, n. 193 del 2010 e n. 51 del 2006).
La scelta operata dalla Regione autonoma della Sardegna, con l’istituzione di un organo di revisione dei conti a struttura monocratica, non è tale da compromettere, come sostenuto dal ricorrente con argomenti peraltro apodittici, la funzionalità e l’efficienza dell’ente parco. Ciò induce a ritenere non fondato anche il profilo di censura sollevato con riferimento al principio di «buon andamento dell’amministrazione» di cui all’art. 97 Cost.
4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha poi impugnato l’art. 7, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019. La disposizione censurata autorizza l’Agenzia forestale regionale per lo sviluppo del territorio e l’ambiente della Sardegna (Forestas), al dichiarato fine di «garantire la continuità gestionale dei terreni e delle strutture» che la stessa acquisisce ai sensi del comma 1, «ad inquadrare temporaneamente nel proprio organico il personale impegnato dagli affittuari fino alla data di risoluzione del contratto anche attraverso un percorso triennale di utilizzo, nell’ambito delle risorse disponibili nel proprio bilancio e nel rispetto delle vigenti facoltà assunzionali».
Le censure del ricorrente si riferiscono alla violazione della competenza legislativa statale esclusiva nella materia dell’ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.) e del principio di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso (art. 97, quarto comma, Cost.). Il Presidente del Consiglio dei ministri espressamente richiama la competenza legislativa primaria della Regione autonoma della Sardegna nella materia dell’«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale», quale prevista dall’art. 3, lettera a), dello statuto reg. Sardegna. Egli afferma che, secondo quanto prescritto da quest’ultimo, la competenza legislativa primaria della Regione autonoma deve attuarsi «[i]n armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica» (art. 3 statuto reg. Sardegna).
4.1.– La questione è fondata.
Questa Corte ha più volte affermato che, quanto al riparto delle competenze tra Stato e Regioni, la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, come rivisitato dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), rientra nella materia «ordinamento civile», riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 175 e n. 160 del 2017).
Con riferimento alla Regione autonoma Sardegna, si deve tener conto della competenza legislativa primaria in tema di «stato giuridico ed economico del personale» di cui all’art. 3, comma 1, lettera a), dello statuto di autonomia, competenza che, per espressa previsione statutaria, deve essere esercitata nel «rispetto […] delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica» (sentenza n. 154 del 2019).
I profili concernenti l’assunzione e l’inquadramento del personale pubblico privatizzato, riconducibili alla materia dell’ordinamento civile, comportano l’applicabilità, anche per la Regione autonoma della Sardegna, dell’art. 36, comma 2, del t.u. pubblico impiego, nella parte in cui introduce il limite delle «esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale» che devono sussistere per giustificare la stipula di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato (sentenza n. 217 del 2012).
L’assunzione temporanea di personale presso l’Agenzia Forestas, così come previsto dall’art. 7, comma 2, della legge regionale, travalica questo limite. Non vi è certezza circa il carattere temporaneo ed eccezionale delle scelte poste in essere dalla Regione autonoma. Per l’inquadramento dei lavoratori, che si definisce temporaneo, non è invero previsto alcun termine finale certo. Tale termine non può ricavarsi né dal passaggio in cui la norma autorizza l’inquadramento «anche attraverso un percorso triennale di utilizzo», lasciando così spazio alla discrezionalità dell’amministrazione nel calibrare diversamente, dal punto di vista temporale, l’impiego dei lavoratori, né dal riferimento, del tutto generico, che viene compiuto alla «data di risoluzione del contratto».
La natura eccezionale dell’inquadramento non appare confermata dalla finalità che il legislatore regionale individua nell’esigenza di «garantire la continuità gestionale dei terreni e delle strutture», senza che la Regione autonoma offra ragguagli più circostanziati al riguardo.
Pertanto, la previsione dell’assunzione di lavoratori a tempo determinato, di cui all’impugnato art. 7, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, in assenza di adeguati elementi che comprovino la sussistenza di un’effettiva situazione temporanea ed eccezionale, come stabilito dall’art. 36, comma 2, del t.u. pubblico impiego, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima.
Resta assorbita l’ulteriore censura relativa all’art. 97 Cost..
5.– Oggetto di impugnazione da parte dello Stato è anche l’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, nella parte in cui – mediante l’introduzione di un nuovo comma 1-bis all’art. 7-bis della legge della Regione autonoma della Sardegna 11 ottobre 1985, n. 23 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e di sanatoria di insediamenti ed opere abusive, di snellimento ed accelerazione delle procedure espropriative) – introduce l’istituto delle cosiddette tolleranze edilizie di cantiere in tutti i casi in cui «le previsioni legislative o regolamentari, comprese le disposizioni in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari, individuano misure minime».
Il ricorrente richiama la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., insieme alle norme che regolano le distanze di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765). La lesione di tale competenza sarebbe da individuare nel limite posto alle Regioni per la definizione delle distanze minime tra costruzioni, che può essere derogato soltanto per soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio (si richiama la sentenza di questa Corte n. 232 del 2005). Tali deroghe, aggiunge il ricorrente, devono comunque essere inserite in strumenti urbanistici funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio.
Viene dunque in rilievo un limite di carattere generale per l’esercizio della competenza primaria di cui gode la Regione autonoma della Sardegna nella materia «edilizia ed urbanistica» (art. 3, lettera f, dello statuto reg. Sardegna), nel quadro della pretesa riconducibilità della disciplina impugnata a una competenza esclusiva statale, in linea con la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 81 e n. 153 del 2019 e n. 201 del 2018).
5.1.– La questione non è fondata.
La disposizione regionale impugnata si colloca entro la cornice dettata dalla normativa statale in materia di cosiddetta tolleranza di cantiere. La norma cui fare riferimento è l’art. 34, comma 2-ter, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), inserito dall’art. 5, comma 2, lettera a), numero 5), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106.
Nell’affermare che «non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali», il legislatore statale circoscrive l’ambito di applicabilità delle cosiddette tolleranze di cantiere alle sole difformità parziali dal titolo edilizio. Riferisce inoltre tali difformità alle misure progettuali e così include anche l’evenienza che queste ultime coincidano con le misure legali minime.
Pertanto, l’art. 7-bis della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985, come modificato dalla norma impugnata dal Governo – laddove prescrive, attraverso il comma 1-bis impugnato, che gli scostamenti del 2 per cento, rispetto alle misure progettuali, non determinano parziale difformità e che tale regola vale anche per le misure minime individuate dalle disposizioni in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari – si sottrae alla denunziata violazione della normativa statale evocata, poiché è sostanzialmente ricognitivo delle medesime regole dettate dalla legislazione dello Stato. È alla luce di tale legislazione che si deve interpretare la disposizione censurata.
6.– L’art. 53 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, rubricato «Durata delle attestazioni o certificazioni di malattie croniche», è impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., giacché determinerebbe un’invasione della competenza statale esclusiva nella materia della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».
In particolare, la norma regionale introdurrebbe una disciplina differenziata, valida per la sola Regione autonoma della Sardegna, con riferimento alla durata del periodo minimo di validità dell’attestato di esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e sociali. Tale disposizione sarebbe difforme rispetto a quanto previsto dal decreto legislativo 28 aprile 1998, n. 124 (Ridefinizione del sistema di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie e del regime delle esenzioni, a norma dell’articolo 59, comma 50, della legge 27 dicembre 1997, n. 449) e dai relativi regolamenti attuativi.
Lo Stato rivendica, dunque, un titolo di competenza legislativa incompatibile con quello statutariamente previsto dall’art. 4, lettera i), dello statuto reg. Sardegna che include, tra le materie di competenza concorrente, quella dell’«igiene e sanità pubblica».
6.1.– La questione non è fondata, nei sensi di seguito precisati.
6.2. – Il quadro normativo statale di riferimento, inerente alla partecipazione dell’utente alla spesa sanitaria e alle relative esenzioni, si collega, da un lato, a una diffusa esigenza di razionalizzazione della spesa sanitaria e, dall’altro, all’urgenza di rispondere ai bisogni dei cittadini affetti da particolari patologie.
Nel delegare il Governo all’adozione di una disciplina di riordino della materia, la legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica) ha espressamente indicato, tra i principi e i criteri direttivi, il necessario collegamento tra il diritto all’esenzione e il «bisogno di prestazioni sanitarie legate a particolari patologie» (art. 59, comma 50, lettera d).
Il d.lgs. n. 124 del 1998 ha quindi stabilito, «[n]ell’ambito dei livelli essenziali di assistenza efficaci, appropriati ed uniformi, garantiti dal Servizio sanitario nazionale alla totalità dei propri assistiti», forme e modalità di partecipazione dell’utenza al costo delle prestazioni sanitarie (artt. 2 e 3). All’art. 5 il decreto delegato ha introdotto forme di esenzione «in relazione a particolari condizioni di malattia», rinviando a successivi decreti del Ministro della sanità quanto all’individuazione delle malattie croniche o invalidanti e delle malattie rare che danno diritto all’esenzione.
Il Ministro della sanità ha adottato il d.m. 28 maggio 1999, n. 329 (Regolamento recante norme di individuazione delle malattie croniche e invalidanti ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a), del d.lgs. 29 aprile 1998, n. 124), in cui si individuano, con apposito elenco, le malattie croniche e invalidanti che danno diritto all’esenzione. In particolare, si è stabilito che compete all’azienda unità sanitaria locale del luogo di residenza del paziente l’apposita attestazione di esenzione, sulla base di una certificazione medica che viene «rilasciata dai presìdi delle aziende unità sanitarie locali, dalle aziende ospedaliere o dagli istituti ed enti di cui all’articolo 4, comma 12, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modifiche ed integrazioni, o da istituzioni sanitarie pubbliche di Paesi appartenenti all’Unione europea» (art. 4, comma 1). Il Ministro della sanità è anche intervenuto con riferimento alle malattie rare, mediante l’adozione del decreto ministeriale 18 maggio 2001, n. 279 (Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124).
Con il decreto del Ministro della salute 23 novembre 2012 (Definizione del periodo minimo di validità dell’attestato di esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie, rilasciato ai sensi del decreto 28 maggio 1999, n. 329), adottato in base all’art. 4, comma 4-bis, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo), convertito nella legge 4 aprile 2012, n. 35, si è poi stabilita la durata minima dell’attestato di esenzione per ciascuna delle malattie croniche individuate dal d.m. n. 329 del 1999, differenziandola «in relazione alle diverse patologie e alla possibilità di miglioramento, valutata in base alle evidenze scientifiche».
La disciplina statale appena richiamata – laddove prevede che l’esenzione deve essere stabilita «tenuto conto [...] del bisogno di prestazioni sanitarie legate a particolari patologie» (art. 59, comma 50, lettera d, della legge n. 449 del 1997) e individua nelle «condizioni di malattia croniche o invalidanti» e nelle «malattie rare» i presupposti che «danno diritto all’esenzione» (art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 124 del 1998) – mette in stretta correlazione questo diritto con l’effettivo insorgere della malattia. A tal fine, lo stato patologico deve essere comprovato da adeguata certificazione medica che va rilasciata, quanto alle malattie croniche, nelle forme e nei modi previsti dal d.m. n. 329 del 1999. Tale certificazione pone il paziente nella condizione di ottenere l’attestato di esenzione, la cui durata minima è definita dal già citato d.m. 23 novembre 2012 e la cui validità è funzionalmente collegata alla titolarità del diritto all’esenzione, quindi all’effettivo bisogno del paziente.
6.3.– L’art. 53 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019 interviene a disciplinare la durata delle attestazioni di esenzione, limitatamente a quelle che si riferiscono alle malattie croniche, come si desume dalla sua rubrica. La disposizione in esame stabilisce al comma 1 che, in caso di regressione della malattia «ad un livello non più compatibile con l’ottenimento della prestazione», l’attestazione di esenzione non produce più effetti. Lo Stato lamenta che, in tal modo, si deroghi alla durata minima dell’attestazione quale stabilita dal d.m. 23 novembre 2012 e si incida sul livello essenziale delle prestazioni sanitarie fissato dalla legge statale tutte le volte in cui, prima della scadenza, si verifichi una regressione della malattia.
Tale assunto non può essere condiviso.
Dalle disposizioni prima citate e dalla ratio dell’intera normativa statale si evince chiaramente che al sussistere o meno della malattia si collega il diritto all’esenzione o il venir meno dello stesso al cessare della malattia, anche qualora non sia ancora esaurito il periodo minimo di validità dell’attestato.
La previsione di cui al comma 2 dell’art. 53 della legge regionale impugnata (secondo cui «[l]’eventuale regressione delle malattie o delle condizioni di salute di cui al comma 1 è comunicata dal medico curante alle pubbliche amministrazioni erogatrici della prestazione») deve essere interpretata quale coerente svolgimento della regola di cui al comma precedente. Essa fa riferimento alle medesime modalità di accertamento medico che la legge statale prescrive ai fini dell’attestazione di esenzione e dunque conferma che l’eventuale regressione della malattia deve essere comunque certificata da una delle strutture pubbliche indicate dall’art. 4, comma 1, del d.m. n. 329 del 1999. La stessa struttura deve provvedere a inoltrare il certificato, per i successivi adempimenti, all’amministrazione che ha curato l’emissione dell’attestato di esenzione, cioè alla ASL territorialmente competente.
In modo conforme alla normativa statale, infine, occorre interpretare anche il comma 3 della disposizione impugnata, che onera la Giunta regionale, su proposta dell’assessore competente in materia di sanità, di individuare «le malattie e le condizioni di salute di cui al comma 1, inserendole in un apposito elenco da pubblicarsi sul Bollettino ufficiale della Regione autonoma della Sardegna (BURAS)». L’elenco regionale delle malattie e delle condizioni di salute che fanno sorgere il diritto all’esenzione dai costi delle relative prestazioni sanitarie, non può che essere ricognitivo di quello già esistente a livello statale nel recepire l’individuazione delle malattie croniche e invalidanti che, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 124 del 1998, è contenuta nel d.m. n. 329 del 1999.
La disposizione regionale in esame, così interpretata, si sottrae alle censure di incostituzionalità sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.
7.– L’art. 59 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, rubricato «Disposizioni in materia di formazione professionale», stabilisce che «[i] soggetti ricompresi nell’elenco di cui alla determinazione n. 4578 prot. n. 43229 del 4 ottobre 2018 del Direttore generale dell’Assessorato regionale del lavoro, formazione professionale, cooperazione e sicurezza sociale che, alla data del 15 dicembre 2018, abbiano fatto ricorso al Tribunale amministrativo regionale avverso la medesima determinazione, sono iscritti d’ufficio alla lista speciale ad esaurimento di cui all’articolo 6, comma 1, lettera f) della legge regionale 5 marzo 2008, n. 3 (legge finanziaria 2008), degli aventi diritto ai sensi dell’articolo 11, comma 4, della legge regionale 11 gennaio 2018, n. 1 (Legge di stabilità 2018)».
Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna tale disposizione per contrasto con gli artt. 3, 51, primo comma, e 97, ultimo comma, Cost., evidenziando il mancato rispetto della procedura concorsuale.
7.1.– La questione è fondata.
La norma impugnata consente l’ingresso nei ruoli della Regione a una ben precisa categoria di soggetti, mediante loro iscrizione, ex lege, nella speciale «lista ad esaurimento» che – secondo quanto prevede l’art. 6, comma 1, lettera f), della legge della Regione autonoma della Sardegna 5 marzo 2008, n. 3, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione (Legge finanziaria 2008)» – terrà gli stessi soggetti «a disposizione dell’Amministrazione regionale» (così il citato art. 6 della legge reg. Sardegna n. 3 del 2008).
Questa Corte ha ripetutamente affermato che, secondo quanto prevede l’art. 97, quarto comma, Cost., la selezione concorsuale costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le amministrazioni pubbliche, quale strumento per assicurare efficienza, buon andamento e imparzialità. La facoltà del legislatore di introdurre deroghe a tale regola, con la previsione di un diverso meccanismo di selezione per il reclutamento del personale pubblico, deve essere delimitata in modo rigoroso alla sola ipotesi in cui esse siano strettamente funzionali al buon andamento dell’amministrazione e sempre che ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle (ex plurimis, sentenze nn. 5 e 36 del 2020, n. 40 del 2018 e n. 110 del 2017).
Nel caso di specie, la norma impugnata consente l’ingresso nei ruoli regionali di nuovo personale proveniente dall’esterno senza fare riferimento ad alcuna forma di selezione e senza nemmeno richiamare peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico.
Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 59 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019. Restano assorbite le ulteriori censure relative agli artt. 3 e 51, primo comma, Cost.
8.– L’art. 61 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, rubricato «Progressioni professionali», stabilisce che «[a]l personale del comparto di contrattazione regionale che abbia maturato i requisiti per le progressioni professionali per l’anno 2018 e non sia transitato nel livello economico superiore, sono riconosciuti gli effetti giuridici della progressione con decorrenza dal 1° gennaio 2018. Tale decorrenza ha valore ai fini del calcolo della permanenza effettiva in servizio nel livello retributivo».
Il Presidente del Consiglio dei ministri invoca gli artt. 3 e 117, commi secondo, lettera l), e primo (rectius: terzo) comma Cost., «in relazione al Titolo terzo del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165», evidenziando la violazione del principio di eguaglianza che deriverebbe, rispetto al personale delle altre Regioni, dall’applicazione di un diverso trattamento contrattuale pur nella medesima situazione lavorativa.
Lo Stato invoca, dunque, la violazione di un parametro di competenza legislativa esclusiva idoneo a conformare, mediante il richiamo alle «norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica», la competenza statutaria primaria della Regione autonoma nella materia «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale» (art. 3, lettera a, dello statuto reg. Sardegna).
8.1.– La questione non è fondata.
Si deve preliminarmente sgombrare il campo dal dubbio, che lo stesso ricorrente solleva, relativo al fatto che la norma qui impugnata faccia riferimento a progressioni verticali. La difesa della Regione – senza che lo Stato abbia replicato – ha chiarito, richiamando le graduatorie approvate nel 2018, che essa fa invece riferimento a progressioni economiche di tipo orizzontale, all’interno della medesima categoria o area di appartenenza.
Le censure sollevate investono la previsione che fa decorrere gli effetti giuridici delle progressioni dal 2018. Essa contrasterebbe con «gli orientamenti consolidati espressi dall’Aran, dal Dipartimento della Funzione Pubblica e dalla Corte dei Conti», da cui si evincerebbe che la decorrenza giuridica delle progressioni non potrebbe essere fissata ad «una data anteriore a quella dell’approvazione della graduatoria o della presa delle funzioni». La non conformità con la disciplina normativa statale è argomentata mediante richiamo alle norme del t.u. pubblico impiego e, in particolare, al necessario rispetto delle procedure previste per lo svolgersi della contrattazione collettiva.
Tale presupposto argomentativo non è fondato.
Il tenore stesso della norma regionale conferma che le progressioni di cui si discute sono state completate in armonia con quanto indicato dal contratto collettivo di lavoro di riferimento. Ai fini del riconoscimento giuridico della progressione, la disposizione impugnata richiede l’avvenuta maturazione dei «requisiti per le progressioni professionali» nel comparto di contrattazione regionale che viene in considerazione, con implicito richiamo, dunque, alla relativa fonte contrattuale collettiva.
Tali progressioni sono caratterizzate da una retrodatazione, poiché gli effetti giuridici decorrono «dal 1° gennaio 2018», quindi da un momento antecedente all’approvazione della graduatoria e, a maggior ragione, dall’effettiva presa di servizio. Questa soluzione non si pone in contrasto con gli «orientamenti consolidati» dell’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), del Dipartimento della Funzione Pubblica e/o della Corte dei conti, da cui si ricava che «la decorrenza delle progressioni non possa essere anteriore al primo gennaio dell’anno nel quale risulta approvata la graduatoria delle stesse» (così, in particolare, la delibera della Corte dei conti, sez. contr. Calabria, 20 marzo 2018, n. 57, che richiama gli indirizzi dell’ARAN). In termini analoghi si è pronunciata la Ragioneria generale dello Stato (parere prot. n. 49781, del 24 marzo 2017) e la stessa ARAN (nota prot. n. 7086, del 13 settembre 2016).
In definitiva, non si rinvengono, nella norma regionale impugnata, profili di contrasto con il sistema delineato a livello statale, né sussistono diversità tra il trattamento contrattuale applicato in Sardegna e quello di altre Regioni.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, della legge della Regione autonoma della Sardegna 11 gennaio 2019, n. 1 (Legge di semplificazione 2018);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 59 della legge della reg. Sardegna n. 1 del 2019;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 1, lettera a), e 5, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, promossa, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 53 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 61 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, promossa, in riferimento agli artt. 3, 117, commi secondo, lettera l), e primo (rectius: terzo), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 gennaio 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA