SENTENZA N. 51
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Aldo CAROSI; Giudici : Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto legislativo 11 dicembre 2016, n. 239 (Norma di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige recante modifica del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279 in materia di prelievo venatorio), modificativo dell’art. 1, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste), e dell’art. 24, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Trento 9 dicembre 1991, n. 24 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia), promosso dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento nel procedimento vertente tra l’Associazione protezione animali natura - Ente provinciale protezione animali e ambiente (PAN - EPPAA) e altri e la Provincia autonoma di Trento, il comitato faunistico della Provincia autonoma di Trento e l’Associazione cacciatori trentini, con ordinanza del 3 agosto 2018, iscritta al n. 160 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento;
udito nell’udienza pubblica del 3 dicembre 2019 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento;
deliberato nella camera di consiglio del 3 dicembre 2019.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 3 agosto 2018 (reg. ord. n. 160 del 2018), il Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento ha sollevato questioni di legittimità costituzionale parzialmente identiche a quelle sollevate con ordinanza dello stesso TRGA trentino del 16 gennaio 2015, iscritta al n. 34 del registro ordinanze 2015, con cui era stata denunciata l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Trento 9 dicembre 1991, n. 24 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia), che autorizza l’esercizio dell’attività venatoria nel territorio trentino congiuntamente, in forma vagante e da appostamento fisso, in ragione del regime di riserva naturale ivi esistente.
Nel precedente giudizio il TRGA di Trento aveva sollevato la questione in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 12, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), ritenendo che la norma violasse il principio di esclusività della caccia sancito dal legislatore nazionale, che impone la scelta di una sola tra le seguenti forme di esercizio di attività venatoria: vagante in zona Alpi; da appostamento fisso; nelle altre forme consentite dalla legge e praticate nel rimanente territorio destinato all’attività venatoria programmata, e con il riparto di competenze costituzionali.
Il giudizio di costituzionalità si era concluso con ordinanza n. 200 del 2017 di restituzione atti, essendo nelle more intervenuto il decreto legislativo 11 dicembre 2016, n. 239 (Norma di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige recante modifica del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279 in materia di prelievo venatorio), modificativo dell’art. 1, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste), che vi ha inserito una disposizione, di contenuto sostanzialmente analogo a quello della legge provinciale censurata, secondo la quale nel territorio provinciale, in ragione del regime riservistico, non è necessario l’esercizio dell’opzione per una delle forme di caccia previste dalla normativa nazionale.
2.– Con il presente giudizio, il TRGA di Trento ha promosso nuovamente le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, della legge prov. Trento n. 24 del 1991, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. – in relazione all’art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992 – e agli artt. 8, primo comma, e 103 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).
Con la medesima ordinanza, inoltre, il TRGA di Trento ha esteso le censure di illegittimità costituzionale all’art. 1 del d.lgs. n. 239 del 2016, che ha modificato l’art. 1, comma 3, del d.P.R. n. 279 del 1974, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e in relazione agli artt. 8, primo comma, e 103 del d.P.R. n. 670 del 1972, perché la modifica delle norme di attuazione statutaria avrebbe violato il criterio di riparto delle attribuzioni legislative stabilito in Costituzione, comportando un livello di tutela ambientale meno rigoroso di quello previsto dalla normativa statale, andando oltre i limiti consentiti dalle finalità dello statuto e in violazione del procedimento di revisione di cui all’art. 103 dello statuto stesso.
3.– In particolare, il TRGA di Trento riferisce di dover decidere sulla richiesta di annullamento, avanzata da alcune associazioni ambientaliste, della deliberazione n. 711 del 23 aprile 2018, con cui il comitato faunistico della Provincia autonoma di Trento ha approvato il testo definitivo delle prescrizioni tecniche per l’esercizio della caccia in Provincia di Trento nella stagione 2018-2019, e, quanto alla rilevanza, assume che gli artt. 1 e 4 delle impugnate prescrizioni tecniche contengono disposizioni che, in alcuni casi, limitano le modalità di esercizio della caccia, così che deve concludersi che, nei casi non contemplati, il provvedimento autorizza l’esercizio libero, sia in forma vagante che mediante appostamento fisso, dell’attività venatoria, conformemente alle previsioni denunciate.
4.– A sostegno della dedotta incostituzionalità delle norme censurate, il rimettente richiama la sentenza n. 278 del 2012 di questa Corte, che ha ricondotto il principio della esclusività della caccia di cui all’art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992 all’esercizio della potestà legislativa dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
Infatti, il principio della esclusività della caccia è volto a favorire il radicamento del cacciatore sul territorio e ad attirare la sua attenzione sulla necessità di preservare l’equilibrio faunistico, quindi esso mira ad evitare che l’intero territorio agro-silvo-pastorale sia esposto all’esercizio indiscriminato dell’attività venatoria in tutte le forme consentite e a prevenire il rischio di mettere in crisi la consistenza della popolazione della fauna selvatica.
Il TRGA rimettente non ritiene di condividere quanto sostenuto dalla Provincia autonoma di Trento nel giudizio a quo, secondo cui l’esistenza della riserva naturale, valorizzando il legame tra il cacciatore ed il territorio, per cui sono associati alla riserva i soli cacciatori residenti nel Comune in cui ricade la riserva, escluderebbe a priori il rischio di un esercizio indiscriminato dell’attività venatoria e rileva come la sentenza n. 278 del 2012 di questa Corte abbia definito i rapporti tra potestà legislativa provinciale in materia di caccia e potestà legislativa statale in materia di tutela ambientale, nel senso che, quando esse interagiscono per naturale sovrapposizione degli ambiti di competenza, la legislazione statale prevale, poiché l’ambiente inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario, di cui deve essere garantito uno standard di tutela uniforme.
5.– Tale assetto non avrebbe potuto essere alterato dall’art. 1 del d.lgs. n. 239 del 2016, di modifica del d.P.R. n. 279 del 1974 di attuazione dello statuto speciale, perché le norme di attuazione dello statuto speciale che, essendo subordinate alla Costituzione, sono sottoponibili a giudizio di costituzionalità, non possono integrare le norme statutarie, oltre il limite di corrispondenza alle finalità di attuazione dello statuto stesso, senza il rispetto del procedimento di revisione di cui all’art. 103 dello statuto.
Pertanto, la norma di attuazione statutaria dovrebbe essere dichiarata illegittima poiché non si sarebbe limitata a porre un precetto attuativo del riparto di competenze legislative di cui al combinato disposto dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e dell’art. 8, primo comma, dello statuto speciale, ma avrebbe violato tale riparto, disponendo su materia non regolata dalla Provincia e spettante allo Stato e prescrivendo un livello di tutela ambientale meno rigoroso di quello previsto dalla normativa nazionale, non integrando il principio della caccia di specializzazione un criterio di tutela residuale, recessivo nel caso di regime riservistico.
6.– Si è costituita in giudizio la Provincia autonoma di Trento, eccependo l’inammissibilità della questione per irrilevanza e difetto di incidentalità, poiché l’unico motivo di ricorso avverso le prescrizioni tecniche sarebbe costituito dalla contestazione delle disposizioni di rango legislativo, mentre l’atto amministrativo prevederebbe solo l’esclusione della caccia in forma vagante, per due settimane a settembre, per quattro specie di uccelli (art. 1, lettera g) e, in determinati periodi, per il tordo sassello (art. 4.4).
Pertanto, anche in caso di accoglimento della questione di costituzionalità, tali prescrizioni non subirebbero modifiche.
7.– Quale ulteriore motivo di inammissibilità la difesa della Provincia autonoma ha eccepito l’inidoneità dei parametri costituzionali evocati, poiché il TRGA di Trento assume il contrasto delle norme impugnate con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., mentre tale disposizione si limita ad attribuire allo Stato la competenza ad adottare le prescrizioni in materia ambientale sicché è il d.lgs. n. 239 del 2016, oggetto di censura, che ne costituirebbe legittimo esercizio.
Con riferimento ai parametri statutari la difesa della resistente ritiene «estraneo all’oggetto della controversia» il richiamo all’art. 103 dello statuto, che disciplina la procedura di modifica dello statuto stesso, e all’art. 8 del medesimo statuto, che attribuisce alle Province autonome la competenza primaria in materia di caccia.
8.– Nel merito la difesa della Provincia autonoma osserva che la tutela del nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica di competenza dello Stato può essere garantita tenendo conto delle caratteristiche differenziate della caccia in determinate aeree.
Con specifico riferimento al regime riservistico esso trova le sue origini nelle “riserve comunali” e avrebbe il pregio di mantenere un legame tra il cacciatore e il suo territorio, poiché in base ad esso possono accedere alla riserva solo i cacciatori aventi specifiche caratteristiche, prima fra tutte quella di avere la residenza nel Comune nel cui territorio si trova la riserva.
Tale regime, vigente in tutta Italia fino alla legge 2 agosto 1967, n. 799 (Modifiche al testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l’esercizio della caccia, approvato con regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016, e successive modifiche) – che lo ha abolito in favore del regime di caccia programmata – si basa sul legame del cacciatore al territorio e sul fatto che rientra nell’interesse di costui, in quanto radicato nella riserva, preservarne gli equilibri faunistici, così da rendere superfluo ricorrere allo strumento di contenimento costituito dall’opzione per una forma specifica di caccia.
Il d.lgs. n. 239 del 2016 troverebbe ragione e fondamento proprio in tale regime e l’efficacia del sistema trentino sarebbe certificata dalla relazione dell’ex Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), poi confluito nell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), e dalla relazione tecnica della stessa Provincia autonoma, entrambe allegate alla memoria di costituzione, che dimostrerebbero che la consistenza della popolazione faunistica sul territorio trentino è prossima ai limiti naturali di compatibilità con l’ambiente.
9.– Con successiva memoria del 12 novembre 2019, la Provincia autonoma di Trento ha ribadito i propri argomenti e segnatamente il difetto di incidentalità e di rilevanza della questione; nel merito, la difesa della resistente ha ribadito che il giudice a quo avrebbe trasportato, sulla norma di attuazione dello statuto provinciale, le censure che avrebbe potuto rivolgere alla legislazione provinciale, di eccedenza dai limiti della legislazione nazionale al cui rispetto essa sarebbe tenuta, trasformando la legge n. 157 del 1992 in una sorta di “Costituzione” della caccia, a cui parametrare la restante legislazione statale.
10.– L’infondatezza della questione sarebbe ulteriormente avvalorata dalla relazione tecnico-faunistica del 7 novembre 2019, sottoscritta dal dirigente del Servizio foreste e fauna della Provincia autonoma di Trento, depositata in allegato alla memoria, che confermerebbe il buono stato di conservazione delle specie cacciabili, ottenuto con una gestione faunistica basata sul legame tra cacciatore e territorio, posto a fondamento del regime riservistico e della deroga al principio di specializzazione della caccia introdotta dalle norme censurate.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Trento 9 dicembre 1991, n. 24 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia), e dell’art. 1 del decreto legislativo 11 dicembre 2016, n. 239 (Norma di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige recante modifica del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279 in materia di prelievo venatorio), modificativo dell’art. 1, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 12, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e degli artt. 8, primo comma, e 103 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).
Le disposizioni provinciali sono censurate in quanto, nel regolare l’attività venatoria nella Provincia autonoma di Trento, autorizzano l’esercizio della caccia in maniera cumulativa, e cioè sia in forma vagante sia mediante appostamento fisso.
Detta normativa si fonda sul peculiare regime riservistico vigente nel territorio provinciale, derogando a quanto stabilito dal legislatore nazionale con l’art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992, che impone, invece, la scelta tra una delle seguenti forme di esercizio dell’attività venatoria: vagante in zona Alpi; da appostamento fisso; nelle altre forme consentite dalla legge e praticate nel rimanente territorio destinato all’attività venatoria programmata.
2.– In ordine alla rilevanza, il TRGA di Trento, chiamato a decidere sulla domanda di annullamento della deliberazione del comitato faunistico della Provincia autonoma di Trento n. 711 del 23 aprile 2018, recante l’approvazione delle prescrizioni tecniche per l’esercizio della caccia nella stagione 2018-2019, precisa che gli artt. 1 e 4 delle impugnate prescrizioni tecniche contengono disposizioni che, in alcuni casi, limitano le modalità di esercizio della caccia, e ritiene, perciò, che, nella parte in cui esse non pongono limiti alle forme di esercizio dell’attività venatoria, quest’ultima possa essere esercitata in più forme cumulative, in contrasto con il principio di “specialità” di cui all’art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992.
3.– La Provincia autonoma di Trento, nel costituirsi in giudizio, ha eccepito il difetto di incidentalità e di rilevanza delle questioni, poiché l’unico motivo di ricorso nel giudizio a quo sarebbe quello di contestare le suddette disposizioni di rango legislativo per ottenerne la caducazione e poiché la deroga al principio della caccia di specializzazione è contenuta solo nelle leggi censurate e non anche nelle prescrizioni tecniche oggetto della richiesta di annullamento nel giudizio principale. Sempre in via preliminare, la resistente ha eccepito l’inidoneità dei parametri costituzionali evocati.
4.– Le eccezioni di inammissibilità non sono fondate.
La prima eccezione riguarda il difetto di rilevanza, addotta in quanto l’impugnativa innanzi al TRGA di Trento riguarderebbe solo prescrizioni tecniche che rimarrebbero inalterate anche a seguito della caducazione della legge provinciale.
Va condivisa, invece, la prospettazione del giudice a quo, secondo cui gli artt. 1 e 4 delle impugnate prescrizioni tecniche, nel porre alcune limitazioni all’esercizio dell’attività venatoria, lasciano intendere che, negli altri casi, l’attività venatoria si possa svolgere liberamente conformemente alla previsione della legge prov. Trento n. 24 del 1991, oggetto dello scrutinio, laddove autorizza l’esercizio congiunto della caccia sia da appostamento fisso che in forma vagante: in tal modo l’incostituzionalità delle norme censurate inciderebbe sulle impugnate prescrizioni tecniche.
Quanto all’asserito difetto di incidentalità, va obiettato che il giudizio principale ha ad oggetto non la declaratoria di illegittimità costituzionale delle denunciate norme di rango legislativo, ma l’annullamento del provvedimento amministrativo concernente prescrizioni tecniche per l’esercizio della caccia e basato sulle predette norme censurate: la diversità tra l’oggetto del giudizio a quo e quello del giudizio di costituzionalità rende evidente l’incidentalità delle questioni.
La Provincia autonoma, inoltre, ha dedotto l’inammissibilità delle questioni per inidoneità dei parametri, costituzionali e statutari, richiamati dal rimettente. Tale eccezione si basa sul duplice presupposto che le norme censurate non sarebbero in contrasto con il criterio di riparto di competenze costituzionalmente stabilito, e che il «richiamo» ai parametri di cui agli artt. 8 e 103 dello statuto sarebbe «estraneo all’oggetto della controversia».
L’eccezione non può essere accolta, perché investe profili non di inammissibilità, ma di merito, in quanto attengono alla fondatezza delle questioni.
5.– Nel merito le questioni non sono fondate.
6.– Il rimettente pone le questioni sotto il profilo della violazione del riparto di competenze legislative tra lo Stato, a cui compete la tutela ambientale, e la Provincia autonoma, le cui norme di attuazione statutaria non potrebbero estendere le competenze attribuite dallo statuto, andando oltre le finalità da esso previste e senza il rispetto del procedimento di revisione stabilito dall’art. 103 dello statuto stesso.
La prospettazione del rimettente si fonda sulla considerazione dell’estraneità della materia ambientale alle competenze provinciali, siccome riservata alla competenza dello Stato, ma questa Corte, già con la sentenza n. 215 del 2019, proprio in relazione ad una legge della Provincia autonoma di Trento, ha stabilito che «[n]el loro insieme, le competenze statutarie delle Province autonome assicurano la complessiva tutela del particolare ecosistema provinciale e, in considerazione delle particolari caratteristiche dell’habitat alpino, giustificano l’attribuzione della competenza all’esercizio della deroga all’autonomia provinciale, prevedendo un sostanziale bilanciamento, legittimamente rimesso dalle leggi provinciali impugnate ai Presidenti delle Province autonome, quali organi idonei alla valutazione della dimensione anche localistica degli interessi coinvolti».
7.– La peculiarità del regime della riserva naturale, del resto, è a fondamento della modifica all’art. 1, terzo comma, del d.P.R. n. 279 del 1974, intervenuta ad opera dell’art. 1 del d.lgs. n. 239 del 2016, che ha introdotto nelle norme di attuazione dello statuto speciale la possibilità dell’esercizio congiunto della caccia, in deroga al principio della caccia di specializzazione.
Ai sensi dell’art. 107 dello statuto, le norme di attuazione sono adottate con decreti legislativi, sentita una commissione paritetica composta di dodici membri di cui sei in rappresentanza dello Stato, due del Consiglio regionale, due del Consiglio provinciale di Trento e due di quello di Bolzano. Tre componenti devono appartenere al gruppo linguistico tedesco o ladino.
Questa Corte ha chiarito che trattasi di norme espressive di un potere attribuito dalla norma costituzionale in via permanente e stabile e, quindi, nell’ambito della loro competenza, capaci di derogare alle leggi ordinarie, nel rispetto dei suddetti limiti (ex plurimis, sentenze n. 341 del 2001, n. 213 del 1998, n. 160 del 1985, n. 212 del 1984 e n. 151 del 1972).
Pertanto, il d.lgs. n. 239 del 2016, di modifica delle norme di attuazione dello statuto e approvato con lo speciale procedimento per esse previsto che coinvolge anche i rappresentanti delle autonomie, legittimamente innova in parte qua la legge n. 157 del 1992, derogando per la Provincia autonoma di Trento al principio della caccia di specializzazione in essa previsto. Non sussiste, dunque, la lamentata violazione della competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
8.– Conseguentemente risultano non fondate le questioni di costituzionalità dell’art. 24, comma 1, della legge prov. Trento n. 24 del 1991.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto legislativo 11 dicembre 2016, n. 239 (Norma di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige recante modifica del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279 in materia di prelievo venatorio), modificativo dell’art. 1, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste), sollevate dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, e agli artt. 8, primo comma, e 103 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Trento 9 dicembre 1991, n. 24 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia), sollevate dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 12, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), nonché in riferimento agli artt. 8, primo comma, e 103 del d.P.R. n. 670 del 1972, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2019.
F.to:
Aldo CAROSI, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 marzo 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA