SENTENZA N. 70
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Puglia 17 dicembre 2018, n. 59, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale)», e degli artt. 7 e 8 della legge della Regione Puglia 28 marzo 2019, n. 5, recante «Modifiche alla legge regionale 30 novembre 2000, n. 17 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi in materia di tutela ambientale) e istituzione del Sistema informativo dell’edilizia sismica della Puglia, nonché modifiche alle leggi regionali 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale) e 17 dicembre 2018, n. 59 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14)», promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati il 15 febbraio e il 30 maggio 2019, depositati in cancelleria il 20 febbraio e il 3 giugno 2019, iscritti, rispettivamente, ai numeri 27 e 63 del registro ricorsi 2019 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 16 e 27, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visti gli atti di costituzione della Regione Puglia;
udito nell’udienza pubblica dell’11 febbraio 2020, il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;
uditi l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Anna Bucci per la Regione Puglia;
deliberato nella camera di consiglio del 9 marzo 2020.
Ritenuto in fatto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 15 febbraio 2019 e depositato il successivo 20 febbraio, iscritto al n. 27 del reg. ric. 2019, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Puglia 17 dicembre 2018, n. 59, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale)», per violazione degli artt. 3, 97, 117, terzo comma, della Costituzione, anche in relazione agli artt. 36 e 37 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)» (d’ora in avanti anche: t.u. edilizia), e all’art. 5, comma 10, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, recante «Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia» (da ora in poi anche: “decreto sviluppo”), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106.
1.1.– L’impugnato art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018, rubricato «Norma interpretativa del comma 1 dell’articolo 4 della l.r. 14/2009», prevede che «il comma 1 dell’articolo 4 della l.r. 14/2009 deve essere interpretato nel senso che l’intervento edilizio di ricostruzione da effettuare a seguito della demolizione di uno o più edifici a destinazione residenziale o non residenziale, può essere realizzato anche con una diversa sistemazione plano-volumetrica, ovvero con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza, alle condizioni di cui all’articolo 5, comma 3, della medesima l.r. 14/2009 e qualora insista in zona dotata delle urbanizzazioni primarie previste dalle vigenti disposizioni normative, statali e regionali».
2.– Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la menzionata disposizione, lungi dall’individuare una mera interpretazione dell’art. 4, comma 1, della legge della Regione Puglia 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale), presenterebbe «aspetti del tutto innovativi rispetto a quella che intende interpretare». La previgente disposizione regionale ha consentito «interventi di demolizione e ricostruzione di edifici residenziali e non residenziali o misti con realizzazione di un aumento di volumetria sino al 35 per cento di quella legittimamente esistente alla data di entrata in vigore della presente legge da destinare, per la complessiva volumetria risultante a seguito dell’intervento, ai medesimi usi preesistenti legittimi o legittimati, ovvero residenziale, e/o a usi strettamente connessi con le residenze, ovvero ad altri usi consentiti dallo strumento urbanistico». A seguito della novella legislativa, disposta dall’art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018, simili interventi possono essere realizzati «anche con una diversa sistemazione plano-volumetrica, ovvero con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza».
2.1.– Tale disposizione non avrebbe assegnato alla norma oggetto di interpretazione autentica un significato in quest’ultima già contenuto, desumibile da una delle possibili letture del testo originario, né avrebbe chiarito una oggettiva incertezza del quadro normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto; la norma censurata avrebbe piuttosto legittimato «deroghe volumetriche ad interventi di ristrutturazione su edifici, oltre i limiti consentiti dalla originaria disciplina regionale del 2009».
2.2.– La disciplina impugnata violerebbe, dunque, l’art. 3 Cost. e il principio di ragionevolezza, il quale ridonderebbe nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento, pregiudicando la tutela dell’affidamento, la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico (viene citata la sentenza n. 271 del 2011); nel caso di specie, l’irragionevolezza si dovrebbe desumere anche dalla constatazione che la norma censurata introduce innovazioni «destinate, per lo più, ad ampliare facoltà in deroga ai relativi strumenti urbanistici, peraltro non necessariamente in termini di logica continuità con il quadro generale di riferimento sul quale le stesse sono destinate ad incidere» (così la sentenza n. 73 del 2017, citata dalla difesa statale).
2.3.– Secondo la difesa dello Stato, la norma regionale impugnata avrebbe un «indubbio carattere innovativo, con efficacia retroattiva», consentendo la «regolarizzazione ex post di opere che, al momento della loro realizzazione, erano in contrasto con gli strumenti urbanistici di riferimento, dando corpo […] ad una surrettizia ipotesi di sanatoria straordinaria che esula dalle competenze regionali».
A risultare pregiudicate, inoltre, sarebbero le posizioni soggettive di potenziali controinteressati «che facevano affidamento sulla stabilità dell’assetto normativo vigente all’epoca delle rispettive condotte», come peraltro riconosciuto dalla stessa giurisprudenza costituzionale (sono citate le sentenze di questa Corte n. 209 del 2010 e n. 73 del 2017).
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene altresì che vi sarebbe la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., posto che, alla luce della disciplina impugnata, le amministrazioni comunali non sarebbero in grado di individuare «ciò che è stato realizzato […] nei periodi intercorrenti» tra la prima e la seconda normativa, oggi censurata.
4.– Infine, l’Avvocatura dello Stato ritiene violato l’art. 117, terzo comma, Cost., e la competenza concorrente in materia di «governo del territorio». In particolare, vi sarebbe un evidente contrasto tra la norma impugnata e gli artt. 36 e 37, comma 4, del t.u. edilizia, che esprimono un principio fondamentale nella materia citata, richiedendo la cosiddetta doppia conformità, e cioè la conformità dell’intervento agli strumenti urbanistici sia al momento della realizzazione dell’opera sia al momento della presentazione della domanda.
La portata retroattiva della disposizione regionale impugnata finirebbe infatti per sanare ex post vizi sostanziali di interventi che, al momento della loro realizzazione, non erano conformi alle prescrizioni urbanistiche all’epoca vigenti. La sanatoria per il mancato rispetto della doppia conformità, continua la difesa dello Stato, è ammissibile solo per vizi formali, per interventi realizzati in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso, ovvero in assenza o difformità dalla denuncia di inizio attività (DIA) o dalla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).
4.1.– Inoltre, la norma oggetto di impugnazione si porrebbe in contrasto con l’art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”, che esclude interventi edilizi in deroga riferiti «ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria».
5.– Il 13 marzo 2019 si è costituita in giudizio la Regione Puglia, ritenendo il ricorso inammissibile e, in subordine, infondato.
5.1.– Ad avviso della Regione resistente, le censure sarebbero inammissibili perché prive di «qualunque motivazione specifica»: non emergerebbero adeguatamente i profili di contrasto con i parametri costituzionali ed interposti evocati. La «carenza di collegamento» tra le argomentazioni svolte e il parametro non consentirebbe di verificare la compatibilità costituzionale delle disposizioni impugnate. Tale assunto varrebbe soprattutto per l’evocata violazione dell’art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”, in relazione al quale non sarebbe «neppur minimamente accennato» il tenore dell’asserita violazione costituzionale. In relazione a questo specifico aspetto, la questione sarebbe comunque infondata «per inconferenza dei parametri interposti» (viene citata la sentenza di questa Corte n. 298 del 2013).
5.2.– Quanto al merito delle censure prospettate, la disposizione impugnata contribuirebbe a dare «piena e completa attuazione» all’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata il 1° aprile 2009, «finalizzata al rilancio dell’economia mediante il sostegno all’attività edilizia e al miglioramento della qualità architettonica, energetica e ambientale del patrimonio edilizio esistente, in coerenza con le norme di tutela del patrimonio ambientale, culturale e paesaggistico della Regione nonché di difesa del suolo, prevenzione del rischio sismico e accessibilità degli edifici» (legge reg. Puglia n. 14 del 2009). La norma censurata disciplinerebbe gli interventi di demolizione e ricostruzione «con premio volumetrico sino al 35%», di cui all’art. 4 della legge reg. Puglia n. 14 del 2009, relativi «alla ristrutturazione edilizia o alla nuova costruzione», da eseguire in deroga alla pianificazione urbanistica locale.
La disposizione non avrebbe dunque carattere innovativo, attenendo a interventi edilizi di nuova costruzione «realizzati con diversa configurazione plano-volumetrica o con diverse dislocazioni ma pur sempre all’interno dell’area di pertinenza». Sarebbero comunque rispettati i limiti stabiliti dall’art. 4, commi 3 e 3-bis, della legge reg. Puglia n. 14 del 2009. In base alla prima disposizione, «[g]li interventi di ricostruzione devono essere realizzati nel rispetto delle altezze massime e delle distanze minime previste dagli strumenti urbanistici. È consentito il mantenimento dei distacchi, degli arretramenti e degli allineamenti dei manufatti preesistenti limitatamente alla sagoma preesistente. In mancanza di specifica previsione in detti strumenti, e nel caso di ricostruzione di edifici all’interno della sagoma planimetrica dell’esistente, le volumetrie complessive ricostruite sono consentite nel rispetto delle altezze massime della strumentazione urbanistica comunale vigente e delle distanze minime previste dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici a della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765)»; in virtù della seconda prescrizione, invece, «per gli interventi di ricostruzione di cui al comma 3, da realizzare su aree per le quali lo strumento urbanistico prescrive una altezza massima inferiore a quelle ammesse per le aree confinanti aventi diversa destinazione urbanistica è consentito utilizzare il maggiore valore delle altezze massime tra quelle previste per le aree contermini a quella di pertinenza dell’edificio da demolire e ricostruire».
In tal senso, la norma censurata sarebbe «il normale ed ovvio effetto» di un consentito aumento fino al 35 per cento della volumetria preesistente, non potendo comportare deroghe o varianti agli strumenti urbanistici al di fuori dei limiti imposti dalla legge reg. Puglia n. 14 del 2009. La stessa disposizione impugnata richiamerebbe il necessario rispetto dell’art. 5, comma 3, della legge reg. Puglia n. 14 del 2009.
5.3.– Alla luce di tali premesse, la Regione resistente insiste sulla natura meramente interpretativa della disposizione censurata, chiamata a cristallizzare un significato in essa già contenuto, «riconoscibile come una delle sue varianti di senso» (vengono richiamate, ex plurimis, le sentenze n. 73 del 2017 e n. 170 del 2008). La norma censurata si riferisce, infatti, ad interventi che, «al momento della loro realizzazione, dovevano obbligatoriamente essere legittimi e giammai in contrasto con lo strumento urbanistico comunale, se non nei limiti in cui ciò fosse già espressamente consentito dalla l.r. n.14/2009».
Risulterebbe così «scongiurato il rischio, paventato dal Presidente del Consiglio dei ministri, che la disposizione incriminata comporti la regolarizzazione ex post di interventi eseguiti illegittimamente o abusivamente, per essere in contrasto con la normazione urbanistica vigente».
Non vi sarebbe quindi alcuna violazione del parametro interposto statale e anzi il richiamo al criterio della cosiddetta «doppia conformità urbanistica» di cui agli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia «sarebbe totalmente inconferente, erroneo ed infondato».
5.4.– Anche laddove fosse attribuita alla norma impugnata portata innovativa, la sua retroattività non violerebbe il principio di ragionevolezza, posto che le innovazioni non amplierebbero le facoltà in deroga agli strumenti urbanistici. In tal senso, il Governo non si sarebbe attenuto a una interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione, impugnando sulla base di un presupposto interpretativo erroneo.
5.5.– Priva di pregio, inoltre, sarebbe l’asserita lesione dell’art. 97 Cost: la doglianza relativa alle paventate «difficoltà applicative», conseguenza del succedersi di varie modifiche della norma interpretata (modifiche mai impugnate), sarebbe estranea al thema decidendum, trattandosi di questione «che attiene alla fase applicativa della legge regionale». La difesa statale avrebbe omesso «strumentalmente di considerare che sarà l’attività interpretativa svolta dagli operatori del diritto in senso lato, dalle amministrazioni ed, in ultima analisi, dagli organi giurisdizionali, cui compete la funzione di definitiva qualificazione giuridica delle fattispecie, degli atti e dei rapporti, ad affrontare e risolvere la variegata casistica a verificarsi, e che […] accompagna sempre l’applicazione di ogni fonte normativa di qualunque grado».
5.6.– Infine, la Regione resistente ricorda che in data 28 marzo 2019, il Consiglio regionale ha approvato la legge della Regione Puglia 28 marzo 2019, n. 5, recante «Modifiche alla legge regionale 30 novembre 2000, n. 17 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi in materia di tutela ambientale) e istituzione del Sistema informativo dell’edilizia sismica della Puglia, nonché modifiche alle leggi regionali 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale) e 17 dicembre 2018, n. 59 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14)», che ha abrogato la norma interpretativa impugnata, inserendo il comma 5-ter all’art. 4 della legge reg. Puglia n. 14 del 2009, in forza del quale «gli interventi edilizi di […] ricostruzione da effettuare a seguito della demolizione di uno o più edifici a destinazione residenziale o non residenziale, possono essere realizzati anche con una diversa sistemazione plano-volumetrica, ovvero con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza, alle condizioni di cui all’articolo 5, comma 3, della presente legge e qualora insistano in zona dotata delle urbanizzazioni primarie previste dalle vigenti disposizioni normative, statali e regionali».
6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 30 maggio 2019 e depositato il successivo 3 giugno, iscritto al n. 63 del reg. ric. 2019, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7 e 8 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019, per violazione degli artt. 3, 97, 117, terzo comma, Cost., anche in relazione agli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia, all’art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”, e all’art. 5, comma 1, lettera b), del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici», convertito, con modificazioni, nella legge 14 giugno 2019, n. 55.
6.1.– L’art. 8 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019 ha disposto l’abrogazione dell’art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018, impugnato con ricorso n. 27 del 2019, mentre l’art. 7 ha inserito un comma 5-ter nel corpo dell’art. 4 della legge reg. Puglia n. 14 del 2009. Tale disposizione prevede che «[a]ll’articolo 4 della legge regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale), dopo il comma 5-bis è aggiunto il seguente:
“5-ter. Gli interventi edilizi di ricostruzione previsti dal comma 1, da effettuare a seguito della demolizione di uno o più edifici a destinazione residenziale o non residenziale, possono essere realizzati anche con una diversa sistemazione plano-volumetrica, ovvero con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza, alle condizioni di cui all’articolo 5, comma 3, e qualora insistano in zona dotate delle urbanizzazioni primarie previste dalle vigenti disposizioni normative, statali e regionali.”».
Il ricorrente evidenzia che il legislatore regionale avrebbe sì abrogato, per mezzo dell’art. 8 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019, la norma di interpretazione autentica introdotta dalla menzionata legge reg. Puglia n. 59 del 2018, ma, per mezzo dell’art. 7 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019, avrebbe inserito stabilmente una norma dall’analogo contenuto nella disciplina regionale relativa al cosiddetto “piano casa”, di cui alla legge reg. Puglia n. 14 del 2009.
6.2.– L’abrogazione realizzata dall’art. 8 sarebbe dunque sostanzialmente priva di pratici effetti, non ricorrendo, nel caso di specie, gli estremi per una dichiarazione della cessazione della materia del contendere. Ricordato come, per costante giurisprudenza costituzionale, la cessazione della materia del contendere possa essere pronunciata solo in caso di mancata applicazione medio tempore della disciplina abrogata, e comunque laddove lo ius supervieniens abbia portata satisfattiva delle pretese del ricorrente, la difesa dello Stato ritiene che sia insussistente la prima delle condizioni appena citate, posto che il legislatore regionale, tramite l’art. 7 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019, avrebbe fatto salvi gli effetti della norma impugnata con il ricorso n. 27 del 2019. In questa prospettiva, il combinato disposto degli artt. 7 e 8 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019, lungi dal soddisfare l’interesse del ricorrente, avrebbe reiterato le violazioni della Costituzione imputate alla disposizione precedentemente impugnata.
6.3.– La legge reg. Puglia n. 14 del 2009, nella versione precedente alle modifiche apportate dalla disposizione oggetto dell’odierna impugnazione, e come interpretata dall’art. 2 della legge Reg. Puglia n. 59 del 2018, avrebbe dettato norme di carattere straordinario, con le quali sono stati consentiti interventi edilizi anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti. In particolare, il previgente art. 4, comma 1, della legge regionale appena menzionata, risultava così formulato: «[a]l fine di migliorare la qualità del patrimonio edilizio esistente, sono ammessi interventi di demolizione e ricostruzione di edifici residenziali e non residenziali o misti con realizzazione di un aumento di volumetria sino al 35 per cento di quella legittimamente esistente alla data di entrata in vigore della presente legge da destinare, per la complessiva volumetria risultante a seguito dell’intervento, ai medesimi usi preesistenti legittimi o legittimati, ovvero residenziale, e/o a usi strettamente connessi con le residenze, ovvero ad altri usi consentiti dallo strumento urbanistico. A seguito degli interventi previsti dal presente articolo, gli edifici non residenziali non possono essere destinati a uso residenziale qualora ricadano all’interno delle zone territoriali omogenee E) di cui all’articolo 2 del decreto del Ministero dei lavori pubblici 1444/1968».
Con la modifica apportata dall’art. 7 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019, il legislatore regionale avrebbe sostanzialmente ampliato la portata oggettiva della disposizione, «legittimando deroghe volumetriche ad interventi di ristrutturazione su edifici, oltre i limiti consentiti d[a]ll’originaria disciplina regionale del 2009».
6.4.– L’art. 7 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019, reitererebbe, inoltre, la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., già denunciata nel precedente ricorso con riferimento all’art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018, poiché le amministrazioni comunali non riuscirebbero a verificare caso per caso e distinguere ciò che è stato realizzato nei periodi intercorrenti tra le modifiche medesime.
6.5.– Infine, ad avviso della difesa statale gli artt. 7 e 8 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019 si porrebbero in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost.
Le disposizioni censurate non solo violerebbero i già menzionati artt. 36, 37 del t.u. edilizia (e la “doppia conformità” ivi prevista) e l’art. 5 del “decreto sviluppo”, ma violerebbero altresì l’art. 5, comma 1, lettera b) del decreto-legge n. 32 del 2019, come convertito. Tale disposizione ha inserito, infatti, un art. 2-bis al t.u. edilizia, il quale ora dispone che «[i]n ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo».
7.– Il 28 giugno 2019 si è costituita in giudizio la Regione Puglia, ritenendo il ricorso inammissibile e, in subordine, infondato.
Secondo la Regione resistente, non sarebbero stati specificati i termini della asserita violazione costituzionale, né sarebbero indicate le ragioni del vulnus di costituzionalità. A titolo esemplificativo, la difesa regionale richiama quanto asserito dal Presidente del Consiglio dei ministri con riferimento all’art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”, in relazione al quale non sarebbe «neppur minimamente» accennato il verso dell’asserito contrasto.
7.1.– Le questioni di legittimità costituzionale sarebbero comunque infondate, avendo le disposizioni impugnate efficacia ex nunc, destinate perciò ad operare pro futuro e ad applicarsi agli interventi realizzati successivamente alla sua entrata in vigore. Con tale normativa, il legislatore regionale avrebbe rimosso «una potenziale incertezza giuridica» derivante dalla pendenza del precedente ricorso governativo, che avrebbe «messo in grave difficoltà gli uffici comunali nell’istruttoria delle pratiche edilizie». Sarebbe così stato eliminato il carattere interpretativo della precedente norma di cui all’art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018. L’abrogazione compiuta dall’art. 8 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019 e la norma contenuta nell’art. 7 della medesima legge regionale avrebbero escluso ogni possibile effetto retroattivo. In particolare, il tenore letterale di tale ultima disposizione avrebbe chiarito come questa si riferisca ad attività future ancora da eseguirsi, elidendo qualsiasi rapporto di continuità tra le due previsioni cosicché le «eventuali situazioni ed interventi realizzati medio tempore non potranno che trovare la loro definizione ad esito del giudizio di costituzionalità relativo alla norma interpretativa oggi abrogata».
7.2.– La Regione resistente contesta poi l’assunto della difesa statale secondo cui l’art. 7 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019 legittimerebbe deroghe volumetriche, in quanto «le possibilità di ampliamento delle volumetrie […] esistenti sono rimaste limitate alla misura del 35%, […] già prevista nella versione originaria della l.r. n.14/2009», posto che la disposizione impugnata consentirebbe «solo una diversa sistemazione plano-volumetrica di tali incrementi».
Non diversamente da quanto argomentato in risposta alle argomentazioni del Presidente del Consiglio dei ministri, contenute nel reg. ric. n. 27 del 2019, la legislazione sul cosiddetto “piano casa”, «come posta dal legislatore statale, […] [e] attuata da quello regionale», comporterebbe «ex se ed ab origine […] la possibilità di prevedere e consentire interventi in deroga e in variante agli strumenti urbanistici vigenti». La Regione Puglia ribadisce che gli interventi di demolizione e ricostruzione con premio volumetrico sino al 35 per cento, disciplinati dall’art. 4 della legge reg. Puglia n. 14 del 2009, «pur non trovando riflesso nella previsione di una categoria ad hoc di interventi edilizi, fra quelle contemplate dall’art. 3 d.P.R. n. 380/2001», si configurerebbero «come una modalità di esecuzione ascrivibile più alla nuova costruzione prevista dall’art. 3, comma l, lettera e), del d.P.R. n. 380/2001, che alla ristrutturazione edilizia»: non sarebbero dunque evocabili i limiti alla ristrutturazione edilizia richiamati dal legislatore statale, posto che si tratterebbe di una tipologia diversa di interventi.
7.3.– La difesa regionale ritiene, inoltre, che non vi sia alcun contrasto tra le disposizioni impugnate e l’art. 5, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 32 del 2019, come convertito, il quale ha aggiunto l’art. 2-bis al t.u. edilizia. Tale disposizione, introdotta successivamente all’approvazione della legge regionale, «ha l’evidente finalità di far salve, in caso di interventi di demolizione e ricostruzione, le distanze legittimamente preesistenti che, in alcuni casi, potrebbero risultare inferiori ed in contrasto con le distanze legali prescritte dal d.m. n. 1444/1968 o dalla strumentazione urbanistica vigente; sicché in tali ipotesi il ridetto comma l-ter dell’art. 2-bis del d.P.R. n. 380/2001 consente di mantenere le distanze preesistenti, ma prescrive che il volume, l’area di sedime e l’altezza massima del nuovo edificio coincidano con quelli dell’edificio demolito».
Tali prescrizioni statali sarebbero anzi, ad avviso della Regione, «radicalmente incompatibili con la premialità applicabile agli interventi prevista dalla normazione sul cosiddetto “piano casa”, e specificamente dall’art. 4 della l.r. n. 14/2009, che consiste proprio nell’aumento del 35% della volumetria legittimamente preesistente»; dovrebbe dunque concludersi «che la citata disposizione statale è norma di carattere generale destinata a regolamentare l’attività edilizia ordinaria, sia pure nell’ambito delle deroghe e della finalità di cui all’art. 2-bis d.P.R. n. 380/200l». Le disposizioni del cosiddetto “piano casa” avrebbero invece «carattere speciale ed eccezionale, oltre che derogatorio», tanto da non potere essere «interpretate sulla scorta del parametro di riferimento dell’invocato comma l-ter dell’art. 2-bis del t.u. edilizia».
A conforto della legittimità della scelta normativa compiuta, la Regione resistente cita la legge n. 55 del 2019, di conversione del d.l. n. 32 del 2019, che avrebbe introdotto una nuova disposizione «recante interpretazione autentica dell’art. 9 del d.m. n. 1444/1968, secondo cui i limiti di distanza ivi previsti si applicano esclusivamente ai fabbricati situati nelle zone C (“b-bis. Le disposizioni di cui all’articolo 9, commi secondo e terzo, del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3, dello stesso articolo 9”)». Tale interpretazione autentica sarebbe finalizzata a facilitare gli interventi di rigenerazione urbana nelle zone omogenee diverse da quelle di tipologia C, rendendo ammissibile la ricostruzione edilizia con un differente assetto plano-volumetrico rispetto all’edificato preesistente.
7.4.– Infine, anche a volere attribuire al plesso normativo impugnato (artt. 7 e 8 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019, nonché art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018) una efficacia retroattiva, la difesa regionale ritiene comunque che il significato di tale normativa sia comunque riconducibile alla formulazione originaria della legge reg. Puglia n. 14 del 2009, limitandosi a precisare quanto già insito nel concetto di interventi edilizi di nuova costruzione e non innovando il contenuto precettivo della precedente legge. Vengono così ribadite le argomentazioni già spese con riferimento alla disposizione oggetto della precedente impugnazione governativa (di cui al richiamato reg. ric. n. 27 del 2019), quanto alla necessità di una interpretazione conforme del plesso normativo censurato e alla mancata coerenza con il thema decidendum delle paventate «difformità applicative» ad opera delle amministrazioni locali.
8.– Nelle more dell’udienza, il 21 gennaio 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato due memorie illustrative, la prima relativa all’impugnazione dell’art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018, la seconda concernente il ricorso relativo agli artt. 7 e 8 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019.
8.1.– La difesa dello Stato ribadisce quanto sostenuto negli atti introduttivi, ed argomenta per la non fondatezza delle eccezioni di inammissibilità opposte dalla Regione resistente con riferimento all’evocazione dei parametri interposti. Ad avviso del ricorrente, infatti, la difesa regionale sarebbe occorsa in una «inversione del ragionamento», sicché, una volta «ristabiliti i passaggi argomentativi delle contestazioni della legittimità della norma», dovrebbe evidenziarsi «la corretta individuazione delle disposizioni di legge primaria» individuate quale parametro.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Puglia 17 dicembre 2018, n. 59, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale)».
Il ricorrente ha impugnato la predetta disposizione per violazione degli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, anche in relazione agli artt. 36 e 37 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)» (da ora in poi anche: t.u. edilizia), e all’art. 5, comma 10, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, recante «Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia» (da ora in avanti anche: “decreto sviluppo”), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106.
Tale disposizione introduce una norma definita di “interpretazione autentica”, con la quale il legislatore pugliese si propone l’obbiettivo di interpretare l’art. 4, comma 1, della menzionata legge reg. Puglia n. 14 del 2009.
Con autonomo e distinto ricorso, di qualche mese successivo al precedente, il Presidente del Consiglio dei ministri ha altresì promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7 e 8 della legge della Regione Puglia 28 marzo 2019, n. 5, recante «Modifiche alla legge regionale 30 novembre 2000, n. 17 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi in materia di tutela ambientale) e istituzione del Sistema informativo dell’edilizia sismica della Puglia, nonché modifiche alle leggi regionali 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale) e 17 dicembre 2018, n. 59 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14)».
Il ricorrente ha impugnato dette disposizioni per violazione degli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost., anche in relazione agli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia, all’art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”, e all’art. 5, comma 1, lettera b), del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici», convertito, con modificazioni, nella legge 14 giugno 2019, n. 55.
La nuova legge regionale procede alla abrogazione della predetta norma di interpretazione autentica (art. 8) e ne trasfonde il contenuto in una nuova disposizione, non più interpretativa (art. 7).
2.– I ricorsi propongono questioni simili nell’oggetto e nei parametri evocati. Possono essere quindi riuniti e trattati congiuntamente, al fine di essere decisi con una unica pronuncia.
3.– In via preliminare, questa Corte è chiamata a pronunciarsi sulla duplice eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione Puglia con riferimento a entrambe le impugnazioni.
3.1.– Ad avviso della difesa regionale, infatti, le censure sarebbero inammissibili perché entrambe prive di motivazione e di intrinseca coerenza, dato che gli argomenti spesi dalla Avvocatura generale dello Stato non si porrebbero in un rapporto di conseguenzialità logica rispetto ai parametri evocati. La carenza argomentativa viene ulteriormente sostenuta con riferimento alla censura che evoca l’art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”, in relazione al quale non sarebbe «neppur minimamente accennato» il tenore dell’asserita violazione costituzionale.
3.2.– Le eccezioni di inammissibilità non sono fondate. I termini delle questioni sono, infatti, sufficientemente chiari ed omogenei, risultando esaustivamente evidenziati i profili che, a parere della difesa statale, renderebbero illegittime le disposizioni impugnate.
4.– Con il primo ricorso (reg. ric. n. 27 del 2019), come dianzi anticipato, lo Stato ha impugnato l’art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018, recante una norma di interpretazione autentica dell’art. 4, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2009.
Il legislatore regionale ha così stabilito che detta disposizione debba intendersi «nel senso che l’intervento edilizio di ricostruzione da effettuare a seguito della demolizione di uno o più edifici a destinazione residenziale o non residenziale, può essere realizzato anche con una diversa sistemazione plano-volumetrica, ovvero con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza, alle condizioni di cui all’articolo 5, comma 3, della medesima l.r. 14/2009 e qualora insista in zona dotata delle urbanizzazioni primarie previste dalle vigenti disposizioni normative, statali e regionali».
4.1.– Sostiene la difesa dello Stato che questa norma violerebbe l’art. 3 Cost. perché, lungi dall’individuare uno dei possibili significati desumibili dalla prescrizione interpretata, innoverebbe retroattivamente l’ordinamento regionale, così consentendo deroghe volumetriche, nell’ambito della ristrutturazione edilizia, oltre i limiti assentiti dalla originaria disciplina regionale del 2009. La disposizione censurata realizzerebbe, quindi, una nuova deroga ex lege agli strumenti urbanistici, ledendo il principio di ragionevolezza, coerenza e certezza del diritto, nonché il legittimo affidamento di terzi controinteressati agli ampliamenti volumetrici in deroga.
La previsione regionale lederebbe altresì il buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., posto che la sua efficacia retroattiva avrebbe l’effetto di «disorientare» le amministrazioni comunali, che non sarebbero in grado di individuare, al fine di un corretto esercizio delle proprie funzioni, gli ampliamenti realizzati nei periodi intercorrenti tra la prima e la seconda normativa.
Questa censura è strettamente collegata alla terza delle questioni, diretta a sostenere la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione agli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia. La retroattività della disposizione, infatti, porterebbe alla sanatoria di abusi sostanziali, così violando il principio fondamentale della “doppia conformità”, principio in virtù del quale il manufatto edilizio deve risultare conforme sia alla disciplina urbanistica vigente quando è stato edificato, sia a quella vigente quando viene domandato l’accertamento di conformità.
4.2.– In via preliminare, va ricordato che la successiva legge reg. Puglia n. 5 del 2019, ha abrogato (art. 8) la disposizione impugnata, e introdotto un’altra dal medesimo tenore letterale di quella abrogata, ma con efficacia pro futuro (art. 7).
Tali articoli sono stati autonomamente impugnati dallo Stato con il successivo ricorso (reg. ric. n. 63 del 2019), anch’esso portato all’odierna attenzione di codesta Corte.
Questa autonoma impugnazione impedisce che, nel caso di specie, possa dichiararsi la cessazione della materia del contendere della questione relativa all’art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018. Per costante orientamento di questa Corte, la cessazione della materia del contendere è pronunciata qualora la modifica intervenuta in pendenza di giudizio abbia carattere satisfattivo delle pretese del ricorrente e la norma abrogata non abbia trovato medio tempore applicazione (ex plurimis, sentenze n. 287 e n. 180 del 2019). Il successivo ricorso del Governo avverso la norma abrogatrice e l’ulteriore disposizione aggiunta nel corpo dell’art. 4 della legge reg. n. 14 del 2009 (rappresentata dall’art. 7 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019) dimostrano la persistenza di un interesse a una pronuncia nel merito, come pure argomentato dallo stesso ricorrente nella successiva impugnazione.
Peraltro, il periodo di vigenza della norma retroattiva prima della sua abrogazione, per quanto limitato, non è tale da escludere in radice una sua qualche applicazione.
5.– Prima di entrare nel merito delle prospettate questioni di legittimità costituzionale della norma di interpretazione autentica, deve essere ricordato, a titolo di premessa, che detta previsione si preoccupa di interpretare una disposizione, contenuta nella legge reg. Puglia n. 14 del 2009, relativa agli ampliamenti volumetrici consentiti in caso di demolizione e ricostruzione di edifici preesistenti (cosiddetta ristrutturazione ricostruttiva).
5.1.– La legge appena menzionata è stata adottata dalla Regione Puglia in attuazione del cosiddetto “piano casa”, misura straordinaria di rilancio del mercato edilizio predisposta nel 2008 dal legislatore statale, contenuta nell’art. 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133.
In particolare l’art. 11, comma 5, lettera b), prevedeva che detto piano potesse realizzarsi anche attraverso possibili «incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana, nel rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444».
Nel 2009, per dare attuazione a tale norma fece seguito l’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata, stipulata in data 1° aprile 2009, che ha consentito ai legislatori regionali, fra cui quello pugliese, aumenti volumetrici (pari al 20 per cento o al 35 per cento in caso di demolizione e ricostruzione) a fronte di un generale miglioramento della qualità architettonica e/o energetica del patrimonio edilizio esistente.
5.2.– Per restare alla cosiddetta ristrutturazione ricostruttiva, che più da vicino interessa l’oggetto del presente giudizio, talune misure regionali adottate hanno realizzato una vera e propria disciplina derogatoria non perfettamente coerente rispetto al generale quadro normativo statale.
5.2.1.– A tale riguardo, deve essere ricordato come, in origine, l’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u. edilizia disponesse che, in caso di demolizione, la ricostruzione per essere tale e non essere considerata una nuova “costruzione” – che avrebbe in tal caso richiesto un apposito permesso di costruire, e non una mera segnalazione certificata di inizio attività (artt. 10 e 22 del t.u. edilizia) – doveva concludersi con la «fedele ricostruzione di un fabbricato identico», comportando dunque identità di sagoma, volume, area di sedime e caratteristiche dei materiali.
Il successivo decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 301 (Modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia) ha modificato la definizione di “ricostruzione”, eliminando sia lo specifico riferimento alla identità dell’area di sedime e alle caratteristiche dei materiali, sia il concetto di “fedele ricostruzione”.
5.2.2.– In epoca successiva, nel 2011, con il comma 9 dell’art. 5 del d.l. n. 70 del 2011 (cosiddetto “decreto sviluppo”), il legislatore ha espressamente autorizzato le Regioni a introdurre normative che disciplinassero interventi di ristrutturazione ricostruttiva con ampliamenti volumetrici, concessi quale misura premiale per la razionalizzazione del patrimonio edilizio, eventualmente anche con «delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse». In tal modo, il legislatore nazionale ha ammesso deroghe all’identità di volumetria nell’ipotesi di ristrutturazioni realizzate con finalità di riqualificazione edilizia.
Simile possibilità è stata però esclusa, dallo stesso legislatore, per una particolare categoria di manufatti, e cioè per gli «edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta […]» (art. 5, comma 10, del medesimo decreto).
5.2.3.– Nel 2013, il legislatore è nuovamente intervenuto sull’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u. edilizia, con l’art. 30, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), cosiddetto “decreto del fare”, convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, che ha qualificato come “interventi di ristrutturazione edilizia” quelli di demolizione e ricostruzione «con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 [Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137] e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente».
Il legislatore statale ha dunque progressivamente allargato l’ambito degli interventi di ristrutturazione, consentendo di derogare all’identità di volumetria in caso di ricostruzioni volte alla riqualificazione edilizia e imponendo il rispetto della sagoma solo per immobili vincolati.
5.2.4.– Questa tendenza si è arrestata, nel 2019, con l’art. 5, comma 1, lettera b), del d.l. n. 32 del 2019 (cosiddetto decreto “sblocca cantieri”), che ha inserito il comma 1-ter all’art. 2-bis del t.u. edilizia, così imponendo, per la ristrutturazione ricostruttiva, il generalizzato limite volumetrico (a prescindere, dunque, dalla finalità di riqualificazione edilizia) e il vincolo dell’area di sedime: «[i]n ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo».
Allo stato attuale, quindi, la ristrutturazione ricostruttiva, autorizzabile mediante segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), è ammissibile purché siano rispettati i volumi, l’area di sedime del manufatto originario e, per gli immobili vincolati, la sagoma. Al momento dell’adozione del “piano casa” da parte delle Regioni, invece, la normativa statale richiedeva, per la ristrutturazione ricostruttiva, il solo rispetto della volumetria e della sagoma, non l’identità di sedime, limiti da rispettare affinché la ristrutturazione non si traducesse in una nuova costruzione, diversamente regolata dalla legislazione nazionale di settore.
6.– Alla luce di tali premesse, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018 sono fondate per violazione degli artt. 3 e 117, terzo comma, Cost., in relazione agli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia e all’art. 5, comma 10, del decreto-legge n. 70 del 2011 (cosiddetto “decreto sviluppo”).
7.– L’art. 4, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2009, oggetto della norma interpretativa, aveva previsto (e prevede) che, «[a]l fine di migliorare la qualità del patrimonio edilizio esistente, sono ammessi interventi di demolizione e ricostruzione di edifici residenziali e non residenziali o misti con realizzazione di un aumento di volumetria sino al 35 per cento di quella legittimamente esistente alla data di entrata in vigore della presente legge da destinare, per la complessiva volumetria risultante a seguito dell’intervento, ai medesimi usi preesistenti legittimi o legittimati, ovvero residenziale, e/o a usi strettamente connessi con le residenze, ovvero ad altri usi consentiti dallo strumento urbanistico. A seguito degli interventi previsti dal presente articolo, gli edifici non residenziali non possono essere destinati a uso residenziale qualora ricadano all’interno delle zone territoriali omogenee E) di cui all’articolo 2 del decreto del Ministero dei lavori pubblici 1444/1968». Il comma 3 del medesimo articolo si premura poi di specificare che «[g]li interventi di ricostruzione devono essere realizzati nel rispetto delle altezze massime e delle distanze minime previste dagli strumenti urbanistici. È consentito il mantenimento dei distacchi, degli arretramenti e degli allineamenti dei manufatti preesistenti limitatamente alla sagoma preesistente. In mancanza di specifica previsione in detti strumenti, e nel caso di ricostruzione di edifici all’interno della sagoma planimetrica dell’esistente, le volumetrie complessive ricostruite sono consentite nel rispetto delle altezze massime della strumentazione urbanistica comunale vigente e delle distanze minime previste dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (…)».
In tal senso l’aumento volumetrico, in caso di ricostruzione e demolizione, era (ed è) condizionato dalla legge regionale al rispetto delle altezze e delle distanze previste dagli strumenti urbanistici o, in mancanza, dall’art. 9 del decreto Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della l. 6 agosto 1967, n. 765), o comunque all’osservanza della sagoma dell’edificio preesistente rispetto ai distacchi, agli allineamenti e agli arretramenti.
7.1.– In simile contesto, qualche anno dopo, il legislatore pugliese, con la citata legge reg. Puglia n. 59 del 2018, ha inserito l’impugnata norma di interpretazione autentica, la quale ha disposto che il sopra menzionato art. 4, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2009 deve essere inteso nel senso che «l’intervento edilizio di ricostruzione da effettuare a seguito della demolizione di uno o più edifici a destinazione residenziale o non residenziale, può essere realizzato anche con una diversa sistemazione plano-volumetrica, ovvero con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza».
7.2.– La disposizione impugnata, come emerge dal confronto delle due prescrizioni, non ha una portata meramente interpretativa.
Questa Corte, con riferimento a una norma di altra Regione che interpretava la locuzione «edifici esistenti» nel senso di includervi «anche gli edifici residenziali in fase di realizzazione in forza di titolo abilitativo in corso di validità» (così allargando, in via retroattiva, la platea dei manufatti beneficiari degli ampliamenti volumetrici previsti dal “piano casa”), ha ribadito la «sostanziale indifferenza, quanto allo scrutinio di legittimità costituzionale, della distinzione tra norme di interpretazione autentica – retroattive, salva una diversa volontà in tal senso esplicitata dal legislatore stesso – e norme innovative con efficacia retroattiva» (sentenza n. 73 del 2017; nonché, da ultimo, sentenza n. 108 del 2019).
Al legislatore – anche regionale – «non è preclusa la possibilità di emanare norme retroattive sia innovative che di interpretazione autentica. La retroattività deve, tuttavia, trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata» (sentenza n. 73 del 2017).
7.2.1.– Questa Corte ha, peraltro, individuato alcuni limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, relativi al «principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; [al]la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; [al]la coerenza e [al]la certezza dell’ordinamento giuridico; [a]l rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (sentenza n. 73 del 2013; ex plurimis, da ultimo anche sentenze n. 174 e n. 108 del 2019).
Questa Corte ha peraltro precisato che la qualifica di norma (meramente) interpretativa va ascritta solo a quelle disposizioni «che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo. Il legislatore, del resto, può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore» (sentenza n. 73 del 2017).
La distinzione tra norme interpretative e disposizioni innovative rileva, ai fini dello scrutinio di legittimità costituzionale, perché «la palese erroneità di tale auto-qualificazione può costituire un indice, sia pure non dirimente, della irragionevolezza della disposizione impugnata» (sentenza n. 73 del 2017; ex plurimis, anche sentenze n. 103 del 2013 e n. 41 del 2011).
7.3.– Alla luce di questi criteri si deve concludere che la specificazione contenuta nella disposizione impugnata è insuscettibile di essere ricompresa nell’originario contenuto dell’art. 4, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2009.
La norma regionale fa infatti riferimento a una «diversa sistemazione plano-volumetrica o a diverse dislocazioni del volume nell’area di pertinenza». Estende, quindi, in via retroattiva, l’oggetto della disposizione originaria: con riferimento alle “diverse dislocazioni”, la disposizione censurata consente nuove e distinte costruzioni rispetto all’immobile originario, collocate in luogo diverso dal precedente ancorché nella medesima area di pertinenza.
È vero che, con l’art. 5, comma 9, del citato “decreto sviluppo”, il legislatore nazionale ha consentito interventi di demolizione e ricostruzione anche con «delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse», ma tale fattispecie disciplina l’ipotesi affatto diversa del possibile trasferimento (cosiddetto decollo), nell’ambito delle scelte di pianificazione dell’ente locale, dei volumi da una determinata area del territorio ad altra zona che ammetta l’edificabilità. “Delocalizzazione”, peraltro, che rimane preclusa agli «edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta» (art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”).
A tacere del fatto che la norma regionale fa retroagire al 2009 una possibilità prevista dalla disciplina statale solo nel 2011, la disposizione introdotta dalla Regione Puglia ha una portata diversa e più ampia rispetto alla disciplina dello Stato, la quale non ammette la “dislocazione” dei volumi, cosi come previsto da quest’ultima disposizione.
7.4.– A conclusioni analoghe può giungersi per l’ambiguo riferimento alle «diverse sistemazioni plano-volumetriche».
La norma regionale autorizza retroattivamente modifiche alla sagoma dell’edificio, da intendersi come «conformazione planivolumetrica della costruzione fuori terra nel suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali, nonché gli aggetti e gli sporti superiori a 1,50 m.»: così ai sensi dell’Allegato A, recante «Quadro delle definizioni uniformi» dello Schema di regolamento edilizio tipo, adottato a seguito di intesa in Conferenza unificata del 20 ottobre 2016.
Il t.u. edilizia ha sempre richiesto, come si è visto supra, per gli interventi di demolizione e ricostruzione, il rispetto della sagoma dell’edificio preesistente (art. 3, comma 1, lettera d). Il vincolo della sagoma è stato attenuato solo nel 2013, quando l’art. 30, comma 1, lettera a), del d.l. n. 69 del 2013 ne ha disposto il rispetto solo per gli immobili vincolati ai sensi del cod. beni culturali.
Ne deriva che il significato dell’originaria disposizione regionale non poteva consentire ab origine una diversa sistemazione plano-volumetrica e conseguenti modifiche alla sagoma dell’edificio oltre a quelle ammissibili ai sensi e nei limiti della disciplina statale: la norma di interpretazione autentica ha lo scopo, dunque, di legittimare retroattivamente opere di ristrutturazione disallineate rispetto alla preesistente sagoma del manufatto.
7.5.– Non è discutibile, dunque, la portata innovativa della disposizione impugnata, la quale integra, non diversamente da quanto affermato dalla difesa dello Stato, una nuova deroga agli strumenti urbanistici, rendendo irragionevolmente legittime, in virtù della sua portata retroattiva, «condotte […] non considerate tali al momento della loro realizzazione (perché non conformi agli strumenti urbanistici di riferimento)», ma che tali «divengono per effetto dell’intervento successivo del legislatore», così realizzando una «surrettizia ipotesi di sanatoria» (sentenza n. 73 del 2017).
7.6.– L’irragionevolezza della disposizione censurata, con conseguente lesione dell’art. 3 Cost., si accompagna ad una contestuale violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione agli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia e all’art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”. Gli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia esprimono, infatti, il principio fondamentale della cosiddetta doppia conformità edilizia, principio che richiede la coerenza del manufatto con la disciplina urbanistica sia quando è stato edificato, sia quando viene domandato l’accertamento di conformità.
Come questa Corte ha avuto modo di chiarire in più occasioni in tema di condono edilizio “straordinario”, «[…] spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici (integralmente sottratti al legislatore regionale: sentenze n. 49 del 2006, n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004), le scelte di principio sul versante della sanatoria amministrativa, in particolare quelle relative all’an, al quando e al quantum. Esula, infatti, dalla potestà legislativa concorrente delle Regioni il potere di “ampliare i limiti applicativi della sanatoria” (sentenza n. 290 del 2009) oppure, ancora, di “allargare l’area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato” (sentenza n. 117 del 2015). A maggior ragione, esula dalla potestà legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale (sentenza n. 233 del 2015)» (sentenza n. 73 del 2017; nello stesso senso, da ultimo, sentenze n. 208 del 2019 e n. 68 del 2018).
7.7.– Le considerazioni appena compiute inducono a dichiarare assorbita la censura concernente la violazione dell’art. 97 Cost.
8.– Il Presidente del Consiglio ha poi impugnato, con autonomo ricorso, due disposizioni della legge reg. Puglia n. 5 del 2019: la prima (art. 8) ha abrogato la più volte menzionata norma di interpretazione autentica (art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018); la seconda (art. 7) ha inserito in pianta stabile, e con efficacia pro futuro, una prescrizione riproduttiva della abrogata norma regionale (asseritamente) interpretativa.
8.1.– Avverso tali norme la difesa statale ha reiterato, nella sostanza, le censure già proposte nei confronti della disposizione (asseritamente) interpretativa di cui all’art. 2 della citata legge regionale n. 59 del 2018.
Ad avviso della Avvocatura generale, l’inserimento in pianta stabile di una norma identica al contenuto precettivo dell’art. 2 della legge reg. n. 59 del 2018 avrebbe reso l’abrogazione di quest’ultima priva di qualsiasi effetto pratico, realizzando un continuum normativo che persisterebbe nelle violazioni degli artt. 3, 97, 117, comma terzo, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia e all’art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”.
8.1.1.– Rispetto ai termini del precedente ricorso, vi è un profilo di novità, attinente all’asserita lesione dell’art. 2-bis, comma 1-ter, del t.u. edilizia (comma inserito, come si è visto, dall’art. 5, comma 1, lettera b, del d.l. n. 32 del 2019), il quale ora dispone che «[i]n ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo», così collocandosi fra i principi fondamentali della materia «governo del territorio».
9.– La questione di legittimità costituzionale, concernente l’art. 7 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019, promossa con riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost, in relazione all’art. 5, comma 1, lettera b), del d.l. n. 32 del 2019, è fondata.
9.1.– In primo luogo, deve sottolinearsi che la norma statale evocata come parametro interposto, entrata in vigore quattro giorni dopo la impugnata disposizione regionale, assurge, come anticipato, al rango di principio fondamentale della materia.
In tale direzione, un indice significativo è offerto, anzitutto, dalla particolare sede normativa (il t.u. edilizia) prescelta dal legislatore per l’inserimento della nuova norma (avvenuto, come già detto, per mezzo dell’art. 5, comma 1, lettera b, del d.l. n. 32 del 2019).
Per costante giurisprudenza costituzionale, a prescindere dall’auto-qualificazione, certamente non vincolante per l’interpretazione di questa Corte, contenuta nell’art. 1, comma 1, del t.u. edilizia, in detto testo unico trova sede la legislazione di cornice in materia di edilizia, a sua volta riconducibile al governo del territorio.
Molteplici sono le disposizioni del citato testo unico che questa Corte ha annoverato tra i principi fondamentali della suddetta materia (ex plurimis, sentenze n. 125 del 2017, n. 282 e n. 272 del 2016, e n. 259 del 2014).
Lo stesso art. 2-bis del t.u. edilizia, nel cui ambito si trova il menzionato comma 1-ter, è stato considerato principio fondamentale per ciò che concerne la vincolatività delle distanze legali stabilite dal d.m. n. 1444 del 1968, derogabili solo a condizione che le eccezioni siano «inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 86 del 2019), salvo quanto previsto dall’art. 5, comma 1, lettera b-bis), del d.l. n. 32 del 2019.
9.2.– Come questa Corte ha già avuto modo di sottolineare, le disposizioni del t.u. edilizia integrano «norme dalla diversa estensione, sorrette da rationes distinte e infungibili, ma caratterizzate dalla comune finalità di offrire a beni non frazionabili una protezione unitaria sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 125 del 2017).
Il comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. edilizia, nel disporre che «[i]n ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo», detta evidentemente una regola unitaria, valevole sull’intero territorio nazionale, diretta da un lato a favorire la rigenerazione urbana e, dall’altro, a rispettare l’assetto urbanistico impedendo ulteriore consumo di suolo (come peraltro si trae dai lavori preparatori della legge di conversione dell’art. 5, comma 1, lettera b-bis, del d.l. n. 32 del 2019).
9.3.– Chiarita la portata del comma 1-ter, risulta evidente l’antinomia tra il suo tenore normativo e il disposto dell’art. 7 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019.
Il comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. edilizia è infatti incompatibile con l’art. 7 della citata legge reg. Puglia n. 5 del 2019, che consente, in caso di demolizione e ricostruzione, un aumento volumetrico. Inoltre, il riferimento alla necessaria costruzione entro l’area di sedime – come definita dal sopra menzionato Allegato A dello Schema di regolamento edilizio tipo – impedisce le «diverse dislocazioni dei volumi» cui fa riferimento la norma regionale impugnata.
Non può sostenersi, come invece argomenta la difesa regionale, che l’intervenuta modifica normativa statale non incida sulla legislazione regionale attuativa del “piano casa”, considerata disciplina speciale rispetto alla normativa generale prevista dal legislatore nazionale. Il nuovo comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. edilizia stabilisce che i limiti volumetrici e di sedime si applichino «[i]n ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione», così esprimendo una ratio univoca, volta a superare tutte le disposizioni (anche regionali), in materia di SCIA, incompatibili con i nuovi vincoli.
L’intervenuta modifica del parametro interposto rappresentato dal nuovo principio fondamentale rende quindi costituzionalmente illegittima la norma impugnata, a partire dalla entrata in vigore della novella legislativa statale.
Inoltre, poiché la norma regionale impugnata è entrata in vigore il 16 aprile 2019 mentre la norma statale è entrata in vigore il 19 aprile 2019, la disposizione non può avere avuto applicazione per i pochi giorni precedenti, essendo stata vigente per un tempo incompatibile con il consolidarsi del titolo abilitativo (ai sensi dell’art. 19, comma 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»).
Per tale ragione può considerarsi cessata la materia del contendere della questione relativa all’art. 7 impugnato, per l’arco temporale antecedente all’entrata in vigore del nuovo art. 2-bis, comma 1-ter, del t.u. edilizia.
9.4.– Sono assorbite le censure promosse per violazione degli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia e all’art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011 (cosiddetto “decreto sviluppo”).
9.5.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019 sono invece non fondate, data la natura meramente abrogativa della disposizione impugnata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Puglia 17 dicembre 2018, n. 59, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale)»;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale, a partire dalla data del 19 aprile 2019, dell’art. 7 della legge della Regione Puglia 28 marzo 2019, n. 5, recante «Modifiche alla legge regionale 30 novembre 2000, n. 17 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi in materia di tutela ambientale) e istituzione del Sistema informativo dell’edilizia sismica della Puglia, nonché modifiche alle leggi regionali 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale) e 17 dicembre 2018, n. 59 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14)»;
3) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019, nell’arco temporale antecedente all’entrata in vigore dell’art. 5, comma 1, lettera b), del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici», convertito, con modificazioni, nella legge 14 giugno 2019, n. 55, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, con il ricorso iscritto al n. 63 del reg. ric. 2019;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost., anche in relazione agli artt. 36 e 37 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», all’art. 5, comma 10, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, recante «Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia», convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106, e all’art. 5, comma 1, lettera b), del d.l. n. 32 del 2019, con il ricorso iscritto al n. 63 del reg. ric. 2019.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA