Corte Costituzionale, Sentenza n.85 del 07/05/2020

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Appalti pubblici - Procedure di affidamento - Partecipazione dell'impresa mandataria di un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) successivamente ammessa a concordato preventivo con continuità aziendale - Oneri documentali - Denunciata disparità di trattamento e violazione della libertà d'impresa - Difetto di rilevanza - Inammissibilità delle relative questioni

Sono inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal TAR Lazio in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., dell'art. 186-bis quinto comma, del r.d. n. 267 del 1942 (legge fallimentare), come introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. h), del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. nella legge n. 134 del 2012. La disposizione censurata, in tema di oneri documentali gravanti sull'impresa in concordato che intenda partecipare alla gara, non deve necessariamente essere applicata per definire i giudizi a quibus, in base alla prospettazione fornita dal rimettente. Pertanto, l'oggetto del giudizio va individuato nel combinato disposto dell'art. 38, comma 1, lett. a) e del solo sesto comma dell'indicato art. 186-bis, nella parte in cui esclude dalle gare l'impresa in concordato di continuità mandataria di un raggruppamento temporaneo d'impresa (RTI).

Appalti pubblici - Procedure di affidamento - Partecipazione dell'impresa mandataria di un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) successivamente ammessa a concordato preventivo con continuità aziendale - Esclusione - Lamentata violazione del principio di libera concorrenza - Evocazione di parametro inconferente - Inammissibilità delle questioni

Sono dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal TAR Lazio in riferimento all'art. 117, secondo comma, lett. a), della Cost. dell'art. 38, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 163 del 2006 e dell'art. 186-bis, quinto comma, della legge fallimentare (r.d. n. 267 del 1942), come introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. h), del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modificazioni nella legge n. 134 del 2012. Il parametro evocato è del tutto inconferente, in quanto attribuisce allo Stato la competenza esclusiva, tra l'altro, nella materia dei rapporti dello Stato con l'Unione europea, mentre la censura, pur nella sua laconicità, riferendosi alla tutela della libera concorrenza non attiene al riparto di attribuzioni tra lo Stato e le Regioni. Le stesse conclusioni varrebbero anche ipotizzando che il giudice a quo sia incorso in un refuso, intendendo riferirsi alla lett. e) del secondo comma dell'art. 117 Cost. (Precedenti citati: sentenze n. 198 del 2019, n. 63 del 2016, n. 269 e n. 181 del 2014).

Thema decidendum - Censure proposta dalla parte costituita nel giudizio incidentale - Estraneità rispetto a quelle introdotte dall'ordinanza di rimessione - Inammissibilità

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 186-bis, quinto comma, della legge fallimentare, sollevate dal TAR Lazio, sono inammissibili le censure prospettate da una parte costituita, in riferimento all'art. 3 Cost. Esse sono infatti ulteriori rispetto a quelle formulate dal giudice a quo.Per costante giurisprudenza costituzionale, non possono essere presi in considerazione, oltre i limiti fissati nell'ordinanza di rimessione, ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti dalle parti, sia che siano stati eccepiti ma non fatti propri dal giudice a quo, sia che siano diretti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse ordinanze. (Precedenti citati: sentenze. 203 del 2016, n. 56 del 2015, n. 271 del 2011, n. 236 del 2009, n. 56 del 2009 e n. 86 del 2008).

Prospettazione della questione incidentale - Motivazione non implausibile del rimettente sulla specialità della norma censurata e sulla sua applicazione al caso di specie - Ammissibilità delle questioni - Rigetto di eccezioni preliminari

Non sono accolte le eccezioni di inammissibilità, per difetto di rilevanza, delle questioni sollevate dal Consiglio di Stato nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare. Risultano non implausibili le ragioni addotte dal giudice a quo sulla permanente vigenza, nella parte censurata, della disposizione indicata, stante la sua specialità rispetto alla disciplina generale, e che trovano conforto negli univoci elementi offerti dall'evoluzione della normativa di riferimento. Anche la motivazione sulla sua applicabilità all'ipotesi del caso di specie supera il vaglio di ammissibilità, poiché il giudice a quo ha dato conto in modo sufficiente e non implausibile della necessità di applicare la norma censurata per definire il processo principale. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, una questione di legittimità può ritenersi validamente posta qualora il giudice a quo fornisca un'interpretazione non implausibile della disposizione contestata che per una valutazione compiuta in una fase meramente iniziale del processo, egli ritenga di voler applicare nel giudizio principale e su cui nutra dubbi non arbitrari di conformità a determinate norme costituzionali. È dunque sufficiente, ai fini della motivazione sulla rilevanza, che il rimettente illustri in modo non implausibile le ragioni che giustificano l'applicazione della disposizione censurata e determinano la pregiudizialità della questione sollevata rispetto alla definizione del processo principale. (Precedenti citati: sentenze n. 105 del 2018, n. 11 del 2018 e n. 51 del 2015).

Sopravvenienze nel giudizio incidentale - Sussistenza dei presupposti per la cessazione della materia del contendere nel giudizio principale - Ininfluenza sul giudizio a quo - Esclusione della restituzione degli atti al rimettente

Non è accolta la richiesta di restituzione degli atti nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 38, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 163 del 2006, e dell'art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, poiché nel giudizio principale sarebbe venuta meno la necessità di applicare la disposizione censurata per definire il merito, essendosi verificati i presupposti per una pronuncia di cessazione della materia del contendere. Il giudizio incidentale di costituzionalità è infatti autonomo rispetto al giudizio a quo, nel senso che non risente delle vicende di fatto successive all'ordinanza di rimessione che concernono il rapporto dedotto nel processo principale, come previsto dall'art. 18 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Pertanto, la rilevanza della questione deve essere valutata alla luce delle circostanze sussistenti al momento dell'ordinanza di rimessione, senza che assumano rilievo eventi sopravvenuti, tra i quali deve ritenersi compresa anche la cessazione, per qualsiasi causa, della materia del contendere nel giudizio rimasto sospeso davanti al rimettente. (Precedenti citati: sentenze n. 264 del 2017, n. 242 del 2014, n. 162 del 2014, n. 120 del 2013, n. 274 del 2011 e n. 42 del 2011).

Appalti pubblici - Procedure di affidamento - Partecipazione dell'impresa mandataria di un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) successivamente ammessa a concordato preventivo con continuità aziendale - Esclusione - Denunciata irragionevolezza, violazione della libertà di iniziativa economica e del principio del buon andamento - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal TAR Lazio e dal Consiglio di Stato, sez. quinta, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 41 e 97, Cost., dell'art. 38, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 163 del 2006 e dell'art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare (r.d. n. 267 del 1942), come introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. h), del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modificazioni nella legge n. 134 del 2012, il cui combinato disposto esclude dalla partecipazione alle procedure di affidamento la società mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) che si trovi sottoposta a procedure concorsuali. La ratio della disciplina censurata è la tutela dell'interesse pubblico al corretto e puntuale adempimento delle prestazioni oggetto del contratto. Il differente trattamento - rispetto all'impresa che concorra rispettivamente in forma singola, o in qualità di mandante di un RTI, o anche come mandataria di imprese che si costituiranno in consorzio - riservato all'impresa in esame trova giustificazione nella diversa modalità della sua partecipazione alla gara e, in caso di aggiudicazione, al rapporto contrattuale, escludendosi pertanto anche la violazione del principio di uguaglianza. Né l'irragionevolezza dell'esclusione emerge in confronto al caso del fallimento della mandataria di un RTI in corso di contratto, nel quale si consente alla stazione appaltante di proseguire il rapporto con un altro operatore economico che sia costituito mandatario, stante la diversa ratio, diretta a tutelare il diverso interesse pubblico a evitare il recesso dal rapporto in corso sino alla sua completa esecuzione. Va esclusa, infine, anche l'intrinseca irragionevolezza della scelta operata dalla norma censurata, perché essa è il frutto del complesso bilanciamento, rimesso alla discrezionalità del legislatore, tra l'interesse della stazione appaltante al corretto e puntuale adempimento della prestazione affidata, in conformità con il principio di buon andamento e dell'utilità sociale come limite all'esercizio della libertà di iniziativa economica, e l'interesse al superamento della crisi dell'impresa in concordato preventivo con continuità aziendale.Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la violazione del principio di uguaglianza sussiste qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili. (Precedenti citati: sentenze n. 155 del 2014, n. 108 del 2006, n. 340 del 2004 e n. 136 del 2004).Per costante giurisprudenza costituzionale, la tutela costituzionale della sfera dell'autonomia privata non è assoluta, in quanto non è configurabile una lesione della libertà d'iniziativa economica allorché l'apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all'utilità sociale, come sancito dall'art. 41, secondo comma, Cost., purché, per un verso, l'individuazione di quest'ultima non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue. (Precedenti citati: sentenze n. 203 del 2016, n. 56 del 2015, n. 247 del 2010, n. 152 del 2010 e n. 167 del 2009)

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SENTENZA N. 85

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), e dell’art. 186-bis, quinto e sesto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), come introdotto dall’art. 33, comma 1, lettera h), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, promossi complessivamente dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con due ordinanze del 29 ottobre 2018 e dal Consiglio di Stato, sezione quinta, con ordinanza del 12 giugno 2019, iscritte, rispettivamente, ai numeri 40, 41 e 150 del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 12 e 40, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti gli atti di costituzione della Guerrato spa, in proprio e quale mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) costituito con la Ciclat società cooperativa e, quanto al giudizio promosso con l’ordinanza iscritta al n. 41 del reg. ord. 2019, anche con la Miorelli Service spa, della Dussmann Service srl, in proprio e quale mandataria del RTI costituito con la Siram spa, della Apleona HSG spa, già Bilfinger Sielv Facility Management spa, in proprio e quale mandataria designata del RTI costituendo con la Markas srl, la Vivaldi & Cardino spa, il Gruppo Servizi Associati spa con Socio Unico e la Iscot Italia spa, della Itinera spa, in proprio e quale mandataria del RTI costituito con la Monaco spa, della Carena spa Impresa di Costruzioni, in proprio e quale mandataria del RTI costituito con la ILESP srl, e dell’Anas spa, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito il Giudice relatore Daria de Pretis nell’udienza del 22 aprile 2020 svolta, ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 24 marzo 2020, punto 1) lettera c), senza discussione orale, su conformi istanze delle parti, pervenute in data 14, 15 e 16 aprile 2020;

deliberato nella camera di consiglio del 22 aprile 2020.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 29 ottobre 2018, iscritta al n. 40 del reg. ord. 2019, il Tribunale regionale amministrativo per il Lazio ha sollevato questioni di legittimità costituzionale del «combinato disposto» degli artt. 38, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) e 186-bis, quinto e sesto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), come introdotto dall’art. 33, comma 1, lettera h), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, «laddove consente la partecipazione alle gare pubbliche alle [i]mprese singole, se sottoposte a concordato con continuità aziendale, e ai [r]aggruppamenti temporanei di [i]mprese, ove vi sia sottoposta una mandante, ma la vieta ai [r]aggruppamenti temporanei di [i]mprese, nel caso in cui sia la mandataria assoggettata a tale procedura», in riferimento agli artt. 3, 41 e 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione.

Le questioni sono sorte nel corso di un giudizio promosso dalla Guerrato spa, in proprio e quale mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) costituito con la Ciclat società cooperativa, per l’annullamento del provvedimento con cui la Consip spa ha escluso tale RTI dalla procedura per l’affidamento di alcuni lotti dei «servizi integrati, gestionali ed operativi, da eseguirsi negli istituti e luoghi di cultura pubblici individuati dall’art. 101 del D.Lgs. n. 42/2004», e per il conseguente risarcimento del danno. Con motivi aggiunti la medesima ricorrente ha impugnato anche il provvedimento con cui la Consip spa ha deliberato di escutere le garanzie prestate dal RTI per concorrere alla gara.

La stazione appaltante ha disposto l’esclusione sull’assunto che durante l’iter di svolgimento della gara si sarebbe verificato, in capo alla Guerrato spa, il requisito generale negativo previsto all’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006, ai sensi del quale «[s]ono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento» i soggetti «che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di cui all’articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni». Poiché la stessa impresa, mandataria del RTI, è stata ammessa dal Tribunale ordinario di Rovigo, con decreto del 2 maggio 2018, alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale, troverebbe applicazione l’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, ai sensi del quale «[...] l’impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale».

Per quello che qui rileva, la ricorrente nel processo principale ha lamentato la violazione dell’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 186-bis della legge fallimentare, sostenendo che le cause di esclusione dalla partecipazione alla gara previste in tali disposizioni non varrebbero per le imprese che, in bonis al momento della presentazione dell’offerta, sono sottoposte a concordato preventivo con continuità aziendale solo nel corso della procedura di affidamento, in particolare ove quest’ultima si sia lungamente protratta nel tempo, come sarebbe avvenuto nel caso concreto.

1.1.– Quanto alla rilevanza, il rimettente osserva che alla fattispecie dedotta nel giudizio principale, relativa a un bando di gara pubblicato il 5 agosto 2015, si dovrebbe applicare ratione temporis l’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006, nonostante esso sia stato abrogato dall’art. 216, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), secondo cui le disposizioni del nuovo codice dei contratti pubblici si applicano «alle procedure e ai contratti per i quali i bandi e gli avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore» (id est, successivamente al 19 aprile 2016). Inoltre, secondo la giurisprudenza amministrativa i requisiti di partecipazione dovrebbero essere posseduti sia al momento della presentazione della domanda, sia per tutta la durata della procedura, cosicché non assumerebbero rilievo la sopravvenienza della causa di esclusione nel corso della gara e la lunga durata di quest’ultima.

Il rimettente osserva, altresì, che il «combinato disposto» del citato art. 38, comma 1, lettera a), e dell’art. 186-bis, quinto e sesto comma, della legge fallimentare condurrebbe inevitabilmente a escludere dalla gara il RTI di cui la Guerrato spa è mandataria. La deroga introdotta dall’art. 186-bis citato alla regola generale che vieta la partecipazione alla gara dei soggetti sottoposti a procedure concorsuali sarebbe infatti circoscritta alle due sole ipotesi dell’impresa singola e dell’impresa aderente a un RTI in qualità di mandante, cosicché la regola generale tornerebbe a operare se in concordato preventivo con continuità aziendale si trovi l’impresa mandataria di un RTI. Né sarebbe possibile una diversa interpretazione delle disposizioni censurate, deponendo in tal senso anche la loro interpretazione ad opera del Consiglio di Stato.

1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, sarebbe violato in primo luogo l’art. 3 Cost., in quanto l’esclusione dell’impresa mandataria di un RTI, oltre a non essere imposta da norme “stringenti” del diritto dell’Unione europea, sarebbe incongrua, irragionevole e ingiustificata, valendo per tutte le altre ipotesi indicate, diverse solo per il modulo partecipativo alla gara, la stessa esigenza diretta a favorire il superamento della crisi d’impresa, che giustifica la deroga al generale divieto di partecipazione alle gare pubbliche per le imprese sottoposte a procedure concorsuali.

Dopo avere descritto la ratio e la disciplina del concordato preventivo con continuità aziendale, il rimettente osserva che l’impresa singola risponde da sola e in toto dell’esecuzione del contratto, mentre l’offerta di un RTI è presentata da una pluralità di imprese, tutte responsabili dell’esecuzione per la parte di propria competenza, essendo la mandataria solidalmente responsabile nei soli RTI verticali, in cui le prestazioni principali gravano sulla mandataria e quelle secondarie sulle mandanti. La partecipazione alla gara della mandataria sottoposta a concordato preventivo con continuità aziendale non causerebbe dunque alla stazione appaltante un pregiudizio né un rischio maggiori rispetto a quelli in ipotesi prodotti dalla partecipazione di un’impresa singola.

Si dovrebbe poi considerare che la stazione appaltante sceglie il contraente sulla base di parametri indicati ex ante, mediante l’indifferenziata valutazione dell’offerta presentata da un’impresa singola o da più imprese riunite in RTI.

Inoltre, per il caso di fallimento dell’impresa mandataria dichiarato nel corso del rapporto contrattuale, lo stesso d.lgs. n. 163 del 2006 appresterebbe un importante rimedio a favore della stazione appaltante, stabilendo, al comma 18 dell’art. 37, che la stessa «[...] può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario [...] purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire». Il rimedio sarebbe esperibile anche se venisse sottoposta a fallimento, in corso di contratto, un’impresa mandataria di RTI già in concordato preventivo con continuità aziendale, sicché nemmeno sotto questo profilo una previsione restrittiva come quella contenuta all’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare sarebbe ragionevole.

1.2.1.– In secondo luogo, sarebbero violati gli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera a), Cost., in quanto l’irragionevole esclusione dell’impresa mandataria di un RTI comporterebbe un’ingiustificata limitazione della libertà di iniziativa economica e la lesione del principio della concorrenza, costituente un «principio cardine dell’Unione europea» cui «la massima partecipazione alle gare è funzionale».

1.3.– L’irragionevolezza delle disposizioni censurate sarebbe confermata dall’evoluzione normativa nella materia, che, pur essendosi tradotta in previsioni non applicabili nel giudizio a quo, esprimerebbe una scelta del legislatore in linea con la soluzione auspicata dal rimettente. L’art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016 prevede infatti che sia escluso dalla partecipazione alle procedure di appalto l’operatore economico che «si trovi in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di concordato con continuità aziendale, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni». Superando la tecnica del rinvio all’art. 186-bis della legge fallimentare e regolando compiutamente le cause di esclusione degli operatori economici dalla partecipazione alle procedure di affidamento, la disposizione introdurrebbe così una deroga valida in tutti i casi di concordato preventivo con continuità aziendale, senza distinguere tra operatori che concorrono singolarmente o riuniti in RTI oppure tra le posizioni rivestite dalle imprese aderenti al raggruppamento.

Un’ulteriore conferma si ricaverebbe dalla previsione dell’art. 110, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, secondo cui «l’impresa ammessa al concordato con continuità aziendale, su autorizzazione del giudice delegato», può: «a) partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori, forniture e servizi ovvero essere affidatario di subappalto», ovvero: «b) eseguire i contratti già stipulati dall’impresa fallita o ammessa al concordato con continuità aziendale».

Le richiamate disposizioni del nuovo codice dei contratti prevarrebbero, per l’inequivocità del dato letterale e per il loro carattere speciale, su quelle dell’art. 186-bis della legge fallimentare. Se ne dovrebbe desumere l’evidente irragionevolezza dell’anteriore disciplina sfavorevole alle imprese mandatarie di un RTI, giacché la pur ampia discrezionalità del legislatore nel regolare la materia non giustificherebbe una così radicale diversità nel tempo del trattamento normativo, né in ragione delle caratteristiche del concordato preventivo con continuità aziendale, rimaste immutate, né in ragione delle garanzie da assicurare alle stazioni appaltanti.

1.4.– Con atto depositato il 2 aprile 2019 si è costituita in giudizio la Guerrato spa, in proprio e nella qualità di mandataria del RTI costituito con la Ciclat società cooperativa, parte del processo principale, che ha concluso per la fondatezza delle questioni.

L’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare sarebbe irragionevole, in primo luogo, per l’ingiustificata disparità di trattamento tra le imprese singole e quelle riunite in un RTI, ove sottoposte a concordato preventivo con continuità aziendale, in quanto consentirebbe la partecipazione alle gare delle seconde solo se rivestono il ruolo di mandanti. La disparità di trattamento non sarebbe fondata su «peculiari e oggettive ragioni insite negli interessi della stazione appaltante o della massa dei creditori».

In secondo luogo, l’irragionevolezza deriverebbe dalla illogica disparità di trattamento «tra le due fasi di una commessa pubblica», posto che il concordato preventivo della mandataria che sopravvenisse solo nel corso della fase esecutiva non comporterebbe alcun divieto di prosecuzione del rapporto. Le esigenze di tutela della stazione appaltante sarebbero infatti le stesse in entrambe le fasi.

Il citato art. 186-bis, sesto comma, sarebbe poi irragionevole anche per la sovrapposizione di giurisdizioni contrastanti sulla medesima fattispecie, in quanto finirebbe per demandare al giudice amministrativo – per il tramite del controllo giurisdizionale degli atti dell’amministrazione aggiudicatrice – il sindacato sul provvedimento del giudice fallimentare che ha autorizzato la partecipazione alla gara dell’impresa in concordato preventivo, valutandone la compatibilità con gli interessi dei creditori e la sostenibilità finanziaria. Tale sovrapposizione potrebbe comportare esiti diametralmente opposti, con «evidenti influssi deteriori» sulle sorti delle procedure concorsuali.

È lamentata inoltre l’irragionevole mancanza di una disciplina che, regolando le fattispecie in cui lo stato di concordato preventivo sopravviene alla presentazione dell’offerta, permetta all’incolpevole operatore economico di adeguarsi al precetto normativo sull’automatica esclusione dalla gara senza incorrere in conseguenze pregiudizievoli, quali l’escussione delle garanzie prestate a titolo di cauzione provvisoria e la segnalazione all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).

La disposizione censurata sarebbe infine ulteriormente irragionevole, sotto un profilo connesso al precedente, nella parte in cui consente di sanzionare l’operatore economico con l’esclusione dalla gara e con le altre gravose conseguenze appena indicate indipendentemente dalla sua volontà e in assenza di una condotta fraudolenta o anche solo contraria a divieti normativi.

1.5.– Con atto depositato il 9 aprile 2019 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza delle questioni.

La denunciata disparità di trattamento normativo sarebbe giustificata dal regime dei controlli gravanti sull’impresa in concordato preventivo, rispetto al quale risulterebbe «difficilmente declinabile» il modello organizzativo del RTI, che prevede in capo all’impresa mandataria la rappresentanza esclusiva dei mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutta la durata del rapporto. Sia nei rapporti interni al raggruppamento, che nei rapporti esterni con la stazione appaltante, la vigilanza del commissario giudiziale e la necessità che i singoli atti dell’impresa mandataria in concordato preventivo siano autorizzati dal tribunale renderebbero lo svolgimento del rapporto, gestito da un rappresentante “sotto tutela”, certamente più complicato e tale da minare «il paradigma costituzionale di un’azione amministrativa celere ed efficiente».

La vigilanza esercitata sulla sola impresa mandataria dagli organi della procedura concorsuale non consentirebbe di realizzare l’effetto utile, per la stazione appaltante, di sottoporre a verifica anche gli atti gestori degli altri soggetti riuniti nel RTI e obbligati all’esecuzione dell’appalto. L’eventuale espunzione dall’ordinamento della disposizione censurata potrebbe, da un lato, compromettere il rapporto sussistente tra il fine pubblico perseguito dalla stazione appaltante e l’effettività del controllo sugli operatori obbligati ad adempiere alle obbligazioni contrattuale e, dall’altro lato, rendere impossibile la valutazione concreta della possibilità per la mandataria di continuare la propria attività senza l’ausilio delle imprese mandanti in bonis. Diversa sarebbe invece l’ipotesi dell’ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale di un altro operatore economico, in quanto la vigilanza potrebbe in tal caso essere esercitata in modo da garantire, per la stazione appaltante, «maggiori certezze» sulla capacità di adempiere dell’appaltatore. La diversità delle situazioni messe a confronto giustificherebbe, pertanto, l’adozione di una differente disciplina, in ossequio al principio di uguaglianza sostanziale.

Non sussisterebbe neppure l’irragionevolezza derivante dalla possibilità di sostituire l’impresa mandataria assoggettata a una procedura concorsuale diversa dal concordato preventivo, prevista all’art. 37, comma 19, del d.lgs. n. 163 del 2006, in quanto tale disposizione si applicherebbe solo alla fase esecutiva del contratto e non a quella della partecipazione alla gara.

Quanto alla violazione dell’art. 117, primo comma, lettera a), Cost., l’esclusione dalla gara di un operatore economico ammesso al concordato preventivo non contrasterebbe con il diritto europeo, né tantomeno con i principi cardine cui esso si ispira, come ritenuto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (è citata la sentenza 28 marzo 2019, in causa C-101/18, Idi srl).

Infine, nemmeno la sopravvenuta disciplina della materia, evocata dal giudice a quo, deporrebbe in senso favorevole all’accoglimento delle questioni. L’impianto normativo contestato risulterebbe confermato dai più recenti sviluppi della stessa disciplina, visto che il decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155), modificando l’art. 80, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016, ne avrebbe attuato il coordinamento, mancante nel testo anteriore, con le disposizioni della legge fallimentare. La nuova formulazione della lettera b) del comma 5, infatti, nel ribadire che l’operatore economico in stato di concordato preventivo, o nei cui confronti sia in corso un procedimento per la dichiarazione di tale situazione, è escluso dalla partecipazione alle procedure d’appalto, mantiene fermo «quanto previsto dall’articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza adottato in attuazione della delega di cui all’articolo 1 della legge 19 ottobre 2017, n. 155». Il richiamato art. 95 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a sua volta, stabilisce che «l’impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che nessuna delle altre imprese aderenti al raggruppamento sia assoggettata ad una procedura concorsuale», così ribadendo la causa di esclusione già prevista al censurato art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare.

1.6. – La Guerrato spa ha depositato il 30 marzo 2020 una memoria illustrativa, nella quale replica alle deduzioni difensive del Presidente del Consiglio dei ministri, rilevando il carattere meramente assertivo della tesi che pretende di desumere le ragioni giustificative della denunciata disparità di trattamento dal regime di controlli e di vigilanza, nonché di responsabilità, cui è sottoposta l’impresa in concordato preventivo, regime che in realtà in nulla la differenzierebbe dall’impresa che concorre singolarmente e dalle mandanti di un RTI.

A tale fine, essa richiama le argomentazioni svolte dal Consiglio di Stato, sezione quinta, nell’ordinanza iscritta al n. 150 del reg. ord. 2019, che sarebbero pertinenti anche nel giudizio che la riguarda, sebbene riferite a fattispecie soggetta al nuovo codice dei contratti pubblici.

1.7.– Con istanza pervenuta il 14 aprile 2020 la Guerrato spa e il Presidente del Consiglio dei ministri hanno chiesto congiuntamente che la questione venga decisa in camera di consiglio senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, secondo quanto previsto nel decreto della Presidente della Corte costituzionale del 24 marzo 2020, punto 1), lettera c).

2.– Con coeva ordinanza di identico contenuto, iscritta al n. 41 del reg. ord. 2019, il Tribunale regionale amministrativo per il Lazio, sezione seconda, ha sollevato analoghe questioni di legittimità costituzionale del «combinato disposto» degli artt. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006 e 186-bis, quinto e sesto comma, della legge fallimentare, lamentando sotto gli stessi profili la violazione dei medesimi parametri (artt. 3, 41 e 117, secondo comma, lettera a, Cost.).

Le questioni sono sorte nel corso di un giudizio promosso sempre dalla Guerrato spa, in proprio e quale mandataria del RTI costituito con la Ciclat società cooperativa e la Miorelli Service spa, per l’annullamento del provvedimento con cui la Consip spa ha escluso tale RTI dalla gara indetta con bando pubblicato il 22 marzo 2014 per l’affidamento di alcuni lotti dei «servizi integrati, gestionali ed operativi, da eseguirsi negli immobili, adibiti prevalentemente ad uso ufficio, in uso a qualsiasi titolo alle Pubbliche Amministrazioni, nonché negli immobili in uso a qualsiasi titolo alle Istituzioni Universitarie Pubbliche ed agli Enti ed Istituti di ricerca», e per il conseguente risarcimento del danno. Con motivi aggiunti, la medesima ricorrente ha impugnato il successivo provvedimento con cui la stessa Consip spa ha deliberato di escutere le garanzie prestate dal RTI per concorrere alla gara.

Anche in tale fattispecie, la stazione appaltante ha escluso il RTI sull’assunto che durante lo svolgimento della gara sarebbe venuto meno, in capo alla Guerrato spa, il requisito generale di partecipazione, posto che tale impresa mandataria era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale. Analoghi sono, altresì, i motivi qui rilevanti posti a fondamento del ricorso introduttivo del processo principale.

2.1.– Con atto depositato il 2 aprile 2019 si è costituita in giudizio la Guerrato spa, in proprio e nella qualità di mandataria del RTI costituito con la Ciclat società cooperativa e la Miorelli Service spa, parte del processo principale, che ha concluso per la fondatezza delle questioni, per ragioni identiche a quelle esposte nel giudizio promosso con ordinanza iscritta al n. 40 del reg. ord. 2019.

2.2.– Con atto depositato il 9 aprile 2019 si è costituita Apleona HSG spa (già Bilfinger Sielv Facility Management spa), in proprio e nella qualità di mandataria designata del RTI costituendo con la Markas srl, la Vivaldi & Cardino spa, il Gruppo Servizi Associati spa con socio unico e la Iscot Italia spa, parte del processo principale, che ha concluso per la non fondatezza delle questioni. Tale raggruppamento ha partecipato alla procedura di gara e si è collocato al secondo posto in relazione a un lotto.

Secondo Apleona HSG spa, il divieto di cui all’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare risponderebbe a una precisa scelta del legislatore, diretta a tutelare l’interesse pubblico al corretto e puntuale adempimento delle prestazioni oggetto di affidamento, con il fine di evitare che la stazione appaltante contratti con soggetti inaffidabili sotto il profilo tecnico e finanziario.

Le ragioni del divieto sarebbero da ricercare nella particolare rilevanza del ruolo rivestito dalla mandataria all’interno di un RTI, quale obbligata solidale nei confronti della stazione appaltante e rappresentante esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti, ai sensi dell’art. 37 del d.lgs. n. 163 del 2006.

La diversa disciplina dettata dall’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare per la mandataria e per la mandante avrebbe lo scopo di contemperare l’interesse al risanamento dell’impresa ammessa al concordato preventivo con l’interesse della stazione appaltante alla corretta e completa esecuzione del contratto. Per questo essa non sarebbe dunque né irragionevole, né ingiustificata.

Anche altre disposizioni, in diversi settori dell’ordinamento, collegano alle vicende patologiche dell’impresa partecipante a una procedura di gara trattamenti normativi differenziati per la mandataria di un RTI, ispirati alla stessa ratio sottesa all’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare. Così l’art. 95, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), in materia di misure interdittive antimafia, stabilisce che «[s]e taluna delle situazioni da cui emerge un tentativo di infiltrazione mafiosa [...] interessa un’impresa diversa da quella mandataria che partecipa ad un’associazione o raggruppamento temporaneo di imprese, le cause di divieto o di sospensione [...] non operano nei confronti delle altre imprese partecipanti quando la predetta impresa sia estromessa o sostituita anteriormente alla stipulazione del contratto».

La violazione del principio di uguaglianza non sarebbe configurabile anche perché la norma assunta dal rimettente a tertium comparationis, contenuta nell’art. 186-bis della legge fallimentare, là dove consente eccezionalmente a un’impresa ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale di partecipare alla gara, derogherebbe alla regola generale di esclusione del concorrente soggetto a una procedura concorsuale, stabilita dall’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006, e in quanto norma derogatoria non potrebbe dunque, secondo la giurisprudenza costituzionale, essere estesa ad altri casi (è citata la sentenza n. 231 del 2009).

La scelta legislativa non si porrebbe nemmeno in contrasto con il diritto dell’Unione europea, apparendo essa compatibile con i precetti di cui all’art. 45, paragrafo 2, lettere a) e b), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, che rimettono agli Stati membri il potere discrezionale di determinare le condizioni di applicabilità delle cause di esclusione dalle pubbliche gare delle imprese soggette a procedure concorsuali.

Neppure sarebbe pertinente il richiamo all’art. 37 del d.lgs. n. 163 del 2006, sulla prosecuzione del rapporto contrattuale mediante la sostituzione con un altro operatore economico dell’impresa mandataria sottoposta a fallimento. La disposizione riguarda la fase di esecuzione del contratto, rispetto alla quale prevarrebbe l’interesse pubblico al completamento dell’appalto, mentre nella fase di partecipazione alla gara prevarrebbe l’interesse della stazione appaltante a contrattare con un soggetto che garantisce solidità e affidabilità, come affermato dalla giurisprudenza amministrativa rispetto alla citata disciplina delle misure interdittive antimafia.

Infine, non si potrebbero trarre argomenti nel senso della fondatezza delle questioni dalle sopravvenute disposizioni del nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016, di rango pari a quelle censurate e dichiaratamente non applicabili nel giudizio principale. L’ampia discrezionalità del legislatore nel disciplinare la materia, riconosciuta anche dal rimettente, non consentirebbe di censurare un modello normativo come quello in esame, che mira a raggiungere un punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., da un lato, e del buon andamento, dell’efficienza e dell’economicità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., dall’altro.

2.3.– Con atto depositato il 9 aprile 2019 si è costituita in giudizio anche la Dussmann Service srl, in proprio e nella qualità di mandataria del RTI costituito con la Siram spa, parte del processo principale, che ha concluso per la non fondatezza delle questioni. Tale raggruppamento ha partecipato alla procedura di gara e si è collocato al secondo posto in relazione a un diverso lotto del medesimo appalto.

A suo avviso, proprio il diverso modulo partecipativo alla gara giustificherebbe, contrariamente a quanto afferma il rimettente, la scelta legislativa di differenziare l’ipotesi in cui l’impresa assume la veste di “capogruppo mandataria” all’interno di un RTI. Essa si troverebbe infatti in una posizione assolutamente peculiare, che determina a suo carico l’assunzione di una responsabilità non limitata all’esecuzione delle prestazioni di competenza. Ai sensi dell’art. 37 del d.lgs. n. 163 del 2006, la mandataria risponde sempre e comunque in solido nei confronti della stazione appaltante ed è titolare della rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti «per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo o atto equivalente, fino all’estinzione di ogni rapporto».

Si tratterebbe di un ruolo non conciliabile con lo stato di crisi dell’impresa, che sarebbe aggravato dagli oneri e dagli adempimenti che lo status di mandataria impone nella gestione dei contratti pubblici, nonché dalla responsabilità che essa assume, come visto, per gli eventuali inadempimenti delle imprese mandanti.

Tale peculiare condizione dell’impresa ammessa al concordato preventivo e la sua ridotta capacità finanziaria imporrebbero il rispetto di particolari cautele, tradotte dal legislatore nel divieto di assumere la veste di capogruppo mandataria. La scelta legislativa sarebbe frutto di un complesso bilanciamento degli interessi pubblici e privati coinvolti nel procedimento, identificati nella promozione della continuità aziendale ai fini del risanamento delle imprese, nella garanzia della massa dei creditori e nella tutela della corretta esecuzione dell’appalto.

La diversità di disciplina tra l’impresa singola e la mandataria di un RTI, censurata dal giudice a quo, sarebbe dunque giustificata dalla diversità delle situazioni poste a confronto. L’impresa singola ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale risponde della sola attività svolta direttamente, in relazione alla quale l’ordinamento appresta, a tutela della stazione appaltante, le garanzie previste dall’art. 186-bis, quinto comma, della legge fallimentare, mentre l’impresa mandataria partecipa alla gara nell’ambito di una compagine plurisoggettiva, assumendo la responsabilità anche per le attività che devono svolgere le altre imprese aderenti al raggruppamento. Tanto più il diverso trattamento normativo appare ragionevole nella fattispecie dedotta nel giudizio a quo, che riguarda un raggruppamento verticale, in cui la responsabilità delle imprese mandanti è limitata all’esecuzione delle prestazioni di rispettiva competenza, mentre la capogruppo mandataria ha la responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante.

Non sussisterebbe neppure la violazione degli altri parametri evocati dal rimettente. Il principio di concorrenza non determinerebbe per l’amministrazione l’obbligo di avvalersi di imprese in crisi e la scelta legislativa risulterebbe fondata, come visto, su un ragionevole bilanciamento degli opposti interessi pubblici e privati coinvolti nella materia.

Nessun rilievo potrebbe ascriversi infine alla disciplina contenuta nel nuovo codice degli appalti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016, pacificamente non applicabile nel giudizio a quo e in ogni caso interpretata dalla giurisprudenza amministrativa anche in senso difforme a quello fatto proprio dal rimettente.

2.4.– Con atto depositato il 9 aprile 2019 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza delle questioni sulla scorta delle stesse considerazioni esposte nell’atto di intervento nel giudizio promosso con l’ordinanza iscritta al n. 40 del reg. ord. 2019.

2.5.– La Guerrato spa ha depositato il 27 marzo 2020 una memoria illustrativa di contenuto identico a quella presentata nel giudizio promosso con l’ordinanza iscritta al n. 40 del reg. ord. 2019, ribadendo le già formulate conclusioni.

2.6.– Nella memoria illustrativa pervenuta il 1° aprile 2020, per mezzo di posta elettronica certificata, la Dussmann Service srl ha richiamato le ragioni di infondatezza delle questioni dedotte nell’atto di costituzione, concernenti la posizione assolutamente peculiare assunta dall’impresa mandataria di un RTI, sia per il regime della sua responsabilità nei confronti della stazione appaltante, sia per la titolarità della rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti «per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo o atto equivalente, fino all’estinzione di ogni rapporto».

La diversità della disciplina sarebbe giustificata, nell’ipotesi della soggezione della mandataria a concordato preventivo con continuità aziendale, sia dalla difficoltà per un’impresa sottoposta al regime di tutela di svolgere utilmente e celermente i complessi e gravosi compiti gestori che spettano alla mandataria, sia dal regime di responsabilità connesso a tale funzione, posto che l’impresa che per legge deve essere garantita da terzi non potrebbe essere a propria volta, sempre per legge, responsabile in solido (con funzione sostanzialmente di garanzia) dell’esecuzione non solo della propria quota di obbligazioni ma di tutto l’oggetto dell’appalto.

Le situazioni messe a confronto non sarebbero dunque omogenee e ciò escluderebbe la violazione del principio di uguaglianza. Inoltre, la partecipazione alle pubbliche gare delle imprese in concordato preventivo con continuità aziendale, in forma individuale o quali mandanti in un RTI, costituirebbe un’eccezione al principio generale di esclusione di chi è soggetto a procedure concorsuali, sicché non si potrebbe neppure parlare di un tertium comparationis rispetto al quale la disciplina denunciata avrebbe carattere ingiustificatamente derogatorio.

La normativa sopravvenuta, valorizzata dal rimettente, non deporrebbe in senso favorevole all’accoglimento delle questioni, anche perché il testo in vigore dell’art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016 riproduce il rinvio espresso all’art. 186-bis della legge fallimentare, confermando la ragionevolezza della scelta operata dal legislatore. Alla stessa conclusione dovrebbe pervenirsi osservando che nel d.lgs. n. 14 del 2019 è riprodotta una disposizione identica a quella dell’art. 186-bis della legge fallimentare.

Quanto alle deduzioni svolte nell’atto di costituzione della Guerrato spa, si ribadisce che le situazioni messe a confronto dal rimettente sarebbero diverse, anche per l’evidente ampliamento del rischio per l’impresa connesso al ruolo della mandataria, che deve garantire la corretta esecuzione dell’appalto anche per le mandanti e che è il punto di riferimento ineludibile per la stazione appaltante. Né si comprende quale parametro costituzionale sarebbe violato per il fatto che le norme censurate consentirebbero la sovrapposizione del sindacato del giudice ordinario in sede fallimentare e del giudice amministrativo in sede di impugnazione degli atti dell’amministrazione. Infine, la lamentata mancanza di una disciplina in grado di regolare le situazioni sopravvenute e di permettere all’operatore di adeguarsi al precetto normativo senza conseguenze pregiudizievoli non costituirebbe un profilo di costituzionalità soggetto al sindacato della Corte.

2.7.– Anche Apleona HSG spa ha fatto pervenire una memoria illustrativa il 1° aprile 2020, nella quale ripropone le argomentazioni svolte nell’atto di costituzione e insiste per l’infondatezza delle questioni.

2.8.– Con istanze pervenute il 14 e il 15 aprile 2020, la Guerrato spa e la Dussmann Service srl hanno chiesto che la questione venga decisa in camera di consiglio senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, secondo quanto previsto nel citato decreto del 24 marzo 2020, punto 1), lettera c).

Analoghe richieste con contestuale istanza di rimessione in termini sono state presentate il 16 aprile 2020 dalla Apleona HSG spa e dal Presidente del Consiglio dei ministri.

3.– Con ordinanza del 12 giugno 2019, iscritta al n. 150 del reg. ord. 2019, il Consiglio di Stato, sezione quinta, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, nella parte in cui esclude dalla partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici l’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale che rivesta la qualità di mandataria di un RTI, in riferimento agli artt. 3, 41 e 97 Cost.

Le questioni sono sorte nel corso di un giudizio d’appello promosso dalla Itinera spa, in proprio e quale mandataria del RTI costituito con la Monaco spa, avverso la sentenza pronunciata il 3 aprile 2019 dal Tribunale amministrativo regionale per la Toscana. Con tale sentenza il TAR aveva respinto il ricorso presentato dalla stessa Itinera spa per l’annullamento dell’aggiudicazione a un diverso RTI, di cui è mandataria Carena spa Impresa di costruzioni, dell’appalto relativo ai lavori di realizzazione di un tronco stradale.

Per quello che qui rileva, il provvedimento di aggiudicazione è stato impugnato per violazione dell’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, sull’assunto che la stazione appaltante Anas spa avrebbe illegittimamente ammesso la Itinera spa alla gara nonostante la medesima, quale mandataria del RTI risultato aggiudicatario dell’appalto, si trovasse in stato di concordato preventivo con continuità aziendale.

Il TAR aveva respinto il ricorso ritenendo che il citato art. 186-bis, sesto comma, fosse stato implicitamente abrogato dal sopravvenuto art. 80, comma 5, lettera b), cod. contratti pubblici, che, escludendo dalle gare pubbliche chi è sottoposto a procedure concorsuali salvo il caso del concordato preventivo con continuità aziendale, non rinvia all’art. 186-bis della legge fallimentare e all’eccezione in esso prevista per l’impresa mandataria di un RTI. Ciò che determinerebbe il superamento dell’eccezione prevista in quest’ultima disposizione e l’ammissione alla partecipazione alle gare di tutte le imprese in concordato preventivo con continuità aziendale, anche mandatarie di RTI.

L’appellante nel processo principale ha censurato in parte qua la sentenza di primo grado osservando che le anzidette disposizioni non sarebbero tra loro incompatibili, in quanto l’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare disciplina la situazione peculiare dell’impresa mandataria di un RTI che si trova in stato di concordato preventivo con continuità aziendale, rispetto alla quale non opererebbe la deroga all’esclusione dalle gare prevista all’art. 80, comma 5, lettera b), cod. contratti pubblici per le imprese che si trovano nel medesimo stato. In tale situazione, dunque, sarebbe di nuovo applicabile la regola generale, prevista anch’essa al citato art. 80, comma 5, lettera b), secondo cui l’operatore economico sottoposto a fallimento o che si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo è escluso dalla partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici.

3.1.– Dopo avere respinto la preliminare eccezione di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado riproposta in appello dalle parti resistenti, il Consiglio di Stato motiva sulla rilevanza delle questioni osservando innanzitutto che, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, l’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare non sarebbe stato implicitamente abrogato dall’art. 80, comma 5, lettera b), cod. contratti pubblici. Tra le due norme esisterebbe infatti un rapporto di specialità: il citato art. 80, comma 5, lettera b), stabilirebbe la regola generale di esclusione dalle gare degli operatori economici in stato di fallimento, liquidazione coatta e concordato preventivo, con una deroga, anch’essa generale, per coloro che si trovano in stato di concordato preventivo con continuità aziendale; l’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare disciplinerebbe invece il caso specifico dell’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale riunita in RTI, subordinando la sua partecipazione alla gara alla duplice condizione che non rivesta la qualità di mandataria e che al RTI non aderiscano imprese sottoposte a procedure concorsuali.

Il rimettente osserva inoltre che l’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare si applicherebbe anche dopo la pronuncia del decreto di omologazione del concordato preventivo. L’art. 181 della legge fallimentare, secondo cui la procedura di concordato preventivo «si chiude» con tale pronuncia, nulla disponendo per il periodo successivo all’omologazione, non consentirebbe di sostenere la contraria tesi del pieno riacquisto della capacità contrattuale in capo all’imprenditore già in concordato preventivo. Per il periodo successivo, l’art. 136 della stessa legge fallimentare riconoscerebbe comunque al giudice delegato, al curatore e al comitato dei creditori ampi poteri di intervento e la distinzione operata dall’art. 80, comma 5, lettera b), tra l’operatore economico «in stato di concordato preventivo» e quello che abbia «in corso un procedimento per la dichiarazione» di tale situazione lascerebbe comprendere che il primo è quello già ammesso al concordato.

Sempre sulla rilevanza, il giudice a quo afferma infine che il secondo motivo di gravame – con il quale si deduce che Carena spa Impresa di costruzioni non avrebbe potuto partecipare alla gara in mancanza di autorizzazione rilasciata dal tribunale fallimentare in sede di omologazione del concordato preventivo – sarebbe inammissibile, stante il divieto dei nova in appello ex art. 104, comma 1, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).

Il giudizio non potrebbe dunque essere definito senza applicare il censurato art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, ciò che condurrebbe ad accogliere l’appello e a confermare l’esclusione dalla procedura di gara del raggruppamento la cui mandataria è in concordato preventivo.

3.1.1.– Quanto alla non manifesta infondatezza, la norma censurata violerebbe innanzitutto l’art. 3 Cost., per l’irragionevolezza della scelta del legislatore.

La questione è sollevata sotto tre distinti profili.

3.1.2.– L’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare introdurrebbe un’irragionevole disparità di trattamento “esterna” fra l’impresa che riveste la qualità di mandataria di un RTI e l’impresa che, trovandosi nella stessa situazione di concordato preventivo con continuità aziendale, partecipa come singola offerente oppure come mandataria di un consorzio ordinario di concorrenti di cui all’art. 45, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 50 del 2016.

La ratio della disciplina che consente all’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale di partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, pur con le cautele previste dal quarto e quinto comma dell’art. 186-bis della legge fallimentare e dal comma 3 dell’art. 110 del d.lgs. n. 50 del 2016, sarebbe di favorire la percezione di ricavi da commesse pubbliche per superare lo stato di crisi. La differente disciplina riservata all’impresa mandataria di un RTI rispetto all’impresa che concorre uti singula non sarebbe pertanto ragionevole, valendo anche per la prima la medesima ratio.

Il diverso trattamento non sarebbe giustificato dalla qualità di rappresentante esclusiva delle imprese mandanti assunta dalla mandataria di un RTI nei confronti della stazione appaltante ai sensi dell’art. 48, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016: anch’essa, infatti, contratterebbe con la stazione appaltante come un operatore economico che partecipa singolarmente, con la sola differenza che gli effetti dei suoi atti si riverberano nella sfera giuridica delle mandanti.

Un diverso trattamento non sarebbe giustificato nemmeno dal regime di responsabilità solidale dell’impresa mandataria nei confronti della stazione appaltante, del subappaltatore o dei fornitori ex art. 48, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016, in quanto tale regime, efficace anche per le mandanti, sarebbe «identico a quello dell’impresa che abbia stipulato il contratto singolarmente», risolvendosi nell’obbligo di eseguire per intero la prestazione dedotta in contratto o di risarcire l’intero danno da inadempimento. Si tratterebbe anzi di un regime di responsabilità contrattuale più favorevole per la stazione appaltante, come sempre accade quando il creditore può contare sulla solidarietà nel lato passivo delle obbligazioni.

Un’analoga irragionevole disparità di trattamento sussisterebbe poi rispetto all’impresa mandataria in concordato preventivo con continuità aziendale nell’ambito di un consorzio ordinario di concorrenti di cui all’art. 45, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 50 del 2016, per la quale varrebbe la disciplina generale e non opererebbe il divieto di partecipazione ex art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare.

3.1.3.– Un’ulteriore irragionevole disparità di trattamento – questa volta “interna” alla disposizione censurata – sarebbe individuabile fra l’impresa mandataria e l’impresa mandante di un RTI, che entrambe si trovino in concordato preventivo con continuità aziendale. A parità di condizioni, la seconda può concorrere infatti alla procedura di affidamento, sempre che non vi siano altre imprese aderenti assoggettate a procedura concorsuale. Il conferimento della rappresentanza esclusiva, anche processuale, alla mandataria non sarebbe decisiva in senso contrario, in quanto ai sensi dell’art. 48, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016 «[l]a stazione appaltante, tuttavia, può far valere direttamente le responsabilità facenti capo ai mandanti».

3.1.4.– L’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, contrasterebbe poi con il principio di ragionevolezza “intrinseca”, per l’incongruenza della scelta del legislatore rispetto all’obiettivo di tutelare i creditori dell’impresa in concordato preventivo, posto che l’esclusione assoluta dalla partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici – e la conseguente sottrazione al giudice della procedura concorsuale della «valutazione comparata tra commessa da affidare e stato dell’impresa» – negherebbe all’impresa mandataria di un RTI «la chance di ottenere un flusso di denaro utile al superamento dello stato di crisi».

3.1.5.– Ad avviso del rimettente, la norma censurata si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 41 Cost. Essa infatti limiterebbe l’autonomia contrattuale dell’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale, anziché favorirne il libero dispiegarsi, in conformità all’utilità sociale, per l’acquisizione di clienti di sicura affidabilità, quali i soggetti pubblici.

3.1.6.– Infine, sarebbe violato l’art. 97 Cost., per contrasto con il principio di buon andamento dell’amministrazione, in quanto la norma censurata limiterebbe ingiustificatamente il potere delle pubbliche amministrazioni di scegliere il contraente più qualificato e capace.

3.2.– Con atto depositato il 22 ottobre 2019 si è costituita in giudizio la Itinera spa, in proprio e nella qualità di mandataria del RTI costituito con Monaco spa, parte del processo principale, che ha concluso per l’inammissibilità e comunque per la non fondatezza delle questioni.

Dopo avere riferito che nelle more del presente giudizio la Carena spa Impresa di costruzioni, mandataria del RTI aggiudicatario della gara, è stata dichiarata fallita dal Tribunale ordinario di Genova per inadempimento del piano concordatario, essa ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione sulla rilevanza.

La stazione appaltante sarebbe partita dall’erroneo presupposto dell’intervenuta chiusura del concordato preventivo a seguito del decreto di omologazione e avrebbe così omesso di verificare in concreto la sussistenza o meno delle condizioni di applicabilità dell’eccezionale deroga al divieto di partecipazione alle gare delle imprese sottoposte a procedure concorsuali posta dall’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare. Di conseguenza, il giudice a quo, muovendo invece dalla condivisibile tesi per cui lo stato di concordato preventivo non si chiude con l’omologazione ma con il decreto che accerta l’adempimento del piano concordatario, avrebbe dovuto esporre le ragioni che lo hanno indotto a valutare nel merito la sussistenza delle anzidette condizioni di applicabilità anziché annullare senz’altro l’aggiudicazione lasciando alla stazione appaltante tale valutazione «in sede di rinnovazione del segmento procedimentale illegittimo», ai sensi dell’art. 34, comma 2, cod. proc. amm., secondo cui «in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esauriti».

Nel merito, osserva che il giudice a quo, pur avendo colto la ratio dell’art. 186-bis della legge fallimentare, là dove introduce per le imprese in concordato preventivo con continuità aziendale un’eccezione al generale divieto di partecipazione alle gare di coloro che sono sottoposti a una procedura concorsuale, posto dal codice dei contratti pubblici, non si sarebbe avveduto della ratio della norma che, limitando tale eccezione, preclude la partecipazione dell’impresa mandataria di un RTI, ai sensi del sesto comma dello stesso art. 186-bis.

Il fine della tutela dei creditori dell’impresa in concordato, che, secondo il rimettente, il legislatore avrebbe inteso raggiungere «prim’ancora che quello della garanzia dell’impegno assunto dal raggruppamento nei confronti della stazione appaltante», non rappresenterebbe l’unico scopo perseguito della disposizione censurata, la cui ratio differenziatrice troverebbe giustificazione nella prevalente esigenza di proteggere la realizzazione dell’opera dai rischi connessi all’instabilità finanziaria dell’impresa capogruppo, quale responsabile generale dell’adempimento. Inoltre, la disposizione proteggerebbe la funzionalità del RTI, che non potrebbe essere guidato da un’impresa «la cui capacità decisionale e la cui posizione sono soggette a regole particolari e a una sorta di tutela pubblica» ad opera degli organi della procedura.

La medesima ratio sussisterebbe anche ragionando nell’esclusiva ottica della tutela dei creditori dell’impresa in concordato, in quanto il ruolo di mandataria implica l’assunzione di obbligazioni aggiuntive rispetto alle imprese mandanti che hanno assunto l’impegno di eseguire lavori scorporabili o prestazioni secondarie di servizi, come ammetterebbe lo stesso giudice a quo.

La diversità delle posizioni della mandataria e delle imprese mandanti si desumerebbe anche dalla disciplina della fase di esecuzione del contratto che prevede la possibilità di continuare il rapporto nel caso di fallimento della mandataria, purché ciò avvenga attraverso la sua sostituzione con un altro operatore economico avente i requisiti necessari (art. 48, comma 17, del d.lgs. n. 50 del 2016).

Non avrebbe «senso», ad avviso della parte, comparare la situazione della mandataria con quella dell’impresa in concordato preventivo che, concorrendo singolarmente, potrebbe assumere le stesse obbligazioni, trattandosi di situazione estranea alla logica della disciplina del RTI.

La mancanza di un analogo divieto per l’impresa mandataria di un consorzio ordinario ex art. 45, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 50 del 2016 non sarebbe decisiva in senso contrario, in quanto tale mancanza potrebbe porre, semmai, un problema di legittimità di questa disciplina, senza considerare che l’omogeneità delle due fattispecie indurrebbe a estendere applicativamente la disposizione censurata al consorzio ordinario.

L’interesse pubblico al corretto svolgimento degli appalti e alla realizzazione di opere di pubblica utilità sarebbe compreso nella nozione di «utilità sociale» che giustifica la limitazione della libertà di iniziativa economica, sicché neppure sussisterebbe la violazione dell’art. 41 Cost.

Infine, la disposizione censurata, lungi dal rappresentare un’eccezione nel sistema, si salderebbe al generale divieto di partecipazione delle imprese soggette a procedure concorsuali, onde non potrebbe ritenersi pregiudicato l’interesse pubblico alla selezione della miglior offerta, in violazione dell’art. 97 Cost. D’altra parte, seguendo la prospettiva del rimettente, si dovrebbe ritenere contraria a tale parametro tutta la disciplina che condiziona la partecipazione delle imprese alle gare a stringenti requisiti, «talvolta ben meno correlati alle esigenze di regolare andamento dell’azione amministrativa» rispetto a quelli che vengono in rilievo in questa sede.

3.3.– Con atto depositato il 17 ottobre 2019 si è costituita in giudizio l’Anas spa, parte del processo principale, che ha concluso per la fondatezza delle questioni, rimettendosi in via preliminare alla valutazione di questa Corte in ordine all’eventuale inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza, sull’assunto, disatteso dal rimettente, che il censurato art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare sarebbe stato implicitamente abrogato, per incompatibilità, dal sopravvenuto art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016.

Nel merito, l’Anas spa aderisce alle censure avanzate dal rimettente.

Quanto alla violazione dell’art. 3 Cost. per irragionevolezza “esterna”, osserva che impedire all’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale di rivestire il ruolo di mandataria di un RTI, consentendole invece di concorrere alla gara in forma singola, sarebbe irragionevole in quanto il codice dei contratti pubblici e, prim’ancora, «le Direttive comunitarie» non ammetterebbero discriminazioni tra diverse forme di partecipazione (singola o associata) di operatori economici, in applicazione del generale principio di neutralità della veste formale dell’imprenditore. In questa prospettiva, la preclusione introdotta dalla norma censurata ostacolerebbe la piena affermazione dei principi europei di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Sarebbe contraddetta anche la ratio dell’istituto del RTI, che è quella di accrescere la competitività delle imprese e di assicurare una più competente esecuzione delle opere, consentendo allo stesso tempo alla stazione appaltante di avere un unico interlocutore e di restare almeno parzialmente indifferente alle vicende interne del raggruppamento, come se avesse quale controparte un unico soggetto e non una pluralità di imprese. La sintesi tra le contrapposte esigenze della stazione appaltante di avere un interlocutore unico e delle imprese di conservare la propria autonomia si compendierebbe nel contratto di mandato con rappresentanza, sicché il divieto posto dall’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare non si giustificherebbe nemmeno facendo riferimento al collegamento negoziale tra contratto d’appalto e contratto di mandato.

Alle medesime conclusioni condurrebbe il confronto con la situazione dell’impresa mandataria di un consorzio ordinario, che non soggiace alla stessa preclusione, pur sussistendo tra i due modelli partecipativi alla gara un’evidente affinità. Entrambi sarebbero infatti caratterizzati dall’essere un’aggregazione occasionale di imprese per un’unica gara e differirebbero solo per il regime di rappresentanza nei confronti della stazione appaltante, che nel consorzio spetta agli organi consortili cui è statutariamente attribuita.

Quanto alla mancanza di ragionevolezza “interna”, con specifico riguardo alle posizioni della mandataria e delle imprese mandanti, la censurata preclusione gravante sulla prima non potrebbe essere giustificata facendo riferimento a un diverso regime di responsabilità nei confronti della stazione appaltante, posto che tutte le imprese raggruppate sarebbero sottoposte allo stesso regime, senza sostanziali differenze. Un diverso trattamento avrebbe ragione d’essere se fosse motivato dall’esigenza di tutelare la stazione appaltante da eventuali ricadute negative connesse alla responsabilità solidale che vincola mandataria e mandanti, ma anche tale profilo non condurrebbe a una diversa conclusione, posto che nel caso di RTI orizzontale la solidarietà si estenderebbe a tutti gli operatori economici raggruppati, mentre nel RTI verticale ciascuna impresa che abbia assunto parti scorporabili dell’opera o prestazioni secondarie di servizi risponderebbe comunque individualmente, «ferma la responsabilità della capogruppo». Il regime di responsabilità proprio delle imprese riunite in RTI, dunque, non solo non aggraverebbe la posizione dell’appaltatore rispetto all’aggiudicazione dell’appalto in forma singola, «ma, per certi aspetti, la attenu[erebbe]».

Si dovrebbe giungere alle stesse conclusioni avendo riguardo alla responsabilità solidale delle imprese partecipanti al RTI nei confronti dei subappaltatori e fornitori: la posizione dell’impresa mandataria sarebbe «neutra», posto che la stessa impresa avrebbe assunto una piena responsabilità nei confronti degli stessi soggetti se avesse partecipato in forma singola.

Quanto all’irragionevolezza “intrinseca”, correttamente il giudice a quo avrebbe rilevato che la disposizione censurata contrasterebbe con il suo obiettivo di tutelare i creditori dell’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale, impedendo di ottenere un flusso di denaro utile al superamento della crisi d’impresa.

La stessa irragionevolezza si configurerebbe anche avendo riguardo al favor legislativo per il ricorso alle procedure di concordato preventivo come strumento di composizione della crisi finalizzato a favorire la conservazione di valori aziendali.

Quanto alle violazioni degli artt. 41 e 97 Cost., la parte ribadisce e sviluppa le considerazioni svolte sul punto dal giudice a quo.

3.4.– Con atto depositato il 14 ottobre 2019 si è costituita in giudizio anche la Carena spa Impresa di costruzioni, in proprio e nella qualità di mandataria del RTI costituito con la ILESP srl, parte del processo principale, che ha concluso per l’irrilevanza delle questioni e, in subordine, per la loro fondatezza nel merito.

Sull’eccezione preliminare di irrilevanza delle questioni osserva che, contrariamente a quanto affermato dal rimettente, l’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, sarebbe stato abrogato implicitamente dall’art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016; e, in subordine, che lo stesso art. 186-bis, sesto comma, non si applicherebbe al caso in cui il concordato preventivo con continuità aziendale dell’impresa mandataria di un RTI si fosse chiuso, prim’ancora della presentazione dell’offerta, a seguito del decreto di omologazione, con il conseguente riacquisto della piena capacità contrattuale in capo all’operatore economico rientrato in bonis, come si sarebbe verificato nella fattispecie dedotta nel giudizio a quo.

Sotto questo secondo profilo, le ragioni addotte dal giudice a quo, sulla permanenza in capo agli organi della procedura di «ampi poteri di intervento» anche dopo l’omologazione del concordato preventivo, muoverebbero da un’erronea ricostruzione del quadro normativo. Nella fase esecutiva del piano concordatario, infatti, il giudice delegato non avrebbe poteri autorizzatori e il suo ruolo si limiterebbe al controllo, tramite il commissario giudiziale, dell’attività gestoria svolta dagli amministratori della società.

Il giudice a quo avrebbe inoltre errato nel ritenere che l’operatore economico «in stato di concordato», di cui all’art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016, è quello che, già ammesso alla procedura ai sensi dell’art. 163 della legge fallimentare, ha ottenuto il decreto di omologazione ai sensi del successivo art. 181. Secondo una corretta interpretazione letterale e sistematica della pertinente disciplina tale operatore economico sarebbe invece quello ammesso alla procedura di concordato preventivo non ancora omologato, mentre l’operatore con un «procedimento in corso», di cui sempre al citato art. 80, comma 5, lettera b), sarebbe quello che, avendo presentato il ricorso per l’ammissione al concordato, ai sensi dell’art. 161, comma 6, della legge fallimentare, è in attesa del decreto di ammissione.

Il richiamo del rimettente alla necessità dell’autorizzazione del giudice delegato per partecipare alla gara, di cui all’art. 110, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, sarebbe poi contraddittorio, da un lato perché lo stesso rimettente afferma che nel giudizio a quo la questione concernente l’autorizzazione è inammissibile e inconferente, dall’altro lato perché la citata previsione disciplinerebbe la diversa ipotesi dell’impresa ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale, nulla disponendo per l’ipotesi in cui il piano concordatario sia stato omologato. In ogni caso, nella specie l’autorizzazione, estesa alla partecipazione a tutte le gare d’appalto, sarebbe stata rilasciata dal Tribunale di Genova in sede di omologazione dello specifico concordato preventivo.

Nel merito, le questioni dovrebbero essere accolte, previa riunione del giudizio con quelli promossi dal TAR Lazio.

3.5.– Con atto depositato il 22 ottobre 2019 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza delle questioni sulla scorta delle stesse considerazioni esposte nell’atto di intervento nel giudizio promosso con ordinanza iscritta al n. 40 reg. ord. 2019, con la precisazione che il coordinamento tra le previsioni dell’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, e dell’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 si dovrebbe effettuare, come correttamente ritenuto dal giudice a quo, in base al principio di specialità.

3.6.– La Itinera spa ha fatto pervenire il 1° aprile 2020, per mezzo di posta elettronica certificata, una memoria illustrativa, nella quale chiede preliminarmente che questa Corte restituisca gli atti al giudice a quo perché valuti nuovamente la rilevanza delle questioni, sull’assunto che nel processo principale sarebbe venuta meno la necessità di applicare la disposizione censurata per definire il giudizio nel merito, essendosi verificati i presupposti per una pronuncia in rito di cessazione della materia del contendere. Le circostanze sopravvenute – ulteriori rispetto alla sentenza dichiarativa del fallimento della Carena spa Impresa di costruzioni, già menzionata nell’atto di costituzione – sarebbero costituite dalla revoca dell’aggiudicazione dell’appalto al RTI in cui è mandataria la Carena spa Impresa di costruzioni e dalla successiva aggiudicazione a favore del RTI composto dalla stessa Itinera spa e dalla Monaco spa, provvedimenti entrambi non impugnati. Ciò avrebbe comportato il «totale soddisfacimento dell’interesse di Itinera spa, nuova e incontestata aggiudicataria dell’appalto».

Pur dichiarandosi consapevole che anche il venir meno del giudizio a quo non incide sul giudizio costituzionale, ai sensi dell’art. 18 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la parte osserva che nella specie il processo principale non sarebbe, né estinto, né interrotto, né sospeso per causa diversa dalla pendenza dell’incidente di costituzionalità, sicché la soluzione più appropriata, trattandosi di un mutamento che attiene alla situazione sostanziale dedotta in giudizio, potrebbe consistere per l’appunto nella restituzione degli atti al rimettente.

Nel resto, vengono richiamati gli argomenti già svolti nei sensi dell’inammissibilità o dell’infondatezza delle questioni.

3.7.– Con istanza pervenuta il 15 aprile 2020 tutte le parti hanno congiuntamente chiesto che la questione venga decisa in camera di consiglio senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, secondo quanto previsto nel citato decreto del 24 marzo 2020, punto 1), lettera c).

L’Anas spa ha contestualmente depositato brevi note con cui si oppone alla richiesta di restituzione degli atti al giudice a quo e richiama, nel resto, le argomentazioni e le conclusioni già svolte.

Considerato in diritto

1.– Con due ordinanze coeve e di contenuto sostanzialmente identico, iscritte ai numeri 40 e 41 del reg. ord. 2019, il Tribunale amministrativo per il Lazio dubita della legittimità costituzionale del «combinato disposto» degli artt. 38, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) e 186-bis, quinto e sesto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), in riferimento agli artt. 3, 41 e 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione.

Le questioni sono sorte nel corso di due giudizi aventi analogo oggetto e promossi dalla stessa società (la Guerrato spa), in proprio e quale mandataria di un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI). La ricorrente nei processi principali ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti di esclusione del predetto RTI dalle procedure di affidamento di alcuni lotti di «servizi integrati, gestionali ed operativi» e, con motivi aggiunti, l’annullamento delle delibere di escussione delle garanzie prestate dal RTI al fine di concorrere alle gare.

La stazione appaltante ha disposto l’esclusione sull’assunto che durante l’iter di svolgimento delle gare si sarebbe verificato in capo all’impresa mandataria del RTI il requisito generale di esclusione previsto dall’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006, ai sensi del quale «[s]ono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento» i soggetti «che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di cui all’articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni». Essendo infatti stata ammessa l’impresa mandataria alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale, troverebbe applicazione il richiamato art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, ai sensi del quale «l’impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale».

1.1.– Quanto alla rilevanza, il rimettente osserva che alle fattispecie dedotte nei giudizi principali si dovrebbe applicare ratione temporis l’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006, ancorché abrogato dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), in quanto quest’ultimo trova applicazione solo per le procedure e i contratti banditi successivamente all’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici, ai sensi del suo art. 216, comma 1.

Il «combinato disposto» del citato art. 38, comma 1, lettera a), e dell’art. 186-bis, quinto e sesto comma, della legge fallimentare condurrebbe così inevitabilmente a ritenere legittima l’esclusione dalle gare del raggruppamento di imprese di cui la ricorrente è mandataria. La deroga introdotta dall’art. 186-bis della legge fallimentare alla regola generale che vieta la partecipazione alla gara dei soggetti sottoposti a procedure concorsuali sarebbe infatti circoscritta alle due sole ipotesi dell’impresa «singola» e dell’impresa aderente a un RTI in qualità di mandante, con la conseguenza che la regola generale tornerebbe a operare se, come nel caso di specie, l’impresa mandataria di un RTI si trova in concordato preventivo con continuità aziendale. Né sarebbe possibile interpretare diversamente le disposizioni censurate.

1.2.– Le norme censurate, nel loro «combinato disposto», violerebbero innanzitutto l’art. 3 Cost., in quanto per le diverse ipotesi indicate (impresa «singola», impresa mandante e impresa mandataria di un RTI), che differiscono tra loro solo per il modulo partecipativo alla gara, varrebbe infatti la stessa esigenza di favorire il superamento della crisi d’impresa, che giustifica la deroga al generale divieto di partecipazione alle gare pubbliche per le imprese sottoposte a procedure concorsuali.

Violerebbero inoltre gli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera a), Cost., in quanto l’irragionevole esclusione dalle procedure di affidamento di contratti pubblici dell’impresa mandataria di un RTI sottoposta a concordato preventivo con continuità aziendale limiterebbe ingiustificatamente la libertà di iniziativa economica e si porrebbe in contrasto con il principio della concorrenza, costituente un «principio cardine dell’Unione europea», cui «la massima partecipazione alle gare è funzionale».

2.– Con ordinanza iscritta al n. 150 del reg. ord. 2019, il Consiglio di Stato, sezione quinta, dubita a sua volta della legittimità costituzionale dell’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, nella parte in cui esclude dalle procedure di affidamento dei contratti pubblici l’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale che rivesta la qualità di mandataria di un RTI, in riferimento agli artt. 3, 41 e 97 Cost.

Le questioni sono sorte nel corso di un giudizio d’appello promosso dalla Itinera spa, in proprio e quale mandataria di un RTI, avverso la sentenza con cui il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana aveva respinto il ricorso presentato dalla stessa Itinera spa per l’annullamento dell’aggiudicazione a un diverso RTI dell’appalto relativo ai lavori di realizzazione di un tronco stradale.

Per quello che qui rileva, la ricorrente, risultata seconda classificata, aveva impugnato l’aggiudicazione per violazione dell’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, sull’assunto dell’illegittimità dell’ammissione alla gara del raggruppamento affidatario, la cui mandataria era in concordato preventivo con continuità aziendale.

Il giudice di primo grado aveva respinto il ricorso ritenendo il citato art. 186-bis, sesto comma, implicitamente abrogato dal sopravvenuto art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016, che, nella versione originaria, esclude dalle gare pubbliche chi è sottoposto a procedure concorsuali salvo il caso del concordato preventivo con continuità aziendale, e non rinvia all’art. 186-bis della legge fallimentare e all’eccezione in esso prevista per l’impresa mandataria di un RTI. Non operando più la deroga prevista in quest’ultima disposizione potrebbero essere ammesse alle gare tutte le imprese in concordato preventivo con continuità aziendale, anche mandatarie di RTI.

2.1.– Quanto alla rilevanza, il Consiglio di Stato ritiene innanzitutto che l’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare non sia stato implicitamente abrogato dall’art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016, operando tra le due norme un rapporto di specialità per cui la seconda fissa la regola generale di esclusione degli operatori economici sottoposti a procedure concorsuali, con una deroga, anch’essa generale, per coloro che si trovano in stato di concordato preventivo con continuità aziendale; mentre la prima disciplina il caso specifico dell’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale riunita in RTI.

L’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare si applicherebbe inoltre anche dopo la pronuncia del decreto di omologazione del concordato preventivo, non potendosi trarre argomenti in senso contrario dalla disciplina contenuta nella legge fallimentare.

2.2.– La norma censurata violerebbe innanzi tutto l’art. 3 Cost.

La questione è sollevata sotto tre distinti profili:

1) l’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare introdurrebbe un’irragionevole disparità di trattamento “esterna” fra l’impresa che riveste la qualità di mandataria di un RTI e l’impresa che, nella stessa situazione di concordato preventivo con continuità aziendale, partecipa come singola offerente oppure come mandataria di un consorzio ordinario di concorrenti di cui all’art. 45, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 50 del 2016;

2) un’ulteriore irragionevole disparità di trattamento – questa volta “interna” alla disposizione censurata – sarebbe individuabile fra l’impresa mandataria e l’impresa mandante di un RTI che si trovino in concordato preventivo con continuità aziendale. A parità di condizioni, la seconda può concorrere infatti alla procedura di affidamento, sempre che non vi siano altre imprese aderenti assoggettate a procedura concorsuale;

3) l’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare contrasterebbe poi con il principio di ragionevolezza “intrinseca”, per l’incongruenza della scelta operata dal legislatore rispetto all’obiettivo di tutelare i creditori dell’impresa in concordato preventivo, giacché l’esclusione assoluta dalla partecipazione alle gare negherebbe all’impresa mandataria di un RTI «la chance di ottenere un flusso di denaro utile al superamento dello stato di crisi».

2.3.– L’art. 186-bis, sesto comma, si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 41 Cost. perché limiterebbe l’autonomia contrattuale dell’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale, anziché favorirne «il libero dispiegarsi», in conformità all’utilità sociale, per l’acquisizione di clienti di sicura affidabilità quali i soggetti pubblici.

Infine, sarebbe violato l’art. 97 Cost., per contrasto con il principio di buon andamento dell’amministrazione, in quanto la norma censurata limiterebbe ingiustificatamente il potere delle pubbliche amministrazioni di scegliere il contraente più qualificato e capace.

3.– I giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica pronuncia, vertendo su questioni in gran parte coincidenti per oggetto e per motivi di censura, e vengono trattati in camera di consiglio senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, secondo quanto previsto nel decreto della Presidente della Corte costituzionale del 24 marzo 2020, punto 1), lettera c), in accoglimento delle conformi richieste di tutte le parti, previa rimessione in termini di quelle presentate tardivamente.

4.– Prima di esaminare il merito vanno affrontati alcuni profili preliminari.

4.1.– Quanto ai giudizi promossi con le ordinanze del TAR Lazio, è necessario in primo luogo individuare correttamente l’oggetto delle questioni in rapporto alle censure dedotte.

Come visto, il TAR dubita della legittimità costituzionale del «combinato disposto» dell’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 186-bis, quinto e sesto comma, della legge fallimentare, sull’assunto che alle procedure sottoposte alla sua cognizione siano applicabili ratione temporis i requisiti di ordine generale per la partecipazione alle gare previsti al citato art. 38, disposizione poi abrogata dal nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016.

Il presupposto è corretto quanto all’applicabilità del citato art. 38, comma 1, lettera a), giacché i bandi di gara di cui si tratta risultano pubblicati, stando alle ordinanze di rimessione, in date anteriori a quella di entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016 (19 aprile 2016). Ai sensi dell’art. 216, comma 1, dello stesso decreto legislativo, infatti, il nuovo codice dei contratti pubblici si applica alle procedure e ai contratti per i quali i bandi con cui si indice la gara sono pubblicati successivamente a tale data.

La norma ritenuta lesiva, tuttavia, è quella risultante dal combinato disposto, oltre che del citato art. 38, comma 1, lettera a), del solo sesto comma dell’art. 186-bis della legge fallimentare, nella parte in cui esclude dalle gare l’impresa in concordato di continuità mandataria di un RTI. La prima disposizione fa «salvo il caso di cui all’articolo 186-bis» allo scopo di introdurre, a favore delle imprese in concordato di continuità, una deroga alla regola generale di esclusione dalle gare di chi è sottoposto a procedura concorsuale. Il rinvio all’art. 186-bis comporta che siano applicati i limiti ivi previsti di operatività della deroga, tra i quali rientra il caso dell’impresa mandataria di un RTI. La caducazione di tale limite – che ove applicato importerebbe di respingere i ricorsi nei processi principali – appare sufficiente a eliminare il vulnus costituzionale lamentato dal giudice a quo, poiché farebbe ricadere l’impresa mandataria nell’ambito di operatività della deroga che consente all’imprenditore in concordato preventivo con continuità aziendale, in presenza delle altre condizioni previste all’art. 186-bis, di partecipare alle gare.

Il quinto comma dell’art. 186-bis, in tema di oneri documentali gravanti sull’impresa in concordato che intenda partecipare alla gara, non deve dunque essere necessariamente applicato per definire i giudizi a quibus, in base alla prospettazione fornita dal rimettente. Ne consegue che le questioni relative ad esso sono inammissibili per difetto di rilevanza.

4.1.1.– Nei medesimi giudizi, il rimettente evoca tra i parametri l’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., lamentando una violazione del principio della concorrenza, quale «principio cardine dell’Unione europea» a cui «la massima partecipazione alle gare [sarebbe] funzionale».

Il parametro evocato è del tutto inconferente, in quanto la lettera a) del secondo comma dell’art. 117 Cost. attribuisce allo Stato la competenza esclusiva, tra l’altro, nella materia dei «rapporti dello Stato con l’Unione europea», mentre la censura, pur nella sua laconicità, non attiene al riparto di attribuzioni tra lo Stato e le regioni. Le stesse conclusioni varrebbero anche ipotizzando che il giudice a quo sia incorso in un refuso, intendendo riferirsi alla «tutela della concorrenza», di cui alla lettera e) del secondo comma dell’art. 117 Cost.

La questione è dunque inammissibile (sentenze n. 198 del 2019, n. 63 del 2016, n. 269 e n. 181 del 2014).

4.1.2.– Parimenti inammissibili sono le censure prospettate da una parte costituita (la Guerrato spa, ricorrente nei processi principali), ulteriori rispetto a quelle formulate dal giudice a quo in riferimento all’art. 3 Cost. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, «non possono essere presi in considerazione, oltre i limiti in queste fissate, ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti dalle parti, sia che siano stati eccepiti ma non fatti propri dal giudice a quo, sia che siano diretti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse ordinanze (ex plurimis, sentenze n. 271 del 2011, n. 236 del 2009, n. 56 del 2009, n. 86 del 2008)» (sentenza n. 203 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 56 del 2015).

4.2.– Profili di inammissibilità per irrilevanza sono stati prospettati anche nel giudizio promosso con l’ordinanza del Consiglio di Stato.

4.2.1.– Una parte costituita (la Carena spa Impresa di costruzioni) ha eccepito il difetto di rilevanza delle questioni: in via principale perché, contrariamente a quanto affermato dal rimettente, l’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare sarebbe stato implicitamente abrogato dall’art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016; in subordine, perché lo stesso art. 186-bis, sesto comma, non si applicherebbe al caso in cui il concordato preventivo con continuità aziendale dell’impresa mandataria di un RTI si sia chiuso prima della presentazione dell’offerta, a seguito del decreto di omologazione ex art. 181 della legge fallimentare, che determinerebbe il riacquisto della piena capacità contrattuale in capo all’operatore economico ritornato in bonis, come avvenuto nella fattispecie dedotta nel processo principale.

Entrambe le eccezioni sono infondate.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «una questione di legittimità può ritenersi validamente posta qualora il giudice a quo fornisca un’interpretazione non implausibile della disposizione contestata “che per una valutazione compiuta in una fase meramente iniziale del processo, egli ritenga di voler applicare nel giudizio principale e su cui nutra dubbi non arbitrari di conformità a determinate norme costituzionali” (sentenza n. 51 del 2015)» (sentenza n. 11 del 2018). È dunque sufficiente, ai fini della motivazione sulla rilevanza, che il rimettente illustri in modo non implausibile «le ragioni che giustificano l’applicazione della disposizione censurata e determinano la pregiudizialità della questione sollevata rispetto alla definizione del processo principale» (ex plurimis, sentenza n. 105 del 2018).

Risultano non implausibili, in primo luogo, le ragioni addotte dal giudice a quo sulla permanente vigenza, nella parte censurata, dell’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, che fanno leva, come visto, sulla specialità della norma rispetto a quella, di carattere generale, dell’art. 80, comma 5, lettera a), del d.lgs. n. 50 del 2016.

Tali ragioni trovano conforto negli univoci elementi offerti dall’evoluzione della normativa di riferimento. Il testo attualmente in vigore dell’art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016, sostituito dall’art. 1, comma 20, lettera o), numero 3), del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici), convertito, con modificazioni, nella legge 14 giugno 2019, n. 55, prevede l’esclusione dalla partecipazione alla procedura d’appalto dell’imprenditore che «sia stato sottoposto a fallimento o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o [nei cui confronti] sia in corso [...] un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto [...] dall’articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267».

Sebbene la disposizione, in tale nuova formulazione, sia applicabile solo a partire dalla sua entrata in vigore, è evidente che, rinviando di nuovo espressamente all’art. 186-bis della legge fallimentare, il legislatore ha inteso rimediare a quello che, nell’originaria versione dell’art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016, appariva un mero difetto di coordinamento con la legge fallimentare. Coordinamento mantenuto anche nella nuova modifica dello stesso art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016 – introdotta dall’art. 372, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155), la cui entrata in vigore, già fissata al 15 agosto 2020, è stata recentemente differita al 1° settembre 2021 dall’art. 5, comma 1, del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali), in corso di conversione – che sostituisce il riferimento all’art. 186-bis della legge fallimentare con quello all’art. 95 dello stesso codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che al comma 5 riproduce letteralmente il contenuto del sesto comma del citato art. 186-bis.

Anche la motivazione sull’applicabilità della norma censurata all’ipotesi del concordato preventivo omologato consente alla questione di superare il vaglio di ammissibilità, poiché il giudice a quo ha argomentato non implausibilmente in ordine alla permanenza in capo agli organi della procedura concorsuale, anche dopo l’omologazione del concordato preventivo, di «ampi poteri di intervento», tali da giustificare una disciplina uniforme della partecipazione dell’impresa in concordato di continuità alle gare pubbliche per tutte le fasi del concordato preventivo e sino alla sua definitiva esecuzione.

4.2.2.– L’inammissibilità delle questioni sollevate dal Consiglio di Stato, per difetto di motivazione sulla rilevanza, è stata eccepita sotto un diverso profilo da un’altra parte costituita nel giudizio costituzionale (la Itinera spa, appellante nel processo principale).

A suo avviso, la stazione appaltante, nell’aggiudicare l’appalto al raggruppamento capeggiato dalla Carena spa Impresa di costruzioni, avrebbe erroneamente ritenuto che il decreto di omologazione comporti la chiusura del concordato preventivo, omettendo così di verificare in concreto la sussistenza delle condizioni di applicabilità dell’eccezionale deroga al divieto di partecipazione alle gare delle imprese sottoposte a procedure concorsuali posta dall’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare. Di conseguenza il giudice a quo, muovendo dalla tesi (condivisa dall’eccipiente) per cui lo stato di concordato preventivo non si chiude con l’omologazione, ma con il decreto che accerta l’adempimento del piano concordatario, avrebbe dovuto esporre le ragioni che lo hanno indotto a valutare nel merito la sussistenza delle anzidette condizioni di applicabilità anziché annullare senz’altro l’aggiudicazione lasciando alla stazione appaltante tale valutazione «in sede di rinnovazione del segmento procedimentale illegittimo», ai sensi dell’art. 34, comma 2, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), secondo cui «in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esauriti».

Nemmeno questa eccezione è fondata, poiché il giudice a quo ha dato conto in modo sufficiente e non implausibile, come visto, della necessità di applicare la norma censurata per definire il processo principale.

4.2.3.– Nella memoria illustrativa, la Itinera spa chiede poi che questa Corte restituisca gli atti al Consiglio di Stato perché valuti nuovamente la rilevanza della questione, deducendo che nel giudizio a quo sarebbe venuta meno la necessità di applicare la disposizione censurata per definire il merito, essendosi verificati i presupposti per una pronuncia in rito di cessazione della materia del contendere. Le circostanze sopravvenute sarebbero la dichiarazione di fallimento della mandataria del RTI aggiudicatario dell’appalto, la revoca dell’aggiudicazione e la successiva aggiudicazione a favore del RTI di cui è mandataria la stessa Itinera spa, provvedimenti, questi ultimi, entrambi non impugnati. Ciò avrebbe comportato il «totale soddisfacimento dell’interesse di Itinera spa, nuova e incontestata aggiudicataria dell’appalto».

La richiesta di restituzione degli atti non è fondata.

Per costante giurisprudenza, «il giudizio incidentale di costituzionalità è autonomo rispetto al giudizio a quo, nel senso che non risente delle vicende di fatto successive all’ordinanza di rimessione che concernono il rapporto dedotto nel processo principale, come previsto dall’art. 18 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Pertanto, la rilevanza della questione deve essere valutata alla luce delle circostanze sussistenti al momento dell’ordinanza di rimessione, senza che assumano rilievo eventi sopravvenuti (ex plurimis, sentenze n. 242 e n. 162 del 2014, n. 120 del 2013, n. 274 e n. 42 del 2011)» (ex plurimis, sentenza n. 264 del 2017), tra i quali deve ritenersi compresa anche la cessazione, per qualsiasi causa, della materia del contendere nel giudizio rimasto sospeso davanti al rimettente.

5.– Nel merito, occorre prendere le mosse dalle dedotte violazioni dell’art. 3 Cost.

Il TAR rimettente lamenta la lesione del principio di uguaglianza per la irragionevole disparità di trattamento fra l’impresa mandataria di un RTI, esclusa dalla partecipazione alle gare, e l’impresa che concorra individualmente o che rivesta la qualità di mandante, che invece può parteciparvi (alla condizione, quest’ultima, che non vi siano altre imprese riunite sottoposte a procedure concorsuali).

Le censure poggiano sull’assunto che per tutte le situazioni considerate, diverse tra loro solo per il modulo partecipativo alla gara, varrebbe la stessa esigenza di favorire il superamento della crisi d’impresa sottesa all’istituto del concordato preventivo con continuità aziendale, in deroga al generale divieto di partecipazione alle gare pubbliche per le imprese sottoposte a procedure concorsuali, e che non vi sarebbe motivo di differenziare la posizione dell’impresa mandataria di un RTI che non si presenterebbe, sotto questo profilo, diversa dalla altre.

Per quanto riguarda in particolare il raffronto con l’impresa «singola», il rimettente osserva che questa risponde da sola e in toto dell’esecuzione del contratto, mentre nel caso di offerta presentata da una pluralità di imprese riunite in RTI tutte sono responsabili dell’esecuzione per la parte di propria competenza e la mandataria lo è inoltre solidalmente nei RTI verticali, in cui le prestazioni principali gravano su di essa e quelle secondarie sulle mandanti. L’ipotesi della partecipazione alla gara della mandataria sottoposta a concordato preventivo con continuità aziendale non presenterebbe dunque per la stazione appaltante pregiudizi o rischi maggiori rispetto all’ipotesi della partecipazione di un’impresa singola.

Il Consiglio di Stato solleva analoghi profili di illegittimità, prospettando: a) un’irragionevole disparità di trattamento – “esterna” al censurato art. 186-bis, sesto comma – fra l’impresa mandataria di un RTI e quella che partecipa individualmente oppure come mandataria di un consorzio ordinario di concorrenti di cui all’art. 45, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 50 del 2016; b) un’ulteriore irragionevole disparità di trattamento – questa volta “interna” alla disposizione censurata – fra l’impresa mandataria e l’impresa mandante di un RTI, che si trovino in concordato preventivo con continuità aziendale.

Il diverso trattamento non sarebbe giustificato dalla qualità di rappresentante esclusiva del raggruppamento assunta dalla mandataria nei confronti della stazione appaltante. Anche la mandataria infatti conclude il contratto alla stessa stregua di un operatore economico che partecipa singolarmente, con la sola differenza che gli effetti dei suoi atti si riverberano nella sfera giuridica delle mandanti. Il conferimento poi della rappresentanza esclusiva processuale non sarebbe decisivo in senso contrario, in quanto ai sensi dell’art. 48, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016 la stazione appaltante può comunque «far valere direttamente le responsabilità facenti capo ai mandanti».

Un diverso trattamento non sarebbe giustificato neppure dal regime di responsabilità solidale dell’impresa mandataria, in quanto tale regime, efficace anche per le mandanti, sarebbe «identico a quello dell’impresa che abbia stipulato il contratto singolarmente» e si risolverebbe nell’obbligo di eseguire per intero la prestazione dedotta in contratto o di risarcire l’intero danno da inadempimento. Si tratterebbe dunque di un regime di responsabilità contrattuale addirittura più favorevole per la stazione appaltante, giacché il creditore beneficerebbe della solidarietà fra i debitori.

A queste censure il Consiglio di Stato aggiunge quella di irragionevolezza “intrinseca” della disposizione della cui legittimità dubita per l’incongruenza della scelta operata dal legislatore di precludere in modo assoluto la partecipazione alle gare dell’impresa mandataria di un RTI rispetto all’obiettivo di tutela dei creditori dell’impresa in concordato preventivo. Tale preclusione – che sottrae al giudice della procedura concorsuale la «valutazione comparata tra commessa da affidare e stato dell’impresa» – negherebbe «la chance di ottenere un flusso di denaro utile al superamento dello stato di crisi».

5.1. Le questioni non sono fondate.

La ratio della norma censurata è individuabile nella finalità di tutelare l’interesse pubblico al corretto e puntuale adempimento delle prestazioni oggetto del contratto. In questa prospettiva, il divieto di cui all’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare tende a scongiurare il rischio che la parte pubblica, all’esito della procedura di affidamento, si trovi in una relazione contrattuale con imprenditori non affidabili sotto il profilo economico e finanziario.

Si tratta dunque della stessa ratio che ispira la regola generale di esclusione dalle gare per l’affidamento di appalti pubblici dell’imprenditore sottoposto a procedure concorsuali, prevista prima all’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006 e poi all’art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016. La norma censurata, infatti, rende inapplicabile alla mandataria di un RTI la deroga all’esclusione dalle gare operante in favore delle imprese in concordato preventivo di continuità nel rispetto delle condizioni stabilite all’art. 186-bis della legge fallimentare.

In linea con la più generale finalità dell’istituto di favorire il superamento dello stato di crisi dell’azienda, la disciplina del concordato preventivo con continuità aziendale si caratterizza per la previsione di stabilità dei contratti in essere con le pubbliche amministrazioni, ex art. 186-bis, terzo comma, della legge fallimentare, e, al contempo, per la possibilità che l’impresa partecipi alle procedure di affidamento dei contratti pubblici. La deroga al divieto di partecipare a gare pubbliche mira dunque a consentire eccezionalmente alle imprese che si trovino in questa condizione di acquisire commesse pubbliche e garantire così una migliore soddisfazione dei creditori.

In questo contesto la norma censurata, escludendo dal beneficio la mandataria di un RTI, introduce un’eccezione all’eccezione, e quindi ripristina, per il caso da essa considerato, la ricordata regola generale in base alla quale chi è soggetto a procedure concorsuali non può partecipare alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici.

Ciò chiarito, il differente trattamento riservato all’impresa mandataria di un RTI in concordato di continuità, rispetto alle varie ipotesi poste a raffronto con essa dai giudici a quibus, trova giustificazione, nella prospettiva del legislatore, nella diversa modalità della sua partecipazione alla gara e, in caso di aggiudicazione, al rapporto contrattuale, rispetto alla partecipazione dell’impresa che concorra rispettivamente in forma singola, o in qualità di mandante di un RTI, o anche come mandataria di imprese che si costituiranno in consorzio. E tale prospettiva non comporta, come si vedrà, un irragionevole esercizio della discrezionalità legislativa.

Anche a voler ammettere che, dal punto di vista della tutela dell’interesse alla continuità aziendale, il regime di ammissione alle gare delle diverse imprese che si trovino in concordato non vari in ragione della particolare forma della loro partecipazione, non vi è dubbio che la diversa modalità di partecipazione non è indifferente dal punto di vista dell’interesse della stazione appaltante, per la quale segnatamente la posizione dell’impresa mandataria di un RTI assume rilievo e valore differenziato.

Pur non dando vita a un autonomo soggetto giuridico, nondimeno un RTI presenta infatti una struttura complessa, che va al di là delle singole individualità delle imprese raggruppate e rispetto alla quale l’impresa mandataria rappresenta il punto di riferimento della stazione appaltante per tutta la durata del rapporto contrattuale. Dell’amministrazione appaltante essa costituisce infatti il diretto interlocutore per conto di tutte le imprese riunite, quale loro rappresentante esclusiva e quale garante, anche per conto delle mandanti, della corretta esecuzione dell’appalto.

La mandataria, oltre a rispondere in proprio delle prestazioni prevalenti o principali, è sempre responsabile in solido nei confronti della stazione appaltante per l’esecuzione di tutte le prestazioni previste dal bando di gara, anche quelle scorporabili o secondarie di competenza delle mandanti. La partecipazione alla gara di una mandataria in concordato preventivo con continuità aziendale potrebbe costituire motivo di pregiudizio aggiuntivo per la stazione appaltante, che si vedrebbe esposta al rischio del fallimento dell’unico debitore comunque solidale. È appena il caso di osservare che da questo angolo visuale essa costituirebbe un rischio maggiore anche per i creditori dell’impresa in concordato, a fronte della sopravvenienza di crediti prededucibili sorti da inadempimenti di soggetti diversi dal debitore.

Sebbene nei raggruppamenti di tipo orizzontale (in cui le prestazioni di tutte le imprese riunite sono omogenee e si distinguono solo sul piano quantitativo) anche le mandanti assumano una responsabilità solidale, tra esse e con la mandataria, il ruolo della mandataria rimane comunque, in questo stesso tipo di RTI, peculiare, in quanto il suo potere rappresentativo, anche processuale, agevola la stazione appaltante che – pur non perdendo la facoltà di agire direttamente nei confronti delle mandanti (ex art. 48, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016) – può limitarsi a rivolgersi direttamente ed esclusivamente alla mandataria per far valere in ogni sede, non ultimo quella giudiziale, le ragioni derivanti dall’esecuzione dell’intero contratto.

Le situazioni messe a confronto dai rimettenti, anche se accomunate dal fatto che si riferiscono sempre ad imprese sottoposte allo stesso tipo di procedura concorsuale, sono dunque diverse, mancando in quelle assunte a tertia comparationis le peculiarietà che connotano invece la posizione della mandataria in un RTI. Con la conseguenza che la norma censurata non può ritenersi irragionevolmente discriminatoria.

Tali peculiarità non ricorrono, né, come visto, nel caso delle mandanti di un RTI, né in quello dell’impresa che, sempre in forza di un rapporto di mandato, stipuli il contratto in nome e per conto delle mandanti prima della costituzione di un consorzio ordinario, ai sensi dell’art. 48, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016. In questa ipotesi, infatti, non opera il regime di responsabilità descritto per il raggruppamento, né la capogruppo è legittimata ad agire per conto delle mandanti, in quanto è il consorzio che, quale autonomo soggetto giuridico, risponde e agisce attraverso i suoi organi in base alle previsioni dell’atto costitutivo.

A conclusioni non diverse si deve pervenire anche per quanto riguarda l’impresa che concorre in forma individuale. Se è vero che, come hanno rilevato i rimettenti, anch’essa è tenuta, al pari della mandataria di un RTI, a eseguire per intero le prestazioni a cui è obbligata, per di più senza l’ausilio delle altre imprese riunite, la circostanza non è sufficiente a rendere omogenee le due fattispecie e dunque costituzionalmente necessaria la parità del loro trattamento normativo.

Occorre ricordare, a questo proposito, il favor espresso dalla legislazione per la partecipazione alle gare dei raggruppamenti temporanei di imprese, che risponde sia a una logica pro-concorrenziale, giacché la partecipazione in forma riunita consente alle imprese di concorrere a commesse per le quali potrebbero non avere singolarmente i requisiti, sia all’interesse della stazione appaltante alla migliore realizzazione dell’appalto, tramite la valorizzazione delle risorse, dei requisiti tecnico-organizzativi e delle capacità economico-finanziarie delle imprese riunite.

Ai vantaggi offerti da tale formula organizzativa si contrappone, sul piano delle relazioni fra stazione appaltante e soggetto esecutore, la complicazione connessa alla descritta complessità strutturale del RTI, che, come visto, per un verso non dà luogo a un nuovo soggetto giuridico diverso dalle singole imprese, ma per altro verso le riunisce imputando a una di esse particolari funzioni di rappresentanza, responsabilità, e più in generale di interlocuzione con l’amministrazione per conto di tutte. Per queste ragioni, è innegabile che le modalità di relazione della stazione appaltante con un RTI siano peculiari e più complesse di quelle che essa potrebbe avere con un’impresa singola. Si pensi soltanto ai particolari rischi che tale modalità organizzativa può comportare in fase esecutiva, quando le esigenze di coordinamento delle prestazioni – che nel caso dell’impresa singola sono risolte nell’ambito della compagine aziendale – devono trovare soluzione nella relazione fra mandataria, unico diretto interlocutore dell’amministrazione per tutta la fase esecutiva, e imprese riunite, responsabili solo per le parti di rispettiva competenza.

Alle particolari esigenze di razionalizzazione delle relazioni fra RTI e stazione appaltante risponde la normativa che definisce il ruolo dell’impresa mandataria, consentendo, da un lato, che tramite essa un RTI possa partecipare alle procedure di affidamento in posizione paritaria rispetto a chi concorre in forme diverse, e apprestando, dall’altro lato, alcune cautele specifiche a tutela della stazione appaltante in relazione appunto al suo ruolo. In particolare, l’esclusione della mandataria in concordato con continuità aziendale dalla partecipazione alle gare – non prevista per l’impresa che concorre in forma individuale – è diretta a evitare che la crisi dell’impresa mandataria, conclamata dalla sua soggezione a concordato preventivo, metta in discussione il rapporto con l’amministrazione appaltante in maniera che il legislatore, nell’esercizio non irragionevole della sua discrezionalità, ha ritenuto non tollerabile: da ciò la scelta legislativa di sottrarre questa ipotesi al regime derogatorio.

Né l’irragionevolezza dell’esclusione emerge, come deduce il TAR del Lazio, dal confronto con la disposizione che, regolando il caso del fallimento della mandataria di un RTI in corso di contratto, consente alla stazione appaltante di proseguire il rapporto con un altro operatore economico che sia costituito mandatario, in possesso dei requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire (art. 37, comma 18, del d.lgs. n. 163 del 2006; art. 48, comma 17, del d.lgs. n. 50 del 2016). Se è vero che tale rimedio potrebbe in astratto adattarsi al caso del fallimento della mandataria già soggetta a concordato preventivo in continuità nella fase di partecipazione alla gara, l’argomento non ha rilievo ai fini della verifica di ragionevolezza della disposizione contestata, stante la diversa ratio della disciplina evocata. Mentre infatti il divieto di partecipazione alla gara per la mandataria in concordato di continuità è, come visto, funzionale all’interesse della stazione appaltante a selezionare contraenti ragionevolmente affidabili quanto a capacità di adempiere, la previsione della possibilità, in caso di fallimento della mandataria, di proseguire il rapporto per il tramite di una modificazione soggettiva del contratto è diretta a tutelare il diverso interesse pubblico a conservare il rapporto in corso, onde permettere il corretto svolgimento della prestazione sino alla sua completa esecuzione, evitando il recesso. Non è dunque possibile trarre da quest’ultima previsione alcuna conseguenza ai fini della valutazione della diversa disposizione sulla partecipazione alla gara.

Quanto alle ulteriori ragioni di pretesa irragionevolezza della censurata disparità di trattamento che il rimettente desume dall’evoluzione della normativa in materia – e segnatamente dal fatto che l’art. 80, comma 5, lettera b), del nuovo codice dei contratti pubblici, non rinviando più all’art. 186-bis della legge fallimentare, avrebbe superato il divieto di partecipazione alle gare della mandataria in concordato preventivo in continuità – esse sono smentite dai successivi sviluppi del quadro normativo che, come visto sopra (punto 4.2.1.), offrono invece argomenti di segno opposto. Il nuovo testo dell’art. 80, comma 5, lettera b), come sostituito dall’art. 1, comma 20, lettera o), numero 3), del d.l. n. 32 del 2019, conferma infatti in modo testuale la permanente vigenza del divieto di partecipazione alle gare della mandataria previsto dal sesto comma dell’art. 186-bis della legge fallimentare.

La rilevata diversità fra l’ipotesi regolata dalla norma censurata e le fattispecie normative in relazione alle quali i rimettenti lamentano un’irragionevole disparità di trattamento esclude dunque che si possa ritenere violato il principio di uguaglianza, posto che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, tale violazione sussiste qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili (ex plurimis: sentenze n. 155 del 2014, n. 108 del 2006, n. 340 e n. 136 del 2004).

5.1.1.– Resta da considerare infine il profilo della lamentata intrinseca irragionevolezza della norma censurata.

Come già accennato, la scelta in essa operata è il frutto del complesso bilanciamento operato dal legislatore tra l’interesse della stazione appaltante al corretto e puntuale adempimento della prestazione affidata nella particolare ipotesi del contratto concluso con un RTI, e l’interesse al superamento della crisi dell’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale, da perseguire anche attraverso la partecipazione dell’impresa stessa alle procedure di affidamento dei contratti pubblici al fine della migliore soddisfazione dei creditori. Si tratta dunque di una valutazione tipicamente rimessa alla discrezionalità del legislatore, che resta libero di operarla nei limiti della non manifesta irragionevolezza.

La scelta del legislatore di far prevalere nella fattispecie il primo dei descritti interessi – escludendo l’impresa mandataria di un RTI in concordato preventivo con continuità aziendale dalla possibilità di partecipare alle gare pubbliche – può essere considerata opinabile, giacché altre soluzioni avrebbero potuto legittimamente essere adottate, ma non supera i limiti entro i quali la discrezionalità legislativa si deve ritenere legittimamente esercitata. Essa si ispira infatti pur sempre alla ratio sottesa alla regola generale di esclusione dalle procedure di affidamento delle imprese sottoposte a procedure concorsuali, e tale regola fa riespandere in un’ipotesi nella quale lo stesso legislatore non irragionevolmente ha reputato necessarie cautele aggiuntive a protezione degli interessi della stazione appaltante.

Rientra a sua volta nell’ambito della discrezionalità del legislatore la scelta, censurata dal Consiglio di Stato, di vietare in modo assoluto la partecipazione alle gare della mandataria di RTI in concordato preventivo in continuità aziendale, anziché affidare il descritto bilanciamento alla valutazione caso per caso del giudice del concordato preventivo, e ne costituisce anch’essa non arbitraria né irrazionale espressione, tenuto conto del fatto che gli interessi da ponderare e contemperare nella vicenda sarebbero ulteriori e diversi rispetto a quelli dei creditori concordatari, che vengono in prevalente rilievo in sede concorsuale.

5.2.– I rimettenti lamentano anche la violazione dell’art. 41 Cost. Le censure sono pressoché sovrapponibili: per il TAR l’irragionevolezza dell’esclusione dalle gare dell’impresa mandataria comporterebbe un’ingiustificata limitazione della libertà di iniziativa economica; per il Consiglio di Stato la denunciata irragionevolezza limiterebbe l’autonomia contrattuale dell’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale, anziché favorirne «il libero dispiegarsi», in conformità all’utilità sociale, per l’acquisizione di clienti di sicura affidabilità, quali i soggetti pubblici.

Inoltre, secondo il Consiglio di Stato sarebbe limitato ingiustificatamente anche il potere delle pubbliche amministrazioni di scegliere il contraente più qualificato e capace, con violazione del principio di buon andamento ex art. 97 Cost.

Quanto alla denunciata violazione dell’art. 41 Cost., per costante giurisprudenza di questa Corte la tutela costituzionale della sfera dell’autonomia privata non è assoluta, in quanto «non è configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale, come sancito dall’art. 41, secondo comma, Cost., purché, per un verso, l’individuazione di quest’ultima non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue (ex plurimis, sentenze n. 56 del 2015, n. 247 e n. 152 del 2010 e n. 167 del 2009)» (ex plurimis, sentenza n. 203 del 2016).

Alla luce di tali criteri, le questioni non sono fondate.

L’utilità sociale come limite all’esercizio della libertà di iniziativa economica va individuata, infatti, nel descritto perseguimento dell’interesse pubblico al corretto e puntuale adempimento delle prestazioni contrattuali, nel caso di specie privilegiato dal legislatore che ha scelto di precludere le gare all’impresa mandataria di un RTI in concordato preventivo con continuità aziendale. La conformità di tale scelta alla regola generale di non ammissione delle imprese soggette a procedure concorsuali ne esclude l’arbitrarietà e la palese incongruità rispetto allo scopo perseguito.

Quanto alla violazione dell’art. 97 Cost., le esposte considerazioni sulla ratio giustificativa della norma ne dimostrano invece la coerenza con l’interesse della stazione appaltante a scegliere il contraente più affidabile e capace di adempiere, in piena conformità, anziché in contrasto, con il principio di buon andamento. Da qui la non fondatezza anche di tale questione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 186-bis, quinto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), come introdotto dall’art. 33, comma 1, lettera h), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in riferimento agli artt. 3, 41 e 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) e dell’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, sollevate dal Consiglio di Stato, sezione quinta, in riferimento agli artt. 3, 41 e 97 Cost., con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 2020.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Daria de PRETIS, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2020.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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