SENTENZA N. 95
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 299 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, recante «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia (Testo B)», trasfuso nell’art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l’art. 42 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), e dell’art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R. n. 115 del 2002, come introdotti dall’art. 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), promossi complessivamente dal Magistrato di sorveglianza di Pisa con ordinanza del 15 gennaio 2019 e dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria con ordinanza del 16 aprile 2019, rispettivamente iscritte ai numeri 63 e 117 del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, numeri 18 e 35, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2020 il Giudice relatore Franco Modugno;
deliberato nella camera di consiglio del 30 gennaio 2020.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza depositata il 15 gennaio 2019 (r. o. n. 63 del 2019), il Magistrato di sorveglianza di Pisa ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l’art. 42 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468).
1.1.– In fatto, il giudice a quo premette che F. T. è stato condannato dal Giudice di pace di Asti con sentenza del 21 maggio 2013, divenuta irrevocabile il 24 giugno 2013, alla pena di 5.000 euro di ammenda. La Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Asti, avendo rilevato l’impossibilità di esazione della somma, ha richiesto la conversione della pena pecuniaria in libertà controllata al Magistrato di sorveglianza di Genova, il quale ha trasmesso gli atti al Magistrato di sorveglianza di Pisa, essendo F. T. detenuto presso la casa circondariale di Pisa. Il Magistrato di sorveglianza di Pisa ha ritenuto la propria incompetenza per materia e trasmesso gli atti al Giudice di pace di Asti, il quale, a sua volta, ha sollevato conflitto negativo di competenza, trasmettendo gli atti alla Corte di cassazione. Con pronuncia del 15 novembre 2018, la Corte di cassazione ha dichiarato la competenza del Magistrato di sorveglianza di Pisa, rimettendo gli atti a quest’ultimo per la decisione di merito.
All’esito del conflitto di competenza, il Magistrato di sorveglianza di Pisa ritiene che il sistema normativo vigente, in forza del quale è stata riconosciuta la competenza del magistrato di sorveglianza a decidere in ordine a una richiesta di conversione per insolvibilità della pena pecuniaria irrogata dal giudice di pace, sia il frutto di un intervento del legislatore delegato affetto da eccesso di delega e, dunque, contrastante con l’art. 76 Cost.
1.2.– In punto di diritto, il rimettente osserva come, in sede di risoluzione del conflitto di competenza, la Corte di cassazione abbia ricostruito puntualmente la genesi dell’attuale assetto normativo.
L’esecuzione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace era originariamente disciplinata dall’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, il quale stabiliva che essa aveva luogo ai sensi dell’art. 660 del codice di procedura penale. Nell’ottica di concentrare le competenze in executivis, si prevedeva, tuttavia, che l’accertamento dell’effettiva insolvibilità del condannato fosse svolto – anziché dal magistrato di sorveglianza, come stabilito in termini generali dal citato art. 660 cod. proc. pen. – dallo stesso giudice di pace competente per l’esecuzione, che adottava anche i provvedimenti in ordine alla rateizzazione o alla conversione della pena pecuniaria.
L’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000 è stato, peraltro, abrogato dall’art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002, il quale ha accorpato le disposizioni legislative di cui al decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, recante «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia (Testo B)», e le disposizioni regolamentari di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 114, recante «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo C)». Tale intervento abrogativo si inseriva nel più ampio disegno volto ad attribuire in via generale, con l’art. 238 del testo unico, al giudice dell’esecuzione i procedimenti di conversione delle pene pecuniarie: prospettiva nella quale lo stesso art. 299 abrogava anche l’art. 660 cod. proc. pen., che affidava originariamente, come detto, al magistrato di sorveglianza i procedimenti in questione.
Con la sentenza n. 212 del 2003, la Corte costituzionale ha dichiarato, tuttavia, illegittimi, per eccesso di delega, gli artt. 238 e 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, quest’ultimo nella parte in cui aveva abrogato l’art. 660 cod. proc. pen. A seguito di tale pronuncia, l’intera materia della conversione delle pene pecuniarie era confluita – secondo la Corte di cassazione, chiamata a risolvere il conflitto negativo di competenza sopra indicato – nelle competenze del magistrato di sorveglianza. Avendo la Corte costituzionale dichiarato illegittimo l’art. 299 del testo unico solo parzialmente, restava infatti salvo l’effetto abrogativo di tale norma sull’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, che prevedeva precedentemente, in via derogatoria, la competenza del giudice di pace.
Di qui la conclusione che in tutti i casi in cui sorga una questione di conversione per insolvibilità della pena pecuniaria irrogata da un giudice di pace debba provvedere il magistrato di sorveglianza territorialmente competente.
1.3.– Ad avviso del giudice a quo, la «lucida esposizione» della Corte di cassazione avrebbe dovuto condurre, in realtà, a un diverso approdo: ossia a ritenere che l’art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002 sia costituzionalmente illegittimo anche nella parte in cui ha abrogato l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000; norma, quest’ultima, che dovrebbe «essere restituita a piena vigenza (ex tunc) esattamente come l’art. 660 c.p.p.», ripristinando, in tal modo, la competenza del giudice di pace in materia di conversione delle pene pecuniarie dallo stesso irrogate.
Le ragioni dell’incostituzionalità sarebbero già state espresse dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 212 del 2003, con la quale si è affermato che, «indipendentemente dall’ampiezza dei contorni che vogliano attribuirsi alla materia delle spese di giustizia» – alla quale risultava circoscritta la delega legislativa conferita dalla legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998), esercitata nella specie – il legislatore delegato era «sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie», tesa a modificare radicalmente le regole di competenza. Quest’ultima affermazione sarebbe riferibile all’intervento normativo nel suo complesso e quindi, sebbene la declaratoria di incostituzionalità sia stata limitata all’art. 299 nella parte in cui abrogava l’art. 660 cod. proc. pen., anche all’art. 299 nella parte in cui ha abrogato l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000.
Di qui, dunque, la non manifesta infondatezza della questione.
Quanto alla rilevanza, l’accoglimento della questione sarebbe «decisiv[o]» nel procedimento di sorveglianza in corso, poiché costituirebbe un elemento nuovo e risolutivo per affermare la competenza del Giudice di pace di Asti.
2.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.
2.1.– La difesa dello Stato reputa la questione inammissibile sotto plurimi profili.
2.1.1.– In primo luogo, il rimettente avrebbe omesso qualsiasi tentativo di interpretazione conforme a Costituzione: mancanza che connoterebbe la questione alla stregua di una mera richiesta di avallo interpretativo «rispetto ad una tra le varie scelte ermeneutiche possibili».
2.1.2– In secondo luogo, la questione sarebbe inammissibile per carenza del requisito della rilevanza nel giudizio a quo.
L’Avvocatura generale dello Stato ricorda, infatti, che dal combinato disposto degli artt. 32 e 25 cod. proc. pen. deriva l’impossibilità, una volta che il conflitto di competenza sia stato deciso dalla Corte di cassazione, di rimettere in discussione il merito della questione di competenza, salvo che risultino nuovi fatti che comportino una diversa definizione giuridica da cui derivi la competenza di un giudice superiore. Secondo la giurisprudenza di legittimità, per nuovi fatti dovrebbero intendersi nuovi accadimenti storici e non anche situazioni o qualificazioni giuridiche e, d’altra parte, l’efficacia vincolante della decisione sulla competenza opera anche con riferimento al giudizio di esecuzione.
Alla luce di tale orientamento, il rimettente non dovrebbe più occuparsi della questione di competenza, sicché le norme contestate non potrebbero trovare applicazione nel giudizio a quo. Ciò, senza considerare che il Magistrato di sorveglianza di Pisa nel giudizio di rinvio dovrebbe uniformarsi, comunque sia, al principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione, essendosi sul punto formato il giudicato interno.
2.1.3.– Da ultimo, la questione sarebbe inammissibile anche per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza. Il giudice a quo si sarebbe, infatti, limitato a richiamare quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 212 del 2003, senza chiarire in alcun modo in cosa sia consistito l’eccesso di delega relativamente alla competenza penale del giudice di pace: indicazione da ritenere necessaria a fronte del fatto che tale sentenza si era limitata a censurare, per violazione dell’art. 76 Cost., solo la radicale modifica della competenza generale del magistrato di sorveglianza.
2.2.– L’Avvocatura generale dello Stato ritiene, in subordine, la questione infondata.
La difesa statale rileva, infatti, che l’art. 238 del d.P.R. n. 115 del 2002, colpito anch’esso dalla declaratoria di incostituzionalità, attribuiva in via generale la competenza per la conversione al giudice dell’esecuzione e, dunque, sostituiva anche l’abrogato art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, che attribuiva parziali competenze al giudice di pace. Di conseguenza, una volta rimosso l’art. 238 del testo unico, la reviviscenza del citato art. 42 non sarebbe più possibile.
La declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 238 del d.P.R. n. 115 del 2002 avrebbe fatto sì che il principio generale della competenza del giudice dell’esecuzione (compreso il giudice di pace) non trovi più applicazione in rapporto all’istituto della conversione della pena pecuniaria, rispetto al quale unica norma residuata e con portata generale sarebbe l’art. 660 cod. proc. pen.
3.– Con ordinanza depositata il 16 aprile del 2019 (r. o. n. 117 del 2019), il Magistrato di sorveglianza di Alessandria ha sollevato questioni di legittimità costituzionale:
a) dell’art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, trasfuso nel d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui abroga l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, in riferimento all’art. 76 Cost.;
b) nonché, «in via “indotta” dall’eventuale accoglimento» della prima questione, dell’art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R. n. 115 del 2002, aggiunto dall’art. 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), nella parte in cui, facendo riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione delle pene pecuniarie per insolvibilità del debitore, «parla specificamente di “magistrato di sorveglianza competente”, anziché genericamente di “giudice competente”», in relazione agli artt. 3, 97, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.
3.1.– Il giudice a quo premette di essere stato investito dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Alessandria della richiesta di conversione della pena pecuniaria inflitta a R. Q. con sentenza emessa dal Giudice di pace di Alessandria il 17 novembre 2010, divenuta irrevocabile il 17 gennaio 2011. La richiesta, formulata l’11 dicembre 2018, era stata presentata al giudice rimettente in quanto la Corte di cassazione, in sede di risoluzione di un conflitto di competenza tra il medesimo giudice e il Giudice di pace di Alessandria, insorto in un diverso e precedente procedimento, aveva dichiarato la competenza della magistratura di sorveglianza in materia.
3.2.– In punto di diritto, il rimettente si diffonde preliminarmente nell’analitica ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
Il giudice a quo rileva che l’art. 660 cod. proc. pen. del 1988 aveva trasferito al magistrato di sorveglianza il compito, precedentemente attribuito al pubblico ministero o al pretore, di accertare l’effettiva insolvibilità del condannato a pena pecuniaria, nonché di disporre la rateizzazione di quest’ultima e la sua eventuale conversione in sanzione sostitutiva (libertà controllata o lavoro sostitutivo, ai sensi dell’art. 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale»). Il procedimento di conversione – regolato, oltre che dal citato art. 660 cod. proc. pen., dagli artt. 181 e 182 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) e dall’art. 30 del d.m. 30 settembre 1989, n. 334 (Regolamento per l’esecuzione del codice di procedura penale) – si caratterizzava, peraltro, per una accentuata frammentazione di competenze (vedendo coinvolti la cancelleria del giudice dell’esecuzione, il pubblico ministero e il magistrato di sorveglianza), con ripetuti e inutili passaggi da un ufficio all’altro.
Nell’affiancare al modello ordinario di procedimento penale un procedimento specifico per i reati devoluti alla competenza del giudice di pace, il d.lgs. n. 274 del 2000 aveva inteso valorizzare il ruolo di quest’ultimo anche nell’esecuzione delle pene pecuniarie, attribuendo allo stesso giudice onorario le competenze in tema di conversione demandate dall’art. 660 cod. proc. pen. al magistrato di sorveglianza (art. 42). Ciò, in correlazione alle peculiarità di tale nuovo modello – nel quale, tra l’altro, la pena pecuniaria ineseguita si converte in sanzioni sostitutive di diverso tipo (permanenza domiciliare o lavoro di pubblica utilità, ai sensi dell’art. 55 del d.lgs. n. 274 del 2000) – e al dichiarato fine di evitare gli inconvenienti derivanti dalla frammentazione di competenze determinata dalla norma generale del codice di rito.
I due “sistemi” di conversione venivano sostituiti e unificati dal d.P.R. n. 115 del 2002, il quale, nel Titolo IV della Parte VII (artt. 235-239) regolava l’intera materia relativa alla riscossione delle pene pecuniarie in tutte le sue fasi, demandando il procedimento di conversione al «giudice dell’esecuzione competente» (artt. 237 e 238): ossia al giudice individuato dall’art. 665 cod. proc. pen., quanto alle pene inflitte dal giudice professionale, e dall’art. 40, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, quanto alle pene irrogate dal giudice onorario (di regola, il giudice di pace che ha emesso il provvedimento di condanna).
Per evitare problemi di coordinamento o di sovrapposizione tra la nuova normativa e quella preesistente, venivano quindi espressamente abrogati tanto l’art. 660 cod. proc. pen. e gli artt. 181 e 182 norme att. cod. proc. pen., quanto l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000 (art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, trasfuso nel d.P.R. n. 115 del 2002).
Le norme sulla competenza a disporre la conversione della pena pecuniaria in sanzione sostitutiva recate dal d.lgs. n. 113 del 2002, e indi dal d.P.R. n. 115 del 2002, erano, dunque, innovative rispetto alle pene pecuniarie applicate da un giudice “ordinario”, perché trasferivano la competenza dal magistrato di sorveglianza al giudice dell’esecuzione: non, invece, rispetto alle pene applicate da un giudice di pace, in quanto la competenza permaneva, come in precedenza, in capo allo stesso giudice di pace, in funzione di giudice dell’esecuzione.
3.3.– Questo assetto normativo veniva, peraltro, subito «sconvolto» dalla sentenza della Corte costituzionale n. 212 del 2003, che dichiarava illegittimi gli artt. 237, 238 e 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, quest’ultimo nella parte in cui abrogava l’art. 660 cod. proc. pen. La Corte riteneva non condivisibile il convincimento espresso dal legislatore delegato, secondo il quale la disciplina considerata rientrava nell’oggetto della delega conferita dall’art. 7 della legge n. 50 del 1999, in ragione della sostanziale «comunanza» della materia delle pene pecuniarie con quella delle spese di giustizia. Specie nelle materie coperte da riserva assoluta di legge – quale quella della competenza del giudice, ai sensi dell’art. 25 Cost. – l’esistenza della delega non poteva essere, infatti, desunta dalla mera «connessione» con l’oggetto della delega stessa: prospettiva nella quale il legislatore delegato doveva ritenersi senz’altro privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse una radicale modifica delle regole di competenza.
Ad avviso del rimettente la Corte avrebbe dichiarato, dunque, l’incostituzionalità non sulla base di una «ipotetica (ed inesistente) competenza “naturale” ed inderogabile in subiecta materia della magistratura di sorveglianza, ma solo per vizio di eccesso di delega». Nell’occasione – secondo il rimettente – la Corte non si sarebbe posta il problema dell’incostituzionalità dell’art. 299 del d.lgs n. 113 del 2002, nella parte in cui abrogava anche l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, solo perché tenuta a conformarsi al principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, ma «la logica interna» della sentenza n. 212 del 2003 era sicuramente quella di ritenere costituzionalmente illegittima qualsiasi innovazione, da parte del legislatore delegato, alle preesistenti regole di competenza in subiecta materia.
Aggiunge il giudice a quo che con la medesima sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato, peraltro, illegittimi anche gli artt. 237 e 238 del d.lgs. n. 113 del 2002, i quali non si limitavano a incidere sulle regole competenziali in questione, ma disciplinavano anche ex novo l’attivazione del procedimento giurisdizionale di conversione, già regolata dagli abrogati artt. 181 e 182 norme att. cod. proc. pen. Persistendo tale abrogazione, si è venuto quindi a determinare un vuoto normativo, quanto al momento di raccordo tra la fase amministrativa di riscossione della pena pecuniaria e quella giurisdizionale di conversione.
Al solo scopo – secondo il rimettente – di colmare tale vuoto, la recente legge n. 205 del 2017 ha, quindi, aggiunto al d.P.R. n. 115 del 2002 l’art. 238-bis, inteso appunto a disciplinare – come indicato dalla sua rubrica – l’«[a]ttivazione delle procedure di conversione delle pene pecuniarie non pagate». La nuova disposizione, nondimeno, ai commi 2, 5, 6 e 7, menziona ripetutamente, quale organo giurisdizionale competente, il «magistrato di sorveglianza».
3.4.– A fronte di tale quadro normativo, la Corte di cassazione, nel risolvere il conflitto di competenza insorto tra il giudice a quo e il Giudice di pace di Asti nell’ambito di un distinto procedimento, aveva disatteso l’interpretazione “adeguatrice” prospettata dal rimettente stesso, secondo la quale la competenza in materia di conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace sarebbe rimasta radicata in capo a quest’ultimo, in base all’art. 40, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000. Secondo la Corte di legittimità, avendo la citata sentenza n. 212 del 2003 dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002 solo parzialmente, restava salva l’efficacia abrogativa di tale norma sull’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000: con la conseguenza che, difettando una disposizione che attribuisca al giudice di pace la competenza in materia di conversione delle pene pecuniarie, l’intera materia rimaneva regolata dal ripristinato art. 660 cod. proc. pen. Conclusione, questa, che sarebbe rimasta avvalorata dalla recente introduzione dell’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, laddove richiama la competenza unica del magistrato di sorveglianza (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 15 novembre-18 dicembre 2018, n. 56967).
Ad avviso del Magistrato di sorveglianza di Alessandria, tali argomenti non sarebbero persuasivi. L’orientamento ora ricordato è stato, tuttavia, ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in numerose altre pronunce, così da poter essere qualificato come vero e proprio diritto vivente: il che renderebbe «di fatto vana» l’adozione di una contraria interpretazione “costituzionalmente orientata”.
Sarebbe, di conseguenza, necessario sollevare questioni di legittimità costituzionale dell’art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002 (trasfuso nel d.P.R. n. 115 del 2002), nella parte in cui ha abrogato l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, e – «in via “indotta”» – dell’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui, ai commi 2, 5, 6 e 7, facendo riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione, «parla specificamente di “magistrato di sorveglianza competente” anziché genericamente di “giudice competente”».
3.5.– Con riguardo a entrambe le norme, le questioni sarebbero rilevanti, in quanto è stato attivato presso l’ufficio del giudice rimettente il procedimento di conversione di una pena pecuniaria inflitta dal giudice di pace, con la conseguenza che il rimettente stesso dovrebbe disporre le opportune indagini sull’insolvibilità del condannato, ai sensi dell’art. 238-bis, comma 6, del d.P.R. n. 115 del 2002. Di contro, la declaratoria di incostituzionalità delle norme censurate comporterebbe una pronuncia di incompetenza, con restituzione degli atti al pubblico ministero per l’attivazione del procedimento davanti al giudice di pace competente.
3.6.– Quanto alla non manifesta infondatezza della prima questione, il giudice a quo ritiene che l’art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, nella parte in cui abroga l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, si ponga in contrasto con l’art. 76 Cost.
Alla stregua del diritto vivente formatosi a seguito della sentenza n. 212 del 2003, infatti, l’abrogazione del citato art. 42 – benché finalizzata al mero coordinamento con la nuova disciplina introdotta dallo stesso d.lgs. n. 113 del 2002 – avrebbe determinato una modifica sostanziale delle regole di competenza sulla conversione delle pene pecuniarie inflitte da un giudice di pace, trasferendo la competenza stessa dal giudice onorario al magistrato di sorveglianza.
In quest’ottica, la norma si rivelerebbe viziata da eccesso di delega per le medesime ragioni già poste in evidenza nella sentenza n. 212 del 2003, non avendo il legislatore delegato alcun potere di intervento in materia.
3.7.– Per quanto riguarda, invece, l’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, l’incostituzionalità di tale disposizione verrebbe «“[…]indotta”» – ossia «“creata”» – dall’auspicato accoglimento della prima questione, il quale, determinando la caducazione di una disposizione di abrogazione espressa di un’altra norma, avrebbe l’effetto di ripristinare ex tunc la vigenza dell’art. 42 del d.lgs. del 274 del 2000.
A fronte di ciò, l’incostituzionalità denunciata sarebbe prospettabile sotto due profili tra loro alternativi, secondo come il citato art. 238-bis venga interpretato.
Ove si assegni alla norma la sola funzione di disciplinare l’attivazione del procedimento di conversione della pena pecuniaria non pagata, essa sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. Facendo, infatti, riferimento al solo magistrato di sorveglianza, come organo competente per la conversione, la disposizione non si limiterebbe soltanto a regolare il raccordo fra la fase di esazione delle pene pecuniarie e quella della loro conversione, ma avrebbe una conseguenza «non prevista e (soprattutto) non voluta dal Legislatore»: quella, cioè, di escludere implicitamente la «competenza del giudice di pace prevista dal “resuscitato” art. 42» del d.lgs. n. 274 del 2000. In tal modo, peraltro, il contenuto della disposizione risulterebbe intrinsecamente contraddittorio rispetto alla sua ratio, con conseguente violazione del canone della ragionevolezza.
Ove, invece, si ritenga che con l’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 il legislatore abbia inteso anche disciplinare ex novo la competenza sulla conversione della pena pecuniaria, concentrandola «sempre e solo nella magistratura di sorveglianza», ciò comporterebbe che l’antinomia fra il ripristinato art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000 e la norma censurata debba essere risolta nel senso della prevalenza di quest’ultima, in quanto lex posterior.
In questa lettura, tuttavia, la disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 97, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.
Essa violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto l’attribuzione in via esclusiva della competenza al magistrato di sorveglianza, anche quando si tratti di pene pecuniarie irrogate dal giudice di pace, non troverebbe alcuna ragionevole giustificazione. Tale soluzione priverebbe il procedimento di conversione delle caratteristiche di snellezza e rapidità già assicurate dall’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000 con la concentrazione delle competenze in executivis in capo al giudice di pace, facendo sì che nel procedimento stesso debbano intervenire plurimi uffici giudiziari, con un irrazionale «“pendolarismo” tra l’uno e l’altro». Il procedimento ha, infatti, inizio con la richiesta di attivazione della conversione da parte del cosiddetto ufficio recupero crediti presso il giudice dell’esecuzione (art. 238-bis, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002), la quale deve essere trasmessa al pubblico ministero, senza peraltro che sia chiaro se si tratti del pubblico ministero presso il giudice dell’esecuzione o presso il magistrato di sorveglianza (donde un «primo “pericolo di stasi” del procedimento»). Il pubblico ministero deve quindi attivare la conversione presso il magistrato di sorveglianza competente, il quale va individuato in base a criteri diversi, ai sensi dell’art. 677 cod. proc. pen., secondo che il condannato sia detenuto o internato, ovvero in stato di libertà: con un «altro “pericolo di stasi”», dovendo il pubblico ministero effettuare ricerche per verificare se e dove l’interessato si trovi ristretto, ovvero dove abbia la residenza o il domicilio, se libero; elementi tutti che possono, d’altronde, subire variazioni nelle more della trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza. Nel caso, poi, in cui si accerti che il condannato è solvibile, il magistrato di sorveglianza deve restituire gli atti al pubblico ministero, perché chieda all’ufficio recupero crediti presso il giudice dell’esecuzione di riavviare le attività di riscossione (come si desume dagli artt. 238-bis, comma 7, e 239 del d.P.R. n. 115 del 2002); mentre, nel caso in cui venga disposta la conversione della pena o la sua rateizzazione, deve comunicare il provvedimento al medesimo ufficio perché, a sua volta, provveda a comunicarlo all’agente di riscossione (art. 238-bis, comma 8, del d.P.R. n. 115 del 2002).
La norma censurata avrebbe, in questo modo, «effetti gravemente dilatori», che implicherebbero una lesione del principio di ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.), non compensata dall’esigenza di dare attuazione ad altri principi costituzionali.
Essa stravolgerebbe, inoltre, «la coerenza interna di quell’autonomo “microsistema di tutela integrata” rappresentato dal procedimento penale davanti al giudice di pace», determinando una immotivata «“intrusione” in quel procedimento […] di un giudice “professionale” o “togato” quale è il magistrato di sorveglianza», che si troverebbe ad applicare, in sede di conversione, sanzioni facenti parte dell’armamentario sanzionatorio tipico ed esclusivo del giudice onorario.
Sul fronte opposto, la disposizione denunciata provocherebbe un altrettanto ingiustificato incremento dei compiti della magistratura di sorveglianza, già gravata di sempre più numerose attribuzioni dalla recente «legislazione emergenziale» in tema di contenimento del sovraffollamento carcerario, senza un corrispondente adeguamento delle risorse umane e materiali: con conseguente compromissione anche del principio di buon andamento dell’amministrazione della giustizia (art. 97, secondo comma, Cost.).
4.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile.
La difesa statale deduce che le questioni non sarebbero preordinate a risolvere il dubbio di legittimità costituzionale, ma mirerebbero ad ottenere un «improprio avallo» interpretativo, teso a confutare il diverso orientamento espresso dalla Corte di cassazione, tanto più che la richiesta si fonderebbe «sull’esistenza di una presunta volontà storica del legislatore».
Per quanto riguarda, poi, le singole censure, l’Avvocatura generale dello Stato deduce, per un verso, che i dubbi di costituzionalità riferiti all’art. 3 Cost. sarebbero stati prospettati «senza peraltro individuare il tertium comparationis» e, per un altro verso, che le doglianze relative alla violazione degli artt. 97, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., sarebbero state formulate senza «minimamente giustificare l’assunto che la scelta legislativa […] pregiudicherebbe celerità e buon andamento dell’amministrazione della giustizia».
Considerato in diritto
1.– Il Magistrato di sorveglianza di Pisa (ordinanza r. o. n. 63 del 2019) dubita della legittimità costituzionale dell’art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l’art. 42 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468).
Il giudice a quo rileva che il citato art. 42 attribuiva al giudice di pace, in funzione di giudice dell’esecuzione, la competenza in tema di conversione per insolvibilità del condannato delle pene pecuniarie inflitte dallo stesso giudice onorario. Ciò in deroga alla generale competenza del magistrato di sorveglianza in materia, prevista dall’art. 660 del codice di procedura penale.
Tanto l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, quanto l’art. 660 cod. proc. pen. erano stati abrogati dall’art. 299 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, recante «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia (Testo B)», confluito nel d.P.R. n. 115 del 2002, in correlazione alla generale attribuzione al giudice dell’esecuzione delle competenze in tema di conversione, disposta dall’art. 238 del medesimo d. lgs. n. 113 del 2002.
I citati artt. 238 e 299 – quest’ultimo limitatamente alla parte in cui aveva abrogato l’art. 660 cod. proc. pen. – sono stati dichiarati, tuttavia, costituzionalmente illegittimi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 212 del 2003, per eccesso di delega. Ciò, in quanto la legge di delegazione sulla cui base era stato emanato il decreto legislativo non consentiva al legislatore delegato di apportare modifiche alle regole di competenza in materia.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, avendo la sentenza n. 212 del 2003 ripristinato la vigenza della norma generale dell’art. 660 cod. proc. pen., ma non anche quella della norma derogatoria di cui all’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, la competenza sulla conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace spetterebbe anch’essa, allo stato, al magistrato di sorveglianza.
In quest’ottica, peraltro, l’abrogazione del citato art. 42, disposta dalla norma censurata, dovrebbe ritenersi essa pure in contrasto con l’art. 76 della Costituzione, per le medesime ragioni poste in evidenza dalla citata sentenza n. 212 del 2003, essendone scaturita una modifica non consentita del pregresso assetto delle competenze.
2.– Analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, trasfuso nell’art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui abroga l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, è sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria (ordinanza r. o. n. 117 del 2019).
Quest’ultimo dubita, peraltro – «in via “indotta” dall’eventuale accoglimento» della prima questione –, anche della legittimità costituzionale dell’art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R. n. 115 del 2002, aggiunto dall’art. 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), nella parte in cui, facendo riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione delle pene pecuniarie per insolvibilità del debitore, «parla specificamente di “magistrato di sorveglianza competente”, anziché genericamente di “giudice competente”».
Secondo il giudice a quo, ove a tale disposizione fosse assegnata la sola funzione di disciplinare la fase di attivazione del procedimento di conversione, essa si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., per l’intrinseca contraddittorietà tra il contenuto della norma e la sua ratio. Facendo riferimento in via esclusiva al magistrato di sorveglianza, il censurato art. 238-bis verrebbe, infatti, a produrre un effetto non previsto, né voluto dal legislatore: quello, cioè, di modificare implicitamente la competenza sulla conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace, che in base all’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000 – ripristinato ex tunc per effetto dell’auspicato accoglimento della prima questione – dovrebbe spettare al giudice onorario.
Ove, invece, si ritenesse che con la norma denunciata il legislatore abbia voluto disciplinare ex novo anche la competenza in subiecta materia, essa violerebbe egualmente l’art. 3 Cost., in quanto l’attribuzione della competenza al magistrato di sorveglianza, anche quando si tratti di pene pecuniarie irrogate dal giudice di pace, risulterebbe priva di ragionevole giustificazione, compromettendo la coerenza interna del sistema della giurisdizione penale del giudice onorario e coinvolgendo inutilmente nel procedimento uffici giudiziari diversi, con un «“pendolarismo” tra l’uno e l’altro», fonte di stasi e ritardi. Violerebbe, in tal modo, anche l’art. 111, secondo comma, Cost., per contrasto con il principio di ragionevole durata del processo; nonché l’art. 97, secondo comma, Cost., per contrasto con il principio di buon andamento dell’amministrazione della giustizia, gravando immotivatamente gli uffici di sorveglianza di ulteriori compiti, che ostacolerebbero l’espletamento delle già assorbenti funzioni di cui essi sono attualmente onerati.
3.– Le due ordinanze di rimessione sollevano questioni analoghe, relative in parte alle medesime norme, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione.
4.– La questione sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Pisa è inammissibile.
Come eccepito dall’Avvocatura generale dello Stato, essa è stata, infatti, sollevata, per quanto emerge dalla stessa ordinanza di rimessione, dopo che la Corte di cassazione – pronunciandosi in sede di risoluzione del conflitto di competenza insorto tra il giudice a quo e il Giudice di pace di Asti nell’ambito del medesimo procedimento – aveva dichiarato la competenza del primo.
Alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, sentenze n. 1 del 2015 e n. 294 del 1995, ordinanze n. 306 del 2013 e n. 222 del 1997), ciò determina l’irrilevanza della questione. L’effetto vincolante delle decisioni della Corte di cassazione in materia di competenza, previsto dall’art. 25 cod. proc. pen., impedisce, infatti, di rimettere in discussione la competenza attribuita nel caso concreto dalla Cassazione medesima, rimanendo ogni ulteriore indagine sul punto definitivamente preclusa: con la conseguenza che nessuna influenza potrebbe avere la pronuncia di questa Corte nel giudizio a quo.
Restano assorbite le ulteriori eccezioni di inammissibilità formulate dall’Avvocatura generale dello Stato.
5.– Non fondata, per converso, è l’eccezione di inammissibilità proposta dall’Avvocatura generale dello Stato in relazione alle questioni sollevate dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria, con la quale si deduce che il giudice a quo avrebbe richiesto a questa Corte un «improprio avallo» interpretativo, teso a confutare il diverso orientamento espresso dalla Corte di cassazione.
Pur ritenendo praticabile una diversa interpretazione che, facendo leva sull’art. 40, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, porterebbe a riconoscere la competenza del giudice di pace in materia, il giudice a quo rileva come una simile soluzione ermeneutica si scontrerebbe con il consolidato e contrario orientamento della Corte di cassazione, che esclude tale competenza.
Per giurisprudenza ormai costante di questa Corte, in presenza di un indirizzo giurisprudenziale consolidato, «il giudice a quo, se pure è libero di non uniformarvisi e di proporre una sua diversa esegesi, ha, alternativamente, la facoltà di assumere l’interpretazione censurata in termini di “diritto vivente” e di richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilità con i parametri costituzionali (ex plurimis, sentenze n. 39 del 2018, n. 259 del 2017 e n. 200 del 2016; ordinanza n. 201 del 2015). Ciò, senza che gli si possa addebitare di non aver seguito altra interpretazione, più aderente ai parametri stessi, sussistendo tale onere solo in assenza di un contrario diritto vivente (tra le altre, sentenze n. 122 del 2017 e n. 11 del 2015)» (sentenza n. 141 del 2019).
6.– Ciò posto, ai fini dell’analisi delle singole questioni prospettate dal Magistrato di sorveglianza piemontese, è opportuno ripercorrere sinteticamente l’evoluzione della disciplina relativa alla competenza in materia di conversione delle pene pecuniarie non pagate, peraltro già ampiamente descritta nell’ordinanza di rimessione.
6.1.– La competenza a disporre la conversione, previo accertamento dell’insolvibilità del condannato, era originariamente attribuita, in via generale, dall’art. 660 cod. proc. pen. del 1988 al magistrato di sorveglianza. La disciplina era completata dagli artt. 181 e 182 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), i quali regolavano, rispettivamente, le modalità del «recupero delle pene pecuniarie» e la procedura conseguente alla loro mancata esazione.
Una prima innovazione in materia si è avuta in occasione dell’introduzione della competenza penale del giudice di pace, avvenuta con il d.lgs. n. 274 del 2000. In via derogatoria rispetto alla disciplina del codice di rito, l’art. 42 del citato decreto legislativo stabiliva, infatti, che per le pene pecuniarie inflitte dal giudice onorario la conversione venisse disposta da quest’ultimo, quale giudice dell’esecuzione.
Dopo pochi anni, il legislatore è intervenuto, peraltro, novamente con il testo unico in materia di spese di giustizia, di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 – nel quale, come è noto, sono confluite le disposizioni legislative del d.lgs. n. 113 del 2002 e quelle regolamentari del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 114, recante «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo C)» – regolando ex novo la materia agli artt. 237 e 238, con la previsione, in via generale, della competenza del giudice dell’esecuzione. L’art. 299 del testo unico ha abrogato, di conseguenza, sia l’art. 660 cod. proc. pen. e gli artt. 181 e 182 norme att. cod. proc. pen., sia l’art. 42 del d.lgs n. 274 del 2000.
Con la sentenza n. 212 del 2003, questa Corte ha, tuttavia, ritenuto che tale intervento fosse stato operato in eccesso di delega. Il d.lgs. n. 113 del 2002 trovava, infatti, fondamento nella delega contenuta nell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998), con particolare riferimento alle materie indicate ai numeri 9), 10) e 11) dell’Allegato numero 1, complessivamente attinenti alle spese di giustizia. Contrariamente a quanto sostenuto nella relazione illustrativa del testo unico, la disciplina in questione non poteva essere fatta rientrare nell’oggetto della delega sulla base di una valutazione di sostanziale «comunanza» della materia delle pene pecuniarie con quella delle spese di giustizia. Specie nelle materie coperte da riserva assoluta di legge – quale quella della competenza del giudice, ai sensi dell’art. 25 Cost. – l’esistenza della delega non può essere desunta dalla mera «connessione» con l’oggetto della delega stessa: prospettiva nella quale il legislatore delegato doveva ritenersi certamente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione che comportasse, come quella censurata, la sottrazione della competenza al magistrato di sorveglianza e il suo trasferimento, in via generale, al giudice dell’esecuzione.
Su tali premesse, questa Corte ha dichiarato, quindi, costituzionalmente illegittimi gli artt. 237 e 238 del d.lgs. n. 113 del 2002, nonché l’art. 299 del medesimo decreto, limitatamente alla parte in cui aveva abrogato l’art. 660 cod. proc. pen.
Ciò ha determinato la reviviscenza di quest’ultima disposizione e, con essa, della competenza generale del magistrato di sorveglianza, senza, peraltro, che analogo fenomeno si sia verificato in rapporto alla norma derogatoria dell’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, la cui abrogazione non era investita dalla declaratoria di illegittimità costituzionale.
In questo complesso quadro normativo, è intervenuto da ultimo l’art. 1, comma 473, della legge n. 205 del 2017, che ha inserito nel d.P.R. n. 115 del 2002 l’art. 238-bis, inteso a disciplinare l’«[a]ttivazione delle procedure di conversione delle pene pecuniarie non pagate».
Tale disposizione è stata introdotta al fine di colmare il vuoto normativo venutosi a creare a seguito dell’abrogazione degli artt. 181 e 182 norme att. cod. proc. pen. e della successiva dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 237 e 238 del d.lgs. n. 113 del 2002, nei quali era contenuta anche la disciplina di raccordo tra la fase amministrativa di esazione e quella giurisdizionale di conversione della pena pecuniaria.
Del contenuto precettivo dell’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, ciò che rileva nel presente giudizio di costituzionalità – formando peraltro oggetto di espressa censura ad opera del Magistrato di sorveglianza di Alessandria – è il ripetuto riferimento al magistrato di sorveglianza, quale organo competente in materia.
Il comma 2 dell’art. 238-bis dispone, infatti, che la cancelleria del giudice dell’esecuzione «investe il pubblico ministero perché attivi la conversione presso il magistrato di sorveglianza competente […]», la cui attività è specificamente regolata dai commi 6 e 7 dello stesso articolo: il comma 6 – riprendendo la formulazione dell’abrogato art. 182 norme att. cod. proc. pen. – prevede che «[i]l magistrato di sorveglianza, al fine di accertare l’effettiva insolvibilità del debitore, può disporre le opportune indagini nel luogo del domicilio o della residenza, ovvero dove si abbia ragione di ritenere che lo stesso possieda altri beni o cespiti di reddito e richiede, se necessario, informazioni agli organi finanziari»; il comma 7, invece, dispone che «[q]uando il magistrato di sorveglianza competente accerta la solvibilità del debitore, l’agente della riscossione riavvia le attività di competenza sullo stesso articolo di ruolo». Anche il comma 5 fa riferimento al magistrato di sorveglianza, prevedendo che «l’articolo di ruolo relativo alle pene pecuniarie è sospeso dalla data in cui il pubblico ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente».
6.2.– A fronte del descritto panorama normativo, la giurisprudenza di legittimità si è espressa in modo unanime, nel senso di ritenere che unico organo competente a decidere sulla conversione, anche quando si tratti di pene irrogate dal giudice di pace, è attualmente il magistrato di sorveglianza (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione prima, sentenza 5 aprile-6 maggio 2019, n. 18905; sentenza 11 dicembre 2018-14 gennaio 2019, n. 1560; sentenza 15 novembre-18 dicembre 2018, n. 56967).
A seguito della sentenza n. 212 del 2003, ha ripreso, infatti, pieno vigore l’art. 660 cod. proc. pen., che viene quindi a disciplinare l’intera materia della conversione delle pene pecuniarie, quale che sia il reato cui afferiscono e il giudice che le ha inflitte, essendo rimasta salva l’efficacia abrogativa dell’art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002 sull’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, relativa ai procedimenti di competenza del giudice di pace. Ciò, ferme restando le previsioni di ordine sostanziale contenute nell’art. 55 del medesimo decreto, che individuano in modo autonomo le sanzioni scaturenti dalla conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice onorario (permanenza domiciliare o lavoro di pubblica utilità, in luogo della libertà controllata o del lavoro sostitutivo previsti dall’art. 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale»).
Secondo la Corte di cassazione, tale conclusione troverebbe puntuale conferma nella recente introduzione dell’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, la quale esprimerebbe «la piena e definitiva consacrazione, ad opera della legge ordinaria, della competenza unica, in materia, del magistrato di sorveglianza» (tra le altre, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 5 aprile-6 maggio 2019, n. 18905; sentenza 5 aprile-6 maggio 2019, n. 18902; sentenza 13 marzo-18 aprile 2019, n. 17098).
7.– Alla luce dell’esposta evoluzione del quadro normativo, si rende necessario invertire l’ordine delle questioni, rispetto a quello prospettato dal rimettente, dovendo essere esaminate per prime – in quanto logicamente pregiudiziali – le questioni aventi ad oggetto l’art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R. n. 115 del 2002.
Nel caso di specie, il giudice a quo è stato, infatti, investito del procedimento di conversione successivamente all’entrata in vigore di tale disposizione, la quale, pertanto, è la norma che disciplina il procedimento stesso, anche per quanto attiene all’individuazione del giudice competente al momento della domanda. Di conseguenza, per quanto appresso meglio si osserverà, solo qualora fosse rimosso il riconoscimento della competenza unica del magistrato di sorveglianza, insito nel disposto del citato art. 238-bis, la questione intesa a far rivivere la norma anteriore di cui all’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000 risulterebbe rilevante nel giudizio a quo.
7.1.– In via preliminare, va rilevato che le questioni concernenti l’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, ora in esame, non sono rese inammissibili dal fatto che il rimettente abbia suddiviso le censure in due gruppi, qualificati come fra loro alternativi, in correlazione ad altrettante possibili interpretazioni della norma censurata: come finalizzata, cioè, unicamente a disciplinare la fase di attivazione del procedimento di conversione, ovvero anche a regolare la competenza.
Il giudice a quo non chiede, infatti, a questa Corte due diversi interventi, in rapporto di alternatività irrisolta: nel qual caso le questioni sarebbero inammissibili, in quanto prospettate in modo ancipite (ex plurimis, sentenze n. 75 e n. 58 del 2020, n. 175 del 2018 e n. 22 del 2016, ordinanza n. 130 del 2017). Egli si muove, invece, nell’ambito di un unico percorso, finalizzato a ottenere esclusivamente la dichiarazione di incostituzionalità della disposizione censurata, nella parte in cui, facendo riferimento al magistrato di sorveglianza anziché al giudice competente, viene a sancire – non importa se come conseguenza non preventivata o per scelta consapevole del legislatore – la competenza esclusiva del primo in tema di conversione. In definitiva, gli argomenti svolti si pongono come complementari e pertanto possono essere esaminati congiuntamente.
7.2.– A parere del rimettente, la disposizione censurata violerebbe anzitutto l’art. 3 Cost., per violazione del canone della ragionevolezza, sotto un duplice profilo. In primo luogo, per la contraddittorietà intrinseca del contenuto della norma rispetto alla sua ratio, in quanto la disciplina della competenza esorbiterebbe dalle ragioni dell’intervento operato dalla legge n. 205 del 2017, volto a regolare il raccordo fra la fase di esazione delle pene pecuniarie e quella della loro conversione.
In secondo luogo, poiché la previsione della competenza del magistrato di sorveglianza, anche quando si discuta della conversione di pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace, risulterebbe di per sé irragionevole. Essa implica, infatti, il coinvolgimento nel procedimento di plurimi uffici giudiziari diversi (la cancelleria del giudice dell’esecuzione, il pubblico ministero, il magistrato di sorveglianza), con pendolari passaggi tra l’uno e l’altro, forieri di gravi e inutili ritardi. L’intrusione di un giudice professionale, quale il magistrato di sorveglianza, nell’applicazione in sede di conversione di sanzioni proprie e tipiche dell’armamentario sanzionatorio del solo giudice di pace (quali la permanenza domiciliare o il lavoro di pubblica utilità), finirebbe altresì per compromettere la coerenza interna del procedimento penale davanti al giudice onorario.
Sotto entrambi i profili, la questione non è fondata.
Quanto al primo, nessuna contraddizione intrinseca è ravvisabile in una disciplina che, perseguendo la finalità di colmare un vuoto normativo inerente a una specifica fase del procedimento in discussione, dia anche conferma alla regola generale di competenza espressa dal codice di rito.
Quanto al secondo, non può che essere ribadita la costante giurisprudenza di questa Corte, in base alla quale il legislatore gode di discrezionalità particolarmente ampia nella conformazione degli istituti processuali, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte operate (ex plurimis, sentenze n. 79 e n. 58 del 2020, n. 155 e n. 139 del 2019, n. 225 del 2018 e n. 241 del 2017): affermazione valevole anche per quanto attiene specificamente alla disciplina della competenza del giudice (ex plurimis, sentenze n. 158 del 2019, n. 44 del 2016 e n. 194 del 2015).
Il predetto limite non può ritenersi valicato nel caso in esame. Le deduzioni del giudice a quo, riguardo alle disfunzioni originate dall’attuale disciplina processuale della conversione – disfunzioni che non sono, peraltro, affatto esclusive del procedimento relativo alle pene inflitte dal giudice di pace e che neppure dipendono soltanto dalla previsione della competenza del magistrato di sorveglianza, connettendosi più in generale alla farraginosa strutturazione della procedura di esecuzione della pena pecuniaria – colgono effettive criticità del sistema, che questa stessa Corte ha di recente sollecitato il legislatore a rimuovere (sentenza n. 279 del 2019).
Per l’aspetto considerato, tali deduzioni non superano, però, la soglia della critica alle scelte di politica legislativa e non valgono, pertanto, a dimostrare quella manifesta irragionevolezza o arbitrarietà che sola legittimerebbe l’invocata declaratoria di illegittimità costituzionale.
Riguardo, infine, all’ipotizzato stravolgimento della coerenza interna del sistema della giurisdizione penale del giudice di pace, si tratta di effetto che non può essere certamente riconnesso al mero fatto che, in determinati frangenti (nella specie, la conversione di pene pecuniarie ineseguite), le speciali sanzioni previste per i reati di competenza del giudice onorario vengano applicate da un giudice professionale. Altrettanto avviene, del resto, quando i predetti reati siano giudicati dalla corte di assise o dal tribunale per ragioni di connessione (art. 6 del d.lgs. n. 274 del 2000).
7.3.– Parimente infondata è la censura formulata con riferimento all’art. 111, secondo comma, Cost. basata sull’assunto che i «numerosi fattori gravemente e ingiustificatamente dilatori», introdotti dalla norma censurata col prefigurare un «pendolarismo» tra un ufficio e l’altro, verrebbero a compromettere la ragionevole durata del processo.
Alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte, il vulnus al principio in questione può essere determinato solamente da norme procedurali che comportino una dilatazione dei tempi del processo non sorretta da alcuna logica esigenza (tra le ultime, sentenza n. 155 del 2019), ma tali non possono essere considerate le disposizioni, come quella censurata, «con le quali il legislatore, nell’esercizio non irragionevole dell’ampia discrezionalità di cui gode in tema di individuazione del giudice competente, definisce l’ambito della cognizione dei singoli organi giurisdizionali» (sentenza n. 63 del 2009).
7.4.– Secondo il giudice a quo le disposizioni censurate violerebbero infine anche l’art. 97, secondo comma, Cost., in relazione al principio del buon andamento dell’amministrazione della giustizia. Affidando la conversione delle pene pecuniarie irrogate dal giudice di pace alla competenza del magistrato di sorveglianza, esse graverebbero, infatti, immotivatamente gli uffici di sorveglianza di ulteriori compiti «suscettibili di ostacolare l’esercizio delle […] funzioni istituzionali».
Anche tale questione non è fondata, poiché l’art. 97, secondo comma, Cost., è parametro non conferente. La giurisprudenza di questa Corte è, infatti, costante nell’affermare che il principio del buon andamento è riferibile all’amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene all’organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari e non all’attività giurisdizionale in senso stretto (tra le ultime, sentenze n. 80 del 2020, n. 90 del 2019 e n. 91 del 2018), nella quale rientrano le funzioni svolte dal magistrato di sorveglianza in merito alla conversione della pena pecuniaria.
7.5.– Le questioni aventi ad oggetto l’art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R. n. 115 del 2002 vanno dichiarate, dunque, non fondate in rapporto a tutti i parametri evocati.
8.– La riscontrata infondatezza di tali questioni rende inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione relativa all’art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, per violazione dell’art. 76 Cost., nella parte in cui abroga l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000 (per una ipotesi analoga, mutatis mutandis, sentenza n. 95 del 2015).
8.1.– Si è già posto in evidenza, infatti, come la giurisprudenza di legittimità sia unanime nel ritenere che la disposizione dell’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 – di là dalle specifiche ragioni per le quali è stata introdotta – esprima anche la volontà del legislatore di confermare la competenza esclusiva del magistrato di sorveglianza in tema di conversione, venutasi a determinare a seguito della sentenza n. 212 del 2003.
Nel senso che si tratti di una precisa scelta legislativa depone, d’altronde, la circostanza che la novella legislativa sia intervenuta a notevole distanza di tempo dalla citata pronuncia e nella stessa sede (il testo unico delle spese di giustizia) nella quale era stata in precedenza operata l’innovazione alla competenza, reputata illegittima da questa Corte unicamente per ragioni connesse alla natura della fonte: ragioni che la legge n. 205 del 2017 – in quanto legge ordinaria – avrebbe potuto senz’altro rimuovere.
8.2.– A fronte di ciò, la norma derogatoria, vale a dire l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, la cui efficacia sarebbe eventualmente ripristinata ex tunc dalla declaratoria di incostituzionalità, non potrebbe prevalere sulla norma generale successiva nel tempo (ossia, appunto, l’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002).
Nonostante la generale accettazione sul piano operativo del principio di prevalenza della legge speciale sulla legge generale successiva (lex specialis etiamsi prior derogat generali etiamsi posteriori), la risoluzione dell’eventuale conflitto fra criterio di specialità e criterio cronologico non vede, infatti, l’incondizionata prevalenza del primo, non avendo esso rango costituzionale, né valore assoluto come criterio di risoluzione delle antinomie (sentenza n. 503 del 2000).
Come questa Corte ha avuto modo di affermare, già nella sentenza n. 29 del 1976, «[n]ell’ipotesi di successione di una legge generale ad una legge speciale, non è vera in assoluto la massima che lex posterior generalis non derogat priori speciali: giacché i limiti del detto principio vanno, in effetti, di volta in volta, sempre verificati alla stregua dell’intenzione del legislatore. E non è escluso che in concreto l’interpretazione della voluntas legis, da cui dipende la soluzione dell’indicato problema di successione di norme, evidenz[i] una latitudine della legge generale posteriore, tale da non tollerare eccezioni, neppure da parte di leggi speciali: che restano, in tal modo, tacitamente abrogate» (in senso analogo, sentenze n. 274 del 1997, n. 41 del 1992 e n. 345 del 1987).
Su tali basi, in conclusione, nel caso di specie, data la prevalenza della norma generale, l’eventuale accoglimento della questione dell’art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, nella parte in cui abroga l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, non potrebbe produrre effetti nel giudizio principale, il quale continuerebbe ad essere regolato dall’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, con la conseguenza che la competenza per la conversione della pena pecuniaria irrogata dal giudice di pace rimarrebbe in capo al giudice rimettente.
8.3.– Da ciò l’inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione dell’art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, nella parte in cui abroga l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, relativa alla violazione dell’art. 76 Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l’art. 42 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Pisa, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 299 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, recante «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia (Testo B)», trasfuso nell’art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui abroga l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, sollevata, in riferimento all’art. 76 Cost., dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R. n. 115 del 2002, aggiunto dall’art. 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA