Corte Costituzionale, Sentenza n.113 del 31/05/2021

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Caccia - Norme della Regione Molise - Durata dei periodi venatori - Facoltà della Giunta regionale di estenderli, per ogni specie cacciabile e in particolari condizioni ambientali, all'intera stagione venatoria - Preventivo parere dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) - Omessa previsione - Violazione della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema - Illegittimità costituzionale

È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., l'art. 12, comma 5, lett. a), della legge reg. Molise n. 1 del 2020, che aggiunge il comma 1-bis all'art. 27 della legge reg. Molise n. 19 del 1993, attribuendo alla Giunta regionale la facoltà di estendere la durata dei periodi venatori, per ogni specie cacciabile e in particolari condizioni ambientali, all'intera stagione venatoria. La norma regionale impugnata dal Governo vìola la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema poiché consente di estendere la durata del periodo di caccia alle singole specie oltre l'arco temporale massimo per esse fissato dall'art. 18, primo comma, della legge n. 157 del 1992 e perché omette di prevedere il preventivo parere dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), riducendo, in violazione del principio di gradualità, il livello di protezione della fauna selvatica stabilito dal legislatore statale. (Precedenti citati: sentenze n. 21 del 2021 e n. 10 del 2019). Secondo costante giurisprudenza costituzionale, rientra nella tutela dell'ambiente e dell'ecosistema la disciplina statale finalizzata ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili attraverso standard minimi e uniformi di tutela valevoli sull'intero territorio nazionale, i quali pertanto non possono essere ridotti dal legislatore regionale nell'esercizio della propria competenza residuale in materia di caccia. (Precedenti citati: sentenze n. 40 del 2020 e n. 7 del 2019).

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SENTENZA N. 113

ANNO 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 5, lettera a), della legge della Regione Molise 30 aprile 2020, n. 1 (Legge di stabilità regionale 2020), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 26 giugno-1° luglio 2020, depositato in cancelleria il 3 luglio 2020, iscritto al n. 56 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di costituzione della Regione Molise;

udito nell’udienza pubblica dell’11 maggio 2021 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Claudia Angiolini per la Regione Molise, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 16 marzo 2021;

deliberato nella camera di consiglio del 12 maggio 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato in data 26 giugno-1° luglio 2020 e depositato il 3 luglio 2020 (reg. ric. n. 56 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso – in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 5, lettera a), della legge della Regione Molise 30 aprile 2020, n. 1 (Legge di stabilità regionale 2020).

La disposizione impugnata aggiunge all’art. 27 della legge della Regione Molise 10 agosto 1993, n. 19 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), il comma 1-bis, il quale stabilisce che: «Ai fini della tutela del patrimonio agroforestale, socio-economico, sanitario e nel riequilibrio ecologico della fauna selvatica, qualora la presenza sul territorio regionale di una specie faunistica venabile risulti eccessiva, la Giunta regionale, ai fini della riduzione delle criticità arrecate, può con propri atti estendere il periodo del prelievo venatorio per l’intero arco temporale inteso dall’inizio al termine dell’intera stagione venatoria».

2.– Ad avviso del ricorrente, tale norma invaderebbe la competenza esclusiva statale nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» in quanto si porrebbe in contrasto con gli artt. 18, commi 1, 2 e 4, e 19, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), i quali detterebbero standard minimi di tutela della fauna sull’intero territorio nazionale.

2.1.– Nello specifico, la norma impugnata confliggerebbe con il citato art. 18 innanzitutto perché consentirebbe di estendere l’arco temporale del prelievo venatorio all’intero periodo intercorrente tra le date di apertura e di chiusura della stagione della caccia e ciò, per di più, in assenza del parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA).

L’Avvocatura generale precisa, al riguardo, che l’art. 18, comma 2, della legge n. 157 del 1992 riconoscerebbe sì alle Regioni la possibilità di modificare i termini, previsti dal precedente comma 1, entro i quali è autorizzata l’attività venatoria, ma solo a condizione che tale modifica: a) assicuri che a ciascuna specie rimanga «associato» un periodo di caccia «il cui arco temporale è nella maggior parte dei casi più ristretto» dell’intera stagione venatoria; b) sia preceduta dall’acquisizione del parere dell’ISPRA; c) sia adottata nell’ambito del procedimento amministrativo rivolto, a mente del successivo comma 4 del medesimo art. 18, all’approvazione annuale del calendario venatorio regionale.

2.2.– Quanto al contrasto con l’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, il ricorrente ritiene che la norma impugnata preveda «un’attività di controllo (recte: prelievo venatorio)» della fauna senza, tuttavia, il preventivo vaglio dell’ISPRA in merito alla inefficacia dei metodi ecologici, con compromissione, quindi, del principio di gradualità desumibile dall’evocata norma statale.

3.– Si è costituita in giudizio la Regione Molise, nella persona del Presidente della Giunta regionale, chiedendo il rigetto del ricorso.

3.1.– Secondo la resistente, l’art. 18, comma 2, della legge n. 157 del 1992, nel consentire alle Regioni di modificare i termini entro i quali è permesso il prelievo venatorio, in sostanza richiederebbe unicamente che questi «restino contenuti tra il 1° settembre e il 31 gennaio», senza, pertanto, escludere che la durata dei periodi destinati alla caccia possa essere estesa all’intera stagione venatoria. La disposizione impugnata non divergerebbe, pertanto, dalla disciplina statale, limitandosi a «ribadire una facoltà già prevista […] ed a collegarla ad una particolare circostanza», ovvero all’eccessiva presenza di una specie cacciabile – come quella dei cinghiali, ormai diffusi in maniera «incontrollata ed incontrollabile» – e alle criticità da ciò derivanti.

L’asserito contrasto con l’art. 18 della legge n. 157 del 1992 non sussisterebbe nemmeno sotto l’aspetto «procedurale».

A giudizio della difesa regionale, la norma impugnata non recherebbe alcuna violazione dell’«assetto procedimentale delineato dal legislatore statale»: essa sarebbe infatti priva «di effetti immediati», dovendo concretizzarsi attraverso provvedimenti amministrativi comunque tenuti a rispettare detto assetto, anche per ciò che riguarda il preventivo parere dell’ISPRA, traducendosi altrimenti in vizi di legittimità denunciabili dinanzi al giudice amministrativo; il richiamo alle norme statali sarebbe stato, pertanto, «superfluo».

3.2.– Il medesimo argomento renderebbe, infine, priva di fondamento anche la doglianza basata sulla difformità tra la norma impugnata e l’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992: la facoltà di modifica riconosciuta alla Giunta regionale presupporrebbe, infatti, in ogni caso il preventivo «utilizzo infruttuoso di metodi ecologici, giusta parere favorevole dell’ISPRA», sicché il principio di gradualità espresso dalla citata disposizione statale non sarebbe stato leso.

4.– Con memoria depositata il 20 aprile 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri ha insistito per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale promossa e ha contestato le difese della Regione.

Il ricorrente, in particolare, ribadisce che la modifica dei termini entro i quali è consentito cacciare sarebbe possibile solo previa acquisizione del parere dell’ISPRA e all’esito del procedimento amministrativo volto all’adozione, entro il 15 giugno di ogni anno, del calendario venatorio. Né, contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente, le Regioni potrebbero autorizzare l’emanazione di provvedimenti amministrativi tesi a superare la durata massima del prelievo venatorio stabilita dal legislatore statale per ciascuna specie, benché dannosa.

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 56 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso – in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 5, lettera a), della legge della Regione Molise 30 aprile 2020, n. 1 (Legge di stabilità regionale 2020).

Tale disposizione aggiunge all’art. 27 della legge della Regione Molise 10 agosto 1993, n. 19 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), il comma 1-bis, il quale prevede che: «Ai fini della tutela del patrimonio agroforestale, socio-economico, sanitario e nel riequilibrio ecologico della fauna selvatica, qualora la presenza sul territorio regionale di una specie faunistica venabile risulti eccessiva, la Giunta regionale, ai fini della riduzione delle criticità arrecate, può con propri atti estendere il periodo del prelievo venatorio per l’intero arco temporale inteso dall’inizio al termine dell’intera stagione venatoria».

2.– Ad avviso del ricorrente, tale norma invaderebbe la competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., relativa alla materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», in quanto in contrasto con gli artt. 18, commi 1, 2 e 4, e 19, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio); queste disposizioni, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, detterebbero infatti standard minimi di tutela della fauna sull’intero territorio nazionale, non derogabili in peius nell’esercizio della competenza legislativa residuale regionale in materia di caccia.

In particolare, l’art. 27, comma 1-bis, della legge reg. Molise n. 19 del 1993 colliderebbe con il citato art. 18 sotto diversi profili: in primo luogo, perché consentirebbe di estendere all’intera stagione venatoria l’arco temporale entro cui è permessa la caccia a determinate specie; in secondo luogo, poiché mancherebbe di prevedere l’acquisizione del parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) in merito alla modifica dei periodi venatori da esso disciplinata; infine, perché il provvedimento di modifica in parola dovrebbe essere adottato all’esito del medesimo procedimento volto ad approvare, entro il 15 giugno di ogni anno, il calendario venatorio e, quindi, coincidere con questo.

Quanto, invece, all’asserito conflitto con l’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, il ricorso statale ritiene che la norma impugnata pregiudichi il principio di gradualità in quanto consentirebbe, in sostanza, un’attività di controllo faunistico senza tuttavia il preventivo parere dell’ISPRA in ordine, segnatamente, all’inefficacia dei metodi ecologici.

3.– La questione è fondata.

4.– L’art. 27, comma 1-bis, della legge reg. Molise n. 19 del 1993 prevede che la Giunta regionale «con propri atti» possa, in presenza di determinati presupposti e per specifiche finalità, modificare i periodi durante i quali è permessa la caccia a determinate specie estendendoli «[a]ll’intera stagione venatoria», cioè all’intero arco temporale intercorrente tra il 1° settembre e il 31 gennaio.

Diversamente, nel riconoscere, per determinate specie e in considerazione delle peculiari situazioni ambientali, alle Regioni la facoltà di modificare i termini entro i quali è possibile l’esercizio dell’attività venatoria, l’art. 18, comma 2, della legge n. 157 del 1992, al suo terzo periodo, una volta disposto che questi restino comunque contenuti tra il 1° settembre e il 31 gennaio, richiede espressamente anche il «rispetto dell’arco temporale massimo indicato al comma 1».

Quest’ultimo, a sua volta, individua cinque gruppi di specie cacciabili con il relativo, circoscritto, arco temporale entro cui è autorizzato l’esercizio venatorio: si tratta di periodi dalle differenti durate, ma sempre e in ogni caso inferiori all’intero intervallo di tempo intercorrente tra il 1° settembre e il 31 gennaio.

Ne consegue – contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della resistente – che, in base al citato art. 18, se i termini dei periodi di caccia sono modificabili, non lo sono, invece, le relative durate, che non possono essere superiori a quelle stabilite, e che, comunque, non possono essere estese all’intera stagione venatoria.

Infatti, il «chiaro dettato normativo, che fa riferimento all’“arco temporale massimo”», determina che l’eventuale apertura anticipata della stagione venatoria deve essere “compensata” dall’anticipazione anche del termine finale (ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 23 dicembre 2019, n. 8669). In altre parole, «se la regione si avvale del potere di anticipare l’apertura, deve anticipare anche la chiusura» (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 22 marzo 2005, n. 1170).

Il legislatore regionale, nell’esercizio della propria competenza legislativa residuale in materia di caccia, ha dunque violato l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., perché ha ridotto il livello di protezione della fauna selvatica stabilito – mediante la definizione della durata dei periodi venatori – dall’art. 18, commi 1 e 2, della legge n. 157 del 1992.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte tale disciplina rientra infatti nella tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, essendo finalizzata ad assicurare, attraverso standard minimi e uniformi di tutela valevoli sull’intero territorio nazionale (ex plurimis, sentenza n. 7 del 2019), la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili (ex plurimis, sentenza n. 40 del 2020).

4.1.– Il vulnus all’evocato parametro costituzionale è apprezzabile anche sotto l’altro profilo evidenziato dal ricorrente.

L’art. 18, comma 2, della legge n. 157 del 1992 subordina la suddetta modifica dei termini del prelievo venatorio anche al «previo parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica», poi confluito nell’ISPRA.

Tale parere non è previsto dalla norma impugnata, che, limitandosi a stabilire che la Giunta regionale possa estendere il periodo del prelievo venatorio, si risolve, anche sotto quest’aspetto, in una riduzione di standard uniformi di tutela della fauna definiti dalla normativa statale (sentenza n. 10 del 2019).

Del tutto privo di pregio è, d’altro canto, l’assunto della resistente secondo cui la norma impugnata non produrrebbe «effetti immediati», dovendo tradursi in successivi provvedimenti amministrativi che si ipotizzano, pena la loro illegittimità, conformi alle previsioni statali. Essa, infatti, dispone di una propria e autonoma forza precettiva nello stabilire i requisiti di legittimità della modifica dei periodi venatori, che consente avvenga con «atti propri» della Giunta e a prescindere dal coinvolgimento dell’ISPRA.

Tanto basta a ritenerla lesiva dell’evocato parametro.

4.2.– È assorbito l’ulteriore profilo della censura afferente al conflitto con l’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992.

5.– Meritevole di accoglimento, infine, è anche il motivo di doglianza incentrato sul contrasto della norma impugnata con l’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, che consente alle Regioni di esercitare il controllo delle specie di fauna selvatica solo nel rispetto del principio di gradualità: tale attività, infatti, deve essere svolta «di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica» e solo in caso di verificata inefficacia di tali metodi le Regioni possono autorizzare piani di abbattimento (sentenza n. 21 del 2021).

L’art. 27, comma 1-bis, della legge reg. Molise n. 19 del 1993, introdotto dalla norma impugnata, attraverso l’indebita estensione dell’arco temporale del periodo del prelievo venatorio di determinate specie, la cui presenza sul territorio sia divenuta «eccessiva» e fonte di conseguenti «criticità», ha invece introdotto, nella sostanza, una surrettizia forma di controllo faunistico, svincolata però dai precisi limiti procedimentali previsti dal legislatore statale.

Siffatta disciplina compromette pertanto il principio di gradualità e riduce lo standard minimo di tutela posto dal legislatore statale, così violando l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

5.1.– Né osta a tale conclusione la considerazione dell’indubbia problematica, sottolineata dalla resistente, derivante dall’invasiva diffusione dei cinghiali selvatici nel territorio regionale.

In disparte il rilievo che la norma impugnata si riferisce a qualsiasi specie cacciabile, e non solo agli ungulati, non è in ogni caso superfluo rammentare che questa Corte, riconoscendo le rilevanti criticità prodotte sugli ecosistemi dall’aumento costante e significativo delle popolazioni di determinate specie di fauna selvatica, ha recentemente ammesso che nei piani di abbattimento possano essere coinvolti, a precise condizioni, anche soggetti ulteriori rispetto a quelli elencati dal citato art. 19, comma 2 (sentenza n. 21 del 2021), in tal modo aumentando la potenzialità di efficacia di tali strumenti.

6.– Alla luce delle considerazioni svolte, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 5, lettera a), della legge reg. Molise n. 1 del 2020, che aggiunge il comma 1-bis all’art. 27 della legge reg. Molise n. 19 del 1993.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 5, lettera a), della legge della Regione Molise 30 aprile 2020, n. 1 (Legge di stabilità regionale 2020), che aggiunge il comma 1-bis all’art. 27 della legge della Regione Molise 10 agosto 1993, n. 19 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2021.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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