SENTENZA N. 16
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, commi 1 e 2, e 13 della legge della Regione Siciliana 19 luglio 2019, n. 13 (Collegato al DDL n. 476 ‘Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale’), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato a mezzo di posta elettronica certificata il 23 settembre 2019, depositato in cancelleria il 25 settembre 2019, iscritto al n. 99 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visti l’atto di costituzione della Regione Siciliana e l’atto di intervento dell’associazione ANCE Sicilia – Collegio regionale dei Costruttori Edili Siciliani;
udito nell’udienza pubblica del 26 gennaio 2021 il giudice relatore Nicolò Zanon;
uditi l’avvocato Silvano Martella per l’associazione ANCE Sicilia – Collegio regionale dei Costruttori Edili Siciliani, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020, l’avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’avvocato Giuseppa Mistretta per la Regione Siciliana, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020;
deliberato nella camera di consiglio del 26 gennaio 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato a mezzo di posta elettronica certificata (di seguito: PEC) in data 23 settembre 2019 e depositato il successivo 25 settembre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, tra gli altri, gli artt. 4, commi 1 e 2, e 13 della legge della Regione Siciliana 19 luglio 2019, n. 13 (Collegato al DDL n. 476 ‘Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale’).
Secondo il ricorrente, l’art. 4, comma 1, primo periodo, della citata legge regionale violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, poiché, stabilendo l’obbligo per le stazioni appaltanti di utilizzare il criterio del minor prezzo per gli appalti di lavoro d’importo pari o inferiore alla soglia comunitaria, quando l’affidamento degli stessi avviene con procedure ordinarie sulla base del progetto esecutivo, si porrebbe in contrasto con gli artt. 36 e 95 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), che demanderebbero invece alle singole stazioni appaltanti l’individuazione del criterio da utilizzare.
Inoltre, lamenta il ricorrente che il medesimo parametro costituzionale sarebbe violato anche dall’art. 4, «ai commi 1, dal secondo periodo in poi, e comma 2», incidendo su un ambito di competenza esclusiva dello Stato. La disciplina regionale individuerebbe infatti, in presenza del criterio di aggiudicazione del minor prezzo, un metodo di calcolo della soglia di anomalia delle offerte diverso da quello dettato dall’art. 97, commi 2, 2-bis e 2-ter del d. lgs. n. 50 del 2016 (di seguito: codice dei contratti pubblici). Il comma da ultimo citato, in particolare, attribuisce al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la facoltà di procedere con decreto alla rideterminazione dei criteri per l’individuazione delle soglie di anomalia, allo scopo di «non rendere nel tempo predeterminabili dagli offerenti i parametri di riferimento per il calcolo» delle soglie stesse.
Poiché la normativa statale relativa alle procedure di selezione e aggiudicazione delle gare sarebbe strumentale a garantire la tutela della concorrenza (sono citate le sentenze di questa Corte n. 221, n. 186 e n. 45 del 2010, n. 320 del 2008 e n. 401 del 2007), e poiché si sarebbe in presenza di una materia di competenza esclusiva statale, anche alle autonomie speciali titolari di competenza legislativa primaria in materia di lavori pubblici sarebbe preclusa la possibilità di dettare discipline suscettibili di alterare le regole di funzionamento del mercato. In particolare, la potestà legislativa esclusiva della Regione Siciliana in materia di «lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale» affermata dall’art. 14, primo comma, lettera g), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, dovrebbe comunque esercitarsi «nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato».
Ciò varrebbe anche con riferimento alle modalità di valutazione delle offerte anomale relative agli appalti sotto la soglia di rilevanza comunitaria, per i quali ugualmente rileverebbe la finalità di tutela della concorrenza (viene richiamata la sentenza di questa Corte n. 160 del 2009).
Secondo l’Avvocatura generale, la disciplina contenuta nell’art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019 sarebbe inoltre simile a quella già precedentemente dettata dall’art. 1 della legge della Regione Siciliana 10 luglio 2015, n. 14 (Modifiche all’articolo 19 della legge regionale 12 luglio 2011, n. 12), che pure è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 263 del 2016.
2.– Il ricorrente impugna anche l’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019, ritenendo che tale previsione violi l’art. 117, primo e secondo comma, lettera e), Cost., e l’art. 17, lettera a), dello statuto reg. Siciliana. La disposizione censurata, differendo di un triennio la durata delle concessioni dei servizi di trasporto pubblico locale in essere al momento dell’entrata in vigore della stessa legge regionale, si porrebbe in contrasto con quanto statuito dall’art. 8, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n. 1107/70.
Tale previsione avrebbe infatti individuato nella data del 3 dicembre 2019 il termine ultimo accordato agli Stati membri per conformarsi alle disposizioni dettate dall’art. 5, paragrafo 3, dello stesso regolamento, secondo cui l’aggiudicazione dei contratti di trasporto locale avviene con una procedura di gara equa, aperta a tutti gli operatori e nel rispetto dei principi di trasparenza e di non discriminazione. La proroga disposta dal legislatore regionale violerebbe pertanto gli obblighi affermati dalla disciplina europea.
Secondo l’Avvocatura, ciò sarebbe noto anche allo stesso legislatore siciliano, che aveva già approvato in passato una proroga delle concessioni in essere, indicando però quale termine ultimo per la scadenza delle stesse proprio quello «previsto dall’articolo 8, paragrafo 2, del Regolamento (CE) 23 ottobre 2007, n. 1370/2007» (art. 15 della legge della Regione Siciliana 9 maggio 2017, n. 8, recante «Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale»).
Ritiene il ricorrente che, nel presente caso, una proroga non sarebbe giustificata neppure in ragione di quanto stabilito dall’art. 5, paragrafo 5, del citato regolamento, che pure prevede la possibilità di disporre provvedimenti di urgenza anche sotto forma di «proroga consensuale di un contratto di servizio pubblico». Tali proroghe non potrebbero comunque essere superiori a due anni, e potrebbero disporsi solo in eccezionali ipotesi – da configurare alla stregua di fatti straordinari e non preventivabili – di interruzione del servizio o di pericolo imminente di interruzione. Ipotesi che nella vicenda in esame non ricorrerebbero e che, in ogni caso, non giustificherebbero una proroga triennale.
L’evidenziata difformità rispetto a quanto previsto dalla normativa europea integrerebbe così la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
Inoltre, secondo il ricorrente, la mancata indizione di regolari gare d’appalto violerebbe anche l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. A supporto di tale tesi vengono citate la sentenza n. 2 del 2014 e l’ordinanza n. 304 del 2008.
Con la prima, la Corte costituzionale, in continuità con altri precedenti (sentenze n. 123 e n. 80 del 2011), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una previsione regionale avente ad oggetto la proroga di contratti di concessione relativi al trasporto pubblico locale, in quanto provvedimenti di proroga che alterano il corretto svolgimento della concorrenza, «determinando una disparità di trattamento tra operatori economici ed invadendo la competenza esclusiva del legislatore statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.».
Con l’ordinanza n. 304 del 2008, la Corte costituzionale ha dichiarato la cessazione della materia del contendere sul ricorso promosso dallo Stato nei confronti di una delibera legislativa approvata dall’Assemblea regionale siciliana – poi ritirata proprio a seguito dell’impugnazione statale – che disponeva la proroga dei contratti di trasporto pubblico fino al 3 dicembre 2019 senza che venissero espletate procedure di evidenza pubblica.
Da ultimo, le disposizioni impugnate violerebbero l’art. 17, lettera a), dello statuto reg. Siciliana, eccedendo dalle competenze che tale previsione attribuisce alla Regione in materia di «trasporti regionali».
Non avrebbe rilievo quanto affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 21 marzo 2019, nelle cause riunite C350/17 e C351/17, Mobit Soc. cons. arl e altri. Secondo il ricorrente, infatti, con tale pronuncia la CGUE avrebbe sì affermato l’applicabilità degli artt. 5 e 8, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1370/2007 solo a far data dal 3 dicembre 2019, ma unicamente per quelle «fattispecie nelle quali si sia pervenuti ad una aggiudicazione dei servizi in questione a conclusione “di una procedura di gara”».
In ogni caso, «in attesa che il predetto Regolamento spieghi completamente i suoi effetti», l’Avvocatura generale ribadisce che la materia dell’affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale rientrerebbe nella sfera di competenza esclusiva statale relativa alla tutela della concorrenza. A sostegno di tale tesi vengono riportati ampi stralci della già citata sentenza della Corte costituzionale n. 2 del 2014.
3.– Si è costituita in giudizio, con atto depositato il 28 ottobre 2019, la Regione Siciliana, la quale si è limitata a eccepire l’inammissibilità del ricorso per un vizio relativo alla notifica dello stesso, effettuata esclusivamente a mezzo PEC.
Secondo la resistente, «in ragione della sua inapplicabilità nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, la notifica telematica effettuata al Presidente della Regione risulta tamquam non esset e, quindi, essendosi consumato il termine perentorio di legge, la Presidenza del Consiglio dei Ministri è irrimediabilmente decaduta dal potere di impugnativa delle norme regionali».
A sostegno di tale eccezione, la Regione Siciliana richiama la sentenza n. 200 del 2019, nella quale la Corte costituzionale ha affermato che, «[a]ttesa la specialità dei giudizi innanzi a questa Corte, la modalità della notifica mediante PEC non può, allo stato, ritenersi compatibile – né è stata sin qui mai utilizzata – per la notifica dei ricorsi in via principale o per conflitto di attribuzione».
4.– Con atto depositato il 15 novembre 2019, l’associazione ANCE Sicilia – Collegio regionale dei Costruttori Edili Siciliani (di seguito: ANCE Sicilia), ha spiegato atto di intervento ad opponendum, con riferimento alle censure mosse nei confronti dell’art. 4 della legge reg. Siciliana impugnata.
5.– Con memoria depositata via PEC in data 5 ottobre 2020, il ricorrente ha dedotto l’inammissibilità dell’intervento di ANCE Sicilia, in quanto soggetto privo di potestà legislativa.
L’Avvocatura si è soffermata, inoltre, sul merito delle censure, ribadendo quanto evidenziato nell’atto introduttivo del giudizio: la materia della contrattualistica pubblica attinente alle procedure concorsuali rientrerebbe «esclusivamente nell’ambito delle prerogative legislative statuali, sicché le Regioni anche a Statuto Speciale [sarebbero] del tutto sprovviste di potestà legislativa» (vengono richiamate le sentenze di questa Corte n. 263 del 2016 e n. 259 del 2013).
Anche rispetto alla censura relativa all’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019, l’Avvocatura sottolinea come si tratterebbe di «tema attinente alla materia della concorrenza la cui disciplina è costituzionalmente riservata al legislatore statale» (viene citata la sentenza di questa Corte n. 1 del 2019).
6.– Con ordinanza n. 242 del 2020, questa Corte ha valutato, rigettandola, la sola eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla Regione Siciliana, affermando che la notifica dei ricorsi introduttivi dei giudizi di legittimità costituzionale in via principale può essere validamente effettuata mediante PEC. Con la medesima ordinanza, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo al fine di consentire alle parti di depositare eventuali memorie illustrative e di discutere il merito del ricorso in una successiva udienza pubblica. Si è altresì precisato che restava comunque «impregiudicata ogni altra valutazione», sia sull’ammissibilità dell’atto d’intervento di ANCE Sicilia, «sia su ogni eventuale, ulteriore profilo di ammissibilità delle censure sollevate».
7.– In data 4 gennaio 2021, ANCE Sicilia ha depositato una «richiesta di accesso agli atti del fascicolo e memoria a supporto dell’atto di intervento ad opponendum».
8.– Con memoria depositata l’11 gennaio 2021, la Regione Siciliana ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili e/o infondate.
Con riferimento alle prime due questioni, la resistente ha sottolineato che l’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019 non sarebbe lesivo della concorrenza, in quanto non altererebbe «la disciplina codicistica relativa alle procedure di selezione e ai criteri di aggiudicazione».
In particolare, per quanto attiene alla questione relativa all’obbligo per le stazioni appaltanti di utilizzare il criterio del minor prezzo nei casi in cui l’affidamento degli appalti di lavori d’importo pari o inferiore alla soglia comunitaria avvenga con procedure ordinarie sulla base del progetto esecutivo, il comma 1 dell’art. 4 impugnato riprodurrebbe il contenuto dell’art. 95, comma 4, lettera a), del codice dei contratti pubblici, nella formulazione antecedente alla riforma operata dal decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici), convertito, con modificazioni, in legge 14 giugno 2019, n. 55. La previsione regionale non avrebbe modificato «né le modalità di gara, né i criteri di aggiudicazione», ma si sarebbe limitata «ad incidere sulla scelta delle stazioni appaltanti». In ogni caso, la previsione contenuta nell’art. 36 del codice dei contratti pubblici, a seguito della modifica apportata dal d.l. n. 32 del 2019, come convertito, non precluderebbe il ricorso all’utilizzo del criterio del minor prezzo.
8.1.– In relazione alla seconda questione – concernente l’introduzione di un metodo di calcolo della soglia di anomalia diverso da quello previsto dal codice dei contratti pubblici – la Regione Siciliana evidenzia che le previsioni impugnate ricalcherebbero quanto previsto dall’art. 97 del medesimo codice. Inoltre, si tratterebbe di una disciplina relativa alla «fase esecutiva dei contratti», riconducibile alla competenza esclusiva della Regione in materia di lavori pubblici ai sensi dell’art. 14, lettera g), dello statuto reg. Siciliana, nonché del successivo art. 17, lettere h) e i), che attribuiscono alla competenza concorrente la materia «dell’assunzione di pubblici servizi» e «tutte le altre materie che implicano servizi di prevalente interesse generale, dizione nella quale va ricompreso il concetto di forniture alla pubblica amministrazione».
In ogni caso, la disposizione censurata sarebbe «strutturata in aderenza all’orientamento giurisprudenziale-interpretativo sviluppatosi nella materia, con riguardo alla natura tecnico-discrezionale propri[a] di tale fase». A supporto della propria affermazione, la resistente richiama la sentenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, 23 gennaio 2018, n. 435, dalla quale si desumerebbe che il metodo di calcolo delle soglie di anomalie, prescelto dalle disposizioni impugnate, sarebbe di fatto in linea con quello indicato dal giudice amministrativo nello sciogliere un contrasto preesistente a proposito dell’art. 97 del codice dei contratti pubblici, e cioè che occorre individuare la media aritmetica e il fattore di correzione «sulla base della platea dei concorrenti al netto del c.d. taglio delle ali». In «continuità normativa» con tale orientamento, dunque, la Regione Siciliana avrebbe correttamente previsto che «per il calcolo della media aritmetica non vanno considerate le offerte previamente escluse in virtù del taglio delle ali» (viene citata anche la sentenza del Consiglio di Stato, sezione sesta, 17 ottobre 2017, n. 4803).
La resistente evidenzia che l’obiettivo perseguito dalle previsioni statali in materia di aggiudicazione degli appalti sarebbe quello «di favorire la competizione tra le imprese in un virtuoso rapporto di concorrenzialità», garantendo così un risparmio alla pubblica amministrazione. Inoltre, si dovrebbe evitare il rischio che il «“principio” del massimo risparmio» sacrifichi la qualità dell’opera. A fronte di tale obiettivo, però, non sarebbero seguiti i risultati sperati: le regole statali avrebbero portato, «in Sicilia, a parità di condizioni, [a] una tendenza all’aumento della media dei ribassi offerti rispetto alle restanti regioni italiane, atteso l’elevato numero di partecipanti alle gare». La crescita esponenziale dei ribassi offerti sarebbe dovuta «alla grande concentrazione di imprese edili sul territorio regionale ed al fatto che il numero medio di partecipanti alle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici» sarebbe «uno dei più elevati d’Italia».
Di conseguenza, la normativa regionale introdurrebbe un correttivo al metodo di calcolo volto ad «aggiudicare le gare di appalto a fronte di soglie di ribasso “sostenibili” rispetto a quanto, invece, avvenuto in costanza dell’applicazione della norma statale».
8.2.– Per quanto concerne, infine, la terza questione, relativa alla proroga dei contratti di affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale, la resistente richiama la già citata sentenza resa dalla CGUE nella causa Mobit Soc. cons. arl e altri. A dire della Regione Siciliana, con tale decisione il giudice europeo avrebbe interpretato l’art. 8 del regolamento (CE) n. 1370/2007 in modo diverso rispetto a quanto asserito dal ricorrente. In particolare, la CGUE non avrebbe imposto lo svolgimento delle procedure di gara per l’aggiudicazione dei contratti di concessione del servizio pubblico di trasporto durante il periodo transitorio che precede l’entrata in vigore dell’obbligo di conformarsi a quanto prescritto dall’art. 5 dello stesso regolamento.
Inoltre, secondo la difesa regionale – che richiama altresì le attribuzioni riconosciute alla Regione in materia di trasporti pubblici dal decreto legislativo 11 settembre 2000, n. 296 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione siciliana recanti modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 17 dicembre 1953, n. 1113, in materia di comunicazioni e trasporti), nonché dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) – quella disposta dall’art. 13 della legge regionale impugnata sarebbe «una proroga dell’aggiudicazione già posta in essere».
Già l’art. 27 della legge della Regione Siciliana 22 dicembre 2005, n. 19 (Misure finanziarie urgenti e variazioni al bilancio della Regione per l’esercizio finanziario 2005. Disposizioni varie) avrebbe, infatti, sancito la necessità di procedere all’adozione del piano per il riassetto del trasporto pubblico locale, dettando altresì la disciplina transitoria medio tempore applicabile. Nel frattempo, la resistente segnala che è stato approvato il cosiddetto piano integrato delle infrastrutture e della mobilità; che sono state delineate le modalità procedimentali per la determinazione dei servizi minimi che costituiranno oggetto della procedura aperta di cui all’art. 5 del regolamento comunitario; che il 21 dicembre 2020 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l’avviso di preinformazione per l’affidamento di tali servizi.
Ciò dimostrerebbe che, in «conformità alle prescrizioni contenute all’art. 8.2» del regolamento (CE) n. 1370/2007, la Regione avrebbe gradualmente «intrapreso il percorso finalizzato all’indizione delle procedure concorsuali […] per i nuovi affidamenti».
In definitiva, la proroga oggetto del ricorso sarebbe necessaria «per evitare l’interruzione del servizio o il pericolo imminente di una tale situazione con gravi ripercussioni sull’utenza».
La Regione richiama infine quanto recentemente disposto dall’art. 92, comma 4-ter, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, in legge 24 aprile 2020, n. 27. Tale previsione dispone infatti che, «[f]ino al termine delle misure di contenimento del virus COVID-19, tutte le procedure in corso, relative agli affidamenti dei servizi di trasporto pubblico locale, possono essere sospese, con facoltà di proroga degli affidamenti in atto al 23 febbraio 2020 fino a dodici mesi successivi alla dichiarazione di conclusione dell’emergenza».
9.– Con ordinanza n. 8 del 2021, questa Corte ha dichiarato inammissibile, in quanto tardiva, l’istanza di accesso agli atti del fascicolo di causa avanzata da ANCE Sicilia, lasciando impregiudicata ogni valutazione sull’ammissibilità dell’intervento in giudizio, il cui scrutinio è stato rinviato «alla ordinaria sede di cognizione del merito del giudizio».
Considerato in diritto
1.– Nel presente giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, impugna, tra gli altri, l’art. 4, comma 1, primo periodo, della legge della Regione Siciliana 19 luglio 2019, n. 13 (Collegato al DDL n. 476 ‘Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale’), nella parte in cui stabilisce l’obbligo per le stazioni appaltanti di utilizzare il criterio del minor prezzo nei casi in cui l’affidamento degli appalti di lavori d’importo pari o inferiore alla soglia comunitaria avvenga con procedure ordinarie sulla base del progetto esecutivo.
Tale disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, poiché interverrebbe in materia di procedure, selezione e criteri di aggiudicazione di gare pubbliche e si porrebbe in contrasto con quanto previsto dagli artt. 95 e 36 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), che demanderebbero alle singole stazioni appaltanti l’individuazione del criterio da utilizzare.
È impugnato anche l’art. 4, comma 1, a partire dal secondo periodo, e comma 2 della medesima legge reg. Siciliana n. 13 del 2019, nella parte in cui prescriverebbe le modalità di calcolo della soglia di anomalia delle offerte. Tale porzione normativa violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., poiché a sua volta interverrebbe in materia di procedure, selezione e criteri di aggiudicazione di gare pubbliche, dettando una disciplina diversa da quella contenuta nell’art. 97, commi 2, 2-bis e 2-ter, del d.lgs. n. 50 del 2016 (di seguito: codice dei contratti pubblici).
È infine censurato anche l’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019, nella parte in cui proroga di 36 mesi i contratti di affidamento provvisorio dei servizi di trasporto pubblico locale di cui all’art. 27 della legge della Regione Siciliana 22 dicembre 2005, n. 19 (Misure finanziarie urgenti e variazioni al bilancio della Regione per l’esercizio finanziario 2005. Disposizioni varie). Così disponendo, la norma regionale violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., poiché introdurrebbe una disciplina in contrasto con quanto sancito dagli artt. 5 e 8 del regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007 relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n. 1107/70.
Tale disposizione sarebbe altresì in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che attribuisce alla competenza esclusiva statale la materia della tutela della concorrenza, poiché, a causa della prevista proroga, la disposizione non contemplerebbe l’indizione di regolari gare d’appalto per la concessione dei servizi di trasporto pubblico locale, come invece richiederebbe la vigente disciplina in materia.
Infine, l’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019 violerebbe anche l’art. 17, lettera a), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, poiché eccederebbe dalle competenze attribuite alla Regione Siciliana in materia di «trasporti regionali».
2.– Resta riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con lo stesso ricorso.
3.– In via preliminare, deve essere confermata l’ordinanza dibattimentale, allegata alla presente sentenza, con cui è stato dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio spiegato dall’associazione ANCE Sicilia – Collegio regionale dei Costruttori Edili Siciliani.
4.– Passando al merito, è fondata, in primo luogo, la questione relativa all’art. 4, comma 1, primo periodo, della legge della Regione Siciliana n. 13 del 2019, a tenore del quale, nel territorio regionale «le stazioni appaltanti sono tenute ad utilizzare il criterio del minor prezzo, per gli appalti di lavori d’importo pari o inferiore alla soglia comunitaria, quando l’affidamento degli stessi avviene con procedure ordinarie sulla base del progetto esecutivo».
Per l’aggiudicazione degli appalti di lavori, la disposizione regionale introduce, in capo alle stazioni appaltanti, un vero e proprio vincolo all’utilizzo del criterio del minor prezzo.
Già durante i lavori preparatori della legge regionale ora impugnata, in più occasioni, nell’Assemblea regionale siciliana, sono stati sollevati dubbi sulla conformità a Costituzione della previsione che sarebbe poi divenuta, all’esito dell’approvazione, l’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019 (sedute del 19 giugno e del 10 luglio 2019).
In effetti, tale previsione statuisce in difformità da quanto prevede il codice dei contratti pubblici, che demanda alle singole stazioni appaltanti l’individuazione del criterio da utilizzare. Nel disciplinare l’aggiudicazione dei contratti sotto soglia, il suddetto codice, a seguito delle modifiche apportate dal decreto-legge cosiddetto “sblocca cantieri”– decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici), convertito, con modificazioni, in legge 14 giugno 2019, n. 55 – prevede attualmente, all’art. 36, comma 9-bis, che, «[f]atto salvo quanto previsto all’articolo 95, comma 3, le stazioni appaltanti procedono all’aggiudicazione dei contratti di cui al presente articolo sulla base del criterio del minor prezzo ovvero sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa».
Anche l’art. 95, comma 2, del medesimo codice prevede che «le stazioni appaltanti […] procedono all’aggiudicazione degli appalti […] sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo o sulla base dell’elemento prezzo o del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita, conformemente all’articolo 96».
Ne risulta che, per gli appalti di lavori, dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 32 del 2019, i due criteri (quello dell’offerta più vantaggiosa e quello del minor prezzo) sono alternativi senza vincoli, e la scelta è appunto rimessa alla stazione appaltante, fatti salvi casi specifici in cui è mantenuto il primato del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Non coglie perciò nel segno l’argomento della Regione Siciliana, secondo cui il comma 1 dell’art. 4 impugnato riprodurrebbe il contenuto dell’art. 95, comma 4, lettera a), del codice dei contratti pubblici, nella formulazione antecedente alla riforma operata dal d.l. n. 32 del 2019.
In disparte l’osservazione che si tratterebbe di una novazione della fonte, comunque preclusa al legislatore regionale in un ambito materiale di competenza esclusiva statale – e dovendosi sottolineare, in ogni caso, che la previsione regionale non è esattamente riproduttiva di quella statale precedente – questa Corte deve evidentemente condurre il raffronto con la normativa statale vigente, che tale era, del resto, quando è stata approvata la legge regionale in esame: ed è la stessa difesa regionale a riconoscere che la previsione censurata incide «sulla scelta delle stazioni appaltanti».
Questa circostanza è sufficiente a determinare il contrasto con la disciplina statale, contrasto che non vien meno pur se si ammetta – secondo quanto sottolinea la Regione – che l’art. 36 del codice dei contratti pubblici attualmente vigente non preclude il ricorso all’utilizzo del criterio del minor prezzo: come è ovvio che sia, giacché la disciplina statale, a differenza di quella regionale, affida e non impone alle stazioni appaltanti la scelta del criterio da utilizzare.
In tema di aggiudicazione di lavori pubblici, il legislatore regionale ha pertanto introdotto una normativa che invade la sfera di competenza esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza», adottando previsioni in contrasto con quelle del codice dei contratti pubblici.
È, in definitiva, palese la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, «le disposizioni del codice dei contratti pubblici [...] regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e [...] le Regioni, anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse difforme (tra le tante, sentenze n. 263 del 2016, n. 36 del 2013, n. 328 del 2011, n. 411 e n. 322 del 2008)» (di recente, sentenze n. 98 e n. 39 del 2020).
Infine, questo orientamento vale «anche per le disposizioni relative ai contratti sotto soglia (sentenze n. 263 del 2016, n. 184 del 2011, n. 283 e n. 160 del 2009, n. 401 del 2007)» (così, ancora, sentenze n. 98 e n. 39 del 2020).
5.– Per le stesse ragioni ora evidenziate, è fondata anche la seconda censura che l’Avvocatura generale dello Stato muove all’art. 4, comma 1 (dal secondo periodo in poi), e comma 2, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019.
Essa si appunta su quello che il ricorrente definisce un metodo di calcolo della soglia di «anomalia» delle offerte difforme da quello previsto dal codice dei contratti pubblici, con conseguente invasione dell’ambito riservato alla competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza.
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, tali previsioni detterebbero, infatti, una «disciplina del metodo di calcolo della soglia di anomalia delle offerte contrastante con la disciplina di cui all’articolo 97, commi 2 e 2-bis, e 2-ter del d.lgs. n. 50/2016». In particolare, l’Avvocatura evidenzia come il comma 2-ter del citato art. 97 attribuisca allo «Stato-Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la facoltà di “procedere con decreto alla rideterminazione delle modalità di calcolo per l’individuazione della soglia di anomalia”, al fine di non rendere nel tempo predeterminabili dagli offerenti i parametri di riferimento per il calcolo» della soglia stessa.
In effetti, nel codice dei contratti pubblici, l’art. 97 è dedicato alle «offerte […] anormalmente basse», ovvero a quelle offerte che, non garantendo un profitto adeguato all’imprenditore, si presume conducano all’esecuzione non corretta dei lavori appaltati. La disposizione detta diverse modalità di calcolo di tale soglia, a seconda che il numero delle offerte sia pari o superiore a quindici (comma 2), o inferiore a quindici (comma 2-bis). Vi è poi una norma di chiusura secondo cui, «[a]l fine di non rendere nel tempo predeterminabili dagli offerenti i parametri di riferimento per il calcolo della soglia di anomalia, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti può procedere con decreto alla rideterminazione delle modalità di calcolo per l’individuazione della soglia di anomalia» (comma 2-ter).
Per vero, rispetto al contenuto delle censure, è da precisare che le previsioni regionali disegnano solo indirettamente una «soglia di anomalia», attraverso un peculiare meccanismo, per cui la gara deve essere aggiudicata all’offerta che eguaglia la soglia – calcolata secondo le regole introdotte dalle stesse disposizioni impugnate – o che più vi si avvicina per difetto. Secondo quanto si legge nei lavori preparatori (seduta dell’Assemblea regionale siciliana dell’11 giugno 2019) e negli stessi atti difensivi regionali, le previsioni censurate perseguirebbero l’analogo scopo delle (peraltro difformi) previsioni statali, e sarebbero pertanto volte a evitare il verificarsi di ribassi eccessivi.
Conta, in ogni caso, che le prime delineano un meccanismo di individuazione della soglia, nonché di calcolo ed esclusione delle offerte anomale, diverso da quello previsto nel codice dei contratti pubblici. Quest’ultimo dispone infatti, all’art. 97, commi 2 e 2-bis, che, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, al fine di valutare la congruità delle offerte, la soglia di anomalia sia determinata con modalità di calcolo che variano a seconda che il numero delle offerte ammesse sia superiore (o pari) o inferiore a quindici; e prevede, altresì, che in presenza di offerte contenenti un ribasso pari o superiore alla citata soglia le stazioni appaltanti ne chiedano e ottengano giustificazione da parte degli operatori economici. Qualora tale giustificazione non sia sufficiente a spiegare «il basso livello di prezzi o di costi proposti», l’offerta anomala deve essere esclusa.
In definitiva, rileva qui che il legislatore siciliano – come del resto si evince dagli stessi argomenti addotti dalla difesa regionale, che ragiona espressamente della disposizione in esame come di un «correttivo» alla norma statale – abbia adottato previsioni che introducono un criterio alternativo di aggiudicazione dei lavori sotto soglia, nonché di verifica della anomalia delle offerte.
Ciò, all’evidenza, alla luce della giurisprudenza costituzionale più sopra richiamata, determina la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
6.– È, infine, fondata anche la terza censura, relativa all’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019.
Tale disposizione, al fine di garantire la continuità dei servizi di trasporto pubblico locale di passeggeri su strade di interesse regionale e locale, dispone al comma 1 la proroga per un triennio dei contratti di affidamento relativi ai servizi in parola e stabilisce, al comma 2, che il Dipartimento regionale delle infrastrutture, della mobilità e dei trasporti apporti le conseguenti modifiche ai contratti in essere, allo scopo di adeguarne gli importi ai corrispondenti stanziamenti di bilancio.
Anche la norma in esame viola l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto, non contemplando l’indizione di regolari gare d’appalto per la concessione dei servizi di trasporto pubblico locale, si pone in contrasto con la disciplina statale vigente nella materia «tutela della concorrenza».
La giurisprudenza costituzionale ha infatti sempre ascritto a tale materia qualunque intervento normativo di proroga delle concessioni dei servizi di trasporto pubblico locale già in essere, tenuto conto della diretta incidenza sul mercato di riferimento delle discipline di tal fatta. Non è pertanto consentito al legislatore regionale stabilire il rinnovo o la proroga automatica alla scadenza di concessioni di servizio di trasporto pubblico, in contrasto con i principi di temporaneità delle concessioni stesse e di apertura del mercato alla concorrenza. Le proroghe dettano infatti vincoli all’entrata e incidono sullo svolgersi della concorrenza nel settore del trasporto pubblico locale, determinando una potenziale disparità di trattamento tra operatori economici. Se disposte dal legislatore regionale, esse invadono perciò la competenza esclusiva del legislatore statale (sentenze n. 2 del 2014, n. 123 del 2011 e n. 80 del 2006).
Anche per le concessioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali vale, dunque, quanto questa Corte, da ultimo con la sentenza n. 10 del 2021, ha più volte stabilito in tema di concessioni di beni demaniali, e cioè che «discipline regionali che preved[ono] meccanismi di proroga o rinnovo automatico delle concessioni» sono da ritenersi invasive della competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che «rappresenta sotto questo profilo un limite insuperabile alle pur concorrenti competenze regionali».
D’altronde l’art. 17, comma 1, lettera a), dello statuto della regione Siciliana, le attribuisce la competenza legislativa concorrente in materia di «comunicazioni e trasporti regionali di qualsiasi genere» nel rispetto «dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato».
Infatti, la riconducibilità delle disposizioni che prorogano i servizi di trasporto pubblico locale alla materia di competenza esclusiva statale della «tutela della concorrenza» comporta – in ragione della natura trasversale della stessa (ex plurimis, sentenza n. 109 del 2018) – che in tale ambito le Regioni, anche a statuto speciale, non abbiano spazio di intervento.
D’altra parte, anche l’art. 7 del decreto legislativo 11 settembre 2000, n. 296 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione siciliana recanti modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 17 dicembre 1953, n. 1113, in materia di comunicazioni e trasporti) – pure richiamato dalla difesa della Regione – che ha introdotto un nuovo art. 4-ter nel decreto del Presidente della Repubblica 17 dicembre 1953, n. 1113 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di comunicazioni e trasporti), sancisce che «[l]a scelta del gestore del servizio di trasporto pubblico di interesse regionale e locale avviene mediante il ricorso alle procedure concorsuali in conformità alla normativa comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici di servizi».
Né, infine, sposta i termini della questione l’entrata in vigore dell’art. 92, comma 4-ter, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, in legge 24 aprile 2020, n. 27, anch’esso richiamato dalla difesa regionale. Tale disposizione ha previsto che, «[f]ino al termine delle misure di contenimento del virus COVID-19, tutte le procedure in corso, relative agli affidamenti dei servizi di trasporto pubblico locale, possono essere sospese, con facoltà di proroga degli affidamenti in atto al 23 febbraio 2020 fino a dodici mesi successivi alla dichiarazione di conclusione dell’emergenza».
L’entrata in vigore di questa disciplina, lungi dal recar vantaggio alla tesi della non fondatezza della censura ora in esame, dimostra, semmai, come sia solo il legislatore statale ad avere – in conformità all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. – la competenza ad adottare misure di proroga delle concessioni dei servizi di trasporto pubblico.
Parimenti coinvolto dalla pronuncia di illegittimità costituzionale è, infine, il comma 2 dell’art. 13, pure impugnato, che, in connessione al contenuto del comma 1, si limita ad autorizzare il Dipartimento regionale delle infrastrutture, della mobilità e dei trasporti ad apportare le opportune modifiche ai contratti già in essere.
Sono assorbite le censure relative alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, della legge della Regione Siciliana 19 luglio 2019, n. 13 (Collegato al DDL n. 476 ‘Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale’);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
Allegato:
Ordinanza letta all'udienza del 26 gennaio 2021
ORDINANZA
Visti gli atti relativi al giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge della Regione Siciliana 19 luglio 2019, n. 13 (Collegato al DDL n. 476 'Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2019. Legge di stabilità regionale'), promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri con ricorso depositato il 25 settembre 2019 (reg. ric. n. 99 del 2019).
Rilevato che nel giudizio è intervenuta, ad opponendum, con atto depositato il 15 novembre 2019, l'associazione «ANCE Sicilia - Collegio regionale dei Costruttori edili siciliani»;
che, con atto depositato il 4 gennaio 2021, ANCE Sicilia ha altresì chiesto a questa Corte di essere autorizzata ad accedere agli atti processuali di causa;
che con ordinanza n. 8 del 2021 la richiesta di accesso agli atti processuali è stata ritenuta tardiva e dunque è stata dichiarata inammissibile;
che, pertanto, la decisione sull'ammissibilità dell'intervento resta riservata alla ordinaria sede di cognizione del merito del giudizio cui esso accede.
Considerato che l'associazione interveniente si qualifica «[o]rganismo associativo regionale che assume la rappresentanza regionale della categoria imprenditoriale inquadrata nel sistema associativo facente capo all'Ance» e che afferma di «rappresenta[re] in via esclusiva gli interessi della categoria nei confronti della Regione e nei confronti degli altri Enti pubblici»;
che va ribadito il costante orientamento di questa Corte, secondo il quale nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale non è ammessa la presenza di soggetti diversi dalla parte ricorrente e dal titolare della potestà legislativa il cui esercizio è oggetto di contestazione (ex plurimis, tra le più recenti, sentenza n. 3 del 2021 e allegata ordinanza letta all'udienza del 2 dicembre 2020, sentenza n. 134 del 2020, sentenza n. 56 del 2020 e allegata ordinanza letta all'udienza del 25 febbraio 2020; ordinanza n. 213 del 2019);
che ciò vale a fortiori alla luce del nuovo art. 4-ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, che consente alle formazioni sociali senza scopo di lucro e ai soggetti istituzionali portatori di interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione di costituzionalità di presentare alla Corte un'opinione scritta in qualità di amici curiae (ordinanze n. 111 e n. 37 del 2020);
che l'intervento di «ANCE Sicilia - Collegio regionale dei Costruttori edili siciliani» va pertanto dichiarato inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento di «ANCE Sicilia - Collegio regionale dei Costruttori edili siciliani» nel giudizio promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con l'indicato ricorso r.r. n. 99 del 2019.
F.to: Giancarlo Coraggio