SENTENZA N. 161
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Lombardia 8 luglio 2020, n. 15 (Sicurezza del personale sanitario e sociosanitario), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 7-9 settembre 2020, depositato in cancelleria l’8 settembre 2020, iscritto al n. 77 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2020.
udito nell’udienza pubblica dell’8 giugno 2021 il Giudice relatore Maria Rosaria San Giorgio;
udito l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021, e l’avvocato Piera Pujatti per la Regione Lombardia;
deliberato nella camera di consiglio del 9 giugno 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso iscritto al n. 77 del reg. ric. 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Lombardia 8 luglio 2020, n. 15 (Sicurezza del personale sanitario e sociosanitario), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere g) e h), della Costituzione.
La disposizione impugnata stabilisce quanto segue: «La Regione promuove protocolli d’intesa con gli Uffici territoriali del Governo finalizzati a potenziare la presenza e la collaborazione con le forze di polizia nei pronto soccorso e nelle strutture ritenute a più elevato rischio di violenza e assicurare un rapido intervento in loco».
Secondo il ricorrente, il legislatore regionale sarebbe incorso nella violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nelle materie dell’ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e dell’ordine pubblico e sicurezza.
Lo strumento del «protocollo d’intesa», pur avendo natura convenzionale, non è compatibile – afferma il ricorrente – con «i processi di pianificazione e razionalizzazione dei presidi di polizia che l’ordinamento rimette alla competenza esclusiva statale», ai sensi di quanto prevede la legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza). L’art. 6, primo comma, lettera e), di tale legge affida al dipartimento della pubblica sicurezza il compito di «pianificazione generale e coordinamento delle pianificazioni operative della dislocazione delle forze di polizia e dei relativi servizi tecnici». Inoltre l’art. 13 della stessa legge prevede (al comma quinto) che il Prefetto «dispone della forza pubblica», mentre il successivo art. 14 (al comma secondo) attribuisce al Questore «la direzione, la responsabilità e il coordinamento, a livello tecnico operativo, dei servizi di ordine e di sicurezza pubblica e dell’impiego a tal fine della forza pubblica». Di conseguenza, a parere del ricorrente, un eventuale potenziamento delle risorse e dei presìdi territoriali non potrebbe formare oggetto di intese da raggiungersi tra Regione e Prefettura. L’eventuale incremento del personale sarebbe, infatti, rimesso a un provvedimento del Questore, mentre l’istituzione dei posti di polizia – ai sensi di quanto prevedono sia gli artt. 2 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 2001, n. 208 (Regolamento per il riordino della struttura organizzativa delle articolazioni centrali e periferiche dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, a norma dell’articolo 6 della legge 31 marzo 2000, n. 78), sia i decreti del Ministro dell’interno in data 16 marzo 1989 e 18 aprile 1989 – richiederebbe, comunque, un provvedimento del Capo della polizia – direttore generale della Pubblica sicurezza.
Osserva ancora il ricorrente che i presìdi di polizia presso gli ospedali risulterebbero «operanti solo presso le strutture sanitarie situate in alcune realtà territoriali» e costituirebbero «unità distaccate» poste alle «dipendenze delle Questure o dei Commissariati sezionali di pubblica sicurezza». Di conseguenza, tali presìdi sarebbero chiamati a svolgere gli «ordinari compiti istituzionalmente attribuiti alle citate articolazioni periferiche del Dipartimento di Pubblica sicurezza», in conformità all’art. 2 del d.P.R. n. 208 del 2001, e non potrebbero pertanto svolgere le funzioni di tutela dell’integrità psico-fisica degli operatori sanitari e socio-sanitari presenti nei pronto soccorso e nelle strutture assimilate, secondo la finalità perseguita dalla norma regionale impugnata.
Quest’ultima inoltre – pur se «con formulazione generica e poco chiara» – introdurrebbe a carico delle forze di polizia «compiti o funzioni ulteriori» rispetto a quelle previste dalla legislazione dello Stato. Ciò, laddove la norma prevede che, in base ai protocolli d’intesa, la presenza e la collaborazione delle forze di polizia venga potenziata «nelle strutture ritenute a più elevato rischio di violenza» e che venga assicurato «un rapido intervento in loco».
Il ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., secondo la quale le attribuzioni degli organi dello Stato non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, dovendo piuttosto trovare il proprio fondamento o il loro presupposto in leggi statali che le prevedano o le consentano, ovvero in accordi tra gli enti interessati. Vengono in proposito citate le sentenze di questa Corte n. 322 del 2006 e n. 429 del 2004.
L’attribuzione alla Regione del compito di promuovere e potenziare «la presenza e la collaborazione con le forze di polizia nei pronto soccorso e nelle strutture ritenute a più elevato rischio di violenza e assicurare un rapido intervento in loco», pertanto, inciderebbe «unilateralmente sull’organizzazione e sull’impiego delle Forze dell’ordine e di pubblica sicurezza, senza trovare alcun fondamento o presupposto in leggi statali». Peraltro, una conferma della violazione degli indicati ambiti di competenza statale esclusiva emergerebbe anche, secondo il ricorrente, dalla formulazione dell’art. 1 della legge regionale in esame, il cui testo – pur richiamando il «rispetto della normativa statale in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro», laddove viene indicata la finalità della legge regionale di «prevenire e contrastare ogni forma di violenza ai danni di operatori dei settori sanitario e sociosanitario» – omette qualsiasi cenno al rispetto della normativa statale nelle materie dell’«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato» e dell’«ordine pubblico e sicurezza».
2.– Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.
In punto di fatto, la resistente riferisce che l’allarme sociale per le frequenti aggressioni al personale sanitario delle strutture lombarde è notevolmente aumentato negli ultimi tempi. Solo nei primi sei mesi del 2019 «si sono verificate 4887 aggressioni a personale sanitario e non» presso gli ospedali, pubblici e privati accreditati, ubicati nel territorio regionale. Gli ambiti più esposti sarebbero i pronto soccorso e i reparti di psichiatria. La stessa Questura di Milano, al riguardo, avrebbe condotto «un importante studio, frutto di un approfondito esame delle casistiche emergenti». La legge regionale impugnata è quindi intervenuta proprio con l’intento di aumentare la sicurezza dei reparti ospedalieri, prevedendo una serie di misure tra le quali anche quella oggetto della norma contestata dal Governo.
Secondo la resistente, quest’ultima si limiterebbe a porre le basi per la collaborazione tra le strutture sanitarie e gli Uffici territoriali del Governo, senza porre a carico di organi e amministrazioni dello Stato alcun compito o attribuzione ulteriore rispetto a quelli individuati dalla legge statale. Il legislatore regionale si sarebbe, anzi, avvalso della possibilità, auspicata dalla giurisprudenza costituzionale, di instaurare forme di collaborazione tra apparati statali, regionali e degli enti locali, al fine di migliorare le condizioni di sicurezza dei cittadini e del territorio.
Il coinvolgimento delle Prefetture e delle Questure auspicato dalla norma regionale avverrebbe, pertanto, solo in via consensuale, condizionatamente alla stipula di appositi protocolli d’intesa, rimanendo ben fermo che solo tali organi statali «potranno decidere se e quali forze di polizia impiegare per il contrasto alle forme di violenza a danno degli operatori sanitari, e relative condizioni e modalità». Tanto, peraltro, risulterebbe in coerenza con le previsioni dalla legge statale, e in particolare con l’art. 11, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), a norma del quale la Prefettura garantisce la leale collaborazione degli uffici periferici dello Stato con gli enti locali, nonché con gli artt. 3 e 5 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 2017, n. 48, che – rispettivamente – consentono alle Regioni di concludere specifici accordi con lo Stato per la promozione della sicurezza integrata e prevedono i patti per l’attuazione della sicurezza urbana. Anche lo stesso art. 6, primo comma, lettera e), della legge n. 121 del 1981, invocato nel ricorso, sarebbe coerente con la norma regionale impugnata.
La Regione resistente richiama la giurisprudenza di questa Corte che, pur escludendo che le Regioni possano disciplinare unilateralmente forme di collaborazione e di coordinamento con organi statali, ha comunque ammesso la possibilità di realizzare simili forme di raccordo nella materia dell’«ordine pubblico e sicurezza» (sono citate le sentenze n. 9 del 2016 e n. 88 del 2020), specialmente alla luce delle novità introdotte con il d.l. n. 14 del 2017, come convertito (sentenza n. 177 del 2020). In tale quadro, le Regioni ben potrebbero svolgere, comunque nell’ambito delle proprie competenze, attività di stimolo e di impulso presso i competenti organi statali, al fine del perseguimento della tutela della sicurezza (è richiamata la sentenza n. 167 del 2010, in quanto citata dalla sentenza n. 285 del 2019).
La resistente, inoltre, riferisce che lo stesso Ministero dell’interno aveva «contraddittoriamente» suggerito di integrare la formulazione dell’art. 5, comma 2, della legge reg. Lombardia n. 15 del 2020, inserendovi una previsione secondo la quale la relazione annuale sugli esiti dell’applicazione della legge regionale dovesse essere inviata anche al Prefetto «ai fini di un eventuale approfondimento in sede di Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica». La circostanza starebbe «a riprova di quanto sia importante la collaborazione fra istituzioni nel migliorare le condizioni di sicurezza dei cittadini».
Infine, la Regione precisa che l’art. 1 della legge regionale de qua, laddove non richiama l’obbligo di osservare la normativa statale in materia di ordine pubblico e ordinamento dello Stato, non potrebbe essere interpretato nel senso di poter disattendere quella normativa. A sostegno di quanto sostenuto, la resistente richiama alcuni precedenti di questa Corte (sentenze n. 43 del 2011 e n. 45 del 2010).
3.– Con successiva memoria, la Regione Lombardia ha insistito per il rigetto della questione, richiamando, ad ulteriore sostegno, le considerazioni da ultimo espresse nella sentenza n. 236 del 2020 di questa Corte, in materia di protocolli di legalità promossi dalla normativa regionale.
In proposito, la Regione osserva che se possono considerarsi legittime – come stabilito dal precedente richiamato – normative regionali che promuovono protocolli di legalità ovvero azioni integrate di professionisti e polizia locale per prevenire fenomeni di radicalizzazione, «non si comprende perché sarebbe illegittimo promuovere protocolli d’intesa con gli Uffici territoriali del Governo finalizzati a potenziare la sicurezza nelle strutture sanitarie». Nel caso di specie, aggiunge la resistente, la norma regionale impugnata «mira a creare e ribadire le precondizioni affinché si realizzi un’azione di sicurezza integrata anche presso le strutture sanitarie».
4.– Alle difese della Regione ha successivamente replicato una memoria depositata dall’Avvocatura dello Stato, con la quale sono state ribadite – nella sostanza – le censure già sollevate con il ricorso.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 77 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Lombardia 8 luglio 2020, n. 15 (Sicurezza del personale sanitario e sociosanitario), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere g) e h), della Costituzione.
La disposizione impugnata – nello stabilire che «[l]a Regione promuove protocolli d’intesa con gli Uffici territoriali del Governo finalizzati a potenziare la presenza e la collaborazione con le Forze di polizia nei pronto soccorso e nelle strutture ritenute a più elevato rischio di violenza e assicurare un rapido intervento in loco» – realizzerebbe, secondo il ricorrente, un’indebita ingerenza in materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, quali l’ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera g, Cost.) e l’ordine pubblico e sicurezza (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.). Essa sarebbe incompatibile con «i processi di pianificazione e razionalizzazione dei presidi di polizia», oggetto di specifica disciplina a opera della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), mentre non potrebbe costituire oggetto di intese tra Regione e Prefettura neanche l’eventuale potenziamento delle risorse e dei presidi territoriali. La tutela dell’integrità psico-fisica degli operatori del settore sanitario e socio-sanitario, che svolgono la propria attività nei pronto soccorso e nelle strutture assimilate, del resto, non rientrerebbe tra i compiti istituzionali ordinariamente attribuiti alle strutture periferiche del Dipartimento di pubblica sicurezza, ai sensi dell’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 2001, n. 208 (Regolamento per il riordino della struttura organizzativa delle articolazioni centrali e periferiche dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, a norma dell’articolo 6 della L. 31 marzo 2000, n. 78).
In definitiva, secondo il ricorrente, l’art. 4 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2020 introdurrebbe in modo unilaterale, e «con formulazione generica e poco chiara», nuovi e ulteriori «compiti o funzioni [...] alle Forze di polizia che la Costituzione attribuisce esclusivamente allo Stato», con riferimento sia alla funzione di organizzazione e di gestione del personale, sia a quella di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza.
2.– La questione – che coinvolge inscindibilmente i due parametri di competenza sollevati, attinenti entrambi alla disciplina delle forze di polizia dello Stato, dal lato organizzativo e dal lato funzionale (sentenza n. 170 del 2019) – non è fondata.
2.1.– La disposizione impugnata, pur nella sua formulazione letterale non del tutto perspicua, si riferisce alla presenza delle forze di polizia dello Stato presso i luoghi considerati maggiormente sensibili per la sicurezza degli operatori sanitari e socio-sanitari, ed è volta a rafforzare la collaborazione tra la Regione e le medesime Forze di polizia, al fine di salvaguardare la sicurezza del personale sanitario e socio-sanitario, presso le strutture ove tale personale opera, in un contesto di particolare allarme sociale, come testimoniato da frequenti fatti di cronaca. Essa prefigura attività e forme di impiego del personale della Polizia di Stato sul territorio, al fine di potenziarle, sulla base di necessari e prodromici accordi tra la Regione e gli Uffici territoriali del Governo.
2.2.– Forme di accordo o di intesa tra Stato, Regioni ed enti locali nella materia della sicurezza sono ben presenti nel panorama normativo nazionale. Basti pensare alla legge 7 marzo 1986, n. 65 (Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale), che prevede la collaborazione tra le forze di polizia locale e quelle della Polizia di Stato «previa disposizione del sindaco, quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti autorità» (art. 3); o al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, in legge 12 luglio 1991, n. 203, che, all’art. 12, ha demandato al Ministro dell’interno la emanazione di direttive per la realizzazione, a livello provinciale, di «piani coordinati di controllo del territorio», da attuarsi a cura dei competenti uffici della Polizia di Stato e dei comandi provinciali dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, con l’espressa previsione che ad essi possano partecipare, previa richiesta al sindaco, contingenti dei corpi o servizi di polizia municipale.
A seguito del trasferimento alle Regioni delle funzioni di polizia amministrativa, stabilito dall’art. 161 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), l’art. 7 del d.P.C.m. 12 settembre 2000 (Individuazione delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ed agli enti locali per l’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di polizia amministrativa) ha introdotto apposite forme di collaborazione fra Stato, Regioni ed enti locali per il «perseguimento di condizioni ottimali di sicurezza delle città e del territorio extraurbano e di tutela dei diritti di sicurezza dei cittadini», e per il «potenziamento tecnico-logistico delle strutture e dei servizi di polizia amministrativa regionale e locale, nonché dei servizi integrativi di sicurezza e di tutela sociale», prevedendo specifici accordi per lo «svolgimento in forma coordinata» delle attività di rispettiva competenza, ed onerando il Ministro dell’interno di promuovere «protocolli d’intesa» volti a «conseguire specifici obiettivi di rafforzamento delle condizioni di sicurezza delle città e del territorio extraurbano».
Analogamente, l’art. 1, comma 439, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», consente al Ministro dell’interno di «stipulare convenzioni con le regioni e gli enti locali che prevedano la contribuzione logistica, strumentale o finanziaria delle stesse regioni e degli enti locali», al fine di realizzare «programmi straordinari di incremento dei servizi di polizia, di soccorso tecnico urgente e per la sicurezza dei cittadini». Previsione, codesta, che ha trovato una specificazione normativa nell’art. 6-bis del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province), convertito, con modificazioni, in legge 15 ottobre 2013, n. 119, recante nella rubrica «Accordi territoriali di sicurezza integrata per lo sviluppo», il quale ha previsto il raggiungimento di detti accordi tra Ministro, Regioni ed enti locali con riguardo alle «aree interessate da insediamenti produttivi o da infrastrutture logistiche ovvero da progetti di riqualificazione e riconversione di siti industriali o commerciali dismessi o da progetti di valorizzazione dei beni di proprietà pubblica o da altre iniziative di sviluppo territoriale» (comma 1).
Con il decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), convertito, con modificazioni, in legge 18 aprile 2017, n. 48, il legislatore nazionale ha, poi, introdotto una disciplina organica della cosiddetta sicurezza integrata, da intendersi come «l’insieme degli interventi assicurati dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e Bolzano e dagli enti locali», nonché da altri soggetti istituzionali, «al fine di concorrere, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e responsabilità, alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali» (art. 1, comma 2). L’art. 2 del citato decreto-legge ha affidato ad apposite linee generali, da adottare con accordo sancito in sede di Conferenza unificata (su proposta del Ministro dell’interno), il compito di «coordinare, per lo svolgimento di attività di interesse comune, l’esercizio delle competenze dei soggetti istituzionali coinvolti, anche con riferimento alla collaborazione tra le forze di polizia e la polizia locale», nei settori di intervento ivi indicati, tenendo conto della «necessità di migliorare la qualità della vita e del territorio e di favorire l’inclusione sociale e la riqualificazione socio-culturale delle aree interessate».
Il d.l. n. 14 del 2017 ha così contribuito a dare attuazione all’art. 118, terzo comma, Cost., prevedendo che, in attuazione delle summenzionate linee generali, Stato, Regioni e Province autonome possano concludere «specifici accordi per la promozione della sicurezza integrata, anche diretti a disciplinare gli interventi a sostegno della formazione e dell’aggiornamento professionale del personale della polizia locale» (art. 3, comma 1). Le Regioni e le Province autonome possono altresì sostenere, nell’ambito delle proprie competenze e funzioni, iniziative e progetti volti ad attuare interventi di promozione della sicurezza integrata nel territorio di riferimento, «ivi inclusa l’adozione di misure di sostegno finanziario a favore dei comuni maggiormente interessati da fenomeni di criminalità diffusa» (art. 3, comma 2).
In tal senso, il menzionato decreto-legge ha disciplinato, in modo ampio e trasversale, le «forme di coordinamento» previste dall’art. 118, terzo comma, Cost., coinvolgendo gli enti regionali non solo quali terminali delle scelte compiute dallo Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, ma anche come portatori di interessi che, ancorché non direttamente afferenti alla materia di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., sono teleologicamente connessi alla competenza esclusiva dello Stato.
Il quadro normativo statale si arricchisce ulteriormente, con specifico riguardo alla materia di cui oggi si tratta, con la legge 14 agosto 2020, n. 113 (Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni), che detta disposizioni per la sicurezza di coloro che esercitano le professioni sanitarie e socio sanitarie, stabilendo, tra l’altro, all’art. 7, al fine di prevenire episodi di aggressione o di violenza, che le strutture presso le quali opera il personale di cui si tratta adottino, nei propri piani per la sicurezza, misure volte a stipulare specifici protocolli operativi con le forze di polizia, per garantire il loro tempestivo intervento.
2.3.– È alla luce di tale rinnovata declinazione legislativa del concetto di sicurezza che la giurisprudenza costituzionale ha esaminato il tema della portata dell’intervento consentito all’autonomia regionale nella materia de qua.
Questa Corte ha chiarito che «le Regioni non possono porre a carico di organi e amministrazioni dello Stato compiti ulteriori rispetto a quelli individuati dalla legge statale» (sentenza n. 88 del 2020; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 2 del 2013, n. 167 e n. 104 del 2010, n. 10 del 2008, n. 322 del 2006). Tale preclusione opera anche con riguardo alla previsione di «forme di collaborazione e di coordinamento», le quali, ove coinvolgano compiti e attribuzioni di organi dello Stato, «non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa», dovendo trovare il loro fondamento o il loro presupposto in leggi statali che le prevedano o le consentano, o in accordi tra gli enti interessati (sentenze n. 170 del 2019, n. 183 del 2018 e n. 9 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 30 del 2006, n. 429 e n. 134 del 2004).
E proprio sulla base delle indicazioni e del perimetro degli interventi delle autonomie locali disegnato dalla illustrata cornice normativa statuale, la sentenza n. 285 del 2019 ha giudicato non fondata la questione di legittimità costituzionale, promossa dallo Stato in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., della normativa di cui alla legge della Regione Basilicata 30 novembre 2018, n. 45 (Interventi regionali per la prevenzione e il contrasto della criminalità e per la promozione della cultura e della legalità e di un sistema integrato di sicurezza nell’ambito del territorio regionale), che attribuiva alla Regione il compito di promuovere iniziative formative, informative e culturali, nonché interventi, realizzati anche in collaborazione con le forze dell’ordine, a seguito di apposita stipula d’intesa, di assistenza di tipo materiale e psicologico, utili a prevenire e contrastare i reati che colpiscono la popolazione anziana, con particolare riferimento ai delitti contro il patrimonio mediante frode. In quella occasione, la Corte ha affermato che la semplice previsione della possibilità di una intesa con le forze di polizia non comporta alcuna interferenza con la competenza esclusiva dello Stato in materia di sicurezza, una volta esclusa la pretesa di un coinvolgimento necessario delle stesse. In proposito è stato richiamato il precedente della Corte in materia di bullismo e cyber-bullismo (sentenza n. 116 del 2019), in cui la non fondatezza della questione allora sollevata era stata motivata, tra l’altro, con riferimento alla natura meramente facoltativa della partecipazione dei rappresentanti statali all’apposito tavolo di coordinamento, partecipazione comunque subordinata alla previa intesa con gli enti di appartenenza.
Con la stessa sentenza n. 285 del 2019, è stata dichiarata non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale di altra disposizione della medesima legge reg. Basilicata n. 45 del 2018, che prevede che la Regione, al fine di assicurare un adeguato controllo del territorio mediante un più efficiente svolgimento delle funzioni di polizia locale, promuove, previa intesa con gli enti locali interessati, il potenziamento delle attività di vigilanza nelle aree più soggette a rischio di esposizione ad attività criminose. Al riguardo, questa Corte, dopo aver sottolineato che l’eventuale assegnazione di compiti attinenti alla pubblica sicurezza non può essere decisa unilateralmente dalla Regione, pena l’invasione della competenza esclusiva dello Stato a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., ha ritenuto facoltizzata la Regione a promuovere il potenziamento delle attività di vigilanza purché nell’ambito dei piani predisposti dal Ministro dell’interno.
Nella medesima direzione la sentenza n. 177 del 2020 ha giudicato conforme a Costituzione una norma della legge della Regione Puglia 28 marzo 2019, n. 14 (Testo unico in materia di legalità, regolarità amministrativa e sicurezza), che dispone che nell’attuazione delle politiche di prevenzione e contrasto dei fenomeni di illegalità in materia di tutela dell’ambiente, connessi o derivanti da attività criminose di tipo organizzato o mafioso, la Regione promuove la conclusione di accordi e la stipula di convenzioni con le autorità statali operanti sul territorio regionale nel settore ambientale, le associazioni di imprese, le organizzazioni sindacali, le associazioni di volontariato e le associazioni ambientalistiche individuate secondo le procedure di legge. Anche in tale occasione questa Corte ha chiarito che la Regione ha inteso limitarsi all’affiancamento agli organi statali nel perseguimento del fine di combattere la criminalità nei settori ambientale e sanitario, e che le disposizioni che prevedono la promozione di accordi tra Regione ed autorità statali hanno valore programmatico.
Non si discosta da tali precedenti la sentenza n. 236 del 2020, nella quale la declaratoria di illegittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 8 agosto 2019, n. 34 (Norme per il riconoscimento ed il sostegno della funzione sociale del controllo di vicinato nell’ambito di un sistema di cooperazione interistituzionale integrata per la promozione della sicurezza e della legalità), è fondata piuttosto sulla sostanziale rivendicazione, operata da quella legge, di una specifica competenza regionale all’attività istituzionale di prevenzione generale dei reati e controllo del territorio, che costituisce il nucleo centrale della funzione di pubblica sicurezza, riconducibile a materia di esclusiva competenza statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.; nonché sulla pretesa della Regione di disciplinare forme di coordinamento fra Stato ed enti locali in materia di ordine pubblico e sicurezza, con il sostegno della stessa Regione, in una materia in cui l’intervento del legislatore regionale è ammissibile solo nel rispetto delle procedure e dei limiti sostanziali stabiliti dal legislatore statale ai sensi dell’art. 118, terzo comma, Cost.
2.4.– Nel caso all’attuale esame, la disposizione impugnata non disciplina, in modo unilaterale, le forme di collaborazione e di coordinamento con le forze di polizia dello Stato – che pure mira a instaurare – ma, al contrario, le inquadra entro una cornice pattizia che mantiene salvi e integri i compiti e le attribuzioni dell’amministrazione di pubblica sicurezza.
2.5.– Come anche di recente ribadito da questa Corte, del resto, la Regione ben può «sollecitare lo Stato», «affinché questo ricalibri la distribuzione della forza pubblica sul territorio», e ciò a maggior ragione «[n]ell’ambito della rinnovata strategia istituzionale volta a garantire la sicurezza integrata» (sentenza n. 285 del 2019, punto 9.3. del Considerato in diritto), quale definita e disciplinata dal decreto-legge n. 14 del 2007.
In particolare, va ricordato che i protocolli d’intesa previsti dalla disposizione regionale impugnata si collocano nel quadro generale degli specifici accordi per la promozione della sicurezza integrata – che lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano possono concludere, a norma del richiamato art. 3 del d.l. n. 14 del 2017, in attuazione delle linee generali fissate, ai sensi dell’art. 2 dello stesso decreto-legge, su proposta del Ministro dell’interno, con accordo sancito in sede di Conferenza unificata – nella misura in cui consentono, proprio secondo le indicazioni provenienti dalla fonte statale, di individuare «specifici obiettivi per l’incremento dei servizi di controllo del territorio e per la sua valorizzazione» (art. 7, comma 1, del d.l. n. 14 del 2017), anche mediante, eventualmente, l’impiego di «software di analisi video per il monitoraggio attivo con invio di allarmi automatici a centrali delle forze di polizia» (art. 7, comma 1-bis, del d.l. n. 14 del 2017), ossia di strumenti in grado di garantire, come precisa la norma regionale, un rapido intervento in loco delle forze di polizia.
Conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, anche nella presente fattispecie può dunque affermarsi che i previsti protocolli d’intesa tra la Regione e gli Uffici territoriali di Governo «trovano fondamento nella legge statale» (sentenza n. 104 del 2010, punto 5 del Considerato in diritto; analogamente, anche sentenza n. 454 del 2007, punto 2.2. del Considerato in diritto).
2.6.– Del resto, l’adesione a detti protocolli aventi ad oggetto la presenza e la collaborazione delle forze di polizia si pone per l’amministrazione dello Stato come mera facoltà, e non certo come obbligo. Fintanto che quei protocolli non saranno sottoscritti, nessun comportamento o prestazione sono imposti alle Prefetture e alle Questure, rimanendo esse libere di addivenire alla conclusione degli accordi con la Regione, nell’esercizio delle proprie prerogative di organizzazione e di dislocazione sul territorio delle forze di polizia, in conformità alle previsioni della legge n. 121 del 1981 e del regolamento di cui al d.P.R. n. 208 del 2001.
2.7.– Né alcun argomento in contrario può desumersi dalla formulazione dell’art. 1 della legge regionale in esame, il quale – come pure evidenziato dal ricorrente – assicura il «rispetto della normativa statale in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro» (laddove indica la finalità della legge regionale di «prevenire e contrastare ogni forma di violenza ai danni di operatori dei settori sanitario e sociosanitario»), ma omette di richiamare espressamente la normativa statale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e di ordine pubblico e sicurezza. Non è infatti possibile desumere, da tale mancato richiamo, la volontà del legislatore regionale di non rispettare le prerogative dello Stato in tali ambiti, soprattutto in una fattispecie come quella in esame, in relazione alla quale la Regione non dispone di alcuna competenza legislativa (sentenza n. 278 del 2012, punto 5 del Considerato in diritto).
3.– Deve pertanto concludersi che l’art. 4 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2020 non invade indebitamente le prerogative dello Stato in ordine alla disciplina delle forze di polizia, né dal punto di vista dell’organizzazione amministrativa e del personale, né sotto il profilo funzionale della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza. Le forme facoltative di collaborazione con la Regione discendono direttamente dalle previsioni generali della legge statale sulla sicurezza integrata, prima richiamate, e si mantengono nell’ambito delle «precondizioni per un più efficace esercizio delle classiche funzioni di ordine pubblico, per migliorare il contesto sociale e territoriale di riferimento» (sentenza n. 285 del 2019, punto 2.5. del Considerato in diritto).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Lombardia 8 luglio 2020, n. 15 (Sicurezza del personale sanitario e sociosanitario), promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere g) e h), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2021.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE