SENTENZA N. 167
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 6, 3, comma 1, e 11, commi da 1 a 4 e 6, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 18 maggio 2020, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia di autonomie locali, finanza locale, funzione pubblica, formazione, lavoro, cooperazione, ricerca e innovazione, salute e disabilità, rifinanziamento dell’articolo 5 della legge regionale 3/2020 recante misure a sostegno delle attività produttive), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 17-23 luglio 2020, depositato in cancelleria il 23 luglio 2020, iscritto al n. 62 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;
udito nell’udienza pubblica del 23 giugno 2021 il Giudice relatore Angelo Buscema;
uditi l’avvocato dello Stato Stefano Lorenzo Vitale per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;
deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso depositato il 23 luglio 2020 (reg. ric. n. 62 del 2020), ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 6, 3, comma 1, e 11, commi da 1 a 4 e 6, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 18 maggio 2020, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia di autonomie locali, finanza locale, funzione pubblica, formazione, lavoro, cooperazione, ricerca e innovazione, salute e disabilità, rifinanziamento dell’articolo 5 della legge regionale 3/2020 recante misure a sostegno delle attività produttive), in riferimento agli artt. 23, 97 e 117, secondo comma, lettere e) ed l), e terzo comma, della Costituzione – quest’ultimo in relazione all’art. 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122 – nonché al principio di ragionevolezza, ai principi espressi dalla legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), e all’art. 4 (recte: art. 4, numero 1-bis) della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).
1.1.– L’art. 1 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 viene impugnato limitatamente al comma 6, laddove, inserendo l’art. 29-bis (Disposizioni per la liquidazione delle Unioni territoriali intercomunali che esercitano le funzioni delle soppresse Province) nella legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 novembre 2019, n. 21 (Esercizio coordinato di funzioni e servizi tra gli enti locali del Friuli-Venezia Giulia e istituzione degli Enti di decentramento regionale), prevede, tra l’altro, che «[i] beni immobili di proprietà delle Unioni territoriali intercomunali che esercitano le funzioni delle soppresse Province sono attribuiti ai Comuni nei cui territori essi insistono. I Commissari, nominati ai sensi dell’articolo 29, comma 4, redigono il relativo verbale di consegna, che ai sensi dell’articolo 2645 del codice civile, costituisce titolo per l’intavolazione, la trascrizione immobiliare e la voltura catastale di diritti reali sui beni immobili trasferiti. Il trasferimento della proprietà dei beni immobili decorre dalla data del verbale di consegna. Per il trasferimento della proprietà dei beni immobili si applica l’articolo 1, comma 96, lettera b), della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni)».
Ad avviso del ricorrente, la disposizione, disciplinando i modi di acquisto della proprietà e individuando i titoli idonei alla trascrizione, intavolazione e voltura catastale, inciderebbe nella materia «ordinamento civile», di competenza esclusiva del legislatore statale, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
1.2.– L’art. 3 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 viene impugnato limitatamente al comma 1, ai sensi del quale «[i] Comuni che, al fine di fronteggiare la situazione di crisi derivante dall’emergenza COVID-19, deliberano, per l’anno 2020, riduzioni ed esenzioni della tassa sui rifiuti (TARI), ai sensi dell’articolo 1, comma 660, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di stabilità 2014), riduzioni della tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (TOSAP) o del canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (COSAP), possono disporre la copertura del relativo minor gettito o minore entrata anche attraverso il ricorso a risorse derivanti dall’avanzo disponibile, nonché da trasferimenti regionali. Le deliberazioni di riduzione ed esenzione possono essere adottate anche successivamente all’approvazione del bilancio di previsione per l’esercizio 2020».
Anzitutto, secondo il ricorrente, la previsione che i Comuni possano utilizzare la quota libera dell’avanzo di amministrazione per ovviare al minor gettito derivante dalle riduzioni ed esenzioni deliberate violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto la disciplina dell’utilizzo dell’avanzo di amministrazione afferirebbe alle materie «sistema tributario e contabile dello Stato», «armonizzazione dei bilanci pubblici» e «perequazione delle risorse finanziarie», di competenza esclusiva del legislatore statale. Al contempo, l’art. 109, comma 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, consentirebbe l’impiego dell’avanzo disponibile solo per finanziare le spese correnti connesse all’emergenza in corso.
In secondo luogo, la disposizione viene impugnata laddove consente che esenzioni e riduzioni possano essere deliberate anche dopo l’approvazione del bilancio di previsione per l’esercizio 2020, in contrasto con la normativa statale – si citano, in particolare, l’art. 1, comma 169, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», e l’art. 53, comma 16, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)» – riconducibile alla materia «armonizzazione dei bilanci pubblici», secondo cui le statuizioni afferenti alle tariffe e alle aliquote dei tributi devono essere adottate entro la data fissata per la deliberazione del bilancio di previsione, in ragione della stretta correlazione sussistente tra la definizione della manovra tributaria e la redazione del bilancio, strumentalmente alla funzione di programmazione in esso insita. Di qui il vulnus all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Il medesimo art. 3, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 violerebbe altresì l’art. 23 Cost. – in quanto il contribuente verrebbe assoggettato a una prestazione patrimoniale imposta oltre il termine perentorio fissato dal legislatore statale (art. 1, comma 169, della legge n. 296 del 2006) – nonché i principi sanciti dalla legge n. 212 del 2000, in mancanza di un riferimento temporale certo per l’individuazione di aliquote e tariffe applicabili per ciascun anno d’imposta.
1.3.– L’art. 11 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 prevede che «1. Fino alla riforma dell’ordinamento dei segretari comunali del Friuli-Venezia Giulia e, comunque, non oltre dodici mesi dalla data di entrata in vigore delle presenti disposizioni, al fine di fare fronte alla grave e cronica carenza di segretari comunali iscritti alla sezione regionale dell’albo, anche in relazione alla imprescindibile operatività di tutti gli enti locali della Regione nella fase successiva al superamento dell’emergenza epidemiologica, l’individuazione dei soggetti cui attribuire il ruolo di segretari comunali nelle sedi di segreteria con popolazione fino a 3.000 abitanti avviene anche secondo le disposizioni contenute nei commi successivi. 2. Presso l’Ufficio unico di cui all’articolo 17, comma 1, della legge regionale 18/2016 è istituito l’Elenco dei soggetti cui può essere attribuita la reggenza temporanea delle sedi di segreteria con popolazione fino a 3.000 abitanti. 3. Possono presentare domanda di iscrizione all’Elenco di cui al comma 2 i dipendenti di ruolo degli enti del Comparto unico del pubblico impiego regionale e locale con contratto di lavoro a tempo indeterminato, in possesso dei requisiti per l’accesso alla qualifica di segretario comunale di cui all’articolo 13, comma 13, della legge regionale 30 dicembre 2009, n. 24 (Legge finanziaria 2010). 4. I sindaci dei Comuni di cui al comma 1, dopo aver esperito senza successo la procedura di pubblicizzazione della sede di segreteria vacante prevista dalle norme vigenti e qualora non procedano ai sensi dell’articolo 13 della legge regionale 24/2009, avanzano apposita richiesta all’Ufficio unico e individuano il soggetto cui conferire l’incarico di reggenza temporanea, scegliendolo nell’ambito di una terna di nominativi predisposta dall’Ufficio unico sulla base delle manifestazioni di interesse pervenute dagli iscritti ovvero, in mancanza, della vicinanza del luogo di residenza dichiarato dagli stessi rispetto alla sede di conferimento dell’incarico. […] 6. Il conferimento dell’incarico di cui al comma 4 implica la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato regolato, per la parte giuridica ed economica, secondo la disciplina dettata dai contratti collettivi dei segretari comunali e provinciali. La spesa relativa è esclusa dal limite per il lavoro flessibile di cui all’articolo 9, comma 28, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modifiche e integrazioni, ma rileva per il limite della spesa complessiva di personale di cui all’articolo 22 della legge regionale 18/2015».
Secondo il ricorrente, i citati commi da 1 a 4 violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto interverrebbero sull’ordinamento dei segretari comunali e provinciali, funzionari statali il cui status giuridico rientrerebbe nella competenza esclusiva del legislatore statale, disciplinando l’istituto della reggenza difformemente, in particolare, da quanto previsto dall’art. 16-ter del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2020, n. 8.
La disciplina regionale, peraltro, discostandosi da quella nazionale – segnatamente, quanto alla possibilità di conferire l’incarico di vice segretario a prescindere da ogni requisito minimo di servizio e dall’autorizzazione del Ministero dell’interno, nonché dagli ordinari meccanismi di selezione, di formazione professionale e di individuazione del soggetto destinato alla reggenza – oltre a invadere la competenza statale, determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei dipendenti degli enti locali delle altre Regioni, con conseguente violazione dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., nonché del principio di ragionevolezza.
Né, secondo il ricorrente, varrebbe invocare la competenza regionale in materia di «ordinamento del personale dei comuni, delle province e degli altri enti locali», ai sensi dell’art. 15 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), in quanto, da un lato, il successivo art. 18 prevede che, fino a che non entrino in vigore le leggi regionali di disciplina della materia – quale, appunto, quella di riforma dell’ordinamento dei segretari comunali, in attesa della quale la resistente ha legiferato – continui ad applicarsi la normativa statale e, dall’altro, il legislatore regionale dovrebbe comunque uniformarsi ai principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica, in virtù dell’art. 4, numero 1-bis), dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia. Di qui la violazione anche di quest’ultimo parametro.
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, infine, il comma 6 dell’art. 11 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020, disponendo che l’onere finanziario determinato dall’incarico di reggenza di cui al precedente comma 4 sia escluso dal limite di spesa previsto per il lavoro flessibile dall’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, contrasterebbe con il principio di coordinamento della finanza pubblica espresso da tale disposizione statale, applicabile anche alle autonomie speciali, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
2.– Si è costituita in giudizio, con atto depositato il 17 agosto 2020, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, deducendo l’inammissibilità e, comunque, la non fondatezza delle questioni promosse.
2.1.– Ad avviso della resistente, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 sarebbe inammissibile, in quanto il ricorrente avrebbe dedotto la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. senza confrontarsi con la competenza esclusiva della Regione in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», di cui all’art. 4, numero 1-bis), dello statuto.
Nel merito, la questione non sarebbe fondata, in quanto la disposizione si limiterebbe a regolare il subentro dei Comuni nella proprietà delle Unioni territoriali intercomunali (UTI) in corso di soppressione, ossia a disciplinare le relazioni tra enti pubblici territoriali (si cita la sentenza n. 462 del 1995) in base al principio della necessaria correlazione tra attribuzione della funzione e titolarità del bene a essa strumentale, espresso dalla stessa legislazione statale (art. 1, commi 47 e 96, lettera b, della legge 7 aprile 2014, n. 56, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni»), cui anche la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia si sarebbe dovuta uniformare (art. 1, comma 145, della medesima legge n. 56 del 2014). Ciò dimostrerebbe ulteriormente la competenza della resistente a disciplinare il trasferimento della proprietà immobiliare in ragione del riordino delle funzioni o, comunque, in subordine, l’autorizzazione del legislatore statale in tal senso.
D’altra parte, l’art. 2645 del codice civile prevede la trascrizione di «ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell’articolo 2643 […]», tra cui si annoverano anzitutto i contratti che trasferiscono la proprietà di immobili. La disposizione impugnata regolerebbe proprio l’effetto di un atto a rilevanza pubblicistica quale il verbale di consegna, la cui trascrizione sarebbe stata possibile anche ove il legislatore regionale nulla avesse disposto al riguardo.
2.2.– Secondo la resistente, anche le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 sarebbero inammissibili, in quanto il ricorrente avrebbe dedotto la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. senza confrontarsi con la competenza esclusiva della Regione in materia di «ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto» (art. 4, numero 1, dello statuto) e in tema finanza locale (art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997).
Nel merito, esse sarebbero comunque non fondate, atteso che la disposizione non sarebbe riconducibile alla materia «armonizzazione dei bilanci pubblici».
Inoltre, il primo periodo dell’impugnata disposizione si sarebbe limitato a riconoscere la facoltà di impiego dell’avanzo di amministrazione, pienamente disponibile da parte dell’ente territoriale (si cita la sentenza n. 101 del 2018), a fronte delle minori entrate dovute alle deliberazioni di riduzione ed esenzione adottate in correlazione all’emergenza sanitaria dovuta al COVID-19.
Quanto al suo secondo periodo, la resistente rileva come la legislazione statale non renda immutabile il bilancio degli enti locali, viceversa suscettibile di variazione in corso di esercizio, senza necessità di essere riapprovato integralmente. Né la norma avrebbe inciso sul termine per la deliberazione delle tariffe o su quello per l’approvazione del bilancio, quest’ultimo differito prima al 31 maggio 2020 dall’art. 107, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020, e poi al 31 luglio 2020 in sede di conversione. Poiché la disposizione impugnata è entrata in vigore prima del decorso dei termini come prorogati, a maggior ragione essa non avrebbe alterato la cadenza temporale impressa dalla legislazione statale.
Infine, la disposizione non violerebbe l’art. 23 Cost., in quanto non imporrebbe alcuna prestazione oltre il termine fissato dal legislatore statale, consentendo, al contrario, riduzioni ed esenzioni, insuscettibili, in quanto tali, di ledere i diritti del contribuente.
2.3.– Ad avviso della resistente, infine, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 sarebbero prive di fondamento.
In particolare, la normativa in considerazione – che troverebbe un proprio antecedente nell’art. 13, comma 13, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 30 dicembre 2009, n. 24, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale e annuale della Regione (Legge finanziaria 2010)» – andrebbe ricondotta alla potestà legislativa regionale in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», di cui all’art. 4, numero 1-bis), dello statuto speciale, atteso che essa non detterebbe la disciplina del segretario comunale, delle sue funzioni, del suo status giuridico ed economico, del rapporto di lavoro che lo astringe all’amministrazione e dei requisiti necessari per accedere al ruolo. La normativa, viceversa, si sarebbe solo limitata a coordinare la legislazione regionale con quella statale, precisando che la nomina del reggente è subordinata all’esperimento senza esito delle procedure di copertura della sede, al contempo richiedendo che i soggetti incaricati siano già dipendenti a tempo indeterminato dell’amministrazione, a garanzia della selezione concorsuale a monte e della sussistenza dei requisiti di esperienza professionale.
In ultimo, la censura formulata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. sarebbe inammissibile, in quanto il legislatore statale non avrebbe titolo per dettare norme di coordinamento della finanza pubblica in un settore dell’amministrazione di cui non concorre a finanziare la spesa. Peraltro, la questione sarebbe altresì non fondata nel merito, in quanto la disposizione non produrrebbe alcun aggravio di spesa in capo al Comune, comunque tenuto ad assicurare la funzionalità dell’ufficio di segreteria, a prescindere dal fatto che vi sia preposto un titolare o un reggente.
3.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri, oltre a ribadire gli argomenti già svolti a sostegno dell’impugnativa, si sofferma sull’art. 1, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020, evidenziando anzitutto come la previsione del trasferimento dei beni immobili dalle UTI ai Comuni non possa trovare fondamento né nella legge n. 56 del 2014, inapplicabile direttamente alla resistente, né nell’art. 12 della legge costituzionale 28 luglio 2016, n. 1 (Modifiche allo Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, in materia di enti locali, di elettorato passivo alle elezioni regionali e di iniziativa legislativa popolare), a cui il legislatore regionale avrebbe dato attuazione con la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 9 dicembre 2016, n. 20 (Soppressione delle Province del Friuli Venezia Giulia e modifiche alle leggi regionali 11/1988, 18/2005, 7/2008, 9/2009, 5/2012, 26/2014, 13/2015, 18/2015 e 10/2016), trasferendo il patrimonio immobiliare alle UTI. Ciò a dimostrazione della necessità di una disposizione statale che consentisse un analogo trasferimento a beneficio dei Comuni, norma che nella fattispecie non sarebbe intervenuta. Inoltre, il ricorrente sottolinea come la riconduzione dell’effetto traslativo della proprietà al momento del verbale di consegna contrasti, in particolare, con il regime tavolare, secondo il quale tale effetto si produrrebbe con l’intavolazione.
4.– Con memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza, la Regione resistente, oltre a ribadire e sviluppare le difese già svolte, evidenzia come l’art. 29-bis, comma 5, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 21 del 2019 – introdotto dall’impugnato art. 1, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 – sia stato integralmente sostituito dall’art. 9, comma 34, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 agosto 2020, n. 15 (Assestamento del bilancio per gli anni 2020-2022 ai sensi dell’articolo 6 della legge regionale 10 novembre 2015, n. 26), onde risulta soppressa la previsione per cui «[i] Commissari, nominati ai sensi dell’articolo 29, comma 4, redigono il relativo verbale di consegna, che ai sensi dell’articolo 2645 del codice civile, costituisce titolo per l’intavolazione, la trascrizione immobiliare e la voltura catastale di diritti reali sui beni immobili trasferiti. Il trasferimento della proprietà dei beni immobili decorre dalla data del verbale di consegna», oggetto di impugnativa. Trattandosi di ius superveniens satisfattivo e di normativa che non avrebbe trovato applicazione, la Regione ha chiesto che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere.
Inoltre, la resistente sottolinea come l’art. 3, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 non alteri la cadenza temporale correlata al bilancio e, pertanto, non possa essere ricondotta alla materia «armonizzazione dei bilanci pubblici» e sia altresì coerente con l’art. 9, comma 4, lettera a), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 17 luglio 2015, n. 18 (La disciplina della finanza locale del Friuli-Venezia Giulia, nonché modifiche a disposizioni delle leggi regionali 19/2013, 9/2009 e 26/2014 concernenti gli enti locali).
Quanto, infine, all’impugnato art. 11, la resistente evidenzia come la disciplina da esso dettata non si riferisca al segretario comunale, ma al dipendente chiamato alla reggenza, che non è un funzionario statale, onde la sussistenza della competenza legislativa regionale, il cui esercizio sarebbe legittimato anche dalla situazione emergenziale determinata dalla carenza di personale e dalla pandemia.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso depositato il 23 luglio 2020 (reg. ric. n. 62 del 2020), ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 6, 3, comma 1, e 11, commi da 1 a 4 e 6, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 18 maggio 2020, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia di autonomie locali, finanza locale, funzione pubblica, formazione, lavoro, cooperazione, ricerca e innovazione, salute e disabilità, rifinanziamento dell’articolo 5 della legge regionale 3/2020 recante misure a sostegno delle attività produttive), in riferimento agli artt. 23, 97 e 117, secondo comma, lettere e) ed l), e terzo comma, della Costituzione – quest’ultimo in relazione all’art. 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122 – nonché al principio di ragionevolezza, ai principi espressi dalla legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), e all’art. 4 (recte: art. 4, numero 1-bis) della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).
1.1.– L’art. 1, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 viene impugnato in quanto, inserendo l’art. 29-bis nella legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 novembre 2019, n. 21 (Esercizio coordinato di funzioni e servizi tra gli enti locali del Friuli-Venezia Giulia e istituzione degli Enti di decentramento regionale), da un lato, attribuisce ai Comuni i beni immobili di proprietà delle Unioni territoriali intercomunali (UTI) che esercitano le funzioni delle soppresse Province e, dall’altro, prevede che il relativo verbale di consegna, oltre a segnare il momento di efficacia del trasferimento, costituisca titolo per la trascrizione, l’intavolazione e la voltura catastale dei diritti reali sui beni trasferiti.
Ad avviso del ricorrente, la disposizione, prevedendo un ulteriore modo di acquisto della proprietà e individuando un titolo idoneo alla pubblicità immobiliare, inciderebbe nella materia «ordinamento civile», in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
1.2.– L’art. 3, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 prevede: a) che i Comuni che, al fine di fronteggiare la crisi derivante dall’emergenza da COVID-19, deliberino, per l’anno 2020, riduzioni ed esenzioni della tassa sui rifiuti (TARI) e riduzioni della tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (TOSAP) o del canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (COSAP), possano coprire le relative minori entrate anche impiegando l’avanzo disponibile (primo periodo); b) che tali deliberazioni possano essere adottate anche successivamente all’approvazione del bilancio di previsione per l’esercizio 2020 (secondo periodo).
Ad avviso del ricorrente, la previsione dell’utilizzo dell’avanzo libero a copertura di minori entrate violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto la relativa disciplina afferirebbe alle materie «sistema tributario e contabile dello Stato», «armonizzazione dei bilanci pubblici» e «perequazione delle risorse finanziarie» e l’art. 109, comma 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, consentirebbe l’impiego dell’avanzo disponibile solo per finanziare le spese correnti connesse con l’emergenza in corso.
Inoltre, la previsione che esenzioni e riduzioni possano essere deliberate anche dopo l’approvazione del bilancio 2020 contrasterebbe con l’art. 1, comma 169, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», e con l’art. 53, comma 16, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)» – norme interposte in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici – secondo cui le statuizioni afferenti alle tariffe e alle aliquote dei tributi devono essere adottate entro la data fissata per la deliberazione del bilancio. Di qui il vulnus all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Risulterebbero altresì violati l’art. 23 Cost. – in quanto il contribuente verrebbe assoggettato a una prestazione patrimoniale imposta oltre il termine perentorio fissato dal legislatore statale – e i principi sanciti dalla legge n. 212 del 2000, in mancanza di un riferimento temporale certo per l’individuazione di aliquote e tariffe applicabili per ciascun anno d’imposta.
1.3.– In ultimo, viene impugnato l’art. 11, commi da 1 a 4 e 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020, in quanto, dettando la disciplina temporanea della reggenza con riferimento al segretario comunale e sovrapponendo la stessa a quella recata dall’art. 16-ter del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2020, n. 8, con conseguente disparità di trattamento rispetto al regime applicabile nel resto del territorio nazionale, violerebbe gli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., nonché l’art. 4, numero 1-bis), dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia, che imporrebbe alla Regione di uniformarsi ai principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica. La normativa impugnata, inoltre, disponendo che l’onere finanziario determinato dall’incarico di reggenza sia escluso dal limite di spesa previsto per il lavoro flessibile dall’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, contrasterebbe con il principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica da quest’ultimo espresso, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
2.– Con riguardo alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020, occorre preliminarmente rilevare che l’art. 29-bis della legge regionale n. 21 del 2019 da esso introdotto è stato sostituito dall’art. 9, comma 34, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 agosto 2020, n. 15 (Assestamento del bilancio per gli anni 2020-2022 ai sensi dell’articolo 6 della legge regionale 10 novembre 2015, n. 26). In particolare, a seguito della menzionata sostituzione, è stata mantenuta l’attribuzione ai Comuni dei beni immobili delle UTI che esercitano le funzioni delle soppresse Province, in ragione del territorio in cui insistono (art. 29-bis, comma 5, primo periodo), mentre è stato espunto ogni riferimento al verbale di consegna, precedentemente considerato titolo idoneo per l’intavolazione, la trascrizione immobiliare e la voltura catastale dei diritti reali e momento di decorrenza del trasferimento della proprietà (art. 29-bis, comma 5, secondo periodo), previsioni su cui pure si appunta l’impugnativa.
Tale ius superveniens è parzialmente satisfattivo rispetto alle pretese avanzate in ricorso, permanendo inalterata solo la previsione del trasferimento immobiliare. Inoltre, la norma è rimasta in vigore per un breve lasso di tempo (dal 21 maggio all’11 agosto 2020) e la Regione ha riferito – ribadendolo anche in pubblica udienza, senza che l’Avvocatura generale dello Stato abbia obbiettato alcunché – che la stessa non ha ricevuto applicazione.
Pertanto, alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sentenza n. 42 del 2021), sussistono gli estremi per dichiarare cessata la materia del contendere della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 nella parte in cui prevede: «I Commissari, nominati ai sensi dell’articolo 29, comma 4, redigono il relativo verbale di consegna, che ai sensi dell’articolo 2645 del codice civile, costituisce titolo per l’intavolazione, la trascrizione immobiliare e la voltura catastale di diritti reali sui beni immobili trasferiti. Il trasferimento della proprietà dei beni immobili decorre dalla data del verbale di consegna».
3.– Quanto al residuo motivo di impugnazione del citato art. 1, comma 6, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., occorre, in via preliminare, esaminare l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla Regione resistente in ragione del mancato confronto con le competenze legislative a essa riconosciute dallo statuto.
L’eccezione è priva di pregio.
Assumendo il contenuto di rilievo privatistico della disposizione impugnata – afferente al trasferimento immobiliare – il ricorso implicitamente esclude, alla luce della natura del parametro evocato, riferito alla materia dell’ordinamento civile, l’utilità di un confronto con il quadro delle competenze statutarie, corroborando tale assunto con l’indicazione della normativa statale contenuta nel codice civile, recante l’indicazione dei modi di acquisto della proprietà: art. 922 cod. civ.; la questione è così validamente prospettata e ne è possibile lo scrutinio nel merito (sentenze n. 42 e n. 11 del 2021).
4.– La questione non è fondata.
L’art. 12 della legge costituzionale 28 luglio 2016, n. 1 (Modifiche allo Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, in materia di enti locali, di elettorato passivo alle elezioni regionali e di iniziativa legislativa popolare), dopo aver disposto la soppressione delle Province friulane (comma 1), rimette alla legge regionale la disciplina del «trasferimento delle funzioni delle province ai comuni, anche nella forma di città metropolitane, o alla regione, con le risorse umane, finanziarie e strumentali corrispondenti, e la successione nei rapporti giuridici» (comma 2).
L’art. 29-bis (Disposizioni per la liquidazione delle Unioni territoriali intercomunali che esercitano le funzioni delle soppresse Province), introdotto dalla disposizione impugnata nell’ambito della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 21 del 2019, si inserisce nella sequenza legislativa regionale di superamento delle Province. In un contesto connotato dalla precedente istituzione delle UTI – modello organizzativo che la Regione ha inteso abbandonare – la disposizione si colloca in linea di continuità con l’attuazione della previsione statutaria poc’anzi citata, trasferendo ai Comuni, quali risorse strumentali, gli immobili di proprietà delle UTI «che esercitano le funzioni delle soppresse Province», a completamento di quanto previsto dal precedente art. 29 (Disposizioni speciali per il superamento delle Unioni che esercitano le funzioni delle soppresse Province) della medesima legge regionale.
Poiché il trasferimento immobiliare denunciato è riconducibile alla previsione di cui all’art. 12, comma 2, della legge cost. n. 1 del 2016, disposizione che lo demanda espressamente al legislatore regionale, è priva di fondamento la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 nella parte in cui prevede: «I beni immobili di proprietà delle Unioni territoriali intercomunali che esercitano le funzioni delle soppresse Province sono attribuiti ai Comuni nei cui territori essi insistono».
5.– Con riguardo all’impugnativa dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020, la resistente ha parimenti eccepito il mancato confronto del ricorrente con le competenze a essa attribuite dallo statuto speciale.
Anche in questo caso l’eccezione non è fondata.
Alla luce del contenuto delle disposizioni impugnate, afferenti alla disciplina del bilancio degli enti locali, e della natura del parametro evocato, riferito a materie di competenza statale esclusiva, quanto prospettato dal ricorrente implicitamente esclude l’utilità di un confronto con il quadro delle competenze statutarie, corroborando tale assunto con elementi indiziari rappresentati dall’indicazione della normativa statale recante la disciplina conferente, in tal modo prospettando validamente le questioni e consentendone lo scrutinio nel merito (analogamente, sentenza n. 42 del 2021).
Tuttavia, prima di procedere ulteriormente alla loro disamina, è necessaria una sintetica descrizione del più complesso intervento realizzato dal legislatore regionale, nel cui ambito si colloca la disposizione impugnata.
5.1.– Ai sensi dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020, «[i] Comuni che, al fine di fronteggiare la situazione di crisi derivante dall’emergenza COVID-19, deliberano, per l’anno 2020, riduzioni ed esenzioni della tassa sui rifiuti (TARI), ai sensi dell’articolo 1, comma 660, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di stabilità 2014), riduzioni della tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (TOSAP) o del canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (COSAP), possono disporre la copertura del relativo minor gettito o minore entrata anche attraverso il ricorso a risorse derivanti dall’avanzo disponibile, nonché da trasferimenti regionali» (primo periodo) e «[l]e deliberazioni di riduzione ed esenzione possono essere adottate anche successivamente all’approvazione del bilancio di previsione per l’esercizio 2020» (secondo periodo).
Se il comma impugnato consente di fornire copertura finanziaria alle minori entrate determinate da esenzioni e riduzioni «anche» attraverso il ricorso a risorse derivanti dall’avanzo disponibile, oltre che da trasferimenti regionali, quelli successivi regolano questi ultimi. La Regione, infatti, concorre al sostegno dei Comuni che adottano i citati provvedimenti di riduzione della pressione fiscale con un ristoro parziale – ossia, pari alla metà del minor gettito e comunque non superiore ai valori indicati per ciascun ente locale nella Tabella A allegata (commi 4 e 5) – delle minori entrate della TARI per le utenze non domestiche, nonché di TOSAP e COSAP (comma 2), mediante l’istituzione di un fondo speciale compensativo (comma 3). Qualora lo Stato provveda al ristoro totale o parziale del minor gettito derivante dalla riduzione ed esenzione della TARI per le utenze non domestiche, nonché dalla riduzione della TOSAP o del COSAP, è previsto che gli importi regionali spettanti a ciascun Comune vengano ridotti del corrispondente ammontare (comma 7).
Il riferimento alle utenze non domestiche per la TARI e la correlazione all’occupazione di suolo pubblico, a cui ineriscono le altre due entrate oggetto di possibile rimodulazione, dimostrano come l’intento perseguito dal legislatore regionale – confermato dai lavori preparatori – sia quello di agevolare gli operatori economici particolarmente colpiti dalla pandemia e dalle misure adottate per contrastarla. Ciò tramite l’equivalente coinvolgimento dei Comuni, dei quali si è inteso salvaguardare l’autonomia decisionale in tema di tributi ed entrate locali, seppur incentivandone l’esercizio nel senso auspicato dalla Regione attraverso la possibilità, loro riconosciuta, di impiegare anche l’avanzo di amministrazione disponibile a copertura delle minori entrate.
5.2.– Tanto premesso, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, primo periodo, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., non è fondata.
La disposizione, che consente, per il 2020, di destinare l’avanzo disponibile alla copertura finanziaria delle minori entrate dovute alle deliberazioni comunali di riduzione ed esenzione di TARI, TOSAP e COSAP, è inquadrabile nella materia «armonizzazione dei bilanci pubblici», atteso che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, a tale ambito è riconducibile la disciplina della destinazione della quota libera dell’avanzo di amministrazione (sentenza n. 78 del 2020).
La giurisprudenza costituzionale ha altresì evidenziato che l’avanzo “libero” «non può essere inteso come una sorta di utile di esercizio, il cui impiego sarebbe nell’assoluta discrezionalità dell’amministrazione. Anzi, l’avanzo di amministrazione “libero” delle autonomie territoriali è soggetto a un impiego tipizzato» (sentenza n. 138 del 2019).
Infatti, l’art. 42, comma 6, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), per le Regioni, e l’art. 187, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), per gli enti locali, stabiliscono, in maniera sostanzialmente coincidente, i possibili impieghi della quota libera dell’avanzo di amministrazione e il relativo ordine di priorità. In particolare, specificamente per gli enti locali, essi consistono: 1) nella copertura dei debiti fuori bilancio; 2) nella salvaguardia degli equilibri di bilancio di cui all’art. 193 del d.lgs. n. 267 del 2000, ove non possa provvedersi con mezzi ordinari; 3) nel finanziamento delle spese di investimento; 4) nel finanziamento delle spese correnti a carattere non permanente; 5) nell’estinzione anticipata dei prestiti.
Tale ordine viene temporaneamente derogato dall’art. 109, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, che, mantenendo solo le priorità relative alla copertura dei debiti fuori bilancio e alla salvaguardia degli equilibri di bilancio, consente agli enti locali l’impiego della quota libera dell’avanzo di amministrazione per finanziare le spese correnti connesse all’emergenza sanitaria con precedenza rispetto al finanziamento di quelle di investimento.
La disposizione impugnata, al fine di coinvolgere anche i Comuni nel supporto alle categorie economiche colpite dalle misure restrittive, consente di raddoppiare potenzialmente l’impatto dell’intervento e di realizzarlo in via immediata (senza lo svolgimento di un’attività provvedimentale amministrativa). In tal modo essa, da un lato, evita la potenziale formazione di crediti inesigibili e, dall’altro, permette di ridurre la pressione fiscale attraverso l’impiego dell’avanzo disponibile, così optando per una soluzione alternativa all’erogazione diretta di contributi a fondo perduto.
Proprio tale alternatività consente di ravvisare nella temporanea riduzione delle entrate una sostanziale ed equivalente contribuzione indiretta e non permanente a favore dei soggetti beneficiati che, ove realizzata direttamente, sarebbe stata senz’altro da ascrivere a spesa corrente, nel cui ambito sono ricompresi i contributi per il funzionamento cui sono assimilati quelli erogati dalle amministrazioni territoriali a soggetti terzi, sia in conto capitale che in conto interessi (Allegato 4/2, punto 5.2, lettera c, del d.lgs. n. 118 del 2011).
Ciò induce a ricondurre la previsione regionale alla medesima ratio espressa dal legislatore statale in tema di impiego dell’avanzo disponibile per finanziare la spesa corrente, con il che lo scostamento rispetto alla disciplina nazionale è solo formale, poiché detta previsione non collide con i precetti ricavabili direttamente dalle specifiche norme interposte evocate dal ricorrente (sentenze n. 80 del 2017 e n. 184 del 2016) e non frustra le esigenze a cui la disciplina di armonizzazione dei bilanci pubblici è funzionale, tra cui si annovera quella di preservare gli equilibri di bilancio (sentenze n. 80 del 2017 e n. 184 del 2016), che nella specie sono salvaguardati attingendo anche alla quota libera dell’avanzo di amministrazione.
5.3.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 sono in parte inammissibili e in parte non fondate.
5.3.1.– È inammissibile la questione promossa in riferimento ai principi espressi dalla legge n. 212 del 2000.
Essa sembra fondarsi sulla presunta violazione dell’art. 1, secondo cui «[l]e disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali».
Tuttavia, questa Corte ha più volte affermato che tali disposizioni non possono essere assunte quale parametro di legittimità costituzionale, in quanto hanno rango di legge ordinaria (ex plurimis, sentenza n. 247 del 2011).
5.3.2.– Non è fondata la questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
La materia interessata dall’art. 3, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 – secondo cui «[l]e deliberazioni di riduzione ed esenzione possono essere adottate anche successivamente all’approvazione del bilancio di previsione per l’esercizio 2020» – va identificata nell’armonizzazione dei bilanci pubblici. Ciò in quanto, come già osservato da questa Corte, tale competenza è finalizzata «a realizzare l’omogeneità dei sistemi contabili per rendere i bilanci delle amministrazioni aggregabili e confrontabili, in modo da soddisfare le esigenze informative connesse a vari obiettivi quali la programmazione economico-finanziaria» (sentenze n. 80 del 2017 e n. 184 del 2016) – evidentemente influenzata dal coordinamento tra le deliberazioni che incidono sulle entrate comunali e la predisposizione del bilancio di previsione – e ad essa va ricondotta «la scansione temporale degli adempimenti del ciclo di bilancio, dettati dalla normativa statale [… che] si impone anche alle Regioni a statuto speciale, in quanto parti della “finanza pubblica allargata”» (sentenza n. 250 del 2020).
Il ricorrente evoca, quali parametri interposti, l’art. 1, comma 169, della legge n. 296 del 2006 e l’art. 53, comma 16, della legge n. 388 del 2000: la prima disposizione prevede che «[g]li enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione […]»; la seconda statuisce, in maniera sostanzialmente omogenea, che «[i]l termine per deliberare le aliquote e le tariffe dei tributi locali […] e le tariffe dei servizi pubblici locali, nonché per approvare i regolamenti relativi alle entrate degli enti locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione […]».
Entrambe le disposizioni, dunque, individuano nella data fissata per la deliberazione del bilancio il termine finale per incidere sulle entrate locali (lo stesso, peraltro, fissato per le tariffe relative alla TARI, a regime, dall’art. 1, comma 683, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Legge di stabilità 2014»).
Poiché la disposizione impugnata non prevede che, per il 2020, le delibere comunali di esenzione o riduzione della TARI o di riduzione di TOSAP e COSAP possano intervenire oltre il termine fissato dalla legislazione statale per l’approvazione del bilancio – slittato, per l’esercizio in considerazione, al 31 ottobre 2020, in virtù del decreto del Ministro dell’interno 30 settembre 2020 (Differimento del termine per la deliberazione del bilancio di previsione 2020/2022 degli enti locali dal 30 settembre 2020 al 31 ottobre 2020), adottato ai sensi dell’art. 151, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000 – essa non contrasta con le norme interposte evocate dal ricorrente, riferendosi esclusivamente all’eventualità che tale approvazione sia già intervenuta.
In sostanza, la statuizione regionale è diretta a ovviare al rischio che ai Comuni più solerti – e agli operatori economici del loro territorio – possa risultare precluso l’impiego del sopravvenuto meccanismo contributivo predisposto dal legislatore regionale, evitando così una discriminazione a loro danno rispetto a quegli enti locali che, viceversa, al momento della sua introduzione, non abbiano ancora provveduto ad approvare il bilancio.
È evidente che l’adozione della delibera modificativa delle entrate in considerazione in un momento successivo a quello dell’approvazione del bilancio richiede un adeguamento di quest’ultimo agli effetti da essa prodotti, onde salvaguardarne, nel rispetto del principio di trasparenza, l’equilibrio e la funzione programmatoria e di accountability (sentenza n. 49 del 2018) che gli appartengono.
5.3.3.– Parimenti non fondata è la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 in riferimento all’art. 23 Cost.
Questa Corte ha avuto modo di precisare ripetutamente che la riserva relativa di legge di cui all’art. 23 Cost. è soddisfatta tanto dalla legge statale quanto da quella regionale (ex aliis, sentenza n. 435 del 2001).
Ne consegue che, in disparte il profilo della competenza, non riconducibile al parametro evocato, quest’ultimo non è violato dalla disposizione legislativa regionale oggetto d’impugnazione.
6.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi da 1 a 4, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 è fondata in riferimento all’art. 4, numero 1-bis), dello statuto.
Al dichiarato fine «di fare fronte alla grave e cronica carenza di segretari comunali iscritti alla sezione regionale dell’albo, anche in relazione alla imprescindibile operatività di tutti gli enti locali della Regione nella fase successiva al superamento dell’emergenza epidemiologica», il citato art. 11 (Reggenza temporanea delle sedi di segreteria) disciplina, fino alla riforma dell’ordinamento dei segretari comunali del Friuli-Venezia Giulia e, comunque, non oltre dodici mesi dall’entrata in vigore delle disposizioni impugnate, l’individuazione dei soggetti cui attribuire il ruolo di segretari comunali nelle sedi di segreteria con popolazione fino a 3.000 abitanti (comma 1), istituendo l’Elenco dei soggetti cui può essere attribuita la reggenza temporanea (comma 2), al quale possono iscriversi i dipendenti di ruolo degli enti del Comparto unico del pubblico impiego regionale e locale con contratto di lavoro a tempo indeterminato, in possesso dei requisiti per l’accesso alla qualifica di segretario comunale di cui all’art. 13, comma 13, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 30 dicembre 2009, n. 24, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale e annuale della Regione (Legge finanziaria 2010)» (comma 3). I sindaci, dopo aver esperito senza successo la procedura di pubblicizzazione della sede di segreteria vacante, individuano il soggetto cui conferire l’incarico di reggenza, scegliendolo nell’ambito di una terna di nominativi predisposta sulla base delle manifestazioni d’interesse pervenute dagli iscritti, ovvero, in mancanza, della vicinanza del luogo di residenza dichiarato dagli stessi rispetto alla sede di conferimento dell’incarico (comma 4).
Alla stregua del suo oggetto e della necessità di soddisfare contingenti esigenze organizzative onde assicurare la continuità dell’azione amministrativa degli enti locali, la normativa impugnata va ricondotta alla materia «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», di cui all’art. 4, numero 1-bis), dello statuto.
Per espressa previsione statutaria, tuttavia, l’esercizio di tale competenza deve avvenire in armonia con i principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica. Tra di essi rientra quello per cui l’attribuzione e la ripartizione dei compiti istituzionali dei funzionari statali spetta al legislatore statale.
Prevedendo e disciplinando, dunque, l’attribuzione transitoria delle funzioni vicarie del segretario comunale, funzionario del Ministero dell’interno (sentenza n. 23 del 2019), ai «dipendenti di ruolo degli enti del Comparto unico del pubblico impiego regionale e locale», la Regione ha violato tale principio, eccedendo dal limite imposto dallo statuto.
Da tanto consegue la fondatezza della questione promossa.
Restano assorbiti gli ulteriori motivi d’impugnazione.
7.– In ragione della stretta e inscindibile connessione con i primi quattro commi (in particolare, con il comma 4, cui espressamente rinvia) e della declaratoria di illegittimità costituzionale degli stessi, il comma 6 dell’art. 11 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020 – relativo all’inquadramento giuridico ed economico dell’incarico di reggenza e all’esclusione del relativo onere dal limite di spesa previsto dal legislatore statale per il lavoro flessibile – deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, senza che a tanto osti la circostanza di essere stato fatto oggetto di diretta impugnazione (sentenze n. 147 del 2018 e n. 250 del 2009).
Per le medesime ragioni, analoga sorte va riservata ai commi 5, 7 e 8 dello stesso art. 11, che, rispettivamente, sanzionano la mancata accettazione della sede oggetto di incarico, dispongono il collocamento in aspettativa del dipendente di ruolo incaricato e prevedono un regolamento di disciplina degli aspetti relativi all’iscrizione, alla tenuta dell’elenco di cui al precedente comma 2, alla determinazione dei criteri di priorità per l’individuazione delle terne dei nominativi dei possibili incaricati e alle procedure di richiesta e assegnazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, commi da 1 a 4, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 18 maggio 2020, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia di autonomie locali, finanza locale, funzione pubblica, formazione, lavoro, cooperazione, ricerca e innovazione, salute e disabilità, rifinanziamento dell’articolo 5 della legge regionale 3/2020 recante misure a sostegno delle attività produttive);
2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, commi da 5 a 8, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020;
3) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020, nella parte in cui prevede: «I Commissari, nominati ai sensi dell’articolo 29, comma 4, redigono il relativo verbale di consegna, che ai sensi dell’articolo 2645 del codice civile, costituisce titolo per l’intavolazione, la trascrizione immobiliare e la voltura catastale di diritti reali sui beni immobili trasferiti. Il trasferimento della proprietà dei beni immobili decorre dalla data del verbale di consegna», promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020, promossa, in relazione ai principi espressi dalla legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020, nella parte in cui prevede: «I beni immobili di proprietà delle Unioni territoriali intercomunali che esercitano le funzioni delle soppresse Province sono attribuiti ai Comuni nei cui territori essi insistono», promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, primo periodo, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020, promosse, in riferimento agli artt. 23 e 117, secondo comma, lettera e), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Angelo BUSCEMA, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2021.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE