Corte Costituzionale, Sentenza n.180 del 30/07/2021

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Contraddittorio davanti alla Corte costituzionale - Intervento nel giudizio in via incidentale - Interveniente non titolare di un interesse direttamente riconducibile all'oggetto del giudizio principale - Difetto di legittimazione - Inammissibilità dell'intervento

Sono dichiarati inammissibili, per difetto di legittimazione, gli interventi ad adiuvandum spiegati da N. L. F. e da M. T. P. e altri nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994. Gli intervenienti non sono titolari di un interesse direttamente riconducibile all'oggetto del giudizio principale, bensì di un interesse riflesso all'accoglimento della questione, in quanto assoggettato alla disposizione censurata. L'art. 4, comma 7, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale recepisce la costante giurisprudenza secondo cui la partecipazione al giudizio incidentale di legittimità costituzionale è circoscritta, di norma, alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale. Pertanto, l'incidenza sulla posizione soggettiva dell'interveniente deve derivare dall'immediato effetto che la pronuncia della Corte costituzionale produce sul rapporto sostanziale oggetto del giudizio a quo. (Precedenti citati: sentenze n. 46 del 2021, n. 98 del 2019 e n. 237 del 2013; ordinanze allegate alle sentenze n. 206 del 2019, n. 158 del 2018, n. 16 del 2017, n. 82 del 2013, n. 272 del 2012, n. 349 del 2007, n. 279 del 2006, n. 345 del 2005 e n. 291 del 2001).

Prospettazione della questione incidentale - Adeguata motivazione sulla rilevanza - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare

Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza, formulata nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994. La questione è rilevante ai fini della definizione del giudizio a quo, poiché il rimettente ha la necessità di esaminare la validità della previsione della contrattazione collettiva di settore alla luce del contenuto normativo della disposizione censurata, ai sensi dell'art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001.

Contraddittorio davanti alla Corte costituzionale - Amici curiae - Opinioni scritte dell'Associazione professionale sindacale ANIEF - Profili esorbitanti rispetto all'ordinanza di rimessione - Inammissibilità

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 non sono oggetto di valutazione gli ulteriori profili, diversi da quelli dell'ordinanza di rimessione, formulati dall'amicus curiae Associazione professionale sindacale ANIEF.

Istruzione - Personale docente - Servizio di insegnamento non di ruolo prestato presso le scuole paritarie - Riconoscimento ai fini della ricostruzione della carriera - Esclusione, in base al diritto vivente - Denunciata disparità di trattamento - Insussistenza - Non fondatezza della questione

È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata dalla Corte d'appello di Roma, sez. lavoro, in riferimento all'art. 3 Cost. - dell'art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 che, secondo il diritto vivente, esclude il riconoscimento, ai fini della ricostruzione della carriera, del servizio di insegnamento non di ruolo prestato presso le scuole paritarie, a differenza di quelle statali. Nonostante la comune appartenenza al sistema nazionale di istruzione, le due tipologie di scuole presentano significative differenze nei rispettivi sistemi di selezione e reclutamento del personale docente, tali da impedirne la completa equiparazione. La scelta legislativa censurata non è dunque irragionevole poiché, specie in riferimento all'applicazione degli istituti che regolano la carriera degli insegnanti, l'assimilazione della disciplina del rapporto di lavoro dei docenti delle scuole paritarie e di quelle statali è solo parziale, spettando al legislatore il compito di modularne le forme e la misura, nel rispetto dei principi di cui all'art. 33 Cost. (Precedenti citati: sentenze n. 41 del 2011 e n. 42 del 2003; ordinanze n. 89 del 2001, n. 15 del 2001 e n. 753 del 1988). In presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, il giudice a quo ha la facoltà di assumere l'interpretazione censurata in termini di "diritto vivente" e di richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilità con i parametri costituzionali. Ciò, senza che gli si possa addebitare di non aver seguito altra interpretazione, più aderente ai parametri stessi, sussistendo tale onere solo in assenza di un contrario diritto vivente. (Precedenti citati: sentenze n. 1 del 2021, n. 95 del 2020, n. 32 del 2020, n. 12 del 2020, n. 189 del 2019, n. 141 del 2019, n. 75 del 2019, n. 39 del 2018, n. 259 del 2017, n. 122 del 2017, n. 200 del 2016, n. 11 del 2015, n. 242 del 2014, n. 191 del 2013, n. 258 del 2012, n. 117 del 2012 e n. 91 del 2004).

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SENTENZA N. 180

ANNO 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 485 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), promosso dalla Corte d’appello di Roma, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra Giorgio Belli dell’Isca e Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e altro, con ordinanza del 9 novembre 2020, iscritta al n. 191 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di costituzione di Giorgio Belli dell’Isca, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, di Nicolina La Femina e di Maria Teresa Pepe e altri;

udito nell’udienza pubblica del 23 giugno 2021 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi gli avvocati Antonio Salerno per Nicolina La Femina, Vincenzo De Michele per Maria Teresa Pepe e altri, Stefano Ottolenghi per Giorgio Belli dell’Isca e l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri, quest’ultima in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021;

deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 9 novembre 2020 (r.o. n. 191 del 2020), la Corte d’appello di Roma, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 485 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), che – nel disciplinare la carriera del personale docente – prevede il riconoscimento, ai fini giuridici ed economici, del servizio anteriore alla nomina in ruolo prestato presso le scuole statali e pareggiate.

Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale di questa disposizione nella parte in cui, in base all’interpretazione giurisprudenziale assunta come diritto vivente (sono richiamate Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 16 dicembre 2019, n. 33137, e 11 dicembre 2019, n. 32386, e la giurisprudenza nelle stesse citata), essa esclude il riconoscimento del servizio di insegnamento non di ruolo prestato presso le scuole paritarie, istituite ai sensi della legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione).

Ciò si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. per l’irragionevole disparità di trattamento derivante dal rilievo attribuito, sia al servizio non di ruolo prestato presso scuole pubbliche statali, sia a quello svolto sino all’anno scolastico 2005/2006 presso le scuole pareggiate, sia a quello prestato presso le stesse scuole paritarie, ai soli fini dell’integrazione delle graduatorie permanenti.

2.– Il giudizio a quo ha ad oggetto l’accertamento del diritto di un docente all’attribuzione – ai fini della mobilità territoriale – del punteggio aggiuntivo per il servizio preruolo prestato presso un istituto scolastico paritario. Il rimettente evidenzia che, qualora la disposizione censurata fosse dichiarata illegittima, il gravame dovrebbe essere accolto e all’appellante dovrebbe essere riconosciuto, a tutti gli effetti giuridici ed economici, il servizio non di ruolo prestato presso la scuola secondaria paritaria.

Il giudice a quo evidenzia come, nel caso di specie, venga in rilievo la disciplina dell’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, che fa riferimento al servizio non di ruolo prestato presso scuole di istruzione secondaria ed artistica «statali e pareggiate», oltre che presso scuole elementari «statali o […] parificate». La successiva legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione) ha introdotto, accanto alle scuole statali, l’unitaria categoria delle scuole paritarie e ha consentito alle scuole legalmente riconosciute e a quelle pareggiate di chiedere il riconoscimento di parità ai sensi della nuova legge, rimanendo altrimenti soggette alla disciplina originaria di cui al d.lgs. n. 297 del 1994.

Il giudice a quo ritiene che il riconoscimento del servizio non di ruolo debba ammettersi anche per i servizi prestati presso le scuole secondarie paritarie, altrimenti ci si troverebbe dinnanzi a un’interpretatio abrogans del riferimento alle scuole pareggiate ancora presente all’interno dell’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 e il riconoscimento del servizio di docenza non di ruolo resterebbe limitato a quello prestato esclusivamente presso scuole statali (essendo le scuole pareggiate ormai venute meno).

Ciò contrasterebbe con la ratio originaria dell’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, introdotto per valorizzare la funzione di docenza non di ruolo svolta presso scuole che, per le loro caratteristiche e i loro requisiti, devono considerarsi equivalenti alle scuole pubbliche statali.

Ove fosse escluso il rilievo del servizio svolto presso le scuole paritarie, la disposizione censurata risulterebbe irragionevole, poiché il servizio prestato presso scuole pareggiate sarebbe riconosciuto solo fino all’anno scolastico 2005-2006, ma sarebbe poi escluso per il periodo successivo, a causa del venir meno di questa tipologia di scuole. Ciò trascurerebbe il fatto che tali istituti scolastici hanno, in realtà, mantenuto i loro originari profili organizzativi, ordinamentali e didattici, dovendo per di più ottenere il riconoscimento della parità che, rispetto al pareggiamento, rappresenta un’evoluzione in chiave di ammodernamento e affinamento.

Vi sarebbe, inoltre, una sostanziale omogeneità dei requisiti per accedere al rapporto di lavoro con le scuole pareggiate e con le attuali scuole paritarie. In entrambi i casi, infatti, erano e sono richiesti alternativamente il pubblico concorso o l’abilitazione all’insegnamento. Ciò sarebbe coerente con l’art. 33, quarto comma, Cost., che, richiedendo nelle scuole non statali un trattamento scolastico equipollente a quello delle scuole statali, implicherebbe un sistema di reclutamento del corpo docente omogeneo tra le due tipologie di istituti, per assicurare lo stesso livello di preparazione e professionalità.

Infine, il rimettente richiama l’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 255 (Disposizioni urgenti per assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2001/2002), convertito, con modificazioni, nella legge 20 agosto 2001, n. 333 che stabilisce che «[…] i servizi di insegnamento prestati dal 1° settembre 2000 nelle scuole paritarie di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62, sono valutati nella stessa misura prevista per il servizio prestato nelle scuole statali […]». Secondo parte della giurisprudenza, tale disposizione limiterebbe l’equivalenza ai soli fini dell’integrazione delle graduatorie permanenti. Tuttavia, sarebbe irragionevole attribuire rilievo al servizio svolto presso scuole paritarie ai fini dell’assunzione, ma non a quelli della ricostruzione della carriera di un docente già assunto in ruolo, considerando che sul piano della verifica della professionalità rileva più il momento dell’assunzione che quello della ricostruzione della carriera.

Ciò premesso, il giudice a quo evidenzia come – nell’interpretazione consolidata della giurisprudenza di legittimità – venga espressamente esclusa la possibilità di riconoscere il servizio preruolo svolto presso le scuole paritarie. Il rimettente espone che per i giudici di legittimità, lo status giuridico del personale docente non di ruolo delle scuole statali e quello delle scuole paritarie non sarebbero omogenei, tenuto conto delle diverse modalità di assunzione (che solo nel primo caso prevedrebbero il pubblico concorso) e della diversa natura dell’impiego pubblico rispetto a quello privato.

Il giudice rimettente osserva, tuttavia, che anche per la scuola pubblica statale la regola del concorso non è esclusiva, coesistendo con il sistema delle graduatorie permanenti né, d’altra parte, per l’accesso nelle scuole pareggiate era previsto il pubblico concorso.

Inoltre la natura pubblica o privata del datore di lavoro del docente sarebbe irrilevante. Infatti, già nel sistema originario dell’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 veniva riconosciuto il servizio prestato presso le scuole pareggiate, che potevano essere costituite anche da enti ecclesiastici, che non sono enti pubblici.

Da ciò deriverebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra coloro che hanno svolto servizio non di ruolo presso scuole paritarie e tre diverse categorie di soggetti: in primo luogo, coloro che hanno svolto servizio non di ruolo presso scuole pubbliche statali; in secondo luogo, coloro che hanno svolto servizio non di ruolo presso scuole pareggiate fino all’anno scolastico 2005-2006; infine, coloro che vedono riconosciuto il proprio servizio non di ruolo presso scuole paritarie, ma solo ai fini dell’integrazione delle graduatorie permanenti.

3.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata.

3.1.– In primo luogo, è eccepita l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, poiché l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 interferisce con una materia che attualmente, in base all’art. 40, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) è rimessa alla contrattazione collettiva, anche in deroga ad eventuali norme di legge che prevedano discipline differenti. Il giudice a quo avrebbe dovuto, quindi, applicare quanto previsto dal contratto collettivo, secondo cui il servizio preruolo svolto presso scuole paritarie non è valutabile per la mobilità, né ai fini della ricostruzione della carriera.

3.2.– La questione sollevata sarebbe comunque non fondata.

Dato il tenore letterale della disposizione impugnata, non sarebbe possibile un’estensione automatica del regime originariamente previsto per le scuole pareggiate anche alle diverse scuole paritarie.

Inoltre, osserva la difesa statale, all’uniformità dell’offerta formativa e dei livelli di servizio resi presso la scuola statale e presso quella paritaria, non corrisponderebbe l’equiparazione del rapporto di lavoro che intercorre tra il docente e l’istituto privato paritario, da una parte, e quello instaurato con la scuola statale, dall’altra. Ad essere differenti sarebbero, infatti, le modalità di reclutamento, ormai quasi del tutto ispirate al principio meritocratico del pubblico concorso, con conseguente portata residuale delle graduatorie.

Sarebbe dunque da condividere il consolidato orientamento della Corte di cassazione, secondo il quale non può riconoscersi il servizio preruolo svolto presso le scuole paritarie, in ragione sia del diverso status giuridico del loro personale rispetto a quello delle scuole statali (sono richiamate, in tal senso, anche le sentenze del Consiglio di Stato, sezione sesta, 4 novembre 2020, n. 6798 e n. 6799 e 6 marzo 2020, n. 1069), sia della mancanza di una norma di legge che consenta tale riconoscimento, come era invece previsto per le scuole pareggiate.

D’altra parte, l’equivalenza del servizio prestato presso scuole paritarie e statali non sarebbe affatto confermata dall’art. 2, comma 2, del d.l. n. 255 del 2001, come convertito, che consente di valutare il servizio negli istituti paritari ai fini dell’integrazione delle graduatorie con cui si procede all’assunzione nei ruoli. Infatti, le norme che prevedono il riconoscimento del servizio preruolo a fini giuridici ed economici, in quanto attributive di benefici particolari, non sarebbero suscettibili di applicazioni estensive o analogiche.

Infine – laddove il servizio preruolo svolto in istituti privati fosse valutabile ai fini della mobilità – l’intento di sanare una disparità di trattamento si risolverebbe in un’inaccettabile preferenza in favore di docenti sulla cui esperienza pregressa l’amministrazione non potrebbe operare alcuna verifica, a svantaggio dei controinteressati precari nella scuola statale, i quali sarebbero invece soggetti a ben più stringenti vincoli di reclutamento e a limitazioni nella mobilità successivamente all’immissione in ruolo.

3.3.– In prossimità dell’udienza pubblica, la difesa statale ha depositato una memoria in cui ha, in primo luogo, insistito nell’eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza.

Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce le ragioni della non fondatezza, evidenziando che l’art. 1-bis, comma 7, del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250 (Misure urgenti in materia di scuola, università, beni culturali ed in favore di soggetti affetti da gravi patologie, nonché in tema di rinegoziazione di mutui, di professioni e di sanità), convertito, con modificazioni, nella legge 3 febbraio 2006, n. 27, nel fare salvo l’art. 360, comma 6, del d.lgs. n. 297 del 1994, limita il riconoscimento del servizio preruolo ai soli docenti di scuole pareggiate. Ciò sarebbe incompatibile con la tesi secondo cui, dopo la legge n. 62 del 2000, la disciplina del riconoscimento del servizio preruolo nelle scuole pareggiate sarebbe automaticamente applicabile anche a quello reso nelle scuole paritarie. Queste due categorie di scuole non sarebbero comunque sovrapponibili, in considerazione dei differenti requisiti per il reclutamento del personale docente.

La difesa statale sottolinea, inoltre, che le scuole paritarie sono gestite da soggetti privati, che non avrebbero vincoli riguardo al reclutamento, alla progressione di carriera dei docenti, nonché alla risoluzione del relativo rapporto di lavoro, essendo obbligati soltanto ad assumere docenti muniti di abilitazione e ad applicare i contratti collettivi di settore. Non sarebbe dunque irragionevole la scelta di valorizzare la sola professionalità maturata nell’ambito delle scuole statali e non quella nelle scuole paritarie.

La costituzione di rapporti di lavoro a tempo determinato nella scuola pubblica avviene sulla base di apposite graduatorie, predisposte sulla base dei titoli abilitativi acquisiti e di quelli di servizio maturati. La scelta organizzativa dell’amministrazione, che individua la sede di destinazione, consegue a valutazioni di pubblico interesse volte a garantire il servizio di istruzione in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, nel rispetto del principio di imparzialità.

Le procedure di mobilità sono volte a valorizzare il servizio prestato, talora in condizioni di particolare disagio, presso sedi assegnate all’esito di rigide e verificabili procedure gestite dall’amministrazione scolastica, per consentire a coloro che hanno accettato tali sistemazioni di far valere tali periodi di servizio ai fini dell’avvicinamento presso sedi maggiormente gradite. Viceversa, nelle scuole paritarie, l’assunzione consegue a valutazioni meramente discrezionali del dirigente scolastico, anche a prescindere da pregresse esperienze lavorative e dall’applicazione di criteri di imparzialità nella scelta dei docenti.

In definitiva, non potendosi affermare un’indiscriminata equiparazione tra il servizio rispettivamente prestato presso le due tipologie di scuole, non sarebbe ravvisabile alcun contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

4.– Il 1° febbraio 2021 l’Associazione professionale sindacale ANIEF ha depositato un’opinione scritta, in qualità di amicus curiae.

Nel sollecitare l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo, si sottolinea l’identità delle modalità di assunzione dei docenti a tempo determinato della scuola paritaria rispetto a quelle proprie della scuola statale. Anche in quest’ultima il docente con incarico a tempo determinato non necessariamente ha dovuto superare un concorso, essendo sufficiente l’inserimento nelle graduatorie di istituto. Pertanto, la ragionevolezza del diverso trattamento non potrebbe fondarsi su differenti modalità di assunzione.

L’ANIEF evidenzia, altresì, l’identità di mansioni e obblighi contrattuali che caratterizzano il servizio prestato presso la scuola paritaria rispetto a quello svolto dai docenti delle scuole statali, come emerge dalla contrattazione collettiva di settore.

La ratio dell’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 consisterebbe nel valutare nella maniera opportuna la qualità della prestazione lavorativa svolta, connessa anche all’esperienza maturata, e ciò non sarebbe in alcun modo collegato alle modalità di assunzione o alla natura giuridica del datore di lavoro.

La disparità di trattamento rilevata dovrebbe, inoltre, essere esaminata – in riferimento agli artt. 11 e 117 Cost. – anche alla luce del quadro normativo eurounitario, in particolare in relazione alla clausola n. 4 (Principio di non discriminazione) dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, e agli artt. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, previo eventuale rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Infatti, queste previsioni normative, come interpretate dalla stessa Corte di giustizia, disporrebbero un generale divieto di discriminazione in ragione delle condizioni di impiego, operante anche a prescindere dal mancato superamento di un pubblico concorso.

5.– Nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituito Giorgio Belli dell’Isca, parte ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale in esame.

Dopo avere ricostruito la vicenda in fatto e delineato l’evoluzione della normativa rilevante, la parte privata condivide gli argomenti svolti dal rimettente, specie ove evidenzia che il raccordo tra l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 e la disciplina introdotta dal d.l. n. 250 del 2005, come convertito, imporrebbe il riconoscimento del servizio di insegnamento prestato presso le scuole paritarie.

Si sottolinea l’irragionevolezza di ammettere il riconoscimento del servizio preruolo prestato presso le scuole pareggiate fino all’anno scolastico 2005-2006, per poi escluderlo rispetto al servizio prestato successivamente, per il solo fatto che tali scuole hanno perso la loro originaria qualificazione giuridica, pur mantenendo i medesimi requisiti relativi all’organizzazione, all’ordinamento e all’offerta formativa.

La ratio dell’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 era quella di valorizzare l’esperienza maturata dai docenti sia presso scuole pubbliche statali, sia presso istituti che erogavano un servizio didattico del tutto equivalente. Questa conclusione, se in origine valeva per le scuole pareggiate, non potrebbe oggi non valere per le scuole paritarie, che concorrono, assieme alle scuole statali, a formare il sistema nazionale di istruzione.

Ciò sarebbe confermato dalla sostanziale omogeneità dei requisiti previsti per le scuole un tempo pareggiate e attualmente paritarie. Infatti, la titolarità dell’abilitazione all’insegnamento, che è oggi richiesta per l’assunzione presso le scuole paritarie, era prevista anche per le scuole pareggiate, in alternativa al superamento di pubblico concorso o alla chiamata del docente già assunto in ruolo in altra scuola statale oppure pareggiata (art. 356, comma 2, del d.lgs. n. 297 del 1994).

È inoltre richiamato l’art. 2, comma 2, del d.l. n. 255 del 2001, come convertito, che permette al personale docente di ottenere il pieno riconoscimento dell’attività di insegnamento prestata nelle scuole paritarie ai fini dell’aggiornamento della loro posizione nelle graduatorie permanenti. Sarebbe irragionevole riconoscere rilevanza a tale attività ai fini della possibile assunzione, escludendola, invece, ai fini della ricostruzione della carriera di un docente già assunto in ruolo.

Viceversa, l’orientamento della Corte di cassazione – che delimita l’ambito applicativo dell’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 alle sole scuole pareggiate – determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni soggettive identiche, in violazione dell’art. 3 Cost. Il principio di parità scolastica e l’espresso inserimento delle scuole paritarie nel sistema nazionale di istruzione dovrebbero comportare, infatti, la piena equiparazione dello status giuridico del personale docente che vi presta servizio a quello riconosciuto ai docenti della scuola statale.

6.– Nel giudizio dinnanzi a questa Corte è altresì intervenuta ad adiuvandum, in data 27 gennaio 2021, Nicolina La Femina, deducendo di essere un’insegnante di ruolo della scuola primaria e di trovarsi in una condizione soggettiva analoga a quella del ricorrente nel giudizio a quo. La parte interveniente afferma di essere, dunque, titolare di un interesse qualificato immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio e chiede che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, per contrasto con l’art. 3 Cost.

A sostegno di tale richiesta, sono illustrati argomenti sostanzialmente coincidenti con quelli svolti dal giudice rimettente, dalla parte privata costituita e dall’amicus curiae.

7.– Sono, inoltre intervenuti, in data 2 febbraio 2021, Maria Teresa Pepe e altri quarantadue, assumendo di essere titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio. Gli intervenienti, sostenendo le ragioni illustrate dal giudice a quo, chiedono che venga dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma impugnata, per contrasto con l’art. 3 Cost., eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

Anche in questo caso, a sostegno delle menzionate richieste, vengono svolte considerazioni che riflettono quelle già esposte dal rimettente, dalla parte privata costituita e dall’amicus curiae.

8.– Con atto depositato telematicamente il 21 giugno 2021, oltre il termine di cui all’art. 4-ter, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, il Comitato nazionale docenti che hanno maturato punteggio preruolo in istituti paritari ha presentato un’opinione scritta in qualità di amicus curiae.

Considerato in diritto

1.– La Corte d’appello di Roma, sezione lavoro, con ordinanza del 9 novembre 2020 (reg. ord. n. 191 del 2020), ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 485 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), che – nel disciplinare la carriera del personale docente – prevede il riconoscimento, ai fini giuridici ed economici, del servizio anteriore alla nomina in ruolo prestato presso le scuole statali e pareggiate.

Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale di questa disposizione nella parte in cui, in base all’interpretazione giurisprudenziale assunta come diritto vivente (sono richiamate Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 16 dicembre 2019, n. 33137 e 11 dicembre 2019, n. 32386, e la giurisprudenza nelle stesse citata), essa esclude il riconoscimento del servizio di insegnamento non di ruolo prestato presso le scuole paritarie, istituite ai sensi della legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione).

Ciò si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. per l’irragionevole disparità di trattamento derivante dal rilievo attribuito, sia al servizio non di ruolo prestato presso le scuole pubbliche statali, sia a quello svolto sino all’anno scolastico 2005/2006 presso le scuole pareggiate, sia a quello prestato presso le stesse scuole paritarie, ai soli fini dell’integrazione delle graduatorie permanenti.

2.– Quanto ai profili pregiudiziali, deve essere innanzitutto richiamata la dichiarazione d’inammissibilità degli interventi spiegati da Nicolina La Femina e da Maria Teresa Pepe e altri, per le ragioni esposte nell’ordinanza letta nel corso dell’udienza pubblica e allegata alla presente sentenza.

3.- Va poi disattesa l’eccezione di difetto di rilevanza delle questioni, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato.

3.1.– La difesa statale ritiene la questione inammissibile, poiché il censurato art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 interferirebbe con una materia rimessa alla contrattazione collettiva, che prevede che il servizio preruolo prestato presso le scuole paritarie non è valutabile ai fini della mobilità.

3.2.– L’assunto della difesa statale non può essere condiviso. L’art. 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) stabilisce espressamente, al comma 1, secondo periodo, che «Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità, la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge». Ne consegue che nella materia della mobilità dei lavoratori (e dei docenti in particolare) il contratto collettivo non può derogare alla disciplina di rango legislativo e la conseguenza di tale violazione è costituita dalla nullità della previsione contrattuale in contrasto con la disposizione legislativa (art. 40, comma 3-quinquies, del d.lgs. n. 165 del 2001).

Proprio su questa nullità si fonda il ricorso della parte privata, laddove assume che il contratto collettivo – nell’escludere il rilievo del servizio preruolo prestato presso scuole paritarie ai fini della mobilità – violi la disposizione censurata, che essa interpreta come inclusiva delle stesse scuole paritarie. La rilevanza della questione discende, dunque, dalla necessità per il giudice rimettente di esaminare la validità della previsione negoziale alla luce del contenuto normativo della disposizione censurata. La questione appare rilevante ai fini della definizione del giudizio a quo e l’eccezione sollevata dalla difesa statale risulta non fondata.

4.– Gli ulteriori profili, diversi da quelli dell’ordinanza di rimessione, formulati dall’amicus curiae non sono oggetto di valutazione da parte di questa Corte.

5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., non è fondata.

5.1.– La disposizione in esame è censurata nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esclude il riconoscimento, ai fini della ricostruzione della carriera, del servizio di insegnamento non di ruolo prestato presso le scuole paritarie.

La giurisprudenza della Corte di cassazione, in una cospicua serie di decisioni, tra cui quelle richiamate dal rimettente quale diritto vivente, ha infatti ritenuto che – ai fini dell’inquadramento e del trattamento economico dei docenti – non è valutabile il servizio preruolo prestato presso le scuole paritarie in ragione della non omogeneità dello status giuridico del personale, nonché della mancanza di una norma di legge che consenta tale riconoscimento (Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 10 novembre 2020, n. 25226; sentenze 16 dicembre 2019, n. 33137 e n. 33134; 11 dicembre 2019, n. 32386; 30 gennaio 2015, n. 1749; 20 gennaio 2014, n. 1035, e 1° ottobre 2012, n. 16623).

Anche la giurisprudenza amministrativa si è attestata sulle medesime posizioni, escludendo la possibilità di valutare il servizio preruolo svolto in scuole paritarie ai fini della mobilità (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenze 4 novembre 2020, n. 6796, n. 6797, n. 6798 e n. 6799; 27 luglio 2020, n. 4770; 28 aprile 2020, n. 2717; 11 febbraio 2011, n. 906 e 7 gennaio 2008, n. 6; sezione quarta, sentenze 22 giugno 2004, n. 4382 e 25 marzo 2004, n. 1607; sezione sesta, sentenza 9 maggio 2002, n. 2517).

Il giudice a quo – pur mostrando di condividere una diversa interpretazione che porterebbe a riconoscere il rilievo del servizio preruolo svolto presso le scuole paritarie – osserva come tale soluzione si scontrerebbe con il contrario orientamento della Corte di cassazione.

Al riguardo va ribadito che, in presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, il giudice a quo ha la facoltà di assumere l’interpretazione censurata in termini di “diritto vivente” e di richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilità con i parametri costituzionali (sentenze n. 1 del 2021, n. 95, n. 32 e n. 12 del 2020, n. 189 e n. 75 del 2019, n. 39 del 2018, n. 259 e n. 122 del 2017, n. 200 del 2016, n. 11 del 2015, n. 242 del 2014, n. 191 del 2013, n. 258 e n. 117 del 2012 e n. 91 del 2004). Ciò, senza che gli si possa addebitare di non aver seguito altra interpretazione, più aderente ai parametri stessi, sussistendo tale onere solo in assenza di un contrario diritto vivente (sentenze n. 95 del 2020, n. 141 del 2019, n. 122 del 2017 e n. 11 del 2015).

5.2.– D’altra parte, anche il Contratto collettivo nazionale integrativo concernente la mobilità del personale docente, educativo ed A.T.A. per l’anno scolastico 2017/2018, sottoscritto il giorno 11 aprile 2017, nella premessa alle «Note comuni alle tabelle dei trasferimenti a domanda e d’ufficio e dei passaggi dei docenti delle scuole dell’infanzia, primaria, secondaria di I grado e degli istituti di istruzione secondaria di II grado ed artistica e del personale educativo», prevede espressamente che «[i]l servizio prestato nelle scuole paritarie non è valutabile in quanto non riconoscibile ai fini della ricostruzione di carriera». Identica previsione è contenuta nel successivo Contratto collettivo nazionale integrativo concernente la mobilità del personale docente, educativo ed A.T.A. per gli anni scolastici relativi al triennio 2019/20, 2020/21 e 2021/22, sottoscritto il giorno 6 marzo 2019.

Pertanto, nella consolidata interpretazione della giurisprudenza e nella contrattazione collettiva di settore che la recepisce, la disposizione censurata attribuisce rilievo unicamente al servizio antecedente all’immissione in ruolo svolto in scuole statali e, sino al 2006, in quelle pareggiate. Ed è proprio sul mancato riconoscimento del servizio di insegnamento preruolo reso in istituti scolastici paritari che si appuntano le censure del rimettente.

5.3.– Quanto al primo profilo di irragionevolezza, che il rimettente individua nel raffronto con la disciplina riservata dalla stessa disposizione censurata ai docenti degli istituti scolastici pareggiati, va rilevato che le due tipologie di scuole presentano significative differenze nei rispettivi sistemi di selezione e reclutamento del personale docente, tali da impedirne la completa equiparazione.

5.3.1.– Infatti, solo gli istituti scolastici pareggiati, ormai definitivamente superati dall’ordinamento scolastico (art. 1-bis del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, recante «Misure urgenti in materia di scuola, università, beni culturali ed in favore di soggetti affetti da gravi patologie, nonché in tema di rinegoziazione di mutui, di professioni e di sanità», convertito, con modificazioni, nella legge 3 febbraio 2006, n. 27), dovevano garantire che il numero e il tipo delle cattedre fossero uguali a quelli delle corrispondenti scuole statali e che le stesse cattedre fossero «occupate da personale nominato, secondo norme stabilite con regolamento, in seguito ad apposito pubblico concorso, o che sia risultato vincitore, o abbia conseguito la votazione di almeno sette decimi in identico concorso generale o speciale presso scuole statali o pareggiate o in esami di abilitazione all’insegnamento corrispondente» (art. 356, comma 2, lettera b, del d.lgs. n. 297 del 1994). Per l’accesso all’insegnamento negli istituti paritari, viceversa, non è stabilita alcuna selezione di carattere concorsuale ed è previsto il solo requisito dell’abilitazione (art. 1, comma 4, lettera g, della legge n. 62 del 2000), dovendosi peraltro rilevare che la stessa necessità di tale requisito è stata ripetutamente derogata.

5.3.2.– È bensì vero che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l’abilitazione costituisca requisito di validità del contratto di lavoro avente ad oggetto mansioni di insegnamento (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 20 febbraio 2018, n. 4080; sezioni unite civili, sentenza 26 maggio 2011, n. 11559).

Ciononostante, in considerazione dell’impossibilità da parte di gestori di scuole paritarie di reperire personale fornito del prescritto titolo di abilitazione e della prioritaria necessità di garantire il regolare avvio dell’anno scolastico delle scuole paritarie senza interruzione dell’attività didattica, in più occasioni il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (oggi Ministero dell’istruzione) ha consentito ai gestori delle scuole paritarie di conferire incarichi a tempo determinato a personale fornito solo del prescritto titolo di studio (si vedano le circolari del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca dell’11 luglio 2012, prot. n. 4420/R.U./U, del 29 ottobre 2001, prot. n. 2668, e del 15 giugno 2000, n. 163, prot. 63/VD).

Inoltre, ulteriori previsioni di carattere derogatorio nella disciplina del reclutamento dei docenti delle scuole paritarie sono stabilite dai successivi commi 4-bis e 5 dello stesso art. 1 della legge n. 62 del 2000.

La prima disposizione prevede che, per i docenti in servizio presso le scuole secondarie alla data di entrata in vigore della legge n. 62 del 2000, il requisito del titolo di abilitazione debba essere conseguito al termine dell’anno accademico in corso alla data di conclusione della prima procedura concorsuale per titoli ed esami. Anche la seconda disposizione introduce un regime di favore per le scuole paritarie, consentendo loro di avvalersi di prestazioni volontarie di personale docente, purché fornito di relativi titoli scientifici e professionali, ovvero di ricorrere anche a contratti d’opera, in misura non superiore a un quarto delle prestazioni complessive. La natura agevolativa di tale disciplina è stata già riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 42 del 2003).

5.4.– D’altra parte, una completa equiparazione del rapporto di lavoro prestato presso le scuole paritarie a quello reso in quelle statali non risponde neppure ai principi che si ricavano dall’art. 33, quarto comma, Cost., di cui la legge n. 62 del 2000 intendeva essere attuazione.

5.4.1.– Con questo intervento, che ha riformato in senso pluralista e policentrico l’ordinamento delle istituzioni scolastiche, il legislatore ha voluto garantire agli alunni delle scuole paritarie i medesimi standard qualitativi di quelle statali, sia in relazione all’offerta didattica, sia al valore dei titoli di studio che possono essere conseguiti. Ciò non ha peraltro comportato una completa equiparazione del rapporto di lavoro che intercorre fra il docente e la scuola paritaria a quello instaurato con i docenti della scuola statale in regime di pubblico impiego privatizzato.

Infatti, nonostante la comune appartenenza al sistema nazionale di istruzione, nell’assunzione dei docenti della scuola paritaria manca la previsione di un’attività procedimentale che regoli la selezione e il reclutamento degli insegnanti. Sempre in conformità all’art. 33, quarto comma, Cost., ciò garantisce l’autonomia e la libertà della scuola paritaria e l’esigenza di questa di dotarsi di personale connotato da un’impostazione culturale, didattica ed educativa coerente con il suo orientamento e progetto formativo. Conseguentemente, la mancanza di meccanismi di selezione assimilabili alle procedure concorsuali non consente di tenere conto dei principi generali che, ai sensi dell’art. 97 Cost., devono informare l’attività dell’amministrazione pubblica.

D’altra parte, il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono ritenersi totalmente assimilati e le differenze, pur attenuate, permangono anche in séguito all’estensione della contrattazione collettiva a una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. I principi costituzionali di legalità ed imparzialità, che si esprimono anche nella necessità del pubblico concorso, in conformità all’art. 97 Cost., contribuiscono a conformare la condotta della pubblica amministrazione e l’esercizio delle funzioni che le sono riconosciute quale datore di lavoro pubblico in regime contrattualizzato.

5.4.2.– È pur vero che, attraverso il meccanismo delle graduatorie ad esaurimento, di cui alla legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), anche l’accesso all’insegnamento nella scuola statale prescinde, in misura del 50 per cento delle immissioni in ruolo, dall’espletamento di un pubblico concorso. Ma anche in questo caso permangono significative differenze tra i rispettivi sistemi di reclutamento.

In effetti, il sistema delle graduatorie ha rappresentato uno strumento per consentire l’assorbimento del precariato dei docenti che hanno prestato attività di insegnamento presso le istituzioni scolastiche statali. Tuttavia, proprio con riferimento ad esso, questa Corte ha riconosciuto che «la scelta operata dal legislatore con la legge n. 124 del 1999, istitutiva delle graduatorie permanenti, è quella di individuare i docenti cui attribuire le cattedre e le supplenze secondo il criterio del merito» (sentenza n. 41 del 2011).

Anche laddove l’accesso all’insegnamento nella scuola statale avvenga attraverso tale sistema, infatti, il possesso dell’abilitazione all’insegnamento costituisce solo uno dei criteri che determinano l’utile collocazione nelle stesse. Accanto ad esso, si tiene conto di una molteplicità di altri indicatori, espressivi delle pregresse esperienze professionali, dell’anzianità di servizio e degli altri titoli professionali e accademici conseguiti.

Questo canale di accesso denota, inoltre, un carattere fortemente procedimentalizzato, tale da consentire una verifica anche in sede giudiziale sulla correttezza delle scelte operate dall’amministrazione. Viceversa, nel sistema delle scuole paritarie, proprio al fine di garantire la libertà di educazione e l’autonomia delle stesse istituzioni scolastiche, in particolare nel momento della scelta del corpo docente, la selezione non comporta alcuna attività procedimentale, potendo la scelta avvenire sulla base della valutazione discrezionale del dirigente scolastico.

Va, infine, notato che il principio del pubblico concorso che regola l’accesso ai ruoli della scuola statale, unito alla volontà legislativa di eliminare possibili distorsioni applicative, ha reso progressivamente marginale il sistema delle graduatorie. Come stabilito dall’art. 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», già a partire dal 2007 non è più consentito l’inserimento in esse di nuovi aspiranti candidati prima che sia completata l’immissione in ruolo dei docenti che già ne facevano parte.

5.4.3.– Permane, dunque, la differenza tra le scuole paritarie, svincolate dall’esercizio di meccanismi di selezione assimilabili alle procedure concorsuali, e quelle statali, dove invece valgono i principi generali per l’accesso ai ruoli dell’amministrazione. Anche dopo la legge n. 62 del 2000, ciò impedisce, sotto questo profilo, la completa assimilazione dei due diversi plessi.

Né, d’altra parte, la diversa valutazione del servizio incide su quello che costituisce il presupposto della parità di trattamento garantita dalla legge n. 62 del 2000, rappresentato dalla comprovata omogeneità qualitativa dell’offerta formativa e didattica (legge n. 62 del 2000, art. 1, comma 5, primo periodo).

5.5.– Va infine esclusa l’irragionevolezza della disposizione censurata, nel raffronto con l’art. 2, comma 2, del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 255 (Disposizioni urgenti per assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2001/2002), convertito, con modificazioni, nella legge 20 agosto 2001, n. 333.

5.5.1.– Quest’ultima disposizione consente la valutazione dei servizi d’insegnamento prestati nelle scuole paritarie nella stessa misura prevista per il servizio prestato nelle scuole statali, ma tale valutazione ha rilievo ai soli fini della «[i]ntegrazione a regime delle graduatorie permanenti del personale docente», così come indica la relativa rubrica. Agli insegnanti delle scuole paritarie è stato così espressamente riconosciuto un beneficio particolare e significativo, consistente nella equiparazione, a determinati fini, dell’attività di insegnamento prestata anteriormente all’immissione nei ruoli dell’amministrazione statale.

In quanto attributiva di un beneficio in favore di determinate categorie di soggetti, questa norma riveste carattere eccezionale e deve ritenersi di stretta interpretazione. Come riconosciuto dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, essa è insuscettibile di essere applicata «estensivamente o analogicamente» (Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 10 novembre 2020, n. 25226 e sentenza 11 dicembre 2019, n. 32386; Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenze 4 novembre 2020, n. 6796, n. 6797, n. 6798 e n. 6799; 27 luglio 2020, n. 4770; 28 aprile 2020, n. 2717; 11 febbraio 2011, n. 906; decisione 7 gennaio 2008, n. 6; sezione quarta, decisioni 22 giugno 2004, n. 4382 e 25 marzo 2004, n. 1607; sezione sesta, decisione 9 maggio 2002, n. 2517). È consentita, dunque, la valutazione del servizio preruolo ai fini dell’immissione dei docenti delle scuole paritarie nelle graduatorie permanenti del personale docente, ma questa possibilità non è estensibile, in via analogica, anche ai fini della ricostruzione della carriera, della mobilità scolastica e dell’accesso alle procedure concorsuali riservate.

5.5.2.– Del resto, anche la disposizione dell’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, con il riconoscimento, ai fini giuridici ed economici, del servizio prestato dai docenti delle scuole statali e pareggiate prima dell’immissione in ruolo, risulta attributiva di un trattamento di particolare favore a tali docenti.

Al riguardo, questa Corte ha già ritenuto che la disposizione – nel riprodurre il contenuto normativo dell’art. 2 del decreto-legge 19 giugno 1970, n. 370 (Riconoscimento del servizio prestato prima della nomina in ruolo dal personale insegnante e non insegnante delle scuole di istruzione elementare, secondaria e artistica), convertito, con modificazioni, nella legge 26 luglio 1970, n. 576 – «ha, all’evidenza, carattere di eccezionalità» (ordinanza n. 15 del 2001).

In linea di coerenza con questa impostazione, è stato altresì affermato che «l’interpretazione restrittiva delle disposizioni impugnate non comporta la violazione dei parametri costituzionali invocati, non risultando manifestamente irragionevole, né contraria al buon andamento dell’amministrazione, la scelta discrezionale del legislatore di valutare diversamente il servizio pregresso dei docenti della scuola secondaria», in funzione delle specifiche peculiarità dell’attività di insegnamento prestata (ordinanza n. 89 del 2001; nello stesso senso, ordinanza n. 753 del 1988).

Specie in riferimento all’applicazione degli istituti che regolano la carriera degli insegnanti, l’assimilazione della disciplina del rapporto di lavoro dei docenti delle scuole paritarie e di quelle statali rimane, quindi, solo parziale, spettando al legislatore il compito di modularne le forme e la misura, nel rispetto dei principi di cui all’art. 33 Cost. In considerazione dei sopra evidenziati elementi differenziali che qualificano il rispettivo rapporto di lavoro, non può ritenersi irragionevole la scelta legislativa di limitare tale assimilazione ad alcuni aspetti del rapporto.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 485 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Roma, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2021.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

Allegato:

ordinanza letta all'udienza del 23 giugno 2021

ORDINANZA

Visti gli atti relativi al giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 485 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), promosso con ordinanza della Corte d'appello di Roma, sezione lavoro, del 9 novembre 2020 (r. o. n. 191 del 2020).

Rilevato che nel giudizio sono intervenuti ad adiuvandum, con distinti atti, da un lato, Nicolina La Femina e, dall'altro lato, Maria Teresa Pepe e altri;

che gli intervenienti espongono di essere docenti di ruolo della scuola statale e di avere prestato servizio come insegnanti non di ruolo presso scuole e istituti paritari, prima dell'assunzione a tempo indeterminato da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (oggi: Ministero dell'istruzione); per tale ragione, essi assumono di essere legittimati ad intervenire, in quanto portatori di un interesse immediato e diretto al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.

Considerato che l'art. 4, comma 7, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale stabilisce che «[n]ei giudizi in via incidentale possono intervenire i titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio»; e che tale disposizione recepisce la costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 98 del 2019 e n. 237 del 2013; ordinanze allegate alle sentenze n. 206 del 2019, n. 158 del 2018, n. 16 del 2017, n. 82 del 2013, n. 272 del 2012, n. 349 del 2007, n. 279 del 2006 e n. 291 del 2001), secondo cui la partecipazione al giudizio incidentale di legittimità costituzionale è circoscritta, di norma, alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4 delle Norme integrative);

che, pertanto, l'incidenza sulla posizione soggettiva dell'interveniente deve derivare non già, come per tutte le altre situazioni sostanziali disciplinate dalla disposizione denunciata, dalla pronuncia di questa Corte sulla legittimità costituzionale della legge stessa, ma dall'immediato effetto che detta pronuncia produce sul rapporto sostanziale oggetto del giudizio a quo (ex multis, sentenze n. 46 del 2021, n. 98 del 2019 e n. 345 del 2005);

che, nel caso in esame, gli intervenienti non sono titolari di un interesse direttamente riconducibile all'oggetto del giudizio principale, bensì di un interesse riflesso all'accoglimento della questione, in quanto assoggettato alla disposizione censurata;

che, pertanto, gli interventi di Nicolina La Femina e di Maria Teresa Pepe e altri devono essere dichiarati inammissibili.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili gli interventi di Nicolina La Femina e di Maria Teresa Pepe e altri.

F.to: Giancarlo Coraggio, Presidente

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