ORDINANZA N. 214
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Foggia nel procedimento penale a carico di M.R. M., con ordinanza del 14 luglio 2020, iscritta al n. 140 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visti l’atto di costituzione di M.R. M., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre 2021 il Giudice relatore Francesco Viganò;
uditi l’avvocato Michele Curtotti per M.R. M. e l’avvocato dello Stato Agnese Soldani per il Presidente del Consiglio dei ministri, entrambi in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021;
deliberato nella camera di consiglio del 20 ottobre 2021.
Ritenuto che, con ordinanza del 14 luglio 2020, pervenuta alla cancelleria di questa Corte il 25 agosto 2021, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Foggia ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), «quanto meno nella parte in cui non contempla (e quindi non fa salva) la possibilità per l’imputato di accedere al rito abbreviato nelle ipotesi in cui ricorrano dati fattuali certi riferibili al fatto (modalità oggettive della condotta) ovvero alla persona dell’imputato (quale nel caso in esame, il vizio parziale di mente), che consentano di ipotizzare, sul piano del giudizio prognostico, l’irrogazione, in caso di condanna, di una pena diversa dall’ergastolo»;
che il rimettente si trova a vagliare la richiesta di giudizio abbreviato formulata da una donna imputata, tra l’altro, del delitto di cui agli artt. 575 e 577, primo comma, numero 1), del codice penale, per avere cagionato la morte del coniuge legalmente separato;
che lo stesso capo di imputazione evidenzia, peraltro, che il fatto sarebbe stato commesso in presenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 cod. pen.;
che, osserva il rimettente, la richiesta di giudizio abbreviato sarebbe inammissibile ai sensi della disposizione censurata, trattandosi di delitto astrattamente punibile con la pena dell’ergastolo;
che, tuttavia, il giudice a quo dubita della compatibilità della disposizione stessa con l’art. 3 Cost.;
che il rimettente richiama anzitutto l’ordinanza n. 455 del 2006, in cui questa Corte, pur riconoscendo che la previsione normativa di preclusioni a riti premiali per alcuni reati è «espressione dell’ampia discrezionalità di cui il legislatore gode», ha altresì affermato che tale discrezionalità incontra il «limite della manifesta irragionevolezza delle soluzioni adottate»;
che la norma censurata introdurrebbe per l’appunto nel sistema «una disarmonia (apprezzabile in termini di disparità di trattamento) non sorretta da ragionevole giustificazione»;
che il vulnus costituzionale denunciato dal rimettente si apprezzerebbe sotto un triplice profilo;
che, in primo luogo, la norma determinerebbe irragionevoli equiparazioni sanzionatorie tra fatti aventi disvalore differente, perché «identificando i delitti puniti con la pena dell’ergastolo con i reati più gravi che destano maggior allarme sociale», il legislatore accomunerebbe «nella medesima presunzione di gravità ed allarme sociale, assoggettandole alla stessa preclusione, fattispecie in realtà differenti tra loro che non presentano il medesimo disvalore»: dal delitto di omicidio volontario aggravato – che a sua volta contempla ipotesi profondamente eterogenee – a fatti del tutto diversi quali la strage, l’epidemia, il traffico di esseri umani aggravato, il sequestro di persona a scopo di estorsione o di terrorismo cui segua la morte, i crimini di guerra, nonché i delitti commessi ai danni della personalità dello Stato e contro l’incolumità pubblica;
che, in secondo luogo, la norma censurata darebbe luogo a una disparità di trattamento sanzionatorio tra fatti aventi disvalore omogeneo, esemplificata dal confronto tra le ipotesi punite con l’ergastolo riconducibili al primo comma dell’art. 577 cod. pen., che comprendono oggi l’omicidio del coniuge anche legalmente separato (rispetto al quale è precluso il giudizio abbreviato, con conseguente impossibilità di beneficiare della riduzione di pena in caso di condanna), e quelle di cui al secondo comma, punite con la pena da ventiquattro a trent’anni di reclusione, che comprendono l’omicidio del coniuge divorziato (ipotesi per la quale il giudizio abbreviato è invece ammissibile, con conseguente possibilità di ottenere il relativo sconto di pena in caso di condanna);
che, in terzo luogo, la violazione dell’art. 3 Cost. si coglierebbe con particolare evidenza nelle ipotesi in cui la comminatoria legislativa della pena dell’ergastolo consegue – come nel caso oggetto del giudizio a quo – alla contestazione di una circostanza aggravante, che è suscettibile, in caso di concorso con eventuali attenuanti (come il vizio parziale di mente), di potenziale elisione all’esito del giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 cod. pen., con conseguente applicazione della sola pena della reclusione;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque non fondata;
che l’inammissibilità discenderebbe in primo luogo da una incongruenza tra la motivazione e il dispositivo dell’ordinanza di rimessione, poiché gli esatti termini della questione proposta non risulterebbero essere stati riprodotti nella parte dispositiva del provvedimento in questione;
che, inoltre, il giudice rimettente muoverebbe da un errato presupposto interpretativo, avendo omesso di considerare che – in forza del tenore letterale dell’art. 429, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., come interpretato anche nella sentenza n. 112 del 1994 di questa Corte – le circostanze attenuanti di qualsiasi natura non rientrano nella contestazione del fatto, e non operano sino a quando la loro ricorrenza non sia stata accertata in giudizio;
che nel merito la questione sarebbe comunque infondata, in quanto i profili di asserita illegittimità costituzionale lamentati dal rimettente sarebbero già stati esaminati ed esclusi da questa Corte nella sentenza n. 260 del 2020;
che l’imputata si è costituita in giudizio a mezzo del proprio difensore, aderendo agli argomenti dell’ordinanza di rimessione e concludendo nel senso della fondatezza della questione ivi prospettata.
Considerato che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Foggia ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), «quanto meno» nella parte in cui non consente all’imputato di un delitto astrattamente punibile con l’ergastolo di essere giudicato con rito abbreviato quando sia possibile ipotizzare, sulla base di dati certi relativi al fatto o alla persona dell’imputato, l’irrogazione di una pena diversa dall’ergastolo in caso di condanna;
che le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato non sono fondate;
che, innanzitutto, non sussiste alcuna incongruenza tra la motivazione e il dispositivo dell’ordinanza di rimessione, posto che la presunta discrepanza tra i due può agevolmente risolversi tramite gli ordinari criteri ermeneutici (sentenza n. 82 del 2020), leggendo il secondo anche alla luce della prima, nella parte in cui la medesima rivela l’effettiva volontà del giudice;
che dal tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione emerge infatti chiaramente che il giudice a quo auspica una pronuncia ablativa della disposizione censurata, in quanto ritenuta integralmente in contrasto con l’art. 3 Cost., prospettando solo in via residuale – e dunque, in via logicamente subordinata – l’ipotesi di una dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale, riferita al solo caso in cui possa ipotizzarsi l’irrogazione in concreto di una pena diversa dall’ergastolo;
che, in secondo luogo, detta ordinanza non poggia nemmeno su di un errato presupposto interpretativo, e in particolare sulla fallace convinzione che una circostanza attenuante indicata nel capo di imputazione possa “operare” già prima che la sua ricorrenza sia stata accertata in giudizio;
che, al contrario, il rimettente si duole proprio del fatto che di tale circostanza, già indicata nella contestazione del pubblico ministero, l’assetto normativo attuale non permetta di tener conto ai fini della decisione sulla ammissibilità dell’istanza di giudizio abbreviato avanzata dall’imputato in udienza preliminare;
che, nel merito, la questione è tuttavia manifestamente infondata;
che, infatti, identica questione è stata ritenuta non fondata da questa Corte con la sentenza n. 260 del 2020, pronunciata successivamente rispetto all’ordinanza che ha sollevato la questione ora all’esame;
che, quanto alla denunciata disparità di trattamento tra la fattispecie di omicidio del coniuge separato (punita con l’ergastolo ai sensi dell’art. 577, primo comma, del codice penale) e quella di omicidio del coniuge divorziato (punita con la reclusione pari nel massimo a trenta anni ai sensi dell’art. 577, secondo comma, cod. pen.), questa Corte ha già osservato che «la disparità di trattamento deriva […] direttamente dalla scelta legislativa – in questa sede non censurata – che si situa “a monte” della disciplina del giudizio abbreviato», e cioè dalla scelta di prevedere pene diverse per i due fatti. «[L]a presenza o l’assenza di preclusioni al giudizio abbreviato nelle due ipotesi costituisce una mera conseguenza accessoria […] della diversa comminatoria edittale per le due ipotesi» (sentenza n. 260 del 2020, punto 7.5. del Considerato in diritto);
che parimenti, rispetto alla denunciata irragionevole equiparazione tra fatti aventi disvalore differente, accomunati solo dalla comminatoria astratta della pena perpetua ma espressivi in concreto di una gravità diversa, deve ribadirsi che la preclusione dell’accesso al giudizio costituisce null’altro che il riflesso processuale della previsione edittale della pena dell’ergastolo per quelle ipotesi criminose, previsione che non è oggetto di censura da parte del rimettente;
che infine, quanto al meccanismo normativo che riconnette il divieto di giudizio abbreviato alla comminatoria astratta della pena dell’ergastolo, deve riaffermarsi la non manifesta irragionevolezza o arbitrarietà di tale scelta legislativa (sentenza n. 260 del 2020 e, in precedenza, ordinanza n. 163 del 1992);
che, infatti, la previsione della pena dell’ergastolo esprime «un giudizio di speciale disvalore della figura astratta del reato che il legislatore, sulla base di una valutazione discrezionale che non è qui oggetto di censure, ha ritenuto di formulare» (sentenza n. 260 del 2020, punto 7.4. del Considerato in diritto);
che la scelta legislativa in questa sede censurata non può essere considerata manifestamente irragionevole o arbitraria nemmeno nell’ipotesi in cui la circostanza aggravante dalla quale dipende l’applicabilità dell’ergastolo sia ritenuta equivalente o soccombente rispetto a una circostanza attenuante, come il vizio parziale di mente, con conseguente irrogazione in concreto di una pena detentiva temporanea;
che, in proposito, questa Corte ha già osservato nella sentenza n. 260 del 2020 come sia dotata di una «solida ragionevolezza» la regola, prevista in via generale dall’art. 4 cod. proc. pen e seguita anche dall’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., in base alla quale il legislatore «fa dipendere la scelta relativa all’applicazione o non applicazione di un dato istituto – qui, il giudizio abbreviato – dalla sussistenza di una circostanza aggravante che, comminando una pena distinta da quella prevista per la fattispecie base – nel nostro caso, la pena dell’ergastolo anziché quella della reclusione –, esprime un giudizio di disvalore della fattispecie astratta marcatamente superiore a quello che connota la corrispondente fattispecie non aggravata; e ciò indipendentemente dalla sussistenza nel caso concreto di circostanze attenuanti, che ben potranno essere considerate dal giudice quando, in esito al giudizio, irrogherà la pena nel caso di condanna» (sentenza n. 260 del 2020, punto 7.5. del Considerato in diritto).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Foggia con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Francesco VIGANÒ, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria l'11 novembre 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA