Corte Costituzionale, Ordinanza n.224 del 30/11/2021

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ORDINANZA N. 224

ANNO 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale, promosso dal Giudice di pace di Lecce nel procedimento penale a carico di D. C., con ordinanza del 26 novembre 2020, iscritta al n. 17 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 2021 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

deliberato nella camera di consiglio del 20 ottobre 2021.

Ritenuto che con ordinanza del 26 novembre 2020, il Giudice di pace di Lecce ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 27, 102 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale, il quale prevede una generale causa di esclusione della punibilità per i reati al di sotto di una soglia massima di gravità, «nella parte in cui non lo rende applicabile anche nel procedimento dinanzi al giudice di pace»;

che il rimettente riferisce di procedere nei confronti dell’imputato D. C., per i reati di cui agli artt. 81, 612 e 582 cod. pen., in relazione ai quali la parte civile D. D. non ha inteso addivenire ad una conciliazione, opponendosi ad una eventuale assoluzione ai sensi dell’art. 34 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468);

che, in punto di rilevanza, dopo aver precisato che gli elementi di prova consentono di ritenere accertata la responsabilità dell’imputato in relazione ai reati di cui agli artt. 582 e 612 cod. pen., il giudice a quo afferma che «se la norma non fosse sospetta di incostituzionalità, [l’imputato] dovrebbe essere dichiarato responsabile dei capi di imputazione [...], al contrario se avesse violato l’art. 612 c.p. secondo comma o se avesse commesso anche un altro reato grave, per esempio anche il furto dell’orologio della parte civile (di competenza del Tribunale) sarebbe potuto essere assolto ex art. 131-bis c.p. per particolare tenuità del fatto»;

che, in relazione alla non manifesta infondatezza, il rimettente osserva che tanto secondo un orientamento giurisprudenziale, sia pure minoritario, quanto da parte della dottrina, si ravvisa una possibile «pacifica convivenza» tra l’art. 131-bis cod. pen. e l’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000;

che, quanto alla violazione degli artt. 25 e 27 Cost., il rimettente rileva che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità e costituzionale, il principio di proporzionalità della pena comporta che quest’ultima deve tendere alla rieducazione del condannato e non deve essere percepita come ingiusta o sproporzionata;

che, nel bilanciamento costituzionale, si tratterebbe di valori prevalenti rispetto al carattere di specialità dell’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, frutto di una mera scelta di opportunità e di politica criminale che non può rivestire un rilievo costituzionale;

che, ad avviso del giudice a quo, indubbia è la diversità dei due istituti, considerata la natura sostanziale di quello di cui all’art. 131-bis cod. pen., che dà luogo a una causa di non punibilità, e la natura processuale della disposizione di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, che contiene una causa di non procedibilità;

che, pertanto, i due istituti non sono sovrapponibili;

che, in particolare, prosegue il rimettente, la norma codicistica svincola completamente la causa di non punibilità da valutazioni di tipo special-preventivo, concernenti gli effetti pregiudizievoli che possono derivare all’imputato dalla prosecuzione del processo;

che il requisito più stringente della occasionalità del fatto, contenuto nell’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, sarebbe sostituito, nell’art. 131-bis cod. pen., da quello più elastico della non abitualità del comportamento;

che, quanto agli effetti giuridici, la pronuncia di improcedibilità non è iscrivibile nel casellario giudiziario, non è idonea a formare alcun giudicato sull’illiceità penale della condotta e non è impugnabile dall’imputato, a differenza della sentenza che dichiara la non punibilità che presuppone l’accertamento di responsabilità;

che entrambi gli istituti, poi, perseguirebbero un intento deflativo e sarebbero volti a dare piena attuazione ai principi costituzionali di extrema ratio e di proporzionalità della pena;

che il rimettente, inoltre, rileva che la finalità eminentemente conciliativa del procedimento innanzi al giudice di pace andrebbe individuata in altri differenti istituti, come la remissione della querela, in caso di assenso da parte della parte offesa o in caso di reiterata assenza della parte civile o della parte offesa nel processo, o nella remissione tacita della querela, piuttosto che nella causa di improcedibilità di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000;

che il giudice a quo osserva ancora che la persona offesa, se manifesta l’interesse alla prosecuzione o se nella fase processuale esprime la propria opposizione, impedisce al giudice di pace di applicare l’istituto previsto dall’art. 34 del d.lgs. n 274 del 2000, ma non potrebbe, invece, paralizzare l’operatività dell’art. 131-bis cod. pen.;

che, la medesima persona offesa, «nell’eventuale concorrente veste di persona danneggiata, sarebbe comunque legittimata ad esercitare l’azione civile a carattere restitutorio o risarcitorio, ai sensi dell’articolo 651-bis c.p.p.»;

che, ad avviso del rimettente, la tutela di un obiettivo privo di carattere costituzionale non può giustificare, nella prospettiva dell’art. 3 Cost., l’«emarginazione dal procedimento dinanzi al giudice di pace del congegno previsto dall’art. 131-bis c.p., la cui ratio ha invece un solido fondamento costituzionale»;

che, dunque, potrebbe rilevarsi una pacifica convivenza dei due istituti nel microsistema del giudice di pace, alla luce della clausola di salvaguardia della disciplina speciale, posta dall’art. 16 cod. pen., da suddividersi in due segmenti;

che, in particolare, nel caso di specie tra la norma codicistica e quella extra-codicistica non si configurerebbe una relazione di genere e specie, non operando la seconda parte dell’art. 16 cod. pen., bensì la prima parte del medesimo articolo;

che, ad avviso del giudice a quo, ciascuna norma presenta oltre a un nucleo di elementi comuni, requisiti eterogenei sul piano della struttura della fattispecie, estranei all’altra, sicché è configurabile una relazione di interferenza che non precluderebbe l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. al microsistema del giudice di pace, qualora manchino le condizioni della causa di non procedibilità, naturalmente in presenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla norma codicistica;

che, inoltre, in riferimento alla violazione dell’art. 102 Cost., il rimettente afferma che il giudice di pace non è un giudice speciale o diverso per l’obiettivo della conciliazione delle parti, e dunque i due diversi modelli di irrilevanza per particolare tenuità del fatto ben potrebbero coesistere;

che, quanto alla violazione dell’art. 111 Cost., il rimettente evidenzia «il difetto di ragionevolezza della dosimetria della pena prevista dal vigente art. 131-bis c.p., e l’art. 34 d.lgs. n 274/2000, che emergerebbe nel raffronto con il trattamento sanzionatorio previsto per il fatto di lieve entità»;

che, in particolare, per la fattispecie di cui all’art. 131-bis cod. pen., vi sarebbe l’assoluzione, mentre nel secondo caso la condanna;

che, in riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevolezza della scelta legislativa, il rimettente osserva che il giudice di pace, riscontrata la sussistenza di tutte le condizioni di procedibilità, deve applicare la sanzione soltanto quando abbia accertato il dovere di punire, la cui esistenza è invece esclusa in mancanza del bisogno di pena e, dunque laddove possa essere applicato l’art. 131-bis cod. pen.;

che, anche, sussisterebbe il contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., in quanto la previsione di una pena ingiustificatamente aspra e sproporzionata rispetto alla gravità del fatto ne pregiudicherebbe la funzione rieducativa;

che, inoltre, in punto di violazione degli artt. 25 e 111 Cost., il rimettente richiama le sentenze di questa Corte n. 222 e n. 233 del 2018, in tema di valutazioni discrezionali del legislatore sulla dosimetria della pena;

che, infine, ad avviso del giudice a quo, sarebbe violato anche l’art. 2 Cost., il quale «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo», perché l’impossibilità di applicare l’art. 34 del decreto legislativo citato, per l’opposizione della parte civile, porterebbe a condannare l’imputato anziché all’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.;

che, con atto del 13 marzo 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel presente giudizio, chiedendo di dichiarare la questione inammissibile e, comunque, non fondata;

che l’interveniente evidenzia che con la sentenza n. 120 del 2019 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la medesima questione di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis cod. pen., sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Catania;

che, con tale pronuncia, questa Corte avrebbe fornito una motivazione che risponde a tutti i rilievi formulati dal Giudice di pace di Lecce.

Considerato che il Giudice di pace di Lecce ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 27, 102 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale, il quale prevede una generale causa di esclusione della punibilità per i reati al di sotto di una soglia massima di gravità, «nella parte in cui non lo rende applicabile anche nel procedimento dinanzi al giudice di pace»;

che le questioni prospettate sono in parte manifestamente inammissibili e in parte manifestamente infondate;

che, con riferimento in particolare al denunciato contrasto con gli artt. 2, 102 e 111 Cost., il rimettente si è limitato a dedurre censure generiche e meramente assertive, senza specificare i motivi della ritenuta violazione di ciascuno dei parametri costituzionali;

che, inoltre, la violazione dell’art. 24 Cost. è soltanto indicata;

che tali lacune in punto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, determinano la manifesta inammissibilità delle questioni proposte (ex multis, ordinanze n. 159 del 2021 e n. 250 del 2019);

che, inoltre, quanto alla denunciata violazione degli artt. 3, 25 e 27 Cost., le questioni sono manifestamente infondate;

che, infatti, questa Corte con la sentenza n. 120 del 2019 - peraltro depositata in data antecedente all’ordinanza di rimessione, ma non presa in considerazione dal giudice a quo - ha dichiarato non fondata analoga questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.;

che, nella pronuncia indicata, questa Corte ha, tra l’altro, affermato che «[l]e ragioni che giustificano, sul piano del rispetto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza, questa alternatività [dei due istituti] risiedono nelle connotazioni peculiari dei reati di competenza del giudice di pace e del procedimento innanzi a quest’ultimo rispetto ai reati di competenza del tribunale» e che l’«eterogeneità delle fattispecie di reato poste a confronto esclude la dedotta lesione del principio di eguaglianza (sentenza n. 207 del 2017)»;

che, sempre nella medesima pronuncia, ha altresì richiamato il proprio costante orientamento secondo cui «il procedimento penale davanti al giudice di pace configura un modello di giustizia non comparabile con quello davanti al tribunale, in ragione dei caratteri peculiari che esso presenta (sentenza n. 426 del 2008; nello stesso senso, ordinanze n. 28 del 2007, n. 415 e n. 228 del 2005)»;

che, dunque, deve in questa sede ribadirsi che la previsione di «un rito orientato, più che alla repressione del conflitto sotteso al singolo episodio criminoso, alla sua composizione, oltre che a finalità deflattive» (sentenza n. 120 del 2019) e le distinte aree applicative degli istituti in esame giustificano, sul piano dell’art. 3 Cost., l’alternatività dei due istituti;

che, inoltre, la sentenza n. 120 del 2019 reca una motivazione esaustiva dei rilievi sollevati dal Giudice di pace di Lecce, anche con riferimento alla violazione dei parametri di cui agli artt. 25 e 27 Cost.;

che l’odierno rimettente non aggiunge, rispetto a quelli oggetto di esame nella richiamata sentenza, argomenti ulteriori o diversi di censura;

che, infine, deve rilevarsi che i recenti arresti della giurisprudenza di legittimità hanno dato continuità ai principi affermati nella sentenza n. 120 del 2019, ribadendo la non applicabilità, nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace, del proscioglimento per la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenze 7 aprile-26 luglio 2021, n. 29174 e 12 aprile-12 luglio 2021, n. 26505; sezione settima penale, ordinanza 5 maggio-25 agosto 2021, n. 32201);

che, dunque, deve essere dichiarata la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis cod. pen., sollevate in riferimento agli artt. 2, 24, 102 e 111 Cost., mentre va dichiarata la manifesta infondatezza delle questioni, aventi ad oggetto la medesima disposizione, sollevate in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 1, della Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 24, 102 e 111 della Costituzione, dal Giudice di pace di Lecce, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis cod. pen. sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost., dal Giudice di pace di Lecce, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2021.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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