SENTENZA N. 249
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Lazio 3 gennaio 1986, n. 1 (Regime urbanistico dei terreni di uso civico e relative norme transitorie), come modificato dall’art. 4 della legge della Regione Lazio 27 gennaio 2005, n. 6, recante «Modifiche alla legge regionale 3 gennaio 1986, n. 1 (Regime urbanistico dei terreni di uso civico e relative norme transitorie) e successive modifiche ed alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 (Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo) e successive modifiche», promosso dal Commissario per la liquidazione degli usi civici per le Regioni Lazio, Umbria e Toscana nel procedimento vertente tra M. F. e la G. srl e altri, con ordinanza del 5 gennaio 2021, iscritta al n. 50 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visto l’atto di costituzione della Regione Lazio;
udita nell’udienza pubblica del 19 ottobre 2021 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;
udita l’avvocata Rita Santo per la Regione Lazio, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021;
deliberato nella camera di consiglio del 25 novembre 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 5 gennaio 2021, iscritta al registro ordinanze n. 50 del 2021, il Commissario per la liquidazione degli usi civici per le Regioni Lazio, Umbria e Toscana ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 9, 117, secondo comma, lettere l) ed s), e 118 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Lazio 3 gennaio 1986, n. 1 (Regime urbanistico dei terreni di uso civico e relative norme transitorie), come modificato dall’art. 4 della legge della Regione Lazio 27 gennaio 2005, n. 6, recante «Modifiche alla legge regionale 3 gennaio 1986, n. 1 (Regime urbanistico dei terreni di uso civico e relative norme transitorie) e successive modifiche ed alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 (Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo) e successive modifiche», nella parte in cui stabilisce che «[s]ono attribuiti ai comuni le cui collettività sono titolari dei diritti di uso civico le funzioni ed i compiti amministrativi concernenti la liquidazione dei diritti stessi gravanti su terreni privati, i quali, per la destinazione degli strumenti urbanistici generali e loro varianti, oppure, in mancanza di strumento urbanistico generale, in quanto ricadenti in aree urbanizzate come indicate dalla pianificazione paesistica regionale, abbiano acquisito carattere edificatorio».
2.– In punto di fatto, il rimettente riferisce che, con ordinanza del 14 novembre 2017 del Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Velletri, gli veniva trasmessa, «per quanto di [sua] competenza», copia della comparsa di costituzione di M. F., nella quale veniva dedotta la presenza di usi civici sull’immobile oggetto di esecuzione immobiliare. Il giudice a quo precisa che il procedimento esecutivo riguardava beni immobili siti nel Comune di Ardea in comproprietà di M. F., cui veniva notificato, nel dicembre del 2016, atto di pignoramento immobiliare da parte della società G. srl. In particolare, nell’ambito di tale procedura esecutiva, il consulente tecnico d’ufficio redigeva la perizia ex art. 568 del codice di procedura civile, evidenziando che il bene oggetto di pignoramento risultava gravato da usi civici.
Di seguito – espone sempre il rimettente – veniva disposto, con decreto del 26 febbraio 2018, il giudizio commissariale, nel cui ambito si costituiva M. F., chiedendo che fosse accertata «l’effettiva natura del bene stag[g]ito, ovvero di bene soggetto ad usi civici». Nel giudizio commissariale si costituivano, altresì, la società G. srl e la banca B. B. PLC, che insistevano per l’accertamento della natura allodiale dei terreni, nonché la Regione Lazio, che eccepiva il difetto di giurisdizione del Commissario; viceversa, non si costituivano i comproprietari del fondo.
Il Commissario riferisce, inoltre, che, acquisita la perizia redatta dal consulente tecnico d’ufficio nominato nel corso del procedimento esecutivo, disponeva, con ordinanza del 20 luglio 2018, il sequestro degli immobili oggetto di giudizio.
Infine, in data 31 luglio 2018, perveniva da parte del Comune di Ardea, rimasto contumace nel giudizio commissariale, la «determina n. 354/08 del 24.06.08», attestante la liquidazione dell’uso civico sui terreni oggetto di giudizio, con conseguente affrancazione del fondo dal diritto di uso civico di pascolo, legnatico e semina, mediante l’imposizione di un capitale d’affrancazione pari a euro 198,80.
3.– In punto di rilevanza, il giudice a quo, dopo aver constatato che, a fronte del citato provvedimento, il suo giudizio «dovrebbe limitarsi a prendere atto dell’avvenuta estinzione dei diritti di uso civico la cui esistenza veniva appurata dal CTU nominato», ritiene che la liquidazione degli usi civici derivi «direttamente dalla legge impugnata (che non può essere disapplicata) non essendo necessari ulteriori atti amministrativi».
Pertanto, evidenziata la «univocità della previsione legislativa», che «non consente diverse interpretazioni, costituzionalmente compatibili», afferma la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Lazio n. 1 del 1986, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Lazio n. 6 del 2005.
4.– Di seguito, al fine di introdurre il giudizio sulla non manifesta infondatezza delle questioni, il Commissario si sofferma sul quadro normativo relativo agli usi civici.
4.1.– Rileva, in particolare, che la materia è «disciplinata in modo tendenzialmente esaustivo da norme statali»: la legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del R. decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del R. decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del R. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751); il regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici nel Regno), nonché la legge 20 novembre 2017, n. 168 (Norme in materia di domini collettivi).
Il rimettente sottolinea, inoltre, che l’art. 1, lettera h), della legge 8 agosto 1985, n. 431 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale. Integrazioni dell’articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616) ha sottoposto a vincolo paesaggistico, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle bellezze naturali), «le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici» e che tale tutela è stata ribadita dall’art. 142, comma 1, lettera f) (recte: lettera h), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). Rammenta, inoltre, come l’art. 3, comma 6, della legge n. 168 del 2017, attraverso l’imposizione del vincolo paesaggistico, anche in caso di liquidazione degli usi civici, abbia inteso garantire «l’interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici per contribuire alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio».
In definitiva, il giudice a quo evidenzia che la disciplina statale regola compiutamente le procedure di liquidazione degli usi civici, mentre alle Regioni sarebbero state trasferite unicamente le funzioni amministrative connesse alle ipotesi di liquidazione degli usi.
4.2.– Per converso, secondo il rimettente, la disposizione regionale censurata avrebbe contemplato «norme derogatorie di quelle statali introducendo nuove ipotesi di liquidazione degli usi civici», così sottraendo i medesimi alla loro destinazione «attraverso una procedura diversa da quelle previste dal legislatore statale». A fronte del regime di imprescrittibilità, di inusucapibilità e di indisponibilità previsto dalla normativa statale, la disposizione regionale censurata avrebbe considerato i terreni gravati da usi civici «liberamente alienabili a seguito del mero acquisto della potenzialità edificatoria». In particolare, mentre «la legge nazionale consent[irebbe] l’edificazione dei terreni dopo la liquidazione degli usi civici», secondo la disposizione censurata sarebbe «la stessa vocazione edificatoria acquistata dai terreni a consentire la liquidazione degli usi da parte del Comune».
5.– Così ricostruito il quadro normativo statale e regionale, il Commissario ritiene che la disposizione censurata si ponga in evidente contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva alla legislazione esclusiva dello Stato la «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali». In particolare, il rimettente rammenta come la «funzione di tutela dell’ambiente svolta dagli usi civici [sia] stata magistralmente ricostruita» da questa Corte, la quale ha sottolineato come la Regione «non possa assumere, unilateralmente, decisioni che liberano dal vincolo ambientale porzioni del territorio» (è citata la sentenza n. 103 del 2017).
Per converso, la norma censurata avrebbe determinato una «automatica sclassificazione dei terreni gravati da uso civico solo perché divenuti edificabili».
6.– Il Commissario ritiene, inoltre, che la norma censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 9 Cost., in quanto la «liquidazione degli usi civici con conseguente edificabilità dei suoli» colliderebbe «con la tutela del paesaggio, inteso come morfologia del territorio, cioè [con] l’ambiente nel suo aspetto visivo».
7.– Al contempo, il giudice a quo ravvisa una incoerenza, censurata ai sensi dell’art. 3 Cost. in termini di irragionevolezza, fra la disposizione regionale censurata e l’art. 1 della stessa legge reg. Lazio n. 1 del 1986, che escluderebbe l’edificabilità delle aree gravate da usi civici. Tale norma, infatti, prescrive che «[l]a pianificazione paesistica prevista dalla normativa vigente in materia determina le prescrizioni, dirette alla salvaguardia delle zone di uso civico in vista del preminente interesse alla conservazione della loro destinazione naturale, alle quali i comuni sono tenuti a conformare i loro strumenti urbanistici».
8.– Sotto un diverso profilo, il rimettente ravvisa la violazione della competenza esclusiva statale anche relativamente alla materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Il giudice a quo sostiene, infatti, che il censurato art. 4 della legge reg. Lazio n. 1 del 1986 (come modificato dall’art. 4 della legge reg. Lazio n. 6 del 2005), disciplinando «istituti di natura civilistica comportanti il regime dei beni da sottrarre al vincolo paesistico-ambientale», inciderebbe sulla materia dell’ordinamento civile. In particolare, la disposizione regionale detterebbe una disciplina difforme dalle previsioni della legge n. 1766 del 1927 e del r.d. n. 332 del 1928.
9.– Da ultimo, il Commissario asserisce che la norma censurata, procedendo unilateralmente con modalità che impediscono la considerazione degli interessi statali, si porrebbe in contrasto anche con l’art. 118 Cost., per il mancato rispetto del principio di leale collaborazione.
10.– Con memoria depositata il 18 maggio 2021, la Regione Lazio, in persona del suo Presidente pro tempore, si è costituita in giudizio, eccependo, innanzitutto, l’inammissibilità delle questioni poste.
10.1.– Ad avviso della difesa regionale, le questioni sarebbero inammissibili per difetto di rilevanza, in quanto la norma censurata non troverebbe applicazione al caso di specie. Il provvedimento di liquidazione degli usi civici, assunto con determina comunale n. 354 del 2008, sarebbe, infatti, divenuto definitivo per mancata impugnazione nei termini di legge. In virtù di tale circostanza, la difesa regionale eccepisce l’esaurimento del rapporto giuridico dedotto in giudizio, sul quale non potrebbero, pertanto, dispiegarsi gli effetti dell’invocata pronuncia di accoglimento di questa Corte.
10.2.– Le questioni sarebbero altresì inammissibili, secondo l’avvocatura regionale, a causa della «confusa indicazione delle norme parametro», che sarebbero state «evocate in maniera ellittica senza richiamare partitamente le singole ragioni di conflitto».
10.3.– Da ultimo, in base alla prospettazione della difesa regionale, le questioni sarebbero inammissibili anche per incompleta ricostruzione del quadro normativo. L’incompletezza comprometterebbe l’iter logico argomentativo posto a fondamento delle censure sollevate. In particolare, non sarebbe chiarita quale sia la disciplina effettivamente applicabile al caso di specie, nel coordinamento fra normativa statale e regionale.
11.– Nel merito, la difesa regionale eccepisce la manifesta infondatezza delle questioni sollevate.
11.1.– Innanzitutto, viene rilevata la mancata considerazione, da parte del giudice a quo, della distinzione, ben presente nella legge n. 168 del 2017, «fra beni di demanio collettivo, per i quali vale il principio della inalienabilità, indisponibilità, inusucapibilità, perpetua destinazione agro-silvo-pastorale e […] beni di proprietà privata gravati da uso civico liquidabili», quali quelli di cui si contende nel giudizio principale. Ad avviso della difesa regionale, il rimettente avrebbe erroneamente richiamato il regime giuridico dei beni collettivi, mentre la stessa giurisprudenza di questa Corte avrebbe, anche di recente, «ribadito la distinzione fra i beni di demanio collettivo, inalienabili, inusucapibili, imprescrittibili», da una parte, e gli «usi civici su beni privati, soggetti a procedure liquidatorie», da un’altra parte (è richiamata la sentenza n. 71 del 2020).
Si puntualizza, inoltre, che, in virtù della legge statale n. 168 del 2017, «sui terreni liquidati permane comunque il vincolo paesaggistico».
11.2.– A ulteriore supporto della manifesta infondatezza delle questioni sollevate, la Regione Lazio afferma che la norma censurata non introdurrebbe, a differenza di quanto sostenuto nell’ordinanza di rimessione, una nuova ipotesi di sclassificazione, né amplierebbe i casi di liquidazione degli usi civici rispetto a quanto previsto dalla legge n. 1766 del 1927. Al contrario, la norma censurata disporrebbe una mera ripartizione di funzioni amministrative tra Regione e Comune, in linea con il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382).
Il criterio di riparto di competenze tra Regione e Comune sarebbe individuato «sulla base delle destinazioni di zona previste dalla pianificazione urbanistica e paesaggistica», attraverso intese con lo Stato: nelle aree individuate dalla pianificazione in questione come edificatorie, le funzioni amministrative in materia di liquidazione degli usi civici su terreni privati sarebbero delegate ai Comuni in base alla normativa censurata. Viene, in sostanza, contestato che la disposizione regionale disponga, come affermato nell’ordinanza di rimessione, che ogni qual volta vi siano aree edificabili l’uso civico possa essere liquidato dal Comune.
12.– Sulla scorta di tale diversa lettura del quadro normativo, la Regione Lazio ritiene che non sussisterebbero le contestate violazioni degli artt. 117, secondo comma, lettere l) ed s), 3, 9 e 118 Cost.
12.1.– Non vi sarebbe contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto la previsione dell’art. 3, comma 6, della legge n. 168 del 2017, che mantiene il vincolo paesaggistico «anche in casi di liquidazione degli usi civici», sarebbe sufficiente a escludere che la disposizione regionale abbia invaso le competenze statali in materia di tutela del paesaggio.
Per la medesima ragione, la difesa regionale sostiene che non sarebbero lesi né l’art. 9 Cost., né il principio di leale collaborazione, che il rimettente richiama in riferimento all’art. 118 Cost.
Inoltre, viene contestata la presunta violazione dell’art. 3 Cost., con riferimento all’asserito irragionevole contrasto con l’art. 1 della medesima legge reg. Lazio n. 1 del 1986, in quanto tale previsione riguarderebbe i demani collettivi e non gli usi civici su terreni privati, regolati invece dalla disposizione censurata.
12.2.– Da ultimo, sempre secondo la difesa regionale, non sarebbe violato neppure l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto il comma 2 dello stesso art. 4 della legge reg. Lazio n. 1 del 1986 richiamerebbe espressamente, per la liquidazione dei diritti di uso civico sui terreni di cui al comma 1, i criteri stabiliti dagli artt. 5, 6 e 7 della legge n. 1766 del 1927. Tale circostanza normativa, ad avviso della difesa regionale, dimostrerebbe che la procedura e i parametri di liquidazione previsti dalla normativa regionale non si discosterebbero da quelli previsti dalla disciplina statale.
13.– All’udienza del 19 ottobre 2021, la difesa regionale ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 5 gennaio 2021, iscritta al registro ordinanze n. 50 del 2021, il Commissario per la liquidazione degli usi civici per le Regioni Lazio, Umbria e Toscana ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 9, 117, secondo comma, lettere l) ed s), e 118 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Lazio 3 gennaio 1986, n. 1 (Regime urbanistico dei terreni di uso civico e relative norme transitorie), come modificato dall’art. 4 della legge della Regione Lazio 27 gennaio 2005, n. 6, recante «Modifiche alla legge regionale 3 gennaio 1986, n. 1 (Regime urbanistico dei terreni di uso civico e relative norme transitorie) e successive modifiche ed alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 (Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo) e successive modifiche», nella parte in cui stabilisce che «[s]ono attribuiti ai comuni le cui collettività sono titolari dei diritti di uso civico le funzioni ed i compiti amministrativi concernenti la liquidazione dei diritti stessi gravanti su terreni privati, i quali, per la destinazione degli strumenti urbanistici generali e loro varianti, oppure, in mancanza di strumento urbanistico generale, in quanto ricadenti in aree urbanizzate come indicate dalla pianificazione paesistica regionale, abbiano acquisito carattere edificatorio».
2.– Relativamente ai fatti, il Commissario rimettente riferisce che il Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Velletri, nel contesto di un separato giudizio esecutivo, gli trasmetteva copia della comparsa di costituzione di M. F., nella quale veniva dedotta la presenza di usi civici sull’immobile oggetto di esecuzione immobiliare. Pertanto, con decreto del 26 febbraio 2018, veniva disposto il giudizio commissariale, nel cui ambito si costituiva M. F., chiedendo che fosse accertata «l’effettiva natura del bene sta[g]gito, ovvero di bene soggetto ad usi civici».
Di seguito – espone il rimettente – il Comune di Ardea, rimasto contumace nel giudizio commissariale, faceva pervenire, in data 31 luglio 2018, la «determina n. 354/08 del 24.06.08», con la quale aveva deliberato la liquidazione degli usi civici di pascolo, legnatico e semina e la successiva affrancazione dei terreni oggetto di giudizio.
3.– In punto di rilevanza, il giudice a quo, dopo aver constatato che, a fronte del citato provvedimento, il suo giudizio «dovrebbe limitarsi a prendere atto dell’avvenuta estinzione dei diritti di uso civico la cui esistenza veniva appurata dal CTU nominato», ritiene che la liquidazione degli usi civici derivi «direttamente dalla legge impugnata (che non può essere disapplicata) non essendo necessari ulteriori atti amministrativi».
Pertanto, evidenziata la «univocità della previsione legislativa», che «non consente diverse interpretazioni, costituzionalmente compatibili», afferma la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Lazio n. 1 del 1986, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Lazio n. 6 del 2005.
4.– Il Commissario motiva, di seguito, la non manifesta infondatezza delle questioni che solleva con riferimento a vari parametri costituzionali.
4.1.– Innanzitutto, ritiene che la disposizione regionale censurata eccederebbe «la competenza regionale, incidendo nelle materie della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” riservate al legislatore statale dall’art. 117, secondo comma, lettera s)» Cost. L’art. 4 della legge reg. Lazio n. 1 del 1986 (come modificato dall’art. 4 della legge reg. Lazio n. 6 del 2005) avrebbe, infatti, previsto un’«automatica sclassificazione dei terreni gravati da uso civico sol perché divenuti edificabili».
4.2.– Il rimettente, inoltre, denuncia un contrasto del citato art. 4 con l’art. 9 Cost., in quanto la «liquidazione degli usi civici con conseguente edificabilità dei suoli» colliderebbe «con la tutela del paesaggio, inteso come morfologia del territorio, cioè [con] l’ambiente nel suo aspetto visivo».
4.3.– Inoltre, ravvisa la violazione del principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., in quanto l’art. 1 della stessa legge reg. Lazio n. 1 del 1986 sembrerebbe supporre la non edificabilità delle aree gravate da usi civici, il che evidenzierebbe un insanabile contrasto con la previsione della norma censurata.
4.4.– Sotto altro profilo, il Commissario rileva che l’art. 4 della legge reg. Lazio n. 1 del 1986, regolando «istituti di natura civilistica comportanti il regime dei beni da sottrarre al vincolo paesistico-ambientale», inciderebbe sulla materia «ordinamento civile», di esclusiva competenza statale. In particolare, la norma regionale detterebbe una disciplina difforme dalle previsioni della legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del R. decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del R. decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del R. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751), del regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici nel Regno), nonché della legge 20 novembre 2017, n. 168 (Norme in materia di domini collettivi); pertanto, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
4.5.– Da ultimo, secondo il rimettente, la disposizione censurata, procedendo unilateralmente con modalità che impediscono la considerazione degli interessi statali, si porrebbe in contrasto anche con l’art. 118 Cost., per il mancato rispetto del principio di leale collaborazione «stante la “connessione indissolubile tra materie di diversa attribuzione”».
5.– Questa Corte deve pronunciarsi, innanzitutto, sulle eccezioni di inammissibilità sollevate dal Presidente pro tempore della Regione Lazio, costituito in giudizio.
In primo luogo, la difesa regionale ha eccepito che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata non potrebbe avere alcuna incidenza sulla decisione del giudizio principale e sarebbe, pertanto, da escludersi la rilevanza delle questioni sollevate.
In secondo luogo, è stata contestata la «confusa indicazione delle norme parametro», che sarebbero state «evocate in maniera ellittica senza richiamare partitamente le singole ragioni di conflitto».
E, infine, la difesa regionale ha obiettato la incompleta ricostruzione del quadro normativo, in quanto non sarebbe chiarita quale sia la disciplina effettivamente applicabile al caso di specie, nel coordinamento fra previsioni regionali e normativa statale.
6.– La prima eccezione è fondata sotto il profilo della inadeguata e contraddittoria motivazione sulla rilevanza.
Questa Corte è chiamata a verificare se il giudice a quo abbia fornito elementi sufficienti per valutare la necessaria applicazione della disposizione censurata nel percorso argomentativo che conduce alla decisione del giudizio principale. Tale accertamento presuppone una motivazione non implausibile sulla sussistenza di un rapporto di strumentalità e di pregiudizialità tra la risoluzione del dubbio di legittimità costituzionale e la decisione della controversia oggetto del giudizio principale (ex plurimis, sentenza n. 50 del 2014 e ordinanza n. 282 del 1998).
7.– Nell’ordinanza di rimessione non si ravvisa una motivazione che possa considerarsi quanto meno non implausibile, poiché gli argomenti spesi in merito alla rilevanza risultano carenti e contraddittori.
Il Commissario, nell’ambito di un procedimento avente a oggetto l’accertamento di usi civici su un terreno sottoposto a esecuzione forzata, svolge le seguenti considerazioni.
Da un lato, riferisce che un provvedimento amministrativo – la determina n. 354 del 24 giugno 2008 del Comune di Ardea, con la quale era stato definito anche il capitale di affrancazione – aveva disposto la liquidazione degli usi civici, in applicazione dell’art. 4 della legge reg. Lazio n. 1 del 1986, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Lazio n. 6 del 2005. E, a tal riguardo, il Commissario constata che il suo giudizio «dovrebbe limitarsi a prendere atto dell’avvenuta estinzione dei diritti di uso civico».
Da un altro lato, il medesimo rimettente nega che, sulla base della citata legge regionale, siano necessari atti amministrativi per effettuare la liquidazione e assume, in maniera apodittica e assertiva, che la liquidazione deriverebbe automaticamente dalla disposizione censurata, «non essendo necessari ulteriori atti amministrativi». Questo, tuttavia, contrasta sia con l’esistenza del citato provvedimento amministrativo di liquidazione degli usi civici sia con il dato letterale dell’art. 4 della legge reg. Lazio n. 1 del 1986, che attribuisce ai Comuni le funzioni e i compiti amministrativi concernenti la liquidazione degli usi civici in re aliena.
Simile ricostruzione finisce, dunque, per eludere l’esigenza di una adeguata motivazione relativa al profilo centrale che condiziona la rilevanza nella vicenda oggetto del giudizio a quo.
Il rimettente, infatti, non fornisce una argomentazione, che possa ritenersi anche solo non implausibile, sulle ragioni giuridiche in base alle quali l’accertamento commissariale possa formarsi, all’esito dell’eventuale giudizio di illegittimità costituzionale della disposizione censurata, pur in presenza di un provvedimento amministrativo non tempestivamente impugnato.
Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, il carattere insufficiente, implausibile e contraddittorio della motivazione sulla rilevanza impedisce di procedere all’esame nel merito delle questioni di legittimità costituzionale (sentenza n. 161 del 2004 e ordinanza n. 153 del 2005) e, pertanto, esse devono dichiararsi inammissibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Lazio 3 gennaio 1986, n. 1 (Regime urbanistico dei terreni di uso civico e relative norme transitorie), come modificato dall’art. 4 della legge della Regione Lazio 27 gennaio 2005, n. 6, recante «Modifiche alla legge regionale 3 gennaio 1986, n. 1 (Regime urbanistico dei terreni di uso civico e relative norme transitorie) e successive modifiche ed alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 (Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo) e successive modifiche», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 9, 117, secondo comma, lettere l) ed s), e 118 della Costituzione, dal Commissario per la liquidazione degli usi civici per le Regioni Lazio, Umbria e Toscana con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 novembre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Emanuela NAVARRETTA, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA