ORDINANZA N. 254
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’omesso esame da parte della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica della petizione ex art. 50 della Costituzione, presentata alle Camere il 1° e il 7 settembre 2021 da 27.252 cittadini italiani, parte del corpo docente, studentesco e del personale della scuola di ogni ordine e grado e dell’università, e avente ad oggetto la conversione del decreto-legge 6 agosto 2021, n. 111 (Misure urgenti per l’esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti), promosso da Daniele Granara, in proprio e in qualità di rappresentante dei firmatari della petizione, con ricorso depositato in cancelleria il 27 settembre 2021 e iscritto al n. 5 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2021, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2021 il Giudice relatore Giuliano Amato;
deliberato nella camera di consiglio del 2 dicembre 2021.
Ritenuto che, con ricorso depositato in cancelleria il 27 settembre 2021 (reg. confl. poteri n. 5 del 2021), l’avvocato Daniele Granara, in proprio e in qualità di rappresentante di 27.252 cittadini italiani, parte del corpo docente, studentesco e del personale della scuola di ogni ordine e grado e dell’università, firmatari della petizione presentata il 1° settembre 2021 alla Camera dei deputati (n. 820) – assegnata alla XII Commissione permanente (Affari sociali) – e il successivo 7 settembre al Senato della Repubblica (n. 915) – assegnata alla I Commissione permanente (Affari costituzionali) – e relativa al procedimento di conversione del decreto-legge 6 agosto 2021, n. 111 (Misure urgenti per l’esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti), convertito, con modificazioni, nella legge 24 settembre 2021, n. 133 (legge di conversione pubblicata successivamente al ricorso), ha promosso, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 7, 9, 10, 11, 13, 16, 17, 19, 21, 32, 33, 34, 35, 36, 50, nonché 67, 70 e 71 – in relazione all’art. 109 del regolamento della Camera dei deputati 18 febbraio 1971 e s.m.i. e agli artt. 140 e 141 del regolamento del Senato della Repubblica 17 febbraio 1971 e s.m.i. – e 117, primo comma, della Costituzione – quest’ultimo in relazione agli artt. 3 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 e al regolamento (UE) n. 2021/953, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2021, «su un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVID-19 (certificato COVID digitale dell’UE) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVID-19» – conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica, della I e della XII Commissione permanente della Camera dei deputati, della I e della X Commissione permanente del Senato della Repubblica, nella persona dei rispettivi presidenti, del Consiglio dei ministri, del Presidente del Consiglio dei ministri e del Presidente della Repubblica;
che la petizione all’origine del conflitto ha ad oggetto l’introduzione con il d.l. n. 111 del 2021, come convertito, dell’obbligo di certificazione verde COVID-19 (cosiddetto “green pass”), definita dall’art. 9, comma 1, lettera a), del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 (Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19), convertito, con modificazioni, in legge 17 giugno 2021, n. 87, quale certificazione di avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2 o di guarigione dall’infezione da SARS-CoV-2, ovvero di effettuazione di un test molecolare o antigenico con risultato negativo al virus SARS-CoV-2 (nel primo caso la certificazione ha una durata di 9 mesi, nel secondo di 6 mesi, nel terzo di 48 ore);
che attraverso la citata petizione i firmatari della stessa chiedevano di essere esonerati dall’obbligo di certificazione verde, in ragione di quanto garantito dagli artt. 33 e 34 Cost., opponendosi alla conversione del citato decreto-legge;
che il disegno di legge di conversione è stato approvato dalla Camera dei deputati il 21 settembre 2021, in seguito all’apposizione della questione di fiducia da parte del Governo, quindi trasmesso al Senato della Repubblica il 22 settembre 2021 e definitivamente approvato il 23 settembre 2021;
che, in riferimento alla legittimazione dei proponenti, sarebbe evidente l’eadem ratio della petizione e del referendum abrogativo, riguardo a cui, com’è noto, questa Corte ha affermato la sussistenza dei requisiti di ordine soggettivo e oggettivo per sollevare conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato in capo al Comitato promotore (è richiamata la sentenza n. 69 del 1978);
che, infatti, il diritto di petizione sarebbe un diritto funzionalizzato alla partecipazione del cittadino alla formazione della volontà statale e, quindi, all’esercizio di un’attribuzione costituzionale;
che, in ragione della funzione della petizione quale forma di controllo diretto del popolo sovrano sull’operato dei propri rappresentanti, la qualificazione dei sottoscrittori come potere riconducibile allo Stato-comunità potrebbe altresì ricollegarsi, per analogia, al potere di iniziativa legislativa ed emendativo del singolo parlamentare, legittimato a presentare conflitto di attribuzione nei confronti della Camera di appartenenza;
che, nel caso di specie, i firmatari della petizione sarebbero mossi dalle «comuni necessità» che l’art. 50 Cost. esige, in quanto l’onere del green pass inciderebbe sull’esercizio delle loro libertà fondamentali e si porrebbe in violazione delle disposizioni costituzionali che le garantiscono (artt. 13, 16, 17, 19, 21, 32, 33, 34, 35 e 36 Cost.) e, prima ancora, di principi fondamentali della Costituzione (artt. 1, 2, 3, 4, 7, 9, 10 e 11 Cost.), nonché degli artt. 3 e 21 CDFUE e del regolamento n. 953/2021/UE;
che, pertanto, le Camere avrebbero dovuto obbligatoriamente tener conto della petizione presentata e discuterla, nonché pronunciarsi sulla stessa;
che, per contro, l’omesso esame determinerebbe una violazione, oltre che dei già ricordati parametri costituzionali, anche degli artt. 67, 70 e 71 Cost., poiché avrebbe inciso sul potere di emendamento, ledendo nello specifico l’art. 109 regol. Camera e gli artt. 140 e 141 regol. Senato, i quali imporrebbero l’esame delle petizioni attinenti ai progetti di legge in abbinamento ai medesimi progetti, richiedendo, allo stesso modo degli emendamenti presentati dai parlamentari, non solo tale esame, ma anche una pronuncia delle Camere sul punto, cosa non avvenuta nel caso di specie;
che secondo il ricorrente, al fine di decidere sul conflitto di attribuzione, questa Corte dovrebbe sollevare innanzi a sé la questione di legittimità costituzionale del d.l. n. 111 del 2021 (è richiamata l’ordinanza n. 22 del 1960), in particolare dell’art. 1, comma 6, e della legge di conversione medio tempore approvata, di cui sarebbe evidente la contrarietà al diritto europeo, agli obblighi internazionali e a diverse disposizioni costituzionali;
che, nella specie, il d.l. n. 111 del 2021, come convertito, nel richiedere il possesso della certificazione verde per coloro che accedono alle istituzioni del sistema nazionale di istruzione e alle università, imporrebbe surrettiziamente un obbligo vaccinale di cui non sussisterebbero i presupposti, poiché chi abbia scelto di non vaccinarsi, in ragione di una legittima libera scelta sancita espressamente dal citato regolamento n. 953/2021/UE, si troverebbe nella necessità di dover effettuare un test ogni 48 ore, tenuto conto che il mancato possesso della certificazione preclude l’accesso ai luoghi di lavoro e studio, potendo portare anche alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione;
che, in primo luogo, sarebbero violati gli artt. 1, 2, 3, 4, 7, 9, 10, 11, 13, 16, 17, 19, 21, 32, 33, 34, 35 e 36 Cost;
che ai sensi dell’art. 32 Cost., infatti, un trattamento sanitario potrebbe divenire obbligatorio con una disposizione di rango legislativo solo se di tale trattamento siano garantite sicurezza ed efficacia, poiché la tutela della collettività non potrebbe mai imporre il sacrificio del singolo, esponendolo a danni o a pericoli, salvo che il sacrificio medesimo non sia assunto dal singolo con il di lui consenso (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 118 del 1996);
che l’asserito obbligo vaccinale in questione sarebbe del tutto sui generis, innanzitutto perché indiretto, poi in quanto il consenso informato alla somministrazione del vaccino in tal modo non sarebbe né un consenso, essendo «estorto» con la «minaccia» del mancato accesso al luogo di lavoro o di studio e della sospensione senza retribuzione, né informato, in quanto non sarebbero note le controindicazioni che potrebbero derivare dalla somministrazione dei vaccini, come confermerebbero le autorizzazioni condizionate rilasciate dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA) per i sieri vaccinali in commercio;
che di tali sieri, infatti, non sarebbero garantite né la sicurezza, né l’efficacia, poiché sarebbero parziali e non pienamente congruenti le informazioni relative all’efficacia dei vaccini nell’impedire la trasmissione del virus, la prevenzione dalla malattia e la durata della protezione, restando poco note le conseguenze, specie a lungo termine, della somministrazione;
che, in secondo luogo, gli artt. 2, 3 e 32 Cost. risulterebbero violati anche sotto un ulteriore profilo, in quanto la misura non sarebbe idonea al raggiungimento dello scopo e, in ogni caso, sarebbe evidentemente sproporzionata, tenuto conto che l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e la Commissione europea avrebbero ufficialmente dichiarato, in plurime occasioni e sedi istituzionali, di non sapere se la somministrazione del vaccino elimini o meno la contagiosità del soggetto vaccinato;
che a giustificare la vaccinazione obbligatoria, quindi, non vi sarebbero esigenze né di prevenzione dei contagi, possibili anche dopo la vaccinazione, né di sicurezza degli ambienti scolastico e universitario, ove il contagio potrebbe comunque diffondersi;
che sarebbero altresì violati gli artt. 9, 21, 33 e 34 Cost., oltre all’art. 13 CDFUE, venendo limitati la libertà di insegnamento e il diritto all’istruzione, nonché la libertà di ricerca scientifica, che non sarebbe promossa con riferimento ad altre plausibili e possibili soluzioni alla pandemia;
che sarebbero lesi anche gli artt. 1, 2, 3, 4, 35 e 36 Cost., poiché il surrettizio obbligo vaccinale confliggerebbe con la tutela del principio lavoristico, valore fondante della Costituzione repubblicana, rendendo impossibile o eccessivamente oneroso l’accesso al luogo di servizio e di studio, che invece dovrebbe essere completamente libero;
che, ancora, vi sarebbe una violazione degli artt. 1, 2, 3, 7 e 19 Cost. – in relazione alle Modificazioni al Concordato lateranense, accordo firmato a Roma il 18 febbraio 1984, reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 21 e, in particolare, all’art. 9 dell’Accordo – con riferimento agli insegnanti di religione, impedendosi al docente riconosciuto idoneo dall’autorità ecclesiastica e nominato d’intesa con l’autorità scolastica il libero accesso al luogo di servizio e il correlato diritto degli studenti ad avvalersi dell’insegnamento;
che violati sarebbero anche gli artt. 3, 21 e 52 CDFUE, il regolamento n. 953/2021/UE e l’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, poiché l’art. 1, comma 6, del d.l. n. 111 del 2021, come convertito, introdurrebbe una discriminazione delle persone non vaccinate per scelta, mentre l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (risoluzione del 27 gennaio 2021, n. 2361, recante «Considerazioni sulla distribuzione e somministrazione dei vaccini contro il COVID-19») e il più volte citato regolamento europeo n. 953/2021//UE avrebbero chiarito che il possesso di un certificato di vaccinazione non potrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto;
che l’obbligo di green pass, infine, sarebbe lesivo anche del patrimonio costituzionale comune degli Stati membri dell’Unione europea, in riferimento al principio personalista, al principio democratico, alla separazione dei poteri e al sistema di giustizia costituzionale;
che, in conclusione, il ricorrente chiede a questa Corte di accertare il diritto di presentare la citata petizione innanzi alle Camere, nonché di accertare e dichiarare che non spettava: alla Camera dei deputati, al Senato della Repubblica, alle Commissioni permanenti I e XII della Camera dei deputati e alle Commissioni permanenti I e X del Senato della Repubblica, nonché ai loro rispettivi presidenti, non esaminare la suddetta petizione; al Consiglio dei ministri e al Presidente del Consiglio dei ministri, porre la questione di fiducia sulla legge di conversione del d.l. n. 111 del 2021; al Presidente della Repubblica, emanare il d.l. n. 111 del 2021 e promulgare la legge di conversione dello stesso;
che, per effetto, la parte ricorrente, previa disposizione di idonee misure cautelari ex art. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), chiede di annullare: il d.l. n. 111 del 2021 e la legge di conversione medio tempore approvata; il parere favorevole della I e della XII Commissione permanente della Camera dei deputati e il parere favorevole della I e della X Commissione permanente del Senato della Repubblica; l’atto di approvazione dell’Aula della Camera dei deputati del 21 settembre 2021 e l’atto di approvazione dell’Aula del Senato della Repubblica del 23 settembre 2021; ogni atto dei poteri dello Stato intimati in relazione alla petizione presentata;
che, in data 28 ottobre 2021, l’avvocato Daniele Granara ha depositato un’istanza di audizione alla camera di consiglio del 1° dicembre 2021, istanza rigettata con decreto del Presidente della Corte costituzionale 4 novembre 2021.
Considerato che, in questa fase del giudizio sui conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, ai sensi dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), questa Corte è chiamata a verificare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, con sommaria delibazione limitata alla sola ammissibilità, la sussistenza della materia del conflitto, ossia che il ricorso sia stato effettivamente promosso da organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali;
che la Costituzione disciplina il diritto di petizione all’art. 50, prevedendo che «[t]utti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità»;
che tale istituto si configura quale diritto individuale, sebbene esercitabile collettivamente, regolato nella Parte I della Costituzione tra i rapporti politici, e non quale attribuzione costituzionale;
che le attribuzioni suscettibili di generare un conflitto, invece, non possono che essere quelle previste nella Parte II della Costituzione, dedicata all’ordinamento della Repubblica;
che, non a caso, anche nell’ambito del diritto europeo, la petizione è oggetto di un diritto collegato alla cittadinanza europea, regolato dall’art. 20 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, e dall’art. 44 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che prevedono la facoltà per i cittadini europei di presentare petizioni al Parlamento europeo;
che, inoltre, la presentazione di una petizione, a differenza di quanto preteso dal ricorrente, non determina un obbligo per le Camere di deliberare sulla stessa, né tantomeno di recepirne i contenuti, bensì un mero dovere di acquisirne il testo e assegnarlo alle commissioni competenti, come conferma la disciplina prevista nei regolamenti parlamentari;
che, in particolare, gli artt. 140 e 141 del regolamento del Senato della Repubblica 17 febbraio 1971 e s.m.i. prevedono l’assegnazione alla commissione competente per materia delle petizioni, le quali, se attinenti a disegni di legge già assegnati a commissioni, sono inviate alle stesse e discusse congiuntamente a tali disegni di legge, mentre, nelle altre ipotesi, le commissioni competenti possono deliberarne, previa nomina di un relatore, la presa in considerazione o l’archiviazione;
che ai sensi dell’art. 109 del regolamento della Camera dei deputati 18 febbraio 1971 e s.m.i., invece, le petizioni sono esaminate dalle commissioni competenti e il loro eventuale esame può concludersi con una risoluzione diretta a interessare il Governo ovvero con una decisione di abbinamento con un progetto di legge all’ordine del giorno;
che la natura, il contenuto e gli effetti giuridici del diritto di petizione, dunque, lo differenziano nettamente dagli istituti invocati dalla parte ricorrente, quali l’iniziativa legislativa popolare – che costituisce una forma di esercizio di una attribuzione, quella dell’iniziativa legislativa, che la inserisce all’interno del procedimento di formazione della legge – e, soprattutto, il referendum abrogativo, che consente agli elettori, attraverso un procedimento puntualmente disciplinato, di concorrere alla formazione di una decisione legislativa al di fuori delle aule parlamentari, con effetti giuridici diretti sull’ordinamento;
che siffatti istituti, facenti parte dell’ordinamento della Repubblica, sono espressione della volontà popolare, esercitata da quorum di elettori predefiniti dalla stessa Costituzione, mentre la petizione, proprio perché mero diritto individuale, può essere presentata da qualsiasi cittadino e la sua natura non cambia, come accennato, ove sottoscritta da più cittadini;
che, pertanto, non ci si trova innanzi a una funzione attribuita dalla Costituzione a un determinato numero di cittadini o elettori, ma, appunto, a un diritto del singolo, che mai potrebbe trovare tutela, quand’anche impedito, in sede di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (tra le tante, si vedano le ordinanze n. 39 del 2019, n. 164 del 2018, n. 277 del 2017, n. 256 del 2016 e n. 121 del 2011), come già chiarito da questa Corte proprio con riferimento alla petizione (ordinanza n. 85 del 2009);
che, nel caso specie, tra l’altro, come ricordato nello stesso ricorso, la petizione è stata regolarmente ricevuta dalle Camere, numerata e assegnata alle commissioni competenti;
che, con particolare riferimento al Senato, in conformità all’art. 141 regol. Senato, l’esame del disegno di legge di conversione del d.l. n. 111 del 2021 si è svolto in Commissione X, espressamente abbinato all’esame della petizione n. 915, mentre alla Camera dei deputati (per cui l’abbinamento, come già ricordato, risulta facoltativo ai sensi dell’art. 109 regol. Camera) l’esame si è svolto presso la Commissione XII, già assegnataria della petizione;
che, di conseguenza, il conflitto è palesemente inammissibile, perché privo tanto del requisito soggettivo quanto di quello oggettivo, risultando in realtà promosso al solo scopo di portare impropriamente all’attenzione di questa Corte gli asseriti vizi di legittimità costituzionale del d.l. n. 111 del 2021 e della legge di conversione;
che la mancanza dei requisiti di ammissibilità del conflitto preclude l’esame della richiesta di autorimessione della questione di legittimità costituzionale del d.l. n. 111 del 2021, come convertito, tra l’altro manifestamente irrilevante, per la carenza del necessario nesso di pregiudizialità tra la risoluzione della questione medesima e la definizione del giudizio (si vedano la sentenza n. 313 del 2013 e l’ordinanza n. 101 del 2000);
che resta assorbita l’istanza di sospensione cautelare (ordinanze n. 198 e n. 197 del 2020).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA