SENTENZA N. 31
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3 e 4 della legge della Regione Toscana 10 dicembre 2019, n. 75 (Norme per incentivare l’introduzione dei prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta nelle mense scolastiche), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso spedito per la notificazione l’11 febbraio 2020, depositato in cancelleria il 17 febbraio 2020, iscritto al n. 19 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;
udito nell’udienza pubblica del 9 febbraio 2021 il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Toscana;
deliberato nella camera di consiglio del 9 febbraio 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso spedito per la notificazione l’11 febbraio 2020 e depositato il successivo 17 febbraio (reg. ric. n. 19 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento al primo comma dell’art. 117 della Costituzione – in relazione agli artt. 34, 35 e 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 – e al secondo comma, lettera e), del medesimo articolo, nonché all’art. 120 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3 e 4 della legge della Regione Toscana 10 dicembre 2019, n. 75 (Norme per incentivare l’introduzione dei prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta nelle mense scolastiche).
2.- Premette la parte ricorrente che l’art. 1 della legge reg. Toscana n. 75 del 2019, non oggetto di censura, potrebbe suscitare dubbi d’incompetenza, in mancanza di una legislazione nazionale che stabilisca i principi fondamentali in merito alla promozione del consumo alimentare a chilometro zero.
Le sole norme statali di riferimento sarebbero rinvenibili nell’art. 11 della legge 6 ottobre 2017, n. 158 (Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni). Il comma 1 di siffatto articolo prevede che i piccoli Comuni possono promuovere il consumo e la commercializzazione dei prodotti agricoli e alimentari provenienti da filiera corta e a chilometro utile, favorendone l’impiego da parte dei gestori dei servizi di ristorazione collettiva pubblica. Il comma 2 definisce «prodotti agricoli e alimentari provenienti da filiera corta» quelli con una filiera di approvvigionamento formata da un numero limitato di operatori economici, che s’impegnano a promuovere la cooperazione, lo sviluppo economico locale e stretti rapporti socio-territoriali tra produttori, trasformatori e consumatori. Per «prodotti agricoli e alimentari a chilometro utile» s’intendono, invece, quelli provenienti da un luogo di produzione o di coltivazione e allevamento della materia prima situato entro un raggio di 70 chilometri dal luogo di vendita, nonché i prodotti per i quali è dimostrato un limitato apporto delle emissioni inquinanti derivanti dal trasporto, calcolato dalla fase di produzione, fino al momento del consumo finale, sulla base di quanto stabilito con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. Il comma 3, così, prevede che nei bandi di gara per gli appalti pubblici di servizi o di forniture di prodotti alimentari destinati alla ristorazione collettiva costituisce titolo preferenziale per l’aggiudicazione l’utilizzo dei prodotti agricoli e alimentari, anche biologici, provenienti da filiera corta o a chilometro utile. Ai sensi dell’art. 12 della medesima legge n. 158 del 2017, inoltre, i piccoli Comuni, sulla base delle disposizioni emanate dalle Regioni e dalle Province autonome, destinano specifiche aree alla realizzazione dei mercati agricoli per la vendita diretta, riservando prioritariamente i posteggi agli imprenditori agricoli che esercitano la vendita diretta dei citati prodotti agricoli. Simili misure sono stabilite per gli esercizi della grande distribuzione commerciale, che possono destinare una congrua percentuale annuale all’acquisto di prodotti provenienti da filiera corta o a chilometro utile, riservando a essi uno spazio apposito all’interno dei locali.
Ulteriore disposizione di riferimento potrebbe poi rilevarsi nell’art. 95, comma 13, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), ove si stabilisce che, compatibilmente con il diritto dell’Unione europea e con i princìpi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità, le amministrazioni aggiudicatrici indicano nel bando di gara, nell’avviso o nell’invito il maggiore punteggio relativo all’offerta concernente beni, lavori o servizi che presentano un minore impatto sulla salute e sull’ambiente, ivi compresi i beni o i prodotti da filiera corta o a chilometro zero.
Le indicate disposizioni, in ogni caso, non recherebbero una definizione legislativa di prodotto alimentare a chilometro zero, e, quanto ai prodotti da filiera corta e a chilometro utile, le definizioni sarebbero utilizzate solo al fine di regolare eventuali criteri di aggiudicazione di appalti pubblici o di realizzazione o assegnazione di spazi commerciali, sempre e soltanto a livello di piccoli Comuni.
2.1.- Ciò premesso, lo Stato argomenta in primo luogo la violazione dell’art. 117, prima comma, Cost., in relazione agli artt. 34, 35 e 36 TFUE, e dell’art. 120 Cost.
2.1.1.- L’art. 2, comma 1, della legge reg. Toscana n. 75 del 2019 definisce i prodotti a chilometro zero, ossia «i prodotti agricoli, i prodotti della pesca e dell’acquacoltura e alimentari, la cui produzione e trasformazione della materia, o dell’ingrediente primario presente in misura superiore al cinquanta per cento, avviene entro i confini amministrativi della Regione Toscana. I prodotti freschi della pesca in mare sono a chilometro zero se provenienti da punti di sbarco situati in Toscana e catturati da imbarcazioni iscritte nel registro delle imprese di pesca dei compartimenti marittimi regionali. I prodotti freschi dell’acquacoltura in mare sono a chilometro zero se provenienti da impianti collocati nelle acque costiere regionali».
Secondo la difesa statale tale definizione sarebbe discriminatoria nei confronti dei prodotti provenienti da tutte le altre parti del territorio nazionale.
In argomento, questa Corte, con la sentenza n. 292 del 2013, ha ritenuto la previsione di criteri prioritari per l’affidamento dei servizi di ristorazione collettiva ai soggetti che utilizzino prodotti agroalimentari da filiera corta e a chilometro zero di origine regionale quale misura ad effetto equivalente vietata dall’art. 34 del TFUE, in cui rientra ogni normativa commerciale idonea ad ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari; né criteri siffatti potrebbero ritenersi ammissibili ai sensi dell’art. 36 TFUE, che lascia impregiudicate le restrizioni alle importazioni giustificate da motivi di «tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali», cui la salvaguardia dell’ambiente è strettamente connessa. Infatti, il mero riferimento al trasporto all’interno della Regione e, dunque, alla provenienza locale dei prodotti agricoli, a prescindere dalla quantità di emissioni prodotte, non soddisfa nessuna delle esigenze oggetto del regime derogatorio, ma si risolve in un incentivo per gli imprenditori a impiegare determinati beni solo perché provenienti da una certa area territoriale.
Tali argomenti, tra l’altro, sarebbero in linea con quanto indicato dal «Libro verde sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici. Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti», adottato dalla Commissione europea il 27 gennaio 2011. Ivi, infatti, la previsione, da parte delle amministrazioni appaltanti, del necessario acquisto di prodotti in loco viene giustificato solo in casi del tutto eccezionali, «in cui esigenze legittime e obiettive che non sono associate a considerazioni di natura puramente economica possono essere soddisfatte soltanto dai prodotti di una certa regione» (punto 4.1.). Si tratterebbe, pertanto, di esigenze ambientali, quali quelle espresse dal riferimento al livello delle emissioni di anidride carbonica durante il trasporto; non, invece, alla mera origine regionale dei beni, la quale, da sola, non garantirebbe che le merci siano realmente a chilometri zero e che il loro trasporto abbia una minore incidenza negativa sull’ambiente.
La legge impugnata non prevedrebbe alcun sistema di calcolo delle emissioni generate dal trasporto dei generi alimentari, indicando come unico criterio selettivo l’origine regionale dei prodotti. Il che si tradurrebbe in un ingiustificato e sproporzionato ostacolo all’immissione nel mercato toscano della refezione collettiva scolastica dei prodotti provenienti da altre aree dell’intero territorio dell’Unione europea.
2.1.2.- Censure analoghe sono mosse al comma 2 dell’art. 2, che tratta dei prodotti da filiera corta, definita come la filiera produttiva costituita al massimo da un intermediario tra il produttore e la stazione appaltante.
Asserisce la parte ricorrente che, sebbene teoricamente, sia il prodotto, sia l’intermediario potrebbero non essere collegati al territorio toscano, sarebbe evidente che un requisito così restrittivo favorirebbe in modo concreto e all’atto pratico quelli localizzati in Toscana o prossimi alla parte del territorio di questa in cui si trova la stazione appaltante. Gli altri produttori, infatti, avrebbero maggiori difficoltà a raggiungere la stessa con il proprio prodotto, dovendosi servire di un solo intermediario (magazzino generale, rivenditore all’ingrosso, trasportatore). Inoltre, ciò comporterebbe costi maggiori (si pensi al trasporto o alla conservazione) rispetto ai prodotti del territorio toscano o di territori comunque prossimi alla stazione appaltante.
Andrebbe poi considerato che, ponendosi dal punto di vista della ipotetica giustificazione ambientale, un solo intermediario (ad esempio un trasportatore che copra una lunghissima distanza) potrebbe emettere una quantità di inquinanti molto maggiore di un numero più alto di intermediari operanti in un territorio (regionale o ultraregionale) ristretto.
In tal modo, l’art. 2 contrasterebbe anche con l’art. 120 Cost., traducendosi in un immediato ostacolo alla libera circolazione nel territorio nazionale dei prodotti non conformi agli indicati requisiti e delle imprese e dei lavoratori che intendano operare nei servizi della refezione collettiva scolastica.
2.1.3.- All’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, sarebbe conseguenziale quella del successivo comma 3, che fa rientrare tra i prodotti a chilometro zero o da filiera corta, ove conformi ai requisiti previsti dalle stesse disposizioni, anche quelli disciplinati da normative come quelle sulle denominazioni di origine o sulle indicazioni geografiche, o sull’etichettatura a garanzia del carattere biologico del prodotto o del carattere tradizionale del metodo di produzione, o sulla tutela delle razze a rischio di estinzione.
Tali prodotti, invece, proprio perché oggetto di discipline speciali, non dovrebbero subire ulteriori limitazioni nella circolazione di mercato, che aggraverebbero la condizione degli stessi produttori, discriminandoli rispetto a quelli di generi simili ma non tutelati.
2.1.4.- Le illegittimità riscontrabili nell’art. 2 della legge reg. Toscana n. 75 del 2019 manifesterebbero la loro valenza lesiva all’art. 3, ove si prevede che la Giunta regionale, a partire dall’anno 2020, previo esperimento di una procedura di evidenza pubblica, finanzi progetti pilota – presentati da soggetti pubblici appaltanti che aggiudicano servizi di refezione collettiva scolastica, o che erogano direttamente il servizio di refezione collettiva scolastica o mediante società a partecipazione pubblica affidatarie del servizio – i quali garantiscano la fornitura di pasti nelle mense scolastiche incluse nel progetto preparati utilizzando almeno il cinquanta per cento di prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta e garantiscano altresì un’iniziativa d’informazione e sensibilizzazione almeno dei fruitori della refezione scolastica.
Come già accennato, questa Corte ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale di leggi regionali che prevedevano direttamente l’impiego di prodotti a chilometro zero di origine regionale quale titolo preferenziale per l’aggiudicazione dei contratti a evidenza pubblica (sono richiamate le sentenze n. 292 e n. 209 del 2013).
Nel caso di specie i progetti pilota non potrebbero attuarsi se non attraverso l’aggiudicazione degli appalti di servizio o di fornitura, che, giocoforza, potrebbero ottenere il finanziamento regionale solo se prevedano una concreta e non meramente teorica rilevanza dell’impiego dei prodotti in questione ai fini dell’aggiudicazione del contratto.
Sicché tutto si ridurrebbe nella fissazione di un criterio preferenziale di aggiudicazione, rimanendo confermata l’incidenza immediata, ma non giustificata e non proporzionata, sulla circolazione delle merci.
2.2.- In secondo luogo, le esaminate disposizioni violerebbero anche l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. in materia di «tutela della concorrenza».
2.2.1.- Com’è noto, in tale definizione, che riflette quella operante in ambito comunitario, questa Corte ricomprende sia le misure legislative di tutela in senso proprio, intese a contrastare gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati, sia quelle di promozione, volte a eliminare limiti e vincoli alla libera esplicazione della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese (concorrenza «nel mercato»), ovvero a prefigurare procedure concorsuali di garanzia che assicurino la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici (concorrenza «per il mercato») (ex plurimis, sono richiamate le sentenze n. 291, n. 200 del 2012 e n. 45 del 2010). In questa seconda accezione, attraverso la tutela della concorrenza vengono perseguite finalità di ampliamento dell’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese, queste ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi (si richiamano le sentenze n. 299 del 2012 e n. 401 del 2007). Ove con la suddetta materia, considerato il suo carattere finalistico e trasversale, interferisse l’esercizio di competenze legislative delle Regioni, queste ultime potrebbero dettare una disciplina con «effetti pro-concorrenziali», purché tali effetti siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza (vengono richiamate le sentenze n. 43 del 2011 e n. 431 del 2007).
Alla concorrenza per il mercato vanno ascritte, appunto, le procedure di selezione dei concorrenti e dei criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici (tra le tante, sono richiamate le sentenze n. 52 del 2012, n. 339 e n. 184 del 2011). In tal senso, le misure che prevedano l’utilizzo dei prodotti agricoli di origine regionale, quale titolo preferenziale per l’aggiudicazione di appalti pubblici di servizi o di forniture di prodotti alimentari e agroalimentari destinati alla ristorazione collettiva, dettano un criterio che altera la concorrenza, risolvendosi in un favor per gli imprenditori che impiegano prodotti provenienti da una certa area territoriale (si richiama la sentenza n. 209 del 2013).
2.2.2.- Tali conclusioni della giurisprudenza costituzionale ben potrebbero, a detta della difesa statale, applicarsi al caso di specie, senza che possa invocarsi quanto previsto dall’art. 95, comma 13, cod. contratti pubblici, difettando nell’intervento legislativo regionale i due presupposti giustificativi di tale disposizione, ossia la proporzionalità e la dimostrata utilità per la tutela della salute e dell’ambiente.
2.3.- Alla dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge reg. Toscana n. 75 del 2019, infine, conseguirebbe anche quella dell’art. 4, che reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dal finanziamento dei progetti pilota.
3.– Con atto depositato il 13 marzo 2020 si è costituita in giudizio la Regione Toscana, chiedendo il rigetto del ricorso.
3.1.- Premette la difesa regionale che la legge impugnata avrebbe lo scopo di diffondere la corretta educazione alimentare e la cultura del cibo e delle tradizioni alimentari toscane nella refezione scolastica.
Per tali finalità, le norme impugnate non prevedrebbero alcun collegamento con il territorio regionale e sarebbero pienamente coerenti con il regolamento (UE) n. 1305/2013, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e che abroga il regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio. Ivi (art. 2), infatti, si stabilisce che per prodotti agricoli e alimentari da filiera corta s’intendono i prodotti agricoli e alimentari provenienti da una filiera di approvvigionamento formata da un numero limitato di operatori economici, che s’impegnano a promuovere la cooperazione, lo sviluppo economico locale e stretti rapporti socio-territoriali tra produttori, trasformatori e consumatori.
3.2.- Ciò premesso, la normativa della Regione Toscana, a differenza delle discipline regionali oggetto delle sentenze di questa Corte n. 292 e n. 209 del 2013, non detterebbe disposizioni volte a dare un assetto sistematico della materia, ma indirizzerebbe e limiterebbe il proprio intervento alla concessione di un finanziamento per progetti pilota, a cui tutti gli operatori potrebbero partecipare, senza stabilire una preclusione, né un criterio o un punteggio premiale per l’aggiudicazione, ma una regola che si riferirebbe alla gestione del servizio di refezione scolastica.
Si tratterebbe, quindi, di un intervento normativo di carattere limitato e specifico, peraltro inserito in un contesto legislativo nazionale con un’attenzione crescente alla tematica del consumo dei prodotti della filiera corta o a chilometro zero (art. 95, comma 13, del d.lgs. n. 50 del 2016; art. 22 della legge 28 luglio 2016, n. 154, recante «Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare, nonché sanzioni in materia di pesca illegale»; art. 11 della legge n. 158 del 2017); inoltre, non s’introdurrebbe alcun obbligo per i soggetti pubblici appaltanti d’inserire nei capitolati degli appalti per la ristorazione collettiva scolastica l’utilizzo di prodotti a chilometro zero quale titolo preferenziale per l’aggiudicazione.
Infondata sarebbe altresì l’affermazione della parte ricorrente relativa all’art. 2, comma 3, della legge reg. Toscana n. 75 del 2019, che non opererebbe alcuna estensione della definizione dei prodotti a chilometro zero e da filiera corta ai prodotti oggetto di specifiche norme di tutela, ma prevedrebbe che anche questi ultimi rientrino nelle finalità di promozione dei prodotti stabilite dall’art. 1 della medesima legge, non oggetto di impugnativa.
3.3.- In ogni caso, i profili d’illegittimità costituzionale eccepiti nel ricorso non sarebbero fondati anche ipotizzando che la norma regionale vada ad incidere sui criteri di aggiudicazione dell’appalto del servizio di refezione scolastica.
3.3.1.- Diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, il codice dei contratti pubblici consentirebbe il ricorso a un punteggio premiale per la somministrazione dei prodotti da filiera corta e a chilometro zero (art. 95, comma 13); il legislatore, in tal senso, avrebbe ritenuto i medesimi di minore impatto sulla salute e sull’ambiente e, dunque, non vi sarebbero ulteriori dimostrazioni che l’amministrazione dovrebbe offrire nel caso specifico. Ulteriore conferma sarebbe data dal successivo art. 144, secondo cui, in relazione ai servizi di ristorazione, la valutazione dell’offerta tecnica tiene conto, tra l’altro, degli aspetti relativi alla qualità dei generi alimentari, con particolare riferimento anche a quella di prodotti provenienti da sistemi di filiera corta.
D’altronde, questa valorizzazione dei prodotti da filiera corta e a chilometro zero sarebbe già da tempo consentita. Infatti, le Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica, approvate nella Conferenza unificata con provvedimento del 29 aprile 2010, stabiliscono che il servizio di refezione scolastica deve garantire la qualità dei prodotti, direttamente e indirettamente correlati con le politiche alimentari, quali la sicurezza del lavoratore, il benessere animale, le tradizioni locali e tipicità; a tal fine, la valutazione della qualità dell’offerta può concernere elementi caratterizzanti le priorità che s’intendono perseguire, fra cui gli alimenti a filiera corta, cioè che abbiano viaggiato poco e abbiano subito pochi passaggi commerciali prima di arrivare alla cucina o alla tavola. Per favorire l’utilizzo di tali alimenti possono essere attribuiti punteggi diversi, premiando i prodotti locali. Inoltre, si prevede l’opportunità che le Regioni elaborino un documento nel quale vengano elencati alcuni principi che aiutino le amministrazioni pubbliche a definire capitolati d’appalto capaci di rispettare le norme di libera circolazione delle merci in ambito comunitario, tutelando contestualmente la freschezza, il chilometro zero/filiera corta, i prodotti locali (non necessariamente ancora classificati tra i tipici o tradizionali), il tempo di trasporto di alimenti e pasti, dando rilievo a un trasporto in tempi quanto più possibile brevi.
Dunque, quanto previsto dal legislatore regionale costituirebbe un’attuazione di norme dettate per la ristorazione scolastica da dieci anni. E, non a caso, sulla materia vi sarebbe un’abbondante produzione normativa regionale, non contestata e vigente.
4.- In prossimità dell’udienza la Regione Toscana ha presentato una memoria insistendo sulle ragioni per il rigetto del ricorso statale.
4.1.- Secondo la difesa regionale le disposizioni oggetto di censura sarebbero espressione delle competenze regionali in materia di «tutela della salute», «alimentazione», nonché di «agricoltura», «pesca e acquacoltura», di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
La legittimità dell’intervento legislativo troverebbe oggi ulteriore conferma nell’art. 58 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in legge 13 ottobre 2020, n. 126, che ha istituito il fondo per la filiera della ristorazione, finalizzato a erogare contributi alle imprese per l’acquisto di prodotti, inclusi quelli vitivinicoli, di filiere agricole e alimentari, anche DOP e IGP, valorizzando la materia prima del territorio (previsione successivamente attuata dal decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 27 ottobre 2020, recante «Criteri e modalità di gestione del Fondo per la filiera della ristorazione istituito ai sensi dell’articolo 58 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126»).
Sarebbe di conseguenza evidente l’ammissibilità di finanziamenti volti a promuovere l’utilizzo di prodotti di filiera nel territorio, come disposto dalle norme impugnate.
D’altronde, in base al regolamento n. 1305/2013/UE, la Regione Toscana, nel Programma di sviluppo rurale 2014-2020 per l’impiego delle risorse del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, ha già previsto e finanziato, attraverso appositi bandi, progetti di valorizzazione della filiera. Il che dimostrerebbe come tale azione sia ammessa proprio dalla normativa comunitaria e venga da tempo svolta dalle Regioni, nell’ambito delle competenze loro attribuite dall’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso iscritto al numero 19 del registro ricorsi 2020, ha impugnato gli artt. 2, 3 e 4 della legge della Regione Toscana 10 dicembre 2019, n. 75 (Norme per incentivare l’introduzione dei prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta nelle mense scolastiche).
1.1.- Tali disposizioni definiscono i prodotti a chilometro zero e da filiera corta, rispettivamente individuati in quelli provenienti da attività produttive o di trasformazione o manipolazione effettuate nei confini amministrativi regionali e nei prodotti provenienti da una filiera produttiva costituita al massimo da un intermediario tra il produttore e la stazione appaltante. Il regime previsto per tali prodotti viene esteso a quelli regolati dalle norme europee e interne sulle varie produzioni tutelate, ove conformi ai medesimi requisiti (art. 2).
Al fine di promuovere l’utilizzo dei prodotti in questione la Regione finanzia – stanziando le relative somme per le annualità 2020 e 2021 (art. 4) – progetti pilota, presentati, previo esperimento di una procedura di evidenza pubblica, sia da soggetti pubblici appaltanti che aggiudicano servizi di refezione collettiva scolastica, sia da soggetti che erogano il servizio di refezione collettiva scolastica direttamente o mediante società a partecipazione pubblica affidatarie. Tali progetti sono volti a garantire la fornitura di pasti nelle mense scolastiche incluse nel progetto preparati utilizzando almeno il cinquanta per cento di prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta e a garantire altresì un’iniziativa d’informazione e sensibilizzazione almeno dei fruitori della refezione scolastica (art. 3).
2.- Secondo lo Stato le disposizioni impugnate lederebbero il primo comma dell’art. 117 della Costituzione – in relazione agli artt. 34, 35 e 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 – e il secondo comma, lettera e), del medesimo articolo, nonché l’art. 120 Cost.
2.1.- In primo luogo, la previsione di criteri prioritari per l’affidamento dei servizi di ristorazione collettiva a soggetti che utilizzino prodotti agroalimentari da filiera corta e a chilometro zero di origine regionale costituirebbe una misura ad effetto equivalente vietata dall’art. 34 e non giustificata dall’art. 36 TFUE, che fa salve le ragioni di «tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali». Infatti, la mera origine regionale dei beni non garantirebbe che gli stessi siano realmente a chilometro zero e che il loro trasporto abbia una minore incidenza negativa sull’ambiente. In ogni caso, tale preferenza si risolverebbe in un immediato ostacolo alla libera circolazione tra le Regioni dei prodotti privi degli indicati requisiti e delle imprese e dei lavoratori che intendano operare nei servizi della refezione collettiva scolastica.
2.2.- Le misure in questione, in secondo luogo, detterebbero un criterio che altera la concorrenza, risolvendosi in un favor per gli imprenditori che impiegano prodotti provenienti da una certa area territoriale, senza che possa invocarsi quanto previsto dall’art. 95, comma 13, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici). Infatti, sebbene tale disposizione consenta d’inserire nei bandi adottati dalle amministrazioni aggiudicatrici un maggiore punteggio per le offerte che presentano un minore impatto sulla salute e sull’ambiente, ivi compresi i beni o i prodotti da filiera corta o a chilometro zero, nell’intervento legislativo regionale difetterebbero siffatti presupposti giustificativi.
3.- In via preliminare devono dichiararsi inammissibili le questioni relative all’art. 2, comma 3, della legge reg. Toscana n. 75 del 2019.
Pur essendo strettamente collegata a quanto previsto dai commi 1 e 2 dello stesso art. 2, infatti, tale disposizione non è contenuta nella relazione allegata alla deliberazione a impugnare del Consiglio dei ministri (ex plurimis, sentenze n. 208 del 2020, n. 228 del 2017, n. 239 del 2016, n. 246 del 2013 e n. 7 del 2011).
4.- Nel merito le censure del ricorrente relative all’asserita violazione del riparto interno delle competenze legislative tra Stato e Regioni assumono carattere pregiudiziale, sotto il profilo logico-giuridico, rispetto alle doglianze concernenti la violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (ex plurimis, sentenze n. 114 del 2017, n. 209 del 2013, n. 219 del 2012, n. 67 del 2010 e n. 368 del 2008).
In riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 120 Cost., le questioni sono fondate.
4.1.- La valorizzazione dei prodotti “a chilometro zero” e da “filiera corta” – con cui sono comunemente intesi, rispettivamente, i prodotti per i quali vi sia una breve distanza tra il luogo di produzione e quello di consumo e quelli che abbiano subito un limitato passaggio d’intermediari tra produttore e consumatore finale – trova oggi un crescente riscontro nell’ordinamento, anche sulla spinta del diritto europeo, al fine di promuovere il consumo di alimenti a ridotto impatto ambientale.
Così, ad esempio, l’art. 11 della legge 6 ottobre 2017, n. 158 (Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni) attribuisce, nei bandi di gara per gli appalti pubblici di servizi o di forniture di alimenti destinati alla ristorazione collettiva, un titolo preferenziale per l’utilizzo dei prodotti «a filiera corta» e a «chilometro utile». I primi sono individuati nei prodotti provenienti da una filiera di approvvigionamento formata da un numero limitato di operatori economici; i secondi nei prodotti provenienti da un luogo di produzione, di coltivazione o di allevamento della materia prima situato entro un raggio di 70 chilometri dal luogo di vendita, nonché in quelli per cui è dimostrato un limitato apporto delle emissioni inquinanti dalla produzione al consumo finale.
Similmente, il codice dei contratti pubblici, all’art. 95, comma 13, stabilisce che, compatibilmente con il diritto dell’Unione europea e con i princìpi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità, i bandi di gara possano prevedere un maggiore punteggio per l’offerta di beni, lavori o servizi con minore impatto sulla salute e sull’ambiente, ivi compresi i beni o i prodotti da filiera corta o a chilometro zero. Inoltre, il successivo art. 144, comma 1, prevede che, nelle procedure di affidamento del servizio di ristorazione collettiva, la valutazione dell’offerta tiene conto, in particolare, dei prodotti provenienti da sistemi di filiera corta.
In attuazione di tali disposizioni, il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 marzo 2020 (Criteri ambientali minimi per il servizio di ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari) definisce, nell’Allegato 1, filiera corta «sia la vendita diretta tra produttore primario o associazioni di produttori primari e centro di preparazione del pasto, sia la vendita tra l’impresa che gestisce la piattaforma per la distribuzione dei prodotti, purché questa si configuri come unico intermediario con il produttore primario e centro di preparazione del pasto e purché la piattaforma sia collocata entro il Km 0 (o chilometro utile, nel caso dei piccoli comuni)». Per chilometro zero, invece, s’intende «una distanza tra terreno coltivato/sito dell’allevamento e centro di cottura, o interno o esterno, di 200 Km» (nel caso dei piccoli comuni 70 Km). L’utilizzo di tali prodotti costituisce, appunto, un criterio premiale che deve essere attribuito dalla stazione appaltante.
Con particolare riferimento alla refezione scolastica, infine, le Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica, approvate dalla Conferenza unificata il 29 aprile 2010, stabiliscono che, nella valutazione della qualità dell’offerta per l’affidamento del servizio, possa tenersi conto dell’uso degli alimenti a filiera corta, cioè che abbiano viaggiato poco e abbiano subito pochi passaggi commerciali prima di arrivare alla cucina o alla tavola, attribuendo punteggi diversi e premiando i prodotti locali.
4.2.- Pertanto, sebbene possa senz’altro affermarsi che l’ordinamento consente, al fine di promuovere l’utilizzo dei prodotti da filiera corta o a chilometro zero, la previsione di criteri premiali nelle procedure di affidamento del servizio di ristorazione collettiva, ciò non comporta la possibilità per le Regioni di dare una priorità agli alimenti prodotti o trasformati all’interno dei confini regionali.
Come già chiarito da questa Corte, infatti, le procedure di selezione dei concorrenti e i criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici sono ascrivibili alla materia della «tutela della concorrenza» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. – che riflette la definizione operante in ambito comunitario – nella specie alla concorrenza «per il mercato» (ex multis, sentenze n. 166 del 2019, n. 209 del 2013, n. 52 del 2012, n. 339, n. 184 e n. 43 del 2011 e n. 401 del 2007).
In tal senso, disposizioni recanti un titolo preferenziale per l’utilizzo di prodotti agricoli di origine regionale non solo non favoriscono la concorrenza, ma chiaramente la alterano, privilegiando gli imprenditori che impiegano tali prodotti e non quelli con caratteristiche analoghe, ancorché provenienti da aree che, sebbene fuori Regione, ben possono trovarsi a distanza uguale o minore dal luogo di consumo (sentenza n. 209 del 2013); il che si risolve altresì in un ostacolo alla libera circolazione delle merci ai sensi, sia dell’art. 120 Cost., sia del diritto europeo (sentenza n. 292 del 2013).
4.3.- Ciò precisato, l’art. 3 della legge reg. Toscana n. 75 del 2019 non regola direttamente un criterio premiale nell’aggiudicazione del servizio di ristorazione collettiva, bensì la predisposizione di progetti pilota, presentati dalle stazioni appaltanti e finanziati dalla Regione (art. 4), che devono garantire la fornitura di pasti con l’utilizzo di almeno il cinquanta per cento di prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta.
Tali progetti, sia che il servizio di refezione collettiva scolastica venga affidato tramite procedure di aggiudicazione, sia che, invece, le stazioni appaltanti provvedano all’erogazione direttamente o tramite società in house, in quanto progetti pilota, hanno un senso solo se prefigurano i caratteri che s’intendono favorire per siffatto servizio. E i caratteri qui incentivati incidono negativamente sulla concorrenza e sulla circolazione dei prodotti alimentari, favorendo quelli di origine regionale.
Nella specie, l’art. 2, comma 1, definisce a «chilometro zero» i prodotti agricoli, i prodotti della pesca e dell’acquacoltura e quelli alimentari per i quali la produzione e trasformazione avviene entro i confini amministrativi della Regione Toscana, nonché quelli provenienti da punti di sbarco situati in Toscana e catturati da imbarcazioni iscritte nel registro delle imprese di pesca dei compartimenti marittimi regionali, ovvero provenienti da impianti collocati nelle acque costiere regionali. Per quanto concerne i prodotti da filiera corta, invece, il successivo comma 2 individua gli stessi in quelli che provengano da filiere produttive caratterizzate al massimo da un intermediario tra il produttore e la stazione appaltante.
Tali definizioni non si collegano, in quanto tali, a un criterio di prossimità tra produzione e vendita, né a un trasporto delle merci breve o con una bassa emissione di sostanze inquinanti, ma fanno una selezione in base al collegamento con il territorio regionale.
Infatti, il chilometro zero è delineato, in difformità da quanto previsto dalla sopra ricordata normativa statale, solo in base alla produzione e trasformazione del prodotto all’interno della Regione Toscana, escludendo così le aree di prossimità extra-regionali, che ben potrebbero offrire prodotti con analoghe caratteristiche e che comportino persino una minore distanza tra produzione e consumo. La qual cosa non trova corrispondenza neppure nella disciplina vigente in altre Regioni, come invece asserito dalla difesa regionale, salvo il caso delle norme dichiarate appunto costituzionalmente illegittime dalle ricordate sentenze n. 292 e n. 209 del 2013.
Riguardo alla filiera corta, invece, da un lato, il riferimento a un unico intermediario non esclude che il trasporto da lui effettuato copra una distanza maggiore di quella di due intermediari che operino in un territorio ristretto, e produca così effetti ambientali nocivi; dall’altro lato, ai sensi dell’art. 3 della legge regionale in esame, i progetti pilota devono garantire pasti preparati utilizzando almeno il cinquanta per cento di prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta, con un’espressione che rende comunque imprescindibile il legame con il territorio regionale, insito nella definizione di chilometro zero recata dalle disposizioni impugnate.
Tale legame, pertanto, non consente di riscontrare quelle esigenze di tutela dell’ambiente e della salute in forza delle quali, ai sensi dell’art. 95, comma 13, del codice dei contratti pubblici, nelle procedure di affidamento degli appalti pubblici, è possibile attribuire punteggi premiali per l’utilizzo di prodotti a chilometro zero e da filiera corta.
Il legislatore toscano, in conclusione, pur perseguendo il fine di valorizzare i prodotti del territorio – di per sé non illegittimo e, non a caso, non censurato dallo Stato – realizza siffatto obiettivo favorendo i prodotti e i produttori regionali, con una evidente discriminazione per chi faccia uso di prodotti di diversa provenienza.
5.- La declaratoria d’illegittimità costituzionale deve estendersi anche all’art. 2, comma 3, della legge reg. Toscana n. 75 del 2019 – che si limita a far rientrare i prodotti a denominazione protetta o a marchio tutelato (oggetto, tra l’altro, di specifiche disposizioni di diritto europeo), ove ne rispettino i requisiti, nelle definizioni di chilometro zero e filiera corta – in virtù del rapporto di stretta concatenazione oggettiva e funzionale con le censurate disposizioni della medesima legge (sentenza n. 34 del 2012), in assenza di cui l’art. 2, comma 3, resta privo di autonoma portata normativa (sentenze n. 217 del 2015 e n. 141 del 2010).
6.- La questione promossa in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. è assorbita.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 2, 3 e 4 della legge della Regione Toscana 10 dicembre 2019, n. 75 (Norme per incentivare l’introduzione dei prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta nelle mense scolastiche);
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge reg. Toscana n. 75 del 2019, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento al primo comma dell’art. 117 della Costituzione – in relazione agli artt. 34, 35 e 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 – e al secondo comma, lettera e), del medesimo articolo, nonché all’art. 120 Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA