SENTENZA N. 36
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 10, 35, 44, 45, 47 e 49 della legge della Regione Puglia 30 novembre 2019, n. 52 (Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2019 e pluriennale 2019-2021), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 29 gennaio-7 febbraio 2020, depositato in cancelleria il 6 febbraio 2020, iscritto al n. 13 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2020.
udito nell’udienza pubblica del 9 febbraio 2021 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
udito l’avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 9 febbraio 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso iscritto al n. 13 del reg. ric. 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10, 35, 44, 45, 47 e 49 della legge della Regione Puglia 30 novembre 2019, n. 52 (Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2019 e pluriennale 2019-2021), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.
1.1.– È impugnato, in primo luogo, l’art. 10 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, che ha sostituito l’art. 72 della legge della Regione Puglia 28 dicembre 2018, n. 67, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2019 e bilancio pluriennale 2019-2021 della Regione Puglia (Legge di stabilità regionale 2019)».
Il comma 1 del testo così sostituito dispone quanto segue: «Le aziende sanitarie, per far fronte alle prestazioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017 - allegato 1 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), nel rispetto del Piano triennale di fabbisogno di personale approvato da ciascun ente, attivano procedure selettive concorsuali finalizzate all’assunzione nei ruoli del personale dirigente medico/veterinario e dirigente sanitario non medico, valorizzando nei relativi bandi di concorso il possesso di comprovate competenze acquisite nel corso del rapporto convenzionale di cui alla legge regionale del 3 agosto 2007, n. 25 (Assestamento e seconda variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2007), nonché le esperienze del personale dirigente di cui alla legge regionale 9 giugno 1987, n. 16 (Norme organiche per l’integrazione scolastica degli handicappati), che presta servizio a convenzione a tempo indeterminato ad esaurimento nell’ambito del servizio sanitario nazionale».
Nel denunciare la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, Cost., il ricorrente invoca «il principio fondamentale in materia di disciplina delle professioni, secondo il quale l’individuazione delle figure professionali, i relativi profili, ordinamenti didattici e titoli abilitanti, così come l’istituzione dei relativi albi, ordini o registri, è compito riservato allo Stato, residuando alle Regioni solo la disciplina degli aspetti che abbiano uno specifico collegamento con la realtà territoriale». Egli richiama l’art. 20, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale), che, nel disciplinare la valutazione dei titoli nei concorsi volti all’assunzione del personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale (SSN), equipara al servizio di ruolo, a determinate condizioni, sia il servizio non di ruolo prestato presso pubbliche amministrazioni, sia il servizio prestato dal personale precario presso istituti e cliniche universitarie ai sensi dell’articolo unico, settimo comma, del decreto-legge 23 dicembre 1978, n. 817 (Norme transitorie per il personale precario delle Università), convertito, con modificazioni, in legge 19 febbraio 1979, n. 54.
La norma impugnata apparirebbe «oscura», non essendo dato comprendere a quali rapporti essa faccia riferimento, allorché richiama quelli «convenzionali» di cui alla legge della Regione Puglia 3 agosto 2007, n. 25 (Assestamento e seconda variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2007), e laddove fa riferimento alle esperienze maturate dal personale dirigente di cui alla legge della Regione Puglia 9 giugno 1987, n. 16 (Norme organiche per l’integrazione scolastica degli handicappati).
Anche a voler ritenere estranea, rispetto alla disposizione de qua, la materia delle professioni, il ricorrente ritiene che non potrebbe comunque escludersi la sua «riconducibilità alla materia “ordinamento civile”, di competenza esclusiva statale». Tale materia coprirebbe «numerosi ambiti del rapporto di lavoro pubblico, fra cui la disciplina della fase costitutiva».
In definitiva, la norma impugnata si porrebbe in «contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lettera l), sotto il profilo dell’ordinamento civile e 117, terzo comma, sotto il profilo della tutela della salute della Costituzione, nonché con le norme interposte di cui all’art. 18 d.lgs. 502/1992 e 20, primo comma del d.P.R. n. 483/1997».
1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, in secondo luogo, l’art. 35 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, che ha modificato l’art. 10 della legge della Regione Puglia 4 agosto 2004, n. 14 (Assestamento e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2004).
Tale art. 10, oggetto di modifica, rubricato «Medicina specialistica ambulatoriale», stabilisce al comma 1 che i medici specialisti ambulatoriali a rapporto convenzionale possono essere inquadrati, a domanda, «con il trattamento giuridico ed economico previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro della dirigenza». La norma regionale impugnata aggiunge un ultimo periodo al comma 1, così formulato: «L’inquadramento determina la conservazione della equiparazione a tutti gli effetti tra dirigenti e specialisti convenzionati anche ai fini della legittimazione alla nomina e alla partecipazione nei comitati paritetici e negli organismi di rappresentanza previsti dalla normativa anche regolamentare vigente».
La norma violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., per invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», cui sarebbero da ricondurre «i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile». Si lamenta il contrasto con la «norma interposta» di cui all’art. 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), che reca il «principio di unicità del rapporto di lavoro del personale medico con il SSN».
1.3.– Il ricorrente censura, poi, l’art. 44 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, rubricato «Disposizioni in materia di rapporto dei dirigenti sanitari alle dipendenze del Servizio sanitario regionale».
La disposizione impugnata, al comma 1, così dispone: «La Giunta regionale riordina e disciplina le modalità di utilizzo dell’istituto dell’esclusività del rapporto dei dirigenti sanitari, di cui agli articoli 15-quater e 15-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421)». Il comma 2 aggiunge quanto segue: «Viene garantita la possibilità di scelta tra esclusività e non esclusività del rapporto di lavoro alle dipendenze del Servizio sanitario regionale ai fini della titolarità dell’incarico dirigenziale di direttore di struttura semplice e complessa».
Secondo il ricorrente, questa disposizione sarebbe formulata «in modo talmente generico da non potersi escludere che, in attuazione della stessa, si adottino discipline non conformi alle disposizioni legislative e contrattuali vigenti in materia con possibili maggiori oneri». La «mancanza di una specifica clausola di salvaguardia», volta a precisare che i previsti interventi della Giunta regionale dovranno rispettare il «quadro regolativo» costituito dagli artt. 15-quater e 15-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e dai vigenti contratti collettivi di settore, determinerebbe la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
1.4.– È altresì impugnato l’art. 45 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, che inserisce un nuovo comma 3-bis nel già menzionato art. 10 della legge regionale n. 14 del 2004, formulato come segue: «Gli specialisti ambulatoriali transitati alla dipendenza sono equiparati, a tutti gli effetti, agli specialisti convenzionati, ciò ai fini della legittimazione della nomina e della partecipazione nei comitati paritetici e negli organismi di rappresentanza previsti dal quadro normativo e regolamentare vigente».
Secondo il ricorrente, anche questa disposizione confliggerebbe con il principio di unicità del rapporto di lavoro dei medici del SSN, di cui all’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, e, per tale via, determinerebbe la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., «che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile e, quindi i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile».
1.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, l’art. 47 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, rubricato «Rimborso spese pazienti fuori regione».
Il comma 1 di questa disposizione sostituisce il comma 1 dell’art. 13 della legge della Regione Puglia 12 agosto 2005, n. 12 (Seconda variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2005), nei termini seguenti: «Il riconoscimento dei rimborsi previsti dall’articolo 1, commi 1 e 2, della legge regionale 21 novembre 1996, n. 25 (Rimborso delle spese sostenute per interventi di trapianto), e successive modificazioni, viene garantito ai pazienti che, per esigenze cliniche documentate, devono recarsi presso centri extra-regionali per il trattamento di malattie rare non assicurabile in Puglia. Per il riconoscimento del rimborso si applicano le medesime procedure e gli stessi criteri previsti dal decreto del Ministero della sanità 3 novembre 1989 n. 851700, e dunque per le prestazioni assistenziali presso centri di altissima specializzazione all’estero».
Il comma 2 dell’art. 47 impugnato provvede ad assegnare, nella «missione 13, programma 2, titolo 1» del bilancio regionale, un’apposita dotazione finanziaria per l’esercizio 2019, pari a «euro 100 mila».
Secondo il ricorrente, questa disposizione integrerebbe «un livello ulteriore di assistenza» rispetto a quanto previsto dalla «vigente normativa statale» che, al di fuori dell’ipotesi di assistenza presso centri di altissima specializzazione all’estero, non assicurerebbe il rimborso delle spese di viaggio e di soggiorno sostenute dall’assistito. La Regione Puglia, in quanto «impegnata nel Piano di rientro dal disavanzo sanitario», e quindi sottoposta al divieto di effettuare spese non obbligatorie, ai sensi dell’art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», non potrebbe garantire livelli ulteriori di assistenza. La norma impugnata, pertanto, violerebbe il «principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria, quale principio di coordinamento della finanza pubblica e, dunque, l’art. 117, terzo comma, Cost.».
1.6.– Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 49 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, rubricato «Disposizioni in materia di fabbisogno di Risonanza magnetica nucleare (RMN) grandi macchine e RMN a basso campo c.d. “dedicate” o “open di nuova generazione”».
Il comma 1 della disposizione impugnata sostituisce il testo dell’art. 19, comma 3, della legge della Regione Puglia 2 maggio 2017, n. 9 (Nuova disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private). Il nuovo testo dispone che l’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio delle strutture sanitarie e sociosanitarie non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale, «che si fonda sul criterio di funzionalità rispetto alla programmazione regionale», salvo che in tre ipotesi, di seguito individuate e contrassegnate dai numeri 3.1., 3.2. e 3.3.
In particolare, con specifico riferimento al settore della diagnostica per immagini, si prevede che le strutture già autorizzate per l’impiego delle cosiddette «grandi macchine» si devono considerare accreditate pure per tale impiego, nonostante l’accreditamento sia stato rilasciato per la sola diagnostica senza utilizzo di grandi macchine (numero 3.1.), con aggiunta, inoltre, dell’ipotesi inversa (numero 3.2.). Analoga deroga è prevista «[i]n ipotesi di autorizzazione all’esercizio di PET rilasciata a struttura già accreditata per l’attività di medicina nucleare in vivo» (numero 3.3.). Nella parte finale, il comma 3, al numero 3.3., precisa che «[n]elle soprariportate ipotesi l’autorizzazione all’esercizio produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale a condizione che, nell’ambito comunale di riferimento, non insista struttura pubblica o privata già accreditata per la medesima attività».
Al comma 2, l’art. 49 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019 quantifica il fabbisogno di «RMN grandi macchine», distinto per aree territoriali, e detta disposizioni per la relativa installazione o realizzazione. Il comma 3 detta disposizioni in tema di fabbisogno di «RMN a basso campo c.d. “dedicate” o “open di nuova generazione”».
Secondo il ricorrente, tale disposizione introdurrebbe «tre fattispecie derogatorie al principio in forza del quale l’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio delle strutture sanitarie e sociosanitarie non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale, che si fonda sul criterio di funzionalità rispetto alla programmazione regionale».
Ne deriverebbe la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai «principi fondamentali posti dalla legge statale in materia di “tutela della salute”». Sono richiamati, quali norme interposte, gli artt. 8, comma 4, 8-ter, comma 4, e 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992. Le prime due norme, nello stabilire i requisiti minimi di sicurezza e di qualità per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private, «rappresentano principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale che le regioni devono rispettare, indipendentemente dal fatto che la struttura intenda o meno chiedere l’accreditamento». Anche l’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, nell’imporre «requisiti ulteriori» per l’accreditamento, recherebbe principi fondamentali che le Regioni sono tenute a rispettare, «non potendosi attribuire l’accreditamento ope legis a determinate strutture, la cui regolarità sia meramente presunta e non effettivamente fondata sul possesso effettivo dei requisiti prescritti».
2.– La Regione Puglia non si è costituita in giudizio.
3.– In data 22 febbraio 2021 è pervenuto in cancelleria l’atto di intervento di G.P. S., non esaminato perché tardivo.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 13 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di varie disposizioni della legge della Regione Puglia 30 novembre 2019, n. 52 (Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2019 e pluriennale 2019-2021). Fra di esse, vengono qui in considerazione gli artt. 10, 35, 44, 45, 47 e 49, impugnati in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera l), e terzo, della Costituzione.
La decisione delle altre questioni, proposte con lo stesso ricorso, è riservata a separata pronuncia.
2.– È impugnato, in primo luogo, l’art. 10 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, che sostituisce l’art. 72 della legge della Regione Puglia 28 dicembre 2018, n. 67, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2019 e bilancio pluriennale 2019-2021 della Regione Puglia (Legge di stabilità regionale 2019)».
L’art. 72, comma 1, ora stabilisce che le aziende sanitarie «attivano procedure selettive concorsuali» per l’assunzione, nei ruoli, di «personale dirigente medico/veterinario e dirigente sanitario non medico», valorizzando nei relativi bandi di concorso «il possesso di comprovate competenze» acquisite nel corso di pregressi rapporti di natura «convenzionale», previsti da precedenti leggi regionali (e di seguito specificamente individuati). L’art. 72, al comma 2, restringe l’ambito di applicazione a coloro che, alla data del 31 dicembre 2018, siano titolari, da almeno cinque anni, di un «incarico convenzionale a tempo indeterminato non inferiore a trentotto ore settimanali nella disciplina messa a bando». L’art. 72, al comma 3, infine, precisa che l’ingresso nei ruoli «determina l’automatica eliminazione dei relativi rapporti convenzionali e pertanto non comporta riflessi diretti o indiretti a carico del bilancio dell’ente».
Il ricorrente lamenta il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., «sotto il profilo dell’ordinamento civile», in quanto rientrerebbe nella competenza esclusiva del legislatore statale la «disciplina della fase costitutiva» del «rapporto di lavoro pubblico». Sarebbe violato, inoltre, l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alle «norme interposte» di cui all’art. 18 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e all’art. 20, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale).
Quest’ultima disposizione, precisa il ricorrente, «definisce i requisiti di accesso al Servizio sanitario nazionale e disciplina puntualmente i titoli di servizio valutabili nelle procedure concorsuali». Risulterebbe violato «il principio fondamentale in materia di disciplina delle professioni, secondo il quale l’individuazione delle figure professionali, i relativi profili, ordinamenti didattici e titoli abilitanti, così come l’istituzione dei relativi albi, ordini o registri, è compito riservato allo Stato, residuando alle Regioni solo la disciplina degli aspetti che abbiano uno specifico collegamento con la realtà territoriale».
2.1.– Le questioni non sono fondate.
Le disposizioni impugnate individuano un titolo valutabile nei concorsi per l’accesso ai ruoli della dirigenza sanitaria regionale. A tal fine esse richiamano due leggi regionali che, in passato, per esigenze contingenti connesse con l’organizzazione del Servizio sanitario nazionale, avevano determinato l’attivazione di alcune tipologie di lavoro in convenzione, successivamente confluite in rapporti «a tempo indeterminato ad esaurimento nell’ambito del servizio sanitario nazionale». Si tratta dei rapporti convenzionali previsti sia dalla legge della Regione Puglia 3 agosto 2007, n. 25 (Assestamento e seconda variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2007), sia dalla legge della Regione Puglia 9 giugno 1987, n. 16 (Norme organiche per l’integrazione scolastica degli handicappati).
L’individuazione di uno specifico titolo, valutabile nelle procedure concorsuali, non attiene pertanto alla materia dell’«ordinamento civile», in quanto si riferisce a una fase antecedente a quella costitutiva del rapporto di lavoro. Le previsioni impugnate – analogamente a quanto ritenuto da questa Corte in una recente decisione, in cui pure veniva in rilievo una norma di legge regionale che integrava il sistema di valutazione dei titoli nei concorsi per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale, di cui al d.P.R. n. 483 del 1997 – attengono, piuttosto, alla materia concorrente della «tutela della salute», in quanto costituiscono un riflesso del sistema organizzativo e funzionale adottato dalla Regione Puglia per adempiere alle esigenze del Servizio sanitario nazionale (sentenza n. 20 del 2020, punti 3.3. e 4 del Considerato in diritto). Si intende, in questo modo, valorizzare la pregressa esperienza acquisita dal personale che già presta determinati servizi a convenzione, secondo quanto previsto dalle disposizioni regionali già richiamate.
Tale “valorizzazione”, peraltro, non appare incoerente con il sistema configurato dall’ordinamento statale che, a determinate condizioni, ammette la valutabilità del servizio prestato «in base a rapporti convenzionali» (art. 21 del d.P.R. n. 483 del 1997), riconoscendo quindi che anche i servizi «non di ruolo» possano ricevere la giusta valutazione, non una completa «equiparazione» a quelli di ruolo (art. 22 del medesimo d.P.R.).
Si deve osservare che la valorizzazione delle pregresse esperienze di natura convenzionale, così come introdotta dalla disciplina pugliese, dovrà svolgersi entro i binari tracciati dalla normativa generale appena richiamata, attenendosi ai principi e alle regole di proporzione tra i punteggi stabiliti.
Nell’allineare il sistema di valutazione dei titoli con il proprio assetto organizzativo e gestionale del Servizio sanitario nazionale, in modo complessivamente coerente con l’impianto generale previsto a livello statale, la Regione Puglia ha legittimamente esercitato la propria competenza concorrente in materia di «tutela della salute», senza incorrere in violazione di principi fondamentali (sentenza n. 20 del 2020, punti 4 e 4.1. del Considerato in diritto). In conclusione, la disciplina impugnata, riconducibile alla competenza concorrente nella materia della tutela della salute, non presenta alcun collegamento con la disciplina delle professioni, anch’essa rientrante nella competenza concorrente. Né si riscontra alcuna attinenza con la materia dell’ordinamento civile, visto che tale disciplina non interviene a definire diritti e obblighi di un rapporto di lavoro già sorto, ma si colloca in una fase antecedente allo stesso (da ultimo, sentenza n. 77 del 2020, punto 4.3.1. del Considerato in diritto).
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna inoltre l’art. 35 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, che ha inserito un periodo nel comma 1 dell’art. 10 della legge della Regione Puglia 4 agosto 2004, n. 14 (Assestamento e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2004).
Quest’ultima disposizione, rubricata «Medicina specialistica ambulatoriale», ha previsto che i medici specialisti ambulatoriali, titolari di rapporto convenzionale con il Servizio sanitario nazionale, possono, a domanda, essere inquadrati «con il trattamento giuridico ed economico previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro della dirigenza». Il periodo finale, aggiunto dalla norma impugnata, così recita: «L’inquadramento determina la conservazione della equiparazione a tutti gli effetti tra dirigenti e specialisti convenzionati anche ai fini della legittimazione alla nomina e alla partecipazione nei comitati paritetici e negli organismi di rappresentanza previsti dalla normativa anche regolamentare vigente».
L’art. 45 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, anch’esso censurato dal Presidente del Consiglio dei ministri, aggiunge all’art. 10 della legge reg. Puglia n. 14 del 2004 il comma 3-bis che dispone quanto segue: «Gli specialisti ambulatoriali transitati alla dipendenza sono equiparati, a tutti gli effetti, agli specialisti convenzionati, ciò ai fini della legittimazione della nomina e della partecipazione nei comitati paritetici e negli organismi di rappresentanza previsti» dalla legge e dai regolamenti vigenti.
Entrambe le disposizioni censurate – accomunate dallo stesso oggetto e per questo esaminate congiuntamente – entrerebbero in collisione con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., per invasione della competenza statale esclusiva nella materia «ordinamento civile». Vi sarebbe contrasto con la «norma interposta» di cui all’art. 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), che reca il principio di unicità del rapporto di lavoro del personale medico con il Servizio sanitario nazionale.
3.1.– Le questioni sono inammissibili.
È opportuno ribadire – come affermato in numerose pronunce di questa Corte – che l’unicità del rapporto di lavoro alle dipendenze del Servizio sanitario nazionale serve, in primo luogo, a garantire al servizio sanitario pubblico massima efficienza e funzionalità operativa (recentemente sentenza n. 238 del 2018, punto 4.2. del Considerato in diritto).
Senza diffondersi in un’adeguata motivazione, il ricorso si limita a richiamare le due norme oggetto di censura e omette di illustrare il quadro normativo entro cui si collocano. Il riferimento all’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991 non è sviluppato in modo tale da chiarire il contrasto con il principio di unicità del rapporto di lavoro del personale medico con il Servizio sanitario nazionale.
L’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento dell’impugnazione si pone – questa Corte lo afferma costantemente – in termini ancora più rigorosi nei giudizi proposti in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale (da ultimo, sentenza n. 20 del 2021, punto 2.2. del Considerato in diritto).
4.– Il ricorrente impugna, inoltre, l’art. 44 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, rubricato «Disposizioni in materia di rapporto dei dirigenti sanitari alle dipendenze del Servizio sanitario regionale».
Il comma 1 prevede che la Giunta regionale riordini e disciplini le «modalità di utilizzo dell’istituto della esclusività del rapporto dei dirigenti sanitari», secondo le previsioni del d.lgs. n. 502 del 1992. Il comma 2 precisa che «[v]iene garantita la possibilità di scelta tra esclusività e non esclusività del rapporto di lavoro alle dipendenze del Servizio sanitario regionale ai fini della titolarità dell’incarico dirigenziale di direttore di struttura semplice e complessa».
Ad avviso del ricorrente, questa disposizione sarebbe formulata «in modo talmente generico da non potersi escludere che, in attuazione della stessa, si adottino discipline non conformi alle disposizioni legislative e contrattuali vigenti in materia con possibili maggiori oneri». Sarebbe, pertanto, violato l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi fondamentali contenuti negli artt. 15-quater e 15-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992. La lamentata violazione discenderebbe dalla mancanza di un’apposita clausola di salvaguardia, volta a precisare per i previsti interventi della Giunta regionale il rispetto delle rilevanti norme del d.lgs. n. 502 del 1992 e dei contratti collettivi di settore.
4.1.– La questione è inammissibile.
La censura, formulata in modo generico, non si diffonde nell’esporre le ragioni relative alla lesione delle competenze dello Stato, che, nel disciplinare il rapporto di lavoro dei dirigenti sanitari, ne prevede il carattere «esclusivo» o «non esclusivo», anche ai fini della scelta tra i due regimi e della titolarità degli incarichi.
Il ricorrente non chiarisce in che modo la norma regionale, pur richiamando la disciplina di cui agli artt. 15-quater e 15-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, consentirebbe alla Giunta regionale di adottare provvedimenti in contrasto con tale disciplina.
Le carenze argomentative, così esposte, determinano dunque l’inammissibilità della questione.
5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri censura inoltre l’art. 47 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, rubricato «Rimborso spese pazienti fuori regione».
Il comma 1 di questa disposizione sostituisce il comma 1 dell’art. 13 della legge della Regione Puglia 12 agosto 2005, n. 12 (Seconda variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2005). Il nuovo testo così recita: «Il riconoscimento dei rimborsi previsti dall’articolo 1, commi 1 e 2, della legge regionale 21 novembre 1996, n. 25 (Rimborso delle spese sostenute per interventi di trapianto), e successive modificazioni, viene garantito ai pazienti che, per esigenze cliniche documentate, devono recarsi presso centri extra-regionali per il trattamento di malattie rare non assicurabile in Puglia. Per il riconoscimento del rimborso si applicano le medesime procedure e gli stessi criteri previsti dal decreto del Ministero della sanità 3 novembre 1989 n. 851700, e dunque per le prestazioni assistenziali presso centri di altissima specializzazione all’estero».
Il comma 2 dell’art. 47 assegna una dotazione finanziaria, per l’esercizio finanziario 2019, pari ad euro 100.000,00, iscrivendola nell’ambito della «missione 13, programma 2, titolo 1», del bilancio regionale.
Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)». La Regione Puglia, impegnata nel Piano di rientro dal disavanzo sanitario, dovrebbe osservare il divieto di effettuare spese non obbligatorie e non potrebbe garantire alcun livello ulteriore di assistenza, rispetto a quanto già previsto dalla legislazione statale. Risulterebbe pertanto violato il «principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria», inteso quale principio fondamentale nella materia concorrente del «coordinamento della finanza pubblica».
5.1.– L’art. 2, comma 1, della legge della Regione Puglia 12 dicembre 2019, n. 54, recante «Modifiche alla legge regionale 28 dicembre 2018, n. 67 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2019 e bilancio pluriennale 2019-2021 della Regione Puglia – Legge di stabilità regionale 2019) e alla legge regionale 12 agosto 2005, n. 12 (Seconda variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2005)» ha disposto la soppressione dell’ultimo periodo dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Puglia n. 12 del 2005, come già novellato dalla disposizione in questa sede impugnata. Il testo attualmente vigente non contiene più il richiamo alle procedure e ai criteri previsti dal decreto del Ministro della sanità 3 novembre 1989 (Criteri per la fruizione di prestazioni assistenziali in forma indiretta presso centri di altissima specializzazione all’estero).
Tale modificazione, peraltro antecedente alla notifica del ricorso introduttivo, non altera i termini della questione, che si incentra sulla lesione del principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica. La norma impugnata, infatti, continua a garantire, in favore dei pazienti affetti da malattie rare che devono recarsi fuori Regione, il rimborso delle spese previste dall’art. 1, commi 1 e 2, della legge della reg. Puglia n. 25 del 1996. Le questioni prospettate dal Presidente del Consiglio dei ministri sono pertanto ammissibili.
5.2.– Quanto al merito, è utile una breve ricostruzione del quadro normativo regionale di riferimento.
Nel testo originario degli articoli della legge reg. Puglia n. 25 del 1996 richiamati dalla norma impugnata, si prevedeva il rimborso delle spese di trasporto, di viaggio e di soggiorno sostenute dal paziente per affrontare interventi di trapianto al di fuori dei confini regionali. In seguito, con la modifica introdotta dall’art. 69 della legge della Regione Puglia 6 maggio 1998, n. 14 (Bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 1998 e bilancio pluriennale 1998-2000), il beneficio è stato esteso anche al donatore. Requisito per poter beneficiare del rimborso è la residenza nella Regione, come si evince dalla circostanza che il rimborso è stato previsto a carico della ASL «di residenza del cittadino» (art. 1, comma 1, della legge reg. Puglia n. 25 del 1996).
Successivi interventi del legislatore regionale hanno via via ampliato il rimborso delle spese di viaggio, di trasporto e di soggiorno, ricomprendendovi situazioni originariamente non contemplate. L’art. 29 della legge della Regione Puglia 22 dicembre 2000, n. 28 (Variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2000), ha incluso tra i soggetti beneficiari i dipendenti della Regione Puglia e i loro familiari conviventi, pur se residenti fuori Regione per motivi istituzionali, al contempo provvedendo a introdurre una nozione di “trapianto” più ampia. Con l’art. 13 della legge reg. Puglia n. 12 del 2005, nella sua formulazione originaria, i rimborsi previsti dalla legge reg. Puglia n. 25 del 1996 sono stati poi estesi anche al «trattamento di malattie rare» fuori Regione, solo in favore dei «cittadini fino al diciottesimo anno di età».
Su quest’ultima disposizione si è innestata la novella introdotta con la norma del 2019, oggetto di censura da parte del Presidente del Consiglio dei ministri. Rispetto all’originaria formulazione del 2005, si evidenzia, in particolare, un ulteriore ampliamento della platea dei beneficiari, senza i precedenti limiti di età.
Rispetto al quadro precedente e proprio per effetto della disposizione censurata la spesa a carico delle finanze regionali è destinata ad aumentare, come del resto è confermato dallo stanziamento previsto per l’anno 2019, a carico delle relative voci di bilancio.
5.3.– La questione è fondata.
La norma prevede una prestazione di natura sanitaria – non meramente assistenziale – connessa alla fruizione delle cure. Una tale destinazione è indirettamente confermata dal comma 2 dell’art. 47 qui in esame, che ha iscritto la relativa provvista finanziaria in voci del bilancio regionale relative alla «Tutela della salute» (cui si riferisce la «Missione 13», come risulta dal bilancio di previsione regionale approvato, da ultimo, con legge della Regione Puglia 30 dicembre 2020, n. 36, recante «Bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2021 e bilancio pluriennale 2021-2023 della Regione Puglia»).
Tale spesa non trova riscontro nell’elenco dei livelli essenziali di assistenza (LEA), di cui al d.P.C.m. 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502). Con riguardo alle malattie rare, esso stabilisce il diritto del paziente all’esenzione dalla partecipazione al costo delle correlate prestazioni di assistenza sanitaria (art. 52), ma nulla prevede per le spese di trasporto, di viaggio o di soggiorno.
Al di fuori degli stretti limiti indicati dalla fonte statale appena citata, le prestazioni che le Regioni intendano ulteriormente assicurare non possono dunque essere considerate spese obbligatorie.
Il sistema dei rimborsi in favore dei pazienti che abbiano necessità di recarsi all’estero per cure è attualmente configurato, in base all’art. 3, quinto comma, della legge 23 ottobre 1985, n. 595 (Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-88), e al d.m. 3 novembre 1989 che l’ha attuata, con il solo riferimento ai «centri di altissima specializzazione all’estero» ed esclusivamente per «prestazioni che non siano ottenibili nel nostro Paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico». Sono questi i parametri relativi alle prestazioni che costituiscono LEA, come è confermato dal rinvio operato dall’art. 61, comma 4, del d.P.C.m. 12 gennaio 2017.
Alla Regione, soggetta ai vincoli dei piani di rientro dal disavanzo sanitario, è preclusa la possibilità di incrementare la spesa sanitaria per motivi non inerenti alla garanzia delle prestazioni essenziali, come questa Corte ha costantemente affermato (da ultimo, ex plurimis, sentenza n. 130 del 2020, punto 3.3. del Considerato in diritto). La vincolatività dei piani è da considerarsi espressione del principio fondamentale relativo al contenimento della spesa pubblica sanitaria, direttamente correlato al principio di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 130 del 2020).
L’osservanza di tali precisi limiti non si imporrebbe qualora la Regione, nell’adottare scelte riconducibili alla propria competenza residuale nella materia dei servizi sociali (da ultimo, sentenza n. 106 del 2020, punto 5.1. del Considerato in diritto), introducesse questi benefici, facendoli confluire nelle congruenti voci di spesa del bilancio regionale.
Si deve dunque dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 47 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019.
6.– Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 49 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, contenente «Disposizioni in materia di fabbisogno di Risonanza magnetica nucleare (RMN) grandi macchine e RMN a basso campo c.d. “dedicate” o “open di nuova generazione”».
Il comma 1 della disposizione impugnata sostituisce il testo dell’art. 19, comma 3, della legge della Regione Puglia 2 maggio 2017, n. 9 (Nuova disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private). Il nuovo testo prevede che l’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio delle strutture sanitarie e sociosanitarie non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale, «che si fonda sul criterio di funzionalità rispetto alla programmazione regionale», salvo che in tre ipotesi.
Per il settore della diagnostica per immagini si prevede che le strutture già autorizzate per l’impiego delle cosiddette «grandi macchine» si devono considerare accreditate anche per tale impiego, nonostante l’accreditamento sia stato rilasciato per la sola diagnostica senza grandi macchine con aggiunta, inoltre, dell’ipotesi inversa. Analoga deroga è prevista «in ipotesi di autorizzazione all’esercizio di PET rilasciata a struttura già accreditata per l’attività di medicina nucleare in vivo». Nella parte finale, il comma 3 precisa che «[n]elle soprariportate ipotesi l’autorizzazione all’esercizio produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale a condizione che, nell’ambito comunale di riferimento, non insista struttura pubblica o privata già accreditata per la medesima attività».
Il ricorrente lamenta il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in specie con i principi fondamentali in materia di «tutela della salute», in quanto la Regione avrebbe introdotto «tre fattispecie derogatorie al principio in forza del quale l’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio delle strutture sanitarie e sociosanitarie non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale, che si fonda sul criterio di funzionalità rispetto alla programmazione regionale». Sono richiamati, al riguardo, gli artt. 8, comma 4, 8-ter, comma 4, e 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, che detterebbero i «principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale che le regioni devono rispettare» in tema di rapporto tra autorizzazione e accreditamento.
6.1.– Successivamente alla proposizione del ricorso, è sopravvenuta la legge della Regione Puglia 7 luglio 2020, n. 18 (Misure di semplificazione amministrativa in materia sanitaria), il cui art. 9 ha sostituito l’ultimo periodo dell’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017 (come già novellato dalla legge regionale n. 52 del 2019) nei seguenti termini: «Ferma restando la necessità di verificare la sussistenza dei requisiti di accreditamento, nelle soprariportate ipotesi l’autorizzazione all’esercizio produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale».
L’art. 9 della legge reg. Puglia n. 18 del 2020 è stato censurato dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., con ricorso iscritto al n. 81 del reg. ric. 2020, non ancora venuto in decisione.
La sopravvenuta modifica normativa, nel limitarsi a novellare la formulazione letterale dell’ultimo periodo menzionato, senza rimuovere le tre ipotesi di deroga già introdotte dalla legge regionale del 2019, non è satisfattiva delle pretese avanzate dal ricorrente. Non è dunque cessata la materia del contendere.
Non ricorrono neppure i presupposti per trasferire lo scrutinio di questa Corte sulla nuova formulazione dell’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, dal momento che tale disposizione è stata impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri con un distinto ricorso (sentenza n. 286 del 2019, punto 5.2. del Considerato in diritto).
6.2.– Ancora in via preliminare, deve essere delimitato il thema decidendum al solo comma 1 dell’art. 49 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, che ha introdotto le tre ipotesi derogatorie contestate dal ricorrente. Le censure sollevate si riferiscono esclusivamente alla previsione che fa discendere, dall’autorizzazione per la realizzazione e l’esercizio di strutture sanitarie e sociosanitarie, effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale. Rimangono quindi estranee alla presente disamina i commi 2 e 3 dell’art. 49, riferiti ad altri e differenti aspetti.
6.3.– La questione è fondata.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che «il regime delle autorizzazioni e degli accreditamenti costituisce principio fondamentale in materia di tutela della salute. Il legislatore statale (artt. 8-ter, 8-quater e 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992) ha inteso vincolare le strutture socio-sanitarie private all’osservanza di requisiti essenziali da cui far dipendere l’erogazione di prestazioni riferite alla garanzia di un diritto fondamentale» (sentenza n. 106 del 2020, punto 5.1. del Considerato in diritto; in precedenza, sentenze n. 238 del 2018, n. 161 del 2016 e n. 132 del 2013).
In tale cornice si è evidenziato che occorre «distinguere […] gli aspetti che attengono all’“autorizzazione”, prevista per l’esercizio di tutte le attività sanitarie, da quelli che riguardano l’“accreditamento” delle strutture autorizzate», precisando che, quanto all’“autorizzazione”, «gli artt. 8, comma 4, e 8-ter, comma 4, del d.lgs. n. 502 del 1992 stabiliscono “requisiti minimi” di sicurezza e qualità per poter effettuare prestazioni sanitarie», e che, quanto all’“accreditamento”, «occorrono, invece, “requisiti ulteriori” (rispetto a quelli necessari all’autorizzazione) e l’accettazione del sistema di pagamento a prestazione, ai sensi dell’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992» (sentenza n. 292 del 2012, punto 4 del Considerato in diritto).
La differenza che intercorre tra l’autorizzazione e l’accreditamento delle strutture sanitarie e socio-sanitarie, in base al sistema delineato dagli artt. 8-bis, 8-ter e 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, mostra che per la prima i profili rilevanti «sono quelli inerenti il fabbisogno complessivo di prestazioni sanitarie nel territorio e in particolare quelli concernenti la localizzazione delle strutture già presenti», così da garantire la corretta distribuzione sul territorio «in modo che siano adeguatamente servite tutte le zone, anche quelle a bassa redditività, che in mancanza di tale strumento non sarebbero coperte» (Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 7 marzo 2019, n. 1589). Ai fini dell’accreditamento rileva invece il fabbisogno di assistenza programmato per garantire l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA). Nel caso dell’autorizzazione è richiesta una valutazione complessiva, che considera anche le prestazioni extra LEA e le strutture private non accreditate. Nel caso, invece, dell’accreditamento, la valutazione ha a oggetto «unicamente i LEA e prevede il coinvolgimento, in base all’art. 8-bis, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992, solo “dei presidi direttamente gestiti dalle aziende unità sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché di soggetti accreditati ai sensi dell’articolo 8-quater, nel rispetto degli accordi contrattuali di cui all’articolo 8-quinquies”, senza quindi considerare le strutture private non accreditate» (sentenza n. 7 del 2021, punto 4.4. del Considerato in diritto).
Il caso oggi all’esame appare speculare a quello oggetto della pronuncia appena ricordata. In ciascuna delle tre ipotesi di deroga viene in rilievo, infatti, un’autorizzazione già rilasciata che vincola, secondo la legge regionale, il successivo accreditamento.
Quanto già affermato da questa Corte deve essere ribadito nel caso qui in discussione. Nell’impianto fondamentale dei già ricordati articoli del d.lgs. n. 502 del 1992, che anche in questa sede il ricorrente invoca come norme interposte, «le vicende del processo di accreditamento restano tendenzialmente estranee alla determinazione del fabbisogno che rileva per la verifica di compatibilità delineata dall’indicato art. 8-ter, comma 3» (sentenza n. 7 del 2021, punto 4.4.1. del Considerato in diritto). I due procedimenti – di autorizzazione e di accreditamento – sono, in base ai richiamati principi fondamentali della legge statale, tra di loro autonomi, essendo ciascuno finalizzato alla valutazione di indici di fabbisogno diversi e non sovrapponibili.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale colpisce le parti della disposizione che prevedono le già richiamate tre deroghe, e che – nel periodo finale – ne ribadiscono l’operatività.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separata pronuncia la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 47 della legge della Regione Puglia 30 novembre 2019, n. 52 (Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2019 e pluriennale 2019-2021);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1, della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, che sostituisce l’art. 19, comma 3, della legge della Regione Puglia 2 maggio 2017, n. 9 (Nuova disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte dall’art. 9 della legge della Regione Puglia 7 luglio 2020, n. 18 (Misure di semplificazione amministrativa in materia sanitaria), limitatamente alle seguenti parole:
«, salvo che:
3.1. in ipotesi di autorizzazione all’esercizio per l’attività di diagnostica per immagini con utilizzo di grandi macchine (di cui all’articolo 5, comma 1, punto 1.6.3.) già rilasciata alla data di entrata in vigore della presente legge a struttura già accreditata per l’attività di diagnostica per immagini senza utilizzo di grandi macchine (di cui all’articolo 5, comma 1, punto 1.7.3.);
3.2. in ipotesi di autorizzazione all’esercizio per l’attività di diagnostica per immagini senza utilizzo di grandi macchine (di cui all’articolo 5, comma 1, punto 1.7.3.) già rilasciata alla data di entrata in vigore della presente legge a struttura già accreditata per l’attività di diagnostica per immagini con utilizzo di grandi macchine (di cui all’articolo 5, comma 1, punto 1.6.3.);
3.3. in ipotesi di autorizzazione all’esercizio di PET rilasciata a struttura già accreditata per l’attività di medicina nucleare in vivo (di cui all’articolo 5, comma 1, punto 1.6.5,).
Nelle soprariportate ipotesi l’autorizzazione all’esercizio produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale a condizione che, nell’ambito comunale di riferimento, non insista struttura pubblica o privata già accreditata per la medesima attività.”»;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 45 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 marzo 2021.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE