Corte Costituzionale, Sentenza n.49 del 29/03/2021

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Prospettazione della questione incidentale - Motivazione sulla rilevanza priva di contraddittorietà - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare

Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per contraddittorietà della motivazione, formulata nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017. L'ordinanza di rimessione non fa menzione di motivi di ricorso diversi dall'illegittimità costituzionale della disposizione di legge di cui l'atto impugnato costituisce applicazione, diversamente da quanto asserito dall'interveniente.

Contraddittorio davanti alla Corte costituzionale - Intervento del Governo nel giudizio incidentale - Presenza di meri errori materiali - Regolarità dell'intervento - Rigetto di eccezione preliminare

Non è accolta l'eccezione di irregolarità dell'intervento del Governo nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017. Dalla considerazione complessiva degli atti depositati dalla difesa statale e del contenuto di ciascuno di essi, si comprende agevolmente che l'erronea indicazione del numero dell'ordinanza di rimessione e del nome delle parti costituiscono meri errori materiali, che non impediscono di individuare correttamente l'ordinanza di rimessione cui è riferito l'atto di intervento e di riconoscere, pertanto, la sua regolarità.

Thema decidendum - Ulteriori motivi di censura e richiesta di rinvio pregiudiziale dedotti dalle parti costituite nel giudizio incidentale - Esorbitanza dal contenuto dell'ordinanza di rimessione - Inammissibilità

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017, sono inammissibili gli ulteriori motivi di censura delle parti costituite, dirette ad estendere il thema decidendum, come fissato nella ordinanza di rimessione, alla violazione del principio di progressività del sistema tributario, di cui all'art. 53 Cost., nonché al contrasto con le norme europee sulla libertà di concorrenza, sulla libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, di cui agli artt. 26, 49, 56, e 63 TFUE, oltre che la relativa richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea ai sensi dell'art. 267 TFUE. Secondo costante giurisprudenza costituzionale, l'oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione, con esclusione della possibilità di ampliare il thema decidendum proposto dal rimettente, fino a ricomprendervi questioni formulate dalle parti, che tuttavia egli non abbia ritenuto di fare proprie. (Precedenti citati: sentenze n. 186 del 2020, n. 7 del 2019, n. 248 del 2018, n. 194 del 2018, n. 120 del 2018, n. 27 del 2018, n. 4 del 2018, n. 251 del 2017, n. 250 del 2017, n. 35 del 2017, n. 29 del 2017, n. 276 del 2016, n. 214 del 2016, n. 96 del 2016, n. 231 del 2015, n. 209 del 2015 e n. 83 del 2015).

Thema decidendum - Richiesta di autorimessione proveniente dalle parti costituite nel giudizio incidentale - Questione esorbitante dal contenuto dell'ordinanza di rimessione - Difetto del nesso di necessaria strumentalità o pregiudizialità logica con le questioni sollevate - Conseguente insussistenza dei relativi presupposti - Rigetto della richiesta

Nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017, non è accolta la richiesta delle parti costituite di autorimessione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 636, della legge n. 147 del 2013. Tale questione è esorbitante rispetto al contenuto dell'ordinanza di rimessione e tra le due questioni non è ravvisabile quel nesso di necessaria strumentalità o di pregiudizialità logica, idoneo a giustificare l'esercizio, da parte della Corte costituzionale, dell'eccezionale potere di autorimessione dinanzi a sé della questione di legittimità costituzionale di una norma rimasta estranea al fuoco delle censure del rimettente. (Precedenti citati: sentenze n. 255 del 2014, n. 179 del 1976, n. 122 del 1976 e n. 195 del 1972; ordinanze n. 114 del 2014, n. 42 del 2001; n. 197 del 1996, n. 183 del 1996, n. 297 del 1995, n. 225 del 1995, n. 294 del 1993, n. 378 del 1992, n. 230 del 1975 e n. 100 del 1970).

Sopravvenienze nel giudizio incidentale - Ius superveniens non modificativo della sostanza delle questioni prospettate - Esclusione della restituzione degli atti al rimettente

Nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017, non è accolta la richiesta di restituzione degli atti al giudice a quo per una nuova valutazione sulla rilevanza, in considerazione dell'entrata in vigore della legge n. 178 del 2020. Ancora prima di tale intervento legislativo, nessuna delle sopravvenienze normative che si sono succedute dopo l'instaurazione del giudizio costituzionale ha modificato la disposizione censurata sotto i profili per i quali ne è denunciata l'illegittimità costituzionale. (Precedenti citati: sentenze n. 237 del 2020, n. 79 del 2019, n. 194 del 2018, n. 125 del 2018 e n. 33 del 2018). Secondo costante giurisprudenza costituzionale, non ogni nuova disposizione che modifichi, integri o comunque possa incidere su quella oggetto del giudizio incidentale di costituzionalità richiede una nuova valutazione della perdurante sussistenza dei presupposti di ammissibilità della questione e segnatamente della sua rilevanza e della non manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale espressi dal rimettente. (Precedenti citati: sentenze n. 79 del 2019 e n. 125 del 2018).

Legge - Legge-provvedimento - Compatibilità con l'assetto costituzionale - Pericolo di arbitrio e di irragionevolezza - Necessità di stretto scrutinio di costituzionalità

Le disposizioni legislative dal contenuto particolare e dall'ambito soggettivo limitato, ascrivibili alla categoria delle leggi-provvedimento, non sono di per sé incompatibili con l'assetto costituzionale. Tuttavia, in considerazione del pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di questo tipo, esse devono soggiacere a uno scrutinio stretto di costituzionalità, sotto i profili della non arbitrarietà e della non irragionevolezza della scelta legislativa. La loro legittimità costituzionale deve essere valutata in relazione al loro specifico contenuto e devono risultare i criteri che ispirano le scelte con esse realizzate, nonché le relative modalità di attuazione, attraverso l'individuazione degli interessi oggetto di tutela e della ratio della norma desumibili dalla stessa, anche in via interpretativa, in base agli ordinari strumenti ermeneutici. (Precedenti citati: sentenze n. 168 del 2020, n. 116 del 2020, n. 181 del 2019, n. 182 del 2017, n. 275 del 2013, n. 154 del 2013, n. 85 del 2013, n. 20 del 2012, n. 270 del 2010, n. 288 del 2008, n. 429 del 2002 e n. 2 del 1997).

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SENTENZA N. 49

ANNO 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047, lettere a) e b), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), modificativo dell’art. 1, comma 636, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2014), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, con due ordinanze del 26 marzo 2019, rispettivamente iscritte ai numeri 99 e 100 del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti gli atti di costituzione di Play Game srl, di Play Line srl, di B. E. srl e Coral srl, di M. S. e Bingo srl, dell’Associazione concessionari bingo (ASCOB), nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 febbraio 2021 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi gli avvocati Alessandro Dagnino per B. E. srl e altra, Luca Porfiri e Alvise Vergerio di Cesana per Play Line srl e altra, Matilde Tariciotti per M. S. e altri e l’avvocato dello Stato Amedeo Elefante per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 23 febbraio 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con due ordinanze di analogo tenore, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41, nonché 11 e 117, primo comma, della Costituzione – questi ultimi due in relazione agli artt. 16, 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 – questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020).

Nel modificare l’art. 1, comma 636, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», la disposizione censurata, alla lettera a), differisce al 30 settembre 2018 il termine entro il quale l’Agenzia delle dogane e dei monopoli (d’ora in avanti: ADM) procede alla gara per la riattribuzione delle concessioni del gioco del bingo e, al contempo, alla lettera b), eleva gli importi dovuti dai concessionari, operanti in regime di proroga tecnica, a euro 7.500 per ogni mese o frazione di mese superiore ai quindici giorni, e a euro 3.500 per ogni frazione di mese inferiore ai quindici giorni.

1.1.– Ad avviso del TAR Lazio, questa disposizione violerebbe, in primo luogo, l’art. 3 Cost., per il carattere irragionevole e sproporzionato dell’aumento di quanto dovuto dai concessionari in regime di proroga tecnica, disposto in mancanza di alcuna indagine in ordine all’effettiva sostenibilità di tale onere e senza una correlazione con la cifra da porre a base d’asta per le nuove gare.

La disposizione censurata si porrebbe in contrasto, altresì, con l’art. 41 Cost., poiché l’ulteriore protrarsi della proroga tecnica, in corso dal 2013, di fatto senza una precisa delimitazione temporale, priverebbe gli operatori della possibilità di valutare la convenienza economica della scelta, data l’incertezza circa l’avvio della nuova gara.

Infine, sarebbero violati gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione sia ai principi di uguaglianza davanti alla legge e di non discriminazione, di cui agli artt. 20 e 21 CDFUE, sia al riconoscimento della libertà di impresa, di cui all’art. 16 della stessa CDFUE.

2.– Il TAR Lazio riferisce che, nei giudizi a quibus, le parti ricorrenti svolgono l’attività di gestori di sale dedicate al gioco del bingo, in forza di concessioni scadute. Ai sensi dell’art. l, comma 636, della legge n. 147 del 2013, le ricorrenti operano in regime di proroga tecnica, in attesa dello svolgimento delle procedure selettive per l’attribuzione di nuove concessioni. In entrambi i giudizi dinanzi al TAR Lazio è impugnata la nota dell’ADM dell’8 gennaio 2018, con cui è stata data applicazione alla disposizione censurata. I ricorsi si fondano sulla ritenuta illegittimità costituzionale e sull’incompatibilità con il diritto europeo dell’art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017.

Il rimettente evidenzia che inizialmente le concessioni per la gestione del gioco del bingo erano attribuite, all’esito di una procedura selettiva, a titolo gratuito e per la durata di sei anni, rinnovabile una sola volta. Per le concessioni in scadenza nel 2013 e nel 2014, la legge n. 147 del 2013, all’art. 1, comma 636, ha introdotto il regime di proroga tecnica, disponendo che l’ADM procedesse nel 2014 all’attribuzione di nuove concessioni a titolo oneroso. La stessa legge ha posto a carico dei titolari di concessioni in scadenza, che intendano partecipare alla gara, il pagamento, a titolo di canone, della somma di euro 2.800 per ogni mese, o frazione di mese superiore a quindici giorni, di proroga del rapporto, oppure di euro 1.400 per ogni frazione di mese inferiore ai quindici giorni e comunque fino alla sottoscrizione della nuova concessione.

Questa disciplina è stata ripetutamente modificata. Dapprima, l’art. 1, comma 934, lettera a), numeri da 1) a 4), della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di stabilità 2016) ha esteso il regime di proroga alle concessioni in scadenza fino al 2016, prevedendo, inoltre, che fosse indetta una gara nel 2016 per l’attribuzione di 210 nuove concessioni. La medesima legge ha elevato a 350.000 euro la soglia minima del corrispettivo per l’attribuzione di ciascuna concessione; ha stabilito in nove anni la durata delle nuove concessioni; ha aumentato a 5.000 euro per ogni mese o frazione di mese superiore a quindici giorni, e a 2.500 euro per ogni frazione di mese inferiore ai quindici giorni, l’importo dovuto dal concessionario in proroga tecnica; ha inoltre previsto il divieto di trasferimento dei locali per tutto il periodo della proroga.

In attesa della nuova gara, la proroga tecnica avrebbe conferito un’utilità economica ai concessionari uscenti, i quali beneficiavano della possibilità di proseguire la propria attività, sulla base della propria scelta di convenienza. La ragionevolezza di questa disciplina e la sua neutralità rispetto alla libertà di iniziativa economica privata si fondavano, pertanto, sulla sua temporaneità e sulla certezza dell’orizzonte temporale entro il quale si sarebbe svolta la gara.

Osserva il giudice a quo che, sebbene la legge n. 208 del 2015 abbia innalzato l’importo dovuto mensilmente dai concessionari in proroga a 5.000 euro, l’aumento non appariva indicativo di arbitrarietà o irragionevolezza. D’altra parte, il termine finale della proroga tecnica, pur essendo stato differito, rimaneva comunque contenuto entro un periodo molto ristretto.

In seguito, la disposizione censurata ha esteso la proroga tecnica alle concessioni in scadenza fino al 2018, fissando al 30 settembre 2018 il termine entro il quale andava indetta la gara per l’attribuzione delle nuove concessioni. La stessa disposizione ha ulteriormente elevato l’importo dovuto dal concessionario in scadenza che intenda partecipare alla gara, portandolo a euro 7.500 per ogni mese o frazione di mese superiore ai quindici giorni, e a euro 3.500 per ogni frazione di mese inferiore ai quindici giorni.

2.1.– Il TAR ritiene che la disposizione censurata, avente i caratteri della legge-provvedimento, incida irragionevolmente su un gruppo determinato di operatori economici, in violazione, anzitutto, dell’art. 3 Cost.

Le modifiche introdotte dalla disposizione censurata avrebbero, infatti, alterato la ratio intrinseca della disciplina della proroga tecnica. L’incremento dell’importo mensile dovuto dagli operatori in proroga tecnica sarebbe stato disposto in assenza di alcuna indagine circa l’effettiva sostenibilità di tale onere e senza alcuna correlazione con la cifra da porre a base d’asta per le nuove gare.

Inoltre, l’aumento si accompagna all’ulteriore estensione della proroga, già in corso dal 2013, di fatto senza una precisa delimitazione temporale. Infatti, anche il nuovo termine del 30 settembre 2018, stabilito dalla stessa disposizione censurata sarebbe inattendibile, poiché il ripetuto differimento delle precedenti scadenze farebbe dubitare del suo effettivo rispetto.

Ad avviso del giudice a quo, l’indefinita protrazione della proroga tecnica priverebbe gli operatori della possibilità di valutarne la convenienza economica. Questi soggetti sarebbero incisi in modo arbitrario e irragionevole dall’aumento dell’importo dovuto mensilmente, senza potere influire sulla durata della proroga e senza alcuna certezza in ordine alla sua cessazione.

2.2.– È denunciata, altresì, la violazione dell’art. 41 Cost., per la compromissione della libertà di iniziativa economica privata, a causa dell’impossibilità per gli operatori di compiere consapevoli scelte economiche. Essi rimarrebbero soggetti a un regime gravoso, cui tuttavia non potrebbero sottrarsi, non essendo prevedibile, allo stato, quando si svolgerà la nuova gara.

2.3.– Il giudice a quo ravvisa, infine, la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione sia ai principi di uguaglianza davanti alla legge e di non discriminazione, di cui agli artt. 20 e 21 CDFUE, sia al riconoscimento della libertà di impresa, di cui all’art. 16 della stessa CDFUE.

3.– In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili, o comunque non fondate.

3.1.– In particolare, nel giudizio iscritto al n. 99 del 2019, è preliminarmente eccepita l’inammissibilità delle questioni per il carattere oscuro e contraddittorio della motivazione a sostegno della rilevanza, poiché l’accoglimento delle censure di cui al primo motivo di ricorso avrebbe portato all’integrale soddisfazione della pretesa fatta valere nel giudizio, senza necessità di fare applicazione della disposizione censurata.

3.2.– Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale sarebbero comunque manifestamente infondate.

3.2.1.– L’Avvocatura generale dello Stato osserva che, in effetti, già l’art. 1, comma 934, lettera a), numeri da l) a 4), della legge n. 208 del 2015 aveva elevato l’importo del corrispettivo per l’attribuzione delle nuove concessioni, nonché il canone mensile dovuto dai concessionari in proroga. Il solo fatto che non sia più assicurata la commisurazione dell’importo dovuto al tre per cento dell’utile lordo ricavato dalla raccolta media del gioco del bingo non dimostrerebbe l’arbitrarietà o l’irragionevolezza delle nuove previsioni, né l’eventuale incisione di tale onere in misura maggiore sull’utile lordo dei concessionari comporterebbe, per ciò solo, la sua insostenibilità (è richiamata la sentenza del TAR Lazio, sezione seconda, 26 marzo 2019, n. 4020).

3.2.2.– Riguardo alla violazione del principio di ragionevolezza, il Presidente del Consiglio dei ministri fa rilevare come la sostenibilità dell’onere economico da parte delle ricorrenti non costituisca un presupposto di legittimità della modifica normativa, non essendo rinvenibile il principio secondo cui i guadagni dei concessionari debbano rimanere invariati a seguito di interventi legislativi sull’ammontare degli oneri concessori (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 56 del 2015).

L’Avvocatura generale dello Stato evidenzia, inoltre, che la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha riconosciuto che gli obiettivi attinenti, da un lato, alla riduzione delle occasioni di gioco e, dall’altro, alla lotta contro la criminalità mediante l’assoggettamento a controllo degli operatori attivi in tale settore giustificano restrizioni alle libertà fondamentali nel settore dei giochi d’azzardo (sono richiamate le sentenze della quarta sezione, 16 febbraio 2012, nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10, Costa e Cifone, e della grande sezione, 6 marzo 2007, nelle cause riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04, Placanica e altri).

In ogni caso, la sostenibilità dell’onere da parte delle società ricorrenti emergerebbe dall’analisi dell’andamento della raccolta annuale nel periodo interessato dalla proroga tecnica. In questi anni, infatti, non sarebbero riscontrabili significative riduzioni di guadagno da parte dei concessionari.

3.2.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene, inoltre, che gli importi dovuti dai concessionari in proroga non siano necessariamente correlati alla base d’asta delle nuove gare. Infatti, la somma di 350.000 euro, cui le parti ricorrenti fanno riferimento per contestare la proporzionalità delle somme mensili, costituisce la base d’asta e non il prezzo di aggiudicazione, il quale potrà essere maggiore. L’onere economico per continuare a esercitare la concessione sarebbe, quindi, svincolato dall’importo della gara.

3.2.4.– L’Avvocatura generale dello Stato contesta, inoltre, l’assunto secondo il quale dalla ripetuta proroga delle precedenti scadenze deriverebbe l’assenza di temporaneità. Né il differimento del termine di svolgimento della gara sarebbe indicativo dell’irragionevolezza della misura. Ciò costituirebbe una mera circostanza di fatto, tale da non riflettersi sulla legittimità costituzionale delle disposizioni censurate.

Inoltre, si rammenta che l’ADM aveva già provveduto a dare attuazione all’art. 1, comma 636, della legge n. 147 del 2013, ma la procedura di gara per l’affidamento delle nuove concessioni è stata annullata in sede giurisdizionale. In seguito, è stata avviata una nuova istruttoria, alla luce sia della legge n. 205 del 2017, sia del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici). Con il parere interlocutorio n. 1068 del 2019, il Consiglio di Stato, sezione prima, 27 marzo 2019, n. 1068, ha chiesto all’ADM di procedere alla rielaborazione dei testi. Da ciò emergerebbe che l’ADM ha l’interesse a svolgere le nuove gare entro una data prossima e collocata in un orizzonte temporale predeterminato.

3.2.5.– Quanto alla violazione dell’art. 41 Cost., il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che – in attesa degli adempimenti richiesti dal Consiglio di Stato – la libertà di iniziativa economica dei titolari di concessioni in proroga non sia compromessa, poiché la scelta di avvalersi della proroga, a fronte della corresponsione di un contributo, è comunque rimessa all’imprenditore. Inoltre, trattandosi di concessioni ormai scadute, non potrebbero essere utilmente invocati i principi comunitari relativi all’ammortamento degli investimenti e alla remunerazione dei capitali. Il pagamento del canone mensile sarebbe strettamente correlato alla possibilità di continuare a svolgere l’attività di concessione in assenza di una nuova gara, il cui esito, peraltro, non necessariamente sarebbe favorevole per tutti.

3.2.6.– Per queste stesse ragioni, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, non sarebbe ravvisabile neanche la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 16, 20 e 21 della CDFUE.

4.– Nel giudizio iscritto al r. o. n. 99 del 2019, si sono costituite le società B.E. srl e Coral srl, quali gestori di sale bingo e parti ricorrenti nel giudizio a quo, chiedendo in primo luogo alla Corte di operare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, per verificare se una normativa come quella oggetto di censura, in quanto istitutiva di un regime di proroga tecnica di durata pluriennale e a titolo oneroso delle precedenti concessioni, sia compatibile con le norme europee sulla libertà di concorrenza, sulla libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, di cui agli artt. 26, 49, 56, e 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, nonché con quelle in materia di evidenza pubblica.

In via subordinata, le parti costituite chiedono che questa Corte, previa rimessione della questione innanzi a sé stessa, dichiari l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 636, lettera c), della legge n. 147 del 2013, in riferimento agli artt. 3, 41, 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi due in relazione agli artt. 16, 20 e 21 della CDFUE, nella parte in cui prevede, per tutta la durata della proroga, l’obbligo del concessionario in scadenza di versare una somma e il divieto di trasferire i locali.

In via ulteriormente subordinata, le società costituite chiedono l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice rimettente.

4.1.– Ad avviso delle parti, l’illegittimità costituzionale non riguarderebbe soltanto la disposizione censurata, che ha aumentato gli importi dovuti dai concessionari, ma anche la disposizione dell’art. 1, comma 636, della legge n. 147 del 2013, che ha previsto l’onerosità della proroga, in quanto si tratterebbe di una normativa irragionevole, sproporzionata e, comunque, non coerente rispetto al fine dichiarato.

Prima ancora che per la misura del canone, la disciplina in esame sarebbe illegittima per l’indeterminatezza della durata del regime transitorio. Anche laddove fosse stabilito un canone basso, ciò sarebbe comunque irragionevole e lesivo della libertà di iniziativa economica, se non applicato per un tempo limitato ed entro termini certi.

4.1.1.– Il canone di proroga tecnica sarebbe irragionevole anche sotto il profilo della sua natura fiscale. Esso possiederebbe, infatti, i caratteri di un vero e proprio tributo, irragionevole e costituzionalmente illegittimo.

4.1.2.– Ad avviso delle società costituite, la disposizione censurata sarebbe illegittima anche per la grave e irragionevole distorsione della concorrenza che essa determinerebbe, assoggettando a oneri uguali soggetti estremamente diversi, sia per dimensione economica, sia per territorio di svolgimento dell’attività, sia per fatturato. Sarebbero così favoriti i grandi operatori, con l’effetto di accelerare il processo in atto che coinvolge le piccole attività, poste di fronte all’alternativa di farsi acquisire dai primi o uscire dal mercato. Inoltre, per tutta la durata del periodo transitorio, le imprese in proroga tecnica sarebbero poste in una situazione di svantaggio rispetto a quelle la cui originaria concessione, a titolo gratuito, non è ancora scaduta.

4.1.3.– Le parti costituite deducono la necessità di disporre, in via preliminare, il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, evidenziando come la prosecuzione del regime transitorio di proroga possa ostacolare l’accesso nel mercato interno di operatori comunitari, così alterando la concorrenza tra operatori stabiliti in Paesi membri dell’Unione europea.

4.2.– Nello stesso giudizio, iscritto al r. o. n. 99 del 2019, si sono altresì costituite le società Play Game srl e Play Line srl, anch’esse quali parti ricorrenti nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dal TAR Lazio.

4.2.1.– Le società costituite lamentano il carattere irragionevole e sproporzionato dell’incremento previsto dalla disposizione censurata, poiché – a fronte della riduzione dei volumi di raccolta del gioco – il concessionario sarebbe tenuto ad un esborso superiore non soltanto a quanto ritenuto congruo poco tempo prima, ma anche all’importo da versare durante il regime ordinario di gestione delle concessioni.

In mancanza di una correlazione con il fatturato, la disposizione censurata finirebbe per vessare gli operatori con minore capacità reddituale. Viceversa, l’ammontare di questi corrispettivi avrebbe dovuto essere commisurato al fatturato e alla redditività di ciascuno dei concessionari.

La difesa delle parti private costituite evidenzia, inoltre, che la durata della proroga dovrebbe essere strettamente limitata al periodo necessario all’espletamento delle operazioni di gara. Diversamente, si avrebbe una violazione dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza. Al riguardo, sono richiamati la delibera dell’Autorità nazionale anticorruzione del 9 marzo 2011, n. 34, nonché il comunicato del Presidente della stessa Autorità del 4 novembre 2015.

Viceversa, nel caso in esame, la proroga servirebbe a ovviare all’inadempienza dell’ADM, che ha omesso di bandire la gara per la riattribuzione delle concessioni. La proroga tecnica ha ormai raggiunto un’estensione temporale equivalente a quella delle concessioni originarie.

La difesa delle parti costituite fa, inoltre, rilevare che l’art. 14, comma 2, lettera r), della legge 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita) ha imposto l’obbligo di commisurare l’importo della somma pretesa per il periodo di proroga a quello originariamente dovuto per il conseguimento della concessione.

Le disposizioni censurate determinerebbero, ancora, una discriminazione nei confronti dei concessionari in proroga, sia rispetto ai soggetti che risulteranno vittoriosi nella prossima gara, sia rispetto ai soggetti operanti in forza di concessione gratuita non ancora scaduta.

La disciplina della proroga tecnica sarebbe altresì in contrasto con l’art. 3 Cost. e con i corrispondenti artt. 20 e 21 della CDFUE, anche in relazione al principio del legittimo affidamento. È richiamata, al riguardo, la sentenza di questa Corte n. 166 del 2012, nonché le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, quarta sezione, 14 marzo 2013, in causa C-545/11, Agrargenossenschaft Neuzelle eG contro Landrat des Landkreises Oder-Spreee, e sesta sezione, 17 dicembre 1998, in causa C-186/96, Demand contro Trier.

L’irragionevolezza e la vessatorietà delle disposizioni censurate sarebbero ancora più evidenti laddove si consideri che l’adesione al regime di proroga costituisce condizione per la partecipazione alla gara. Infatti, ove non aderiscano alla proroga, gli interessati dovrebbero rinunciare al proprio avviamento commerciale e dismettere le sale precedentemente condotte in locazione. Verrebbe così compressa la libertà di iniziativa economica privata, garantita dall’art. 41 Cost. e dall’art. 16 CDFUE.

D’altra parte, al maggior esborso previsto dalla disposizione censurata dovrebbe essere attribuita natura tributaria. In violazione dei principi di cui all’art. 53 Cost., questo tributo non sarebbe informato a criteri di progressività, poiché esso riguarda indistintamente tutti i concessionari, a prescindere dalla loro capacità contributiva e dall’effettivo numero di cartelle vendute e senza considerare che alcuni concessionari sono ubicati in zone più colpite dalla crisi economica, che ne ha minato le possibilità di guadagno. Essi non potrebbero neppure ovviare a tale situazione scegliendo una diversa ubicazione delle sale, stante il divieto di trasferimento, previsto dall’art. l, comma 636, della legge n. 147 del 2013.

4.3.– Nel giudizio iscritto al r. o. n. 100, si sono costituiti M. S. e Bingo srl unipersonale, quali parti ricorrenti nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale.

4.3.1.– Ad avviso delle parti costituite, le previsioni della legge n. 147 del 2013, che per la prima volta hanno introdotto l’onerosità della concessione e l’introduzione di un canone mensile, sarebbero distoniche rispetto al contesto del mercato di riferimento, che registrava una forte contrazione della spesa per questa tipologia di giochi ed un ancor più drastico abbattimento della quota di mercato occupata dal bingo. Inoltre, tale misura non sarebbe stata preceduta da alcuna istruttoria idonea a giustificare l’incremento del canone mensile imposto ai concessionari, né in termini di sostenibilità in sé, né rispetto all’andamento del mercato del bingo.

D’altra parte, la reiterazione della proroga tecnica l’avrebbe di fatto trasformata in un regime stabile, posto che dal 2014 la gara ancora non è stata svolta. Ciò sarebbe lesivo del legittimo affidamento dei concessionari, che avrebbero sopportato il pagamento del contributo mensile confidando nella temporaneità dell’onere e nell’imminenza della gara. Questa situazione, anche alla luce del divieto di trasferimento delle sale bingo, costituirebbe un ostacolo alla libertà di prestazione dei servizi, garantita dal TFUE.

4.3.2.– Le parti costituite ritengono che la ragionevole scelta del legislatore del 2013 sia stata in seguito stravolta. Non solo le gare, che avrebbero dovuto essere bandite con cadenza biennale, non sono state espletate ma, a decorrere dal 2015 e ancor più nel 2017, si è persa ogni correlazione fra il valore delle nuove concessioni e il corrispettivo mensile dovuto dai concessionari in proroga.

4.3.3.– L’indeterminatezza del sistema approntato dalla disposizione censurata comporterebbe anche la violazione dell’art. 41 Cost. e della libertà di iniziativa economica. Agli operatori sarebbe impedito il compimento di consapevoli scelte economiche, rimanendo essi soggetti a un regime eccessivamente gravoso, cui tuttavia non possono sottrarsi, non essendo dato stabilire quando potranno rientrare nel mercato, a seguito della partecipazione alla nuova gara.

4.4.– Nel medesimo giudizio iscritto al r. o. n. 100 del 2019 si è costituita l’ASCOB – Associazione concessionari bingo, quale associazione di categoria, intervenuta ad adiuvandum nel giudizio a quo. Essa chiede l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Lazio.

Gli argomenti illustrati da ASCOB nel proprio atto di costituzione riflettono, anche nel tenore letterale, quelli delle altre parti costituite M. S. e Bingo srl.

4.5.– In prossimità dell’udienza pubblica del 26 febbraio 2020 e di quella del 23 febbraio 2021, sia le parti private costituite, sia il Presidente del Consiglio dei ministri hanno depositato memorie, con le quali hanno ulteriormente argomentato le rispettive istanze, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni ivi formulate.

5.– A seguito dell’udienza pubblica del 26 febbraio 2020, al fine di pervenire a una puntuale ricostruzione degli elementi di fatto sui quali è intervenuta la disposizione censurata, questa Corte ha ritenuto necessario acquisire informazioni dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, dal Ministero dell’economia e dall’Ufficio parlamentare di bilancio (di seguito: UPB) e, con ordinanza istruttoria del 26 marzo 2020, ha richiesto a essi, ciascuno per quanto di competenza, una relazione informativa sul concreto assetto del mercato della raccolta del bingo, con riferimento ai profili economico-finanziari relativi alla genesi e all’applicazione della disposizione censurata.

La relazione predisposta dall’ADM, sviluppata anche in relazione agli aspetti demandati al Ministero dell’economia, è stata depositata il 23 luglio 2020, mentre quella dell’UPB è pervenuta il 26 ottobre 2020.

6.– Con atti rispettivamente depositati in ciascuno dei giudizi il 20 gennaio 2021, è intervenuta ad adiuvandum la FEDERBINGO – Federazione italiana dei concessionari dei giochi bingo – chiedendo, previa decisione di questa Corte sull’ammissibilità del proprio intervento in giudizio, di prendere visione e trarre copia degli atti processuali, ai sensi dell’art. 4-bis delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Con ordinanza n. 24 del 2021, gli interventi della FEDERBINGO – Federazione italiana dei concessionari dei giochi bingo sono stati dichiarati inammissibili.

Considerato in diritto

1.– Con due ordinanze di analogo tenore, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41, nonché 11 e 117, primo comma, della Costituzione – questi ultimi due in relazione agli artt. 16, 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 – questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020).

Nel modificare l’art. 1, comma 636, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», la disposizione censurata, alla lettera a), differisce al 30 settembre 2018 il termine entro il quale l’Agenzia delle dogane e dei monopoli (d’ora in avanti: ADM) procede alla gara per la riattribuzione delle concessioni del gioco del bingo e, al contempo, alla lettera b), eleva gli importi dovuti dai concessionari, operanti in regime di proroga tecnica, a euro 7.500 per ogni mese o frazione di mese superiore ai quindici giorni, e a euro 3.500 per ogni frazione di mese inferiore ai quindici giorni.

1.1.– Ad avviso del TAR Lazio, questa disposizione violerebbe, in primo luogo, l’art. 3 Cost., per il carattere irragionevole e sproporzionato dell’aumento di quanto dovuto dai concessionari in regime di proroga tecnica, disposto in mancanza di alcuna indagine in ordine all’effettiva sostenibilità di tale onere e senza una correlazione con la cifra da porre a base d’asta per le nuove gare.

La disposizione censurata si porrebbe in contrasto, altresì, con l’art. 41 Cost., poiché l’ulteriore protrarsi della proroga tecnica, in corso dal 2013, di fatto senza una precisa delimitazione temporale, priverebbe gli operatori della possibilità di valutare la convenienza economica della scelta, data l’incertezza circa l’avvio della nuova gara.

Infine, sarebbero violati gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione sia ai principi di uguaglianza davanti alla legge e di non discriminazione, di cui agli artt. 20 e 21 CDFUE, sia al riconoscimento della libertà di impresa, di cui all’art. 16 della stessa CDFUE.

2.– Le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione.

3.– In via preliminare, deve essere rigettata l’eccezione sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato nell’ambito del giudizio iscritto al r. o. n. 99 del 2019.

La difesa statale ritiene contraddittoria la motivazione offerta dal giudice a quo a sostegno della rilevanza, poiché l’accoglimento delle censure di cui al primo motivo di ricorso avrebbe portato all’integrale soddisfazione della pretesa fatta valere dai ricorrenti, senza necessità di fare applicazione delle norme censurate.

Tuttavia, a sostegno di questa eccezione, l’atto di intervento dell’Avvocatura dello Stato riporta affermazioni che non sono affatto contenute nell’ordinanza di rimessione iscritta al r. o. n. 99 del 2019. Quest’ultima non fa menzione di motivi di ricorso diversi dall’illegittimità costituzionale della disposizione di legge di cui l’atto impugnato costituisce applicazione. L’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa statale risulta, pertanto, non fondata.

4.– Parimenti non fondate sono le eccezioni sollevate dalla difesa delle parti costituite B. E. srl e Coral srl in ordine alla regolarità dell’intervento dell’Avvocatura generale dello Stato.

4.1.– È vero che nell’atto di intervento depositato dalla difesa statale è indicato erroneamente il numero dell’ordinanza di rimessione; e che il comunicato della determinazione all’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri – pur indicando correttamente la disposizione oggetto di censura, la data dell’ordinanza di rimessione e l’ufficio giudiziario che l’ha emessa – reca l’erronea indicazione del nome delle parti.

Tuttavia, dalla considerazione complessiva degli atti depositati dalla difesa statale e del contenuto di ciascuno di essi, si comprende agevolmente che si tratta di meri errori materiali che non impediscono di individuare correttamente l’ordinanza di rimessione cui è riferito l’atto di intervento e di riconoscere, pertanto, la sua regolarità.

5.– Sono inammissibili gli ulteriori motivi di censura illustrati dalla difesa delle parti costituite.

5.1.– La difesa delle società B. E. srl e Coral srl assume che le prestazioni previste dalla disposizione censurata abbiano natura tributaria e ravvisa in essa la violazione del principio di progressività del sistema tributario, di cui all’art. 53 Cost., nonché il contrasto con le norme europee sulla libertà di concorrenza, sulla libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, di cui agli artt. 26, 49, 56, e 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130.

In riferimento a queste ulteriori censure, le parti private costituite chiedono anche che, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sia rimessa alla Corte di giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale interpretativa della disciplina della proroga tecnica.

5.2.– I profili di compatibilità con il diritto europeo evidenziati da B. E. srl e Coral srl attengono specificamente alla disciplina introdotta dalla legge n. 147 del 2013. Tuttavia, il giudice a quo non ha affatto censurato il principio dell’onerosità delle concessioni, né è in discussione la legittimità della scelta legislativa di prorogare l’efficacia di titoli concessori ormai scaduti. Le censure del rimettente si rivolgono, infatti, alla sola disposizione dell’art. l, comma 1047, della legge n. 205 del 2017 che, nel modificare la disciplina del 2013, ha elevato l’importo del canone mensile e differito il termine per lo svolgimento della gara.

5.3.– E’ nota, al riguardo, la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione, con esclusione della possibilità di ampliare il thema decidendum proposto dal rimettente, fino a ricomprendervi questioni formulate dalle parti, che tuttavia egli non abbia ritenuto di fare proprie (ex plurimis, sentenze n. 186 del 2020, n. 7 del 2019, n. 248, n. 194, n. 120, n. 27, n. 4 del 2018, n. 251, n. 250, n. 35 e n. 29 del 2017; n. 276, n. 214 e n. 96 del 2016, n. 231, n. 209 e n. 83 del 2015).

Da queste considerazioni discende l’estraneità rispetto al presente giudizio di legittimità costituzionale delle ulteriori censure sollevate dalle parti private e della questione interpretativa che le società B. E. srl e Coral srl vorrebbero che fosse sottoposta alla Corte di giustizia.

5.4.– La stessa delimitazione delle questioni di legittimità costituzionale all’incremento dei canoni previsto dalla disposizione censurata vale ad escludere che ricorrano i presupposti perché questa Corte sollevi d’ufficio dinanzi a sé la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 636, della legge n. 147 del 2013, come richiesto dalla difesa delle stesse società B. E. srl e Coral srl.

Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Lazio non attengono, come già rilevato, alla generale previsione dell’onerosità delle concessioni, siano esse da attribuire, ovvero già attribuite. Le censure del rimettente si appuntano, infatti, sul carattere sproporzionato, arbitrario e irragionevole del solo incremento disposto dall’art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017.

Tra le due questioni di legittimità costituzionale non è quindi ravvisabile quel nesso di necessaria strumentalità o di pregiudizialità logica, idoneo a giustificare l’esercizio, da parte di questa Corte, dell’eccezionale potere di autorimessione dinanzi a sé della questione di legittimità costituzionale di una norma rimasta estranea al fuoco delle censure del rimettente (sentenze n. 255 del 2014, n. 179 del 1976, n. 122 del 1976, n. 195 del 1972, nonché ordinanze n. 114 del 2014, n. 42 del 2001; n. 197 e n. 183 del 1996; n. 297 e n. 225 del 1995; n. 294 del 1993; n. 378 del 1992, n. 230 del 1975 e n. 100 del 1970).

6.– D’altra parte, non può essere accolta la richiesta, avanzata dalla difesa statale, di restituzione atti al giudice a quo, in considerazione dell’entrata in vigore della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023).

6.1.– In effetti, ancora prima di tale intervento legislativo, la disciplina introdotta dall’art. 1, comma 636, della legge n. 147 del 2013 è stata ripetutamente modificata.

Ciò è avvenuto, dapprima, per effetto dell’art. 1, comma 1096, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), che ha ricompreso nella proroga tecnica anche le concessioni in scadenza nel 2019.

In seguito, la disciplina in esame è stata nuovamente modificata dall’art. 24 del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 2019, n. 157, che ha differito al 31 settembre 2020 il termine entro il quale l’ADM indice la gara per l’attribuzione delle concessioni e ha, inoltre, esteso il regime di proroga tecnica anche alle concessioni in scadenza nel 2020.

Successivamente, il settore dei giochi e delle sale bingo è stato interessato da ripetuti interventi normativi connessi all’emergenza epidemiologica da COVID-19.

A seguito della sospensione dell’attività delle sale bingo disposta dal d.P.C.M. 8 marzo 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19), il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, all’art. 69, ha previsto che «non è dovuto il canone […] a decorrere dal mese di marzo [2020] e per tutto il periodo di sospensione dell’attività». Il medesimo decreto-legge ha, inoltre, prorogato di sei mesi i termini per l’indizione della gara per le concessioni del gioco del bingo.

In seguito, l’art. 18, comma 8-bis, del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali) convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2020, n. 40, ha prorogato al 22 settembre 2020 il versamento dei canoni di concessione in scadenza al 30 agosto 2020.

La ripresa dell’attività delle sale bingo è stata poi consentita, a partire dal 15 giugno 2020, dal d.P.C.m. 11 giugno 2020. A seguito degli ulteriori provvedimenti legati all’emergenza epidemiologica da COVID-19, a partire dal 26 ottobre 2020 l’attività delle sale bingo è stata nuovamente sospesa su tutto il territorio nazionale e, allo stato, non è ancora ripresa.

Da ultimo, la legge n. 178 del 2020 ha previsto alcune agevolazioni nelle modalità di pagamento, stabilendo in particolare, all’art. l, comma 1131, che il pagamento dei canoni relativi al primo semestre 2021 può essere effettuato in misura ridotta (2.800 euro per ogni mese o frazione di mese superiore a quindici giorni, e 1.400 euro per ogni frazione di mese pari o inferiore a quindici giorni). In base ai successivi commi 1132 e 1133, i titolari di concessione che scelgano di effettuare il pagamento in misura ridotta, sono tenuti a versare la restante parte – «fino alla copertura dell’intero ammontare del canone previsto dalla vigente normativa» – con rate mensili di pari importo, oltre agli interessi legali, dal 10 luglio 2021 ed entro il 10 dicembre 2022. Inoltre, in base al comma 1130, il termine per procedere alla gara per l’attribuzione delle nuove concessioni è stato nuovamente differito al 31 marzo 2023.

Gli interventi legislativi che si sono susseguiti nel 2020, successivi alla sospensione dell’attività dei concessionari, sono quindi volti ad agevolare il pagamento degli oneri concessori, senza eliminare l’obbligazione, né modificarne l’importo.

6.2.– Questa Corte ha costantemente affermato che «non ogni nuova disposizione che modifichi, integri o comunque possa incidere su quella oggetto del giudizio incidentale di costituzionalità richiede una nuova valutazione della perdurante sussistenza dei presupposti di ammissibilità della questione e segnatamente della sua rilevanza e della non manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale espressi dal giudice rimettente» (sentenze n. 79 del 2019 e n. 125 del 2018).

Nel caso in esame, nessuna delle sopravvenienze normative che si sono succedute dopo l’instaurazione del giudizio costituzionale giustifica la restituzione degli atti al giudice a quo per una nuova valutazione sulla rilevanza, così come richiesto dall’Avvocatura generale dello Stato. Esse, infatti, non modificano la disposizione censurata sotto i profili per i quali ne è denunciata l’illegittimità costituzionale, non rendono inattuali le valutazioni compiute dal rimettente e, anzi, presuppongono che essa sia in vigore, limitandosi a prevedere – oltre ad ulteriori rinvii del termine per lo svolgimento della gara – agevolazioni nell’adempimento dell’obbligo, attraverso la rateazione dei pagamenti. Le censure formulate dal rimettente non sono dunque scalfite dalle modifiche normative sopravvenute, che lasciano intatto il significato della disposizione censurata rispetto agli evidenziati profili di illegittimità costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 237 del 2020, n. 79 del 2019, n. 194, 125 e 33 del 2018).

7.– Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047 della legge n. 205 del 2017, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., non è fondata.

7.1.– In considerazione del contenuto particolare, nonché del limitato ambito soggettivo, la disciplina censurata va ascritta alla categoria delle leggi-provvedimento.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, disposizioni legislative di tale natura non sono di per sé incompatibili con l’assetto costituzionale. Peraltro, in considerazione del pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di questo tipo, esse devono soggiacere a uno scrutinio stretto di costituzionalità, sotto i profili della non arbitrarietà e della non irragionevolezza della scelta legislativa (ex plurimis, sentenze n. 116 del 2020, n. 181 del 2019, n. 182 del 2017, n. 275, n. 154 e n. 85 del 2013, n. 20 del 2012, n. 270 del 2010, n. 288 del 2008; n. 429 del 2002, n. 2 del 1997). La loro legittimità costituzionale deve essere «“valutata in relazione al loro specifico contenuto” [...] e devono risultare i criteri che ispirano le scelte con esse realizzate, nonché le relative modalità di attuazione» (sentenze n. 182 del 2017 e n. 270 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 275 e n. 85 del 2013), attraverso l’individuazione degli interessi oggetto di tutela e della ratio della norma desumibili dalla stessa, anche in via interpretativa, in base agli ordinari strumenti ermeneutici (sentenze n. 168 del 2020, n. 182 del 2017 e n. 270 del 2010).

7.2.– La valutazione in ordine alla congruità e proporzionalità delle misure legislative censurate deve essere, quindi, effettuata in funzione delle finalità perseguite in questo particolare settore dell’ordinamento. L’introduzione nel 2013 della originaria disciplina della proroga tecnica si prefiggeva l’obiettivo «di contemperare il principio di fonte comunitaria secondo il quale le concessioni pubbliche vanno attribuite ovvero riattribuite, dopo la loro scadenza, secondo procedure di selezione concorrenziale con l’esigenza di perseguire, in materia di concessioni di gioco per la raccolta del bingo, il tendenziale allineamento temporale di tali concessioni» (art. 1, comma 636, della legge n. 147 del 2013).

Nel caso in esame, il pagamento del canone mensile per i concessionari in proroga tecnica risulta correlato alla possibilità di continuare a svolgere l’attività oggetto di concessione, nonostante la scadenza del relativo termine di efficacia e l’assenza di una nuova gara. In questo modo, è stato attribuito un vantaggio al «concessionario in scadenza che intenda altresì partecipare al bando di gara per la riattribuzione della concessione» (art. 1, comma 636, della legge n. 147 del 2013), riconoscendogli la possibilità di partecipare alla nuova procedura selettiva senza soluzione di continuità rispetto alla precedente attività. Il canone mensile, quindi, oltre ad anticipare l’applicazione del principio di onerosità ad una fase antecedente allo svolgimento della gara per la loro attribuzione, risulta correlato al vantaggio attribuito ai titolari di quelle scadute, ai quali è consentita, in via eccezionale e transitoria, la prosecuzione dell’attività.

7.3.– Quanto poi all’incremento degli oneri a carico dei concessionari in proroga tecnica, esso si inserisce in un quadro complessivo di progressiva valorizzazione dei rapporti concessori e dei vantaggi competitivi che ne derivano per i privati, in funzione di una maggiore efficienza nell’utilizzo delle pubbliche risorse. La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo riconosciuto la legittimità di interventi legislativi che adeguano i canoni di godimento dei beni pubblici, in quanto volti, in conformità agli artt. 3 e 97 Cost., a perseguire obiettivi di equità e razionalizzazione dell’uso di tali beni (ex plurimis, sentenze n. 29 del 2017, n. 302 del 2010 e n. 88 del 1997).

Anche in questo caso, il principio di onerosità delle nuove concessioni e – ciò che più rileva nel caso in esame – la tendenza all’incremento, anche significativo, dei canoni rispondono a queste finalità di sistema e costituiscono – nel quadro di un mercato intensamente regolato, come quello dei giochi e delle scommesse in denaro – un elemento fisiologicamente riconducibile al rischio normativo di impresa (in questo senso, sentenza n. 16 del 2017).

7.4.– D’altra parte, dalla relazione depositata dall’Ufficio parlamentare di bilancio a seguito dell’ordinanza istruttoria di questa Corte del 26 marzo 2020 emerge che – anche dopo l’incremento disposto dalla norma oggetto di censura – l’incidenza degli oneri concessori sulla redditività delle concessioni è rimasta, nel complesso, marginale. Pur tenendo presente l’eterogeneità che caratterizza la raccolta delle giocate per singola concessione, per il novanta per cento delle concessioni – che presentano una raccolta di giocate compresa tra 2 e 15 milioni di euro – l’incidenza degli oneri concessori varia in misura compresa tra lo 0,75 e il 2,7 per cento rispetto alla raccolta.

Dalla relazione acquisita risulta, inoltre, la generalizzata adesione dei precedenti concessionari al regime di proroga e, al contempo, la sostanziale stabilità del numero degli stessi operatori a distanza di oltre sette anni dall’introduzione della relativa disciplina e di più di tre anni dall’incremento disposto dalla norma censurata. La considerazione complessiva di tali elementi avvalora, sia la valutazione di convenienza economica effettuata dai concessionari che hanno aderito al regime di proroga tecnica, sia la sostenibilità dei relativi oneri economici.

7.5.– È pur vero che con la disposizione censurata è stato abbandonato il precedente criterio di determinazione dei canoni, sino ad allora correlato alla base d’asta per le nuove concessioni. Infatti, nell’impostazione della legge n. 147 del 2013, il canone dovuto dai concessionari in proroga era inizialmente commisurato all’importo della base d’asta per le future gare per l’assegnazione delle nuove concessioni, suddiviso per il numero di mensilità comprese nel termine di durata delle stesse. In questo modo, il versamento dovuto mensilmente rappresentava una sostanziale anticipazione alla fase di proroga del regime oneroso previsto per le nuove concessioni.

Tuttavia, l’abbandono di questo criterio – in sé considerato – non è indice di arbitrarietà o irragionevolezza dell’incremento introdotto dalla disposizione censurata.

Intanto non c’è alcuna ragione che obblighi a correlare gli importi dovuti dai concessionari in proroga all’importo indicato come base d’asta delle nuove gare. Quest’ultimo, infatti, non necessariamente corrisponde all’onere economico che, all’esito della gara, i nuovi concessionari dovranno sostenere. La misura di questo onere è viceversa comparabile al prezzo di aggiudicazione, che è verosimilmente superiore alla soglia per partecipare alla gara. Inoltre, tale prezzo rappresenta un costo che gli aggiudicatari delle nuove concessioni devono liquidare in anticipo e per intero, assumendo così il rischio economico inerente alla complessiva durata del rapporto.

La ratio delle disposizioni censurate, volte ad allineare la situazione dei precedenti concessionari a quella di coloro che saranno i nuovi titolari di concessioni, porta a ritenere non irragionevole che il legislatore provveda ad adeguamenti nel tempo che rispondono ad una migliore valorizzazione delle risorse pubbliche e risultano d’altra parte sostenibili per gli interessati.

Sulla base di questi argomenti, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost, deve, quindi, ritenersi non fondata.

8.– Non è fondata neppure la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, coma 1047, della legge n. 205 del 2017, sollevata in riferimento all’art. 41 Cost.

Il giudice a quo ricollega la lesione della libertà di iniziativa economica dei titolari di concessioni in proroga ai ripetuti differimenti del termine per le gare e alla conseguente mancanza di un orizzonte temporale certo, entro il quale effettuare consapevoli scelte imprenditoriali.

8.1.– Come si è evidenziato al punto 6.1, gli interventi normativi che si sono susseguiti anche dopo la pubblicazione delle ordinanze di rimessione hanno determinato una progressiva dilatazione dei tempi per l’indizione della gara per l’attribuzione delle nuove concessioni. In questo modo, il protrarsi dell’efficacia della disciplina di natura transitoria introdotta dalla legge n. 147 del 2013 ha certo impedito sinora la realizzazione degli obiettivi di efficienza, concorrenzialità e trasparenza che avevano ispirato l’adozione di una nuova disciplina delle concessioni per l’esercizio delle sale bingo.

8.2.– Ciò premesso, va rilevato che, in ogni caso, la valutazione sulla convenienza dell’adesione al regime di proroga tecnica e sulla futura partecipazione alla gara spetta pur sempre all’imprenditore. A questi è rimessa, infatti, la scelta di avvalersi della proroga, a fronte del pagamento del canone mensile, sulla base di un proprio calcolo economico. È pur vero che in questa valutazione rientra anche il fattore temporale, legato alla data di effettivo svolgimento della futura gara, originariamente prevista per il 2014 e ora differita al 31 marzo 2023 (art. 1, comma 1130, della legge n. 178 del 2020).

Tuttavia, nel caso in esame, occorre tenere presente che si tratta di rapporti concessori ormai esauriti, la cui efficacia viene eccezionalmente e temporaneamente “conservata” dall’amministrazione. Rispetto a questi rapporti non è invocabile una tutela dell’affidamento, connessa alla durata dell’ammortamento degli investimenti e alla remunerazione dei capitali, poiché ciò è propriamente riferibile a rapporti concessori non ancora esauriti. In considerazione della temporaneità della proroga tecnica e della limitatezza di nuovi investimenti da affrontare e di nuovi ammortamenti da programmare, i riflessi del differimento della gara sul calcolo di convenienza economica degli operatori non appaiono determinanti.

Inoltre, e più in generale, va richiamata l’incidenza di un rischio normativo, che è tipico di settori di mercato, come quello in esame, intensamente regolati per la presenza, in qualità di concedente, della pubblica amministrazione. Come già riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte, la pervasiva componente pubblicistica che caratterizza il settore dei giochi pubblici può giustificare l’imposizione di sacrifici o limitazioni, in funzione del perseguimento degli interessi pubblici sottesi alla regolazione di queste attività imprenditoriali.

Proprio nel settore dell’esercizio e della raccolta dei giochi pubblici, questa Corte ha riconosciuto «l’originaria instabilità del nuovo rapporto concessorio (o della prosecuzione del rapporto concessorio scaduto [...] derivante [...] dall’essere stati individuati, gli stessi concessionari, con una modalità di affidamento (l’assegnazione diretta per legge, sulla base di una loro semplice opzione, ancorché a fronte del pagamento di una somma di denaro), costituente una vistosa eccezione alla regola generale della concorrenzialità. Quest’ultima circostanza in particolare – anche al di là di ogni considerazione sulle ragioni eccezionali che possono avere determinato la scelta del legislatore – contribuisce ad accentuare il carattere pubblicistico del rapporto di concessione in questione e, con esso, la sua ancora maggiore attitudine a essere oggetto di interventi regolativi pubblici funzionali alla cura degli interessi per i quali le attività di raccolta e gestione dei giochi pubblici sono legittimamente riservate al monopolio statale» (sentenza n. 56 del 2015; nello stesso senso, sentenza n. 16 del 2017).

In applicazione di questi principi, anche in questo caso, il differimento del termine per lo svolgimento della gara e l’estensione della durata dei rapporti concessori in essere non influiscono sulla valutazione della legittimità costituzionale della disposizione censurata.

9.– Anche in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017 non è fondata.

9.1.– A questo riguardo, il giudice rimettente evoca quali parametri interposti le disposizioni degli artt. 16, 20 e 21 della CDFUE. Mentre l’art. 16 riconosce la libertà d’impresa, gli artt. 20 e 21 sanciscono i principi di uguaglianza davanti alla legge e di non discriminazione. Nel caso in esame, i principi e diritti fondamentali enunciati dalla CDFUE si intrecciano con principi e diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione.

9.2.– In entrambe le ordinanze di rimessione, il giudice a quo ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale, sia in riferimento ai parametri interni, sia in riferimento a quelli della CDFUE, attraverso il richiamo agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., così dimostrando di aderire ai principi enunciati da questa Corte in ordine alla propria competenza a vagliare eventuali profili di contrarietà delle disposizioni di legge nazionali alla Carta dei diritti dell’Unione (sentenze n. 11 del 2020, n. 63 e n. 20 del 2019 e n. 269 del 2017). In questo caso, le ragioni addotte a sostegno della lamentata lesione delle disposizioni della CDFUE interferiscono e si sovrappongono con i valori costituzionali dell’uguaglianza, della ragionevolezza e della libertà dell’iniziativa economica privata.

Infatti, la tutela del principio di uguaglianza e della libertà di impresa avviene nella nostra Costituzione e nella CDFUE sulla base di formulazioni normative e di criteri interpretativi che possono ritenersi coincidenti.

Pertanto, nel caso in esame, accertata l’insussistenza della lesione del canone di ragionevolezza, non sussiste neppure la violazione degli analoghi principi, desumibili dagli artt. 20 e 21 della CDFUE, di eguaglianza davanti alla legge e di non discriminazione. Allo stesso modo – esclusa la violazione della libertà di iniziativa economica privata – non ricorre neppure la violazione dell’art. 16 della CDFUE, che contiene il riconoscimento della libertà d’impresa.

10.– Il giudizio qui reso non cancella i gravi profili disfunzionali della prassi legislativa del costante e reiterato rinvio delle gare, mediante interventi che – anziché favorire il passaggio verso la nuova regolazione di questo settore di mercato – si limitano a estendere, di volta in volta, l’ambito temporale della disciplina transitoria della proroga tecnica delle precedenti concessioni. Ciò è fonte di incertezza nelle attività e nelle prospettive degli operatori e rende auspicabile, anche a tutela della concorrenza, l’approdo a un quadro normativo in tutti i suoi aspetti definito e stabile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 41, nonché 11 e 117, primo comma, della Costituzione, questi ultimi due in relazione agli artt. 16, 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2021.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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