SENTENZA N. 92
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122; dell’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111; dell’art. 1, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), promossi dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale regionale per il Lazio con quattro ordinanze del 20 e del 22 agosto 2018, iscritte, rispettivamente, ai numeri 63, 66, 67 e 65 del registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 24 e 25, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visti gli atti di costituzione di G. J., di L. N., P. C. e C. M. e dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 14 aprile 2021 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;
deliberato nella camera di consiglio del 14 aprile 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 20 agosto 2018 (reg. ord. n. 63 del 2020), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122; dell’art. 16, comma l, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, e dell’art. l, comma l, lettera a), del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), nella parte in cui prevedono che, per il dipendente pubblico in favore del quale sia stata disposta una progressione di carriera negli anni dal 2011 al 2014 e che sia stato altresì collocato a riposo nell’arco di tale quadriennio, ai fini del trattamento pensionistico gli effetti di quella progressione di carriera siano limitati esclusivamente a quelli giuridici anche oltre la data del l° gennaio 2015.
Il giudice rimettente premette di aver accertato, con dispositivo letto all’udienza del 22 gennaio 2018, che G. J., ex militare dell’Esercito, era stato collocato a riposo il 31 dicembre 2014 perché dichiarato permanentemente non idoneo al servizio militare incondizionato, sicché dal giorno prima era stato promosso dal grado di brigadiere generale a quello di maggiore generale in base all’art. 1076 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), nella formulazione all’epoca vigente. Da tale promozione, tuttavia, non era derivato allo stesso alcun beneficio stipendiale in costanza del rapporto d’impiego, a causa del blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera introdotto per il personale cosiddetto non contrattualizzato dall’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, per il triennio 2011-2013 e poi prorogato per tutto il 2014. La Corte dei conti ritiene, inoltre, che non potrebbe sperimentarsi una interpretazione costituzionalmente orientata del predetto assetto normativo, per evitare disparità di trattamento con coloro i quali sono stati collocati in quiescenza dopo la data del 1° gennaio 2015, ritenendo che da tale momento la progressione in carriera riverbera effetti economici sul piano pensionistico, e ciò in virtù del combinato disposto degli artt. 43 e 53 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), secondo cui «[a]i fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza […] la base pensionabile» è «costituita dall’ultimo stipendio o dall’ultima paga […] integralmente percepiti».
Ciò premesso, il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale delle norme censurate, in quanto comporterebbero un’illegittima disparità di trattamento ai sensi dell’art. 3 Cost., fondata sulla circostanza che gli effetti del blocco disposto sono solo temporanei nei confronti di coloro che rimangono in servizio dopo la cessazione dello stesso mentre diventano permanenti, riverberandosi sul trattamento pensionistico, per coloro i quali sono collocati a riposo “in costanza” del blocco medesimo. Il medesimo giudice rimettente sottolinea, in proposito, che di regola la data della collocazione in quiescenza prescinde dalla volontà dell’interessato e che l’irragionevolezza della disciplina sarebbe particolarmente evidente nella vicenda sottesa all’ordinanza di rimessione nella quale l’avanzamento in carriera del ricorrente era avvenuto per la speciale promozione cosiddetta alla vigilia di cui all’art. 1076, comma 1, cod. ordinamento militare, all’epoca vigente, promozione che, di conseguenza, sebbene di carattere doveroso in base alla legge, avrebbe finito con l’assumere carattere meramente virtuale.
Con atto di costituzione depositato in data 25 giugno 2020, G. J. ha evidenziato che non è suscettibile di incidere sulla questione sollevata la sentenza n. 200 del 2018 di questa Corte, sopravvenuta all’ordinanza di rimessione, in virtù della natura “speciale” della promozione disposta ai sensi dell’art. 1076 cod. ordinamento militare. Sottolinea che lo statuto peculiare della propria progressione in carriera rispetto agli effetti del blocco dovrebbe trarsi anche dalla circostanza che l’istituto della promozione cosiddetta “alla vigilia” è stato in seguito abrogato dall’art. 1, comma 258, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», a decorrere dal 1° gennaio 2015 e che, quindi, per le promozioni anteriori a tale data, l’applicazione del “blocco” di cui all’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010 (come convertito e prorogato all’anno 2014) comporterebbe un’inammissibile anticipazione dell’abrogazione, non voluta dal legislatore, come si desumerebbe dagli stessi dati della Relazione tecnica a tale legge. Conclude pertanto nel senso dell’illegittimità costituzionale delle norme censurate, ove ritenute applicabili anche nell’ipotesi di promozione avvenuta in forza dell’allora vigente art. 1076, comma 1, cod. ordinamento militare.
Con atto depositato in data 30 giugno 2020, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo in via pregiudiziale l’inammissibilità della questione poiché l’ordinanza di rimessione sarebbe motivata per relationem alla precedente ordinanza della stessa Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Liguria, avente ad oggetto le medesime norme e iscritta al n. 71 reg. ord. del 2017, decisa con la citata sentenza n. 200 del 2018. Ne deriverebbe, peraltro, anche una genericità della censura relativa all’art. 3 Cost., in quanto non parametrata su alcun fattore concreto o tertium comparationis.
Nel merito, l’Avvocatura generale evidenzia la non fondatezza della questione in virtù dei principi enunciati nella indicata sentenza n. 200 del 2018.
Con atto depositato in data 30 giugno 2020, è intervenuto l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), deducendo l’inammissibilità o comunque la non fondatezza delle questioni, in quanto sarebbero identiche a quelle già dichiarate non fondate con l’indicata sentenza n. 200 del 2018.
2.– Con ordinanza del 22 agosto 2018 (reg. ord. n. 65 del 2020), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, e dell’art. 16, comma l, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, come convertiti, nonché dell’art. l, comma l, lettera a), del d.P.R. n. 122 del 2013, nella parte in cui, per il dipendente pubblico in favore del quale sia stata disposta una progressione di carriera negli anni dal 2011 al 2014 e che sia stato altresì collocato a riposo nell’arco di tale quadriennio, prevedono che per il trattamento pensionistico gli effetti di quella progressione di carriera permangano limitati ai soli fini giuridici anche oltre la data del l° gennaio 2015.
Il giudice rimettente premette di aver rigettato, con dispositivo letto all’udienza del 22 gennaio 2018, la domanda con la quale L. N., ex militare della Marina collocato a riposo in data 9 novembre 2013, aveva chiesto che fosse accertato da tale momento il proprio diritto ad ottenere il trattamento pensionistico commisurato al grado di ammiraglio ispettore capo attribuitogli a decorrere dal 10 novembre 2011, a causa del blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera introdotto per il personale cosiddetto non contrattualizzato dall’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, per il triennio 2011-2013 e poi prorogato per tutto il 2014. Il giudice a quo evidenzia di essersi invece riservato di decidere, all’esito dell’incidente di legittimità costituzionale, sulla domanda dell’interessato di corresponsione del trattamento pensionistico in questione a partire dalla data del 1° gennaio 2015, di cessazione del “blocco”, ritenendo non essendo possibile un’interpretazione costituzionalmente conforme – volta cioè a evitare disparità di trattamento rispetto ai militari collocati in quiescenza dopo tale data – in virtù del combinato disposto degli artt. 43 e 53 del d.P.R. n. 1092 del 1973, secondo cui «[a]i fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza […] la base pensionabile» è «costituita dall’ultimo stipendio o dall’ultima paga […] integralmente percepiti».
Ciò premesso, la Corte dei conti dubita della legittimità costituzionale del censurato assetto normativo in quanto determinerebbe un’illegittima disparità di trattamento ai sensi dell’art. 3 Cost., poiché gli effetti del blocco finirebbero con l’essere solo temporanei nei confronti di coloro che rimangono in servizio dopo la cessazione dello stesso e diventano invece permanenti, riverberandosi sul trattamento pensionistico, per coloro i quali sono collocati a riposo “in costanza” del blocco medesimo. Tale disparità di trattamento sarebbe vieppiù irragionevole in quanto la data del collocamento a riposo di norma prescinde dalla volontà dell’interessato.
Con atto depositato in data 6 luglio 2020, si è costituito L. N. deducendo l’illegittimità costituzionale ex art. 3 Cost. delle norme censurate che, per i militari, considerate le modalità di calcolo del trattamento pensionistico in base all’ultima retribuzione percepita, finiscono per l’assumere carattere permanente (e non temporaneo, secondo le indicazioni che sarebbero ritraibili dalla giurisprudenza costituzionale) e la cui applicazione dipende da un criterio meramente casuale (ossia la cessazione del rapporto di lavoro in pendenza del “blocco”).
Con atto depositato in data 6 luglio 2020, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, svolgendo difese analoghe a quelle compiute nel procedimento di cui all’ordinanza iscritta al n. 63 reg. ord. del 2020.
3.– Con ordinanza del 20 agosto 2018 (reg. ord. n. 66 del 2020), la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010; dell’art. 16, comma l, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, come convertiti, e dell’art. l, comma l, lettera a), del d.P.R. n. 122 del 2013, nella parte in cui, per il dipendente pubblico in favore del quale sia stata disposta una progressione di carriera negli anni dal 2011 al 2014 e che sia stato altresì collocato a riposo nell’arco di tale quadriennio, prevedono che per il trattamento pensionistico gli effetti di quella progressione di carriera permangano siano limitati solo ai fini giuridici anche dopo la data del l° gennaio 2015.
Il giudice rimettente premette di aver accertato, con dispositivo letto all’udienza del 22 gennaio 2018, la non fondatezza della domanda con la quale P. C., ex militare della Marina collocato a riposo in data 1° giugno 2013, aveva chiesto che fosse riconosciuto da tale momento il proprio diritto ad ottenere il trattamento pensionistico commisurato al grado di ammiraglio ispettore capo attribuitogli a decorrere dal 25 febbraio 2012, a causa del blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera introdotto per il personale cosiddetto non contrattualizzato dall’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, per il triennio 2011-2013 e poi prorogato per tutto il 2014. Il giudice a quo evidenzia di essersi invece riservato di decidere, all’esito dell’incidente di legittimità costituzionale, sulla domanda dell’interessato di corresponsione del trattamento pensionistico in questione a partire dalla data del 1° gennaio 2015, di cessazione del “blocco”, non essendo possibile un’interpretazione costituzionalmente conforme – volta, cioè, a evitare disparità di trattamento con i militari collocati in quiescenza dopo tale data – in virtù del combinato disposto degli artt. 43 e 53 del d.P.R. n. 1092 del 1973, secondo cui «[a]i fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza […] la base pensionabile» è «costituita dall’ultimo stipendio o dall’ultima paga […] integralmente percepiti».
Ciò premesso, la Corte dei conti dubita della compatibilità del descritto assetto normativo con l’art. 3 Cost., con argomentazioni analoghe, sul piano della non manifesta infondatezza, a quelle dell’ordinanza iscritta al n. 65 reg. ord. del 2020.
Con atto depositato in data 6 luglio 2020, si è costituito P. C. il quale ha dedotto l’illegittimità ex art. 3 Cost., delle norme censurate che, per i militari, considerate le modalità di calcolo del trattamento pensionistico in base all’ultima retribuzione percepita, finiscono per l’assumere carattere permanente (e non temporaneo, secondo le indicazioni della giurisprudenza costituzionale) e la cui applicazione dipende da un criterio meramente casuale (ossia la cessazione del rapporto di lavoro in pendenza del “blocco”).
Con atto depositato in data 6 luglio 2020, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale, spiegando difese analoghe a quelle svolte nei procedimenti di cui alle ordinanze iscritte al n. 63 e al n. 65 reg. ord. del 2020.
4.– Con ordinanza del 20 agosto 2018 (reg. ord. n. 67 del 2020), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010 e 16, comma l, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, come convertiti, nonché dell’art. l, comma l, lettera a), del d.P.R. n. 122 del 2013, nella parte in cui, per il dipendente pubblico in favore del quale sia stata disposta una progressione di carriera negli anni dal 2011 al 2014 e che sia stato altresì collocato a riposo nell’arco di tale quadriennio, prevede che per il trattamento pensionistico gli effetti di quella progressione di carriera permangano limitati esclusivamente ai fini giuridici anche oltre la data del l° gennaio 2015.
Il giudice rimettente premette di aver rigettato, con dispositivo letto all’udienza del 22 gennaio 2018, la domanda con la quale C. M., ex militare dell’Aeronautica collocato a riposo in data 22 maggio 2014, aveva chiesto che fosse accertato da tale momento il proprio diritto ad ottenere il trattamento pensionistico commisurato al grado di ammiraglio ispettore capo attribuitogli a decorrere dall’11 marzo 2013, a causa del blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera introdotto per il personale cosiddetto non contrattualizzato dall’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, per il triennio 2011-2013 e poi prorogato per tutto il 2014.
Tuttavia, nella medesima sentenza, il giudice rimettente si era riservato di decidere, all’esito dell’incidente di legittimità costituzionale, sulla domanda dell’interessato di corresponsione del trattamento pensionistico in questione dalla data del 1° gennaio 2015, di cessazione del “blocco”, non ritenendo possibile un’interpretazione costituzionalmente conforme – in quanto volta a evitare disparità di trattamento con coloro i quali sono stati collocati in quiescenza dopo tale data – in virtù del combinato disposto degli artt. 43 e 53 del d.P.R. n. 1092 del 1973, secondo cui «[a]i fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza […] la base pensionabile» è «costituita dall’ultimo stipendio o dall’ultima paga […] integralmente percepiti».
Ciò premesso, la Corte dei conti dubita della compatibilità di tale assetto normativo con l’art. 3 Cost., con argomentazioni analoghe, sul piano della non manifesta infondatezza, a quelle delle ordinanze iscritte al n. 65 e al n. 66 reg. ord. del 2020.
Con atto depositato in data 6 luglio 2020, si è costituito C. M., il quale ha dedotto l’illegittimità costituzionale ex art. 3 Cost., delle norme censurate che, per i militari, considerate le modalità di calcolo del trattamento pensionistico in base all’ultima retribuzione percepita, finiscono per assumere carattere permanente (e non temporaneo, secondo le indicazioni della giurisprudenza costituzionale) e la cui applicazione dipende da un criterio meramente casuale (ossia la cessazione del rapporto di lavoro in pendenza del “blocco”).
Con atto depositato in data 7 luglio 2020, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale, svolgendo difese analoghe a quelle compiute nei procedimenti di cui alle ordinanze iscritte al n. 63 e al n. 65 reg. ord. del 2020.
Considerato in diritto
1.– Con quattro ordinanze del 20 e 22 agosto 2018, iscritte le prime tre ai numeri 63, 66, 67, e la quarta al n. 65 del registro ordinanze del 2020, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, ha sollevato, in relazione all’art. 3 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122; dell’art. 16, comma l, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111; e dell’art. 1, comma l, lettera a), del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), nella parte in cui prevede che, per il dipendente pubblico in favore del quale sia stata disposta una progressione di carriera negli anni dal 2011 al 2014 e che sia stato altresì collocato a riposo nell’arco di tale quadriennio, ai fini del trattamento pensionistico gli effetti di quella progressione di carriera permangano limitati esclusivamente ai fini giuridici anche oltre la data di cessazione del blocco.
La Corte rimettente dubita della legittimità costituzionale di tale assetto normativo per la disparità di trattamento determinata ai sensi dell’art. 3 Cost. tra coloro che rimangono in servizio dopo la cessazione del blocco, per i quali i relativi effetti sono solo temporanei, e quanti sono collocati a riposo “in costanza” del blocco medesimo, nei confronti dei quali tali effetti diventano permanenti, perché si riverberano sul trattamento pensionistico.
Nel giudizio iscritto al n. 63 reg. ord. del 2020, la Corte rimettente ha sottolineato che l’irragionevolezza della disciplina applicabile sarebbe particolarmente evidente perché la stessa dovrebbe trovare applicazione in una fattispecie nella quale l’avanzamento in carriera del militare era avvenuto in virtù dell’istituto speciale della promozione cosiddetta “alla vigilia” di cui all’art. 1076 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), all’epoca vigente, promozione che, di conseguenza, sebbene di carattere doveroso, finirebbe con l’assumere carattere meramente virtuale.
2.– I giudizi devono essere riuniti in ragione della loro connessione oggettiva, per essere trattati congiuntamente e decisi con un’unica pronuncia.
3.– In tutti i procedimenti l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, per essere le ordinanze di rimessione motivate per relationem, in punto di non manifesta infondatezza, alla precedente ordinanza iscritta al n. 71 reg. ord. del 2017 della stessa Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Liguria, avente ad oggetto le medesime norme.
Sebbene sia consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per il quale l’autonomia di ciascun giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, quanto ai requisiti necessari per la sua valida instaurazione, e il conseguente carattere autosufficiente della relativa ordinanza di rimessione, impongono al giudice a quo di rendere espliciti, facendoli propri, i motivi della non manifesta infondatezza, non potendo limitarsi ad un mero richiamo a quelli evidenziati in altre ordinanze di rimessione emanate nello stesso o in altri giudizi (ex plurimis, sentenze n. 88 e n. 83 del 2018, n. 170 del 2015, n. 103 del 2007; ordinanze n. 85, n. 64 e n. 19 del 2018, n. 156 del 2012 e n. 33 del 2006), l’eccezione non è fondata.
Quanto all’ordinanza iscritta al n. 63 reg. ord. del 2020, è sufficiente evidenziare che la stessa solleva la questione di legittimità costituzionale anche con riguardo ad un profilo che non veniva in rilievo nell’ordinanza di rimessione iscritta al n. 71 reg. ord. del 2017, ossia quello delle conseguenze, assunte come vieppiù irragionevoli, dell’applicazione delle norme censurate nell’ipotesi di promozione cosiddetta alla vigilia, profilo che è adeguatamente argomentato dal giudice a quo.
Con riferimento agli altri atti di promovimento, che hanno contenuto analogo, l’eccezione dell’Avvocatura generale deve essere parimenti respinta poiché – se è vero che la Corte dei conti effettua un espresso rinvio alla motivazione sulla non manifesta infondatezza all’indicata ordinanza di rimessione, iscritta al n. 71 reg. ord. del 2017 – nel testo degli stessi sono comunque ripercorse, seppur sinteticamente, le argomentazioni poste a fondamento del dubbio di legittimità costituzionale.
4.– Ancora in via preliminare, va considerato che, nei giudizi di cui alle ordinanze di rimessione iscritte al n. 63 e al n. 67 reg. ord. del 2020, la Corte dei conti deve fare applicazione dell’art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013, che proroga il blocco stipendiale per l’anno 2014, perché i ricorrenti sono cessati dal servizio rispettivamente a decorrere dal 31 dicembre 2014 e dal 22 maggio 2014, ossia proprio nel corso dell’anno che ha visto prorogata – per quel che rileva in questa sede – la disciplina legale limitativa degli incrementi retributivi e, dunque, di una disposizione di rango secondario nella gerarchia delle fonti normative.
Il predetto art. 1 ha infatti natura regolamentare, come espressamente previsto dalla disposizione di legge (art. 16, comma 1, lettera b, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito) che ha autorizzato il Governo a emanarla, e, quindi, costituisce una norma subprimaria, priva di «forza di legge» ai sensi dell’art. 134 Cost.
Tale natura subprimaria della disciplina posta dal regolamento citato potrebbe far dubitare dell’ammissibilità delle questioni sollevate dal giudice rimettente, in quanto verrebbe in rilievo il limite del sindacato accentrato di costituzionalità posto dall’art. 134 Cost.
Tuttavia, come è stato già chiarito da questa Corte rispetto alla stessa disposizione, nella fattispecie in esame sussiste uno stretto nesso di specificazione qualificata, che lega la norma primaria e quella subprimaria, sicché può ben dirsi che la norma regolamentare costituisce il «completamento del contenuto prescrittivo» della norma primaria (sentenza n. 200 del 2018).
5.– Le questioni sollevate dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, con le ordinanze iscritte al n. 65, al n. 66 e al n. 67 reg. ord. del 2020 sono manifestamente infondate.
Questa Corte (sentenza n. 200 del 2018), infatti, ha già esaminato e dichiarato non fondate le analoghe questioni di costituzionalità sollevate con l’ordinanza iscritta al n. 71 reg. ord. del 2017, alla quale – come sopra osservato – ha fatto integrale riferimento la Corte rimettente.
Nella richiamata pronuncia la Corte ha ritenuto non fondata la prospettata violazione dell’art. 3 Cost. ponendo in evidenza che «[u]na volta sterilizzati ex lege, per effetto della disposizione censurata, gli automatismi retributivi nel quadriennio in questione, la retribuzione utile ai fini previdenziali è quella risultante dall’applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza».
Anche le ordinanze di rimessione hanno ad oggetto le medesime previsioni normative – le quali rinvengono la propria ratio nella finalità di contenimento e razionalizzazione della spesa per il pubblico impiego (ex multis, sentenze n. 178 del 2015, n. 154 del 2014 e n. 310 del 2013) – e la dedotta censura fa parimenti riferimento alla asserita lesione del principio di eguaglianza.
In mancanza di argomentazioni nuove e diverse, vanno dichiarate manifestamente infondate le questioni attualmente sollevate dalla Corte rimettente.
6.– Infondata è anche la questione di legittimità costituzionale delle medesime norme censurate, sollevata dall’ordinanza iscritta al n. 63 reg. ord. del 2020, in riferimento all’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento, assunta come irragionevole rispetto alle ipotesi già scrutinate, a carico dei militari che abbiano beneficiato, nel periodo del “blocco” retributivo, della speciale promozione cosiddetta “alla vigilia”, contemplata dall’art. 1076, comma 1, cod. ordinamento militare, all’epoca vigente.
Quest’ultima previsione normativa, abrogata dall’art. 1, comma 258, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», ma applicabile ratione temporis alla fattispecie che è oggetto dell’indicata ordinanza di rimessione iscritta al n. 63 reg. ord. del 2020, stabiliva – riproducendo a propria volta l’art. 1 della legge 22 luglio 1971, n. 536 (Norme in materia di avanzamento di ufficiali e sottufficiali in particolari situazioni) – che «[g]li ufficiali delle Forze armate iscritti in quadro di avanzamento o giudicati idonei una o più volte ma non iscritti in quadro, i quali, rispettivamente, non possono conseguire la promozione o essere ulteriormente valutati perché raggiunti dai limiti di età per la cessazione dal servizio permanente o perché divenuti permanentemente inabili al servizio incondizionato o perché deceduti, sono promossi al grado superiore, in aggiunta alle promozioni previste, dal giorno precedente a quello del raggiungimento dei limiti di età o del giudizio di permanente inabilità o del decesso [...]. Nel primo caso gli ufficiali promossi sono collocati in ausiliaria applicandosi i limiti di età previsti per il grado rivestito prima della promozione; nei restanti casi gli ufficiali promossi sono collocati nella riserva o in congedo assoluto, a seconda dell’idoneità».
Dai lavori preparatori della legge n. 536 del 1971 si evince che l’istituto speciale della promozione “alla vigilia” era volto ad attenuare la rigidità del meccanismo di sviluppo della carriera militare che si caratterizzava, stante la struttura piramidale del relativo apparato, per un numero particolarmente limitato di posti nelle qualifiche superiori della scala gerarchica.
Ciò comportava che alcuni ufficiali permanessero in determinati gradi per prolungati periodi di tempo e che, in caso di raggiungimento dei limiti di età o di sopravvenuta inidoneità o di decesso, non avessero la possibilità di conseguire la promozione al grado superiore per mancanza di posti, pur essendo stati valutati con giudizio favorevole.
La promozione “alla vigilia” era dunque volta a porre un correttivo alla rigidità delle norme di avanzamento in carriera dei militari, al verificarsi di eventi che ponevano termine all’attività di servizio.
Caratteristica di tale forma speciale di promozione era che la stessa non incideva sul numero degli ufficiali superiori o di quelli generali, poiché gli interessati appena promossi, con efficacia dal giorno precedente all’attribuzione della qualifica superiore, erano contemporaneamente posti in congedo per limiti di età o per inabilità permanente o comunque cessava il servizio per decesso. Il provvedimento aveva quindi effetti stipendiali per un solo giorno sì da fissare ad un livello più elevato l’“ultima retribuzione”, rilevante per la quantificazione del trattamento pensionistico.
7.– Queste essendo le linee essenziali dell’istituto della promozione “alla vigilia”, abrogato dalla legge di stabilità per l’anno 2015, la questione sollevata dall’ordinanza iscritta al n. 63 reg. ord. del 2020 non è fondata.
Va osservato, infatti, che l’ampiezza della formula utilizzata dall’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, laddove per delineare il perimetro di applicazione e la portata del blocco retributivo fa riferimento alle «progressioni in carriera comunque denominate», comporta che rientra nella relativa disciplina anche quella contemplata dall’abrogato art. 1076, comma 1, cod. ordinamento militare, in quanto non è prevista per tale ipotesi alcuna deroga al meccanismo generale del blocco.
Anche la promozione “alla vigilia” rappresenta una progressione in carriera ancorché di efficacia limitata ad un solo giorno e quindi, non essendo eccettuata dal generale regime di blocco della progressione economica in tutto il pubblico impiego, rientra anch’essa nell’ampia nozione di «progressioni in carriera comunque denominate», con conseguente assoggettamento alla disciplina limitativa censurata nella parte in cui ha previsto che esse hanno effetto, per gli anni del blocco, «ai fini esclusivamente giuridici».
Le ricadute sul trattamento pensionistico in caso di collocamento in quiescenza nel periodo del blocco sono già state esaminate da questa Corte nella richiamata pronuncia (sentenza n. 200 del 2018), secondo cui la «circostanza che, superato il quadriennio, al dipendente “promosso” sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche sul piano (contributivo e) previdenziale e del trattamento pensionistico, si giustifica – senza che perciò sia leso il principio di eguaglianza – per l’incidenza del “fluire del tempo” che costituisce sufficiente elemento idoneo a differenziare situazioni non comparabili e a rendere applicabile alle stesse una disciplina diversa (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2018, n. 53 del 2017, n. 254 del 2014)».
Investita della medesima questione, anche con riferimento all’ulteriore prolungamento per un anno del blocco retributivo (art. 1, comma 256, legge n. 190 del 2014), questa Corte (sentenza n. 167 del 2020) ha dato continuità a tale orientamento ribadendo che la ricaduta sul piano del rapporto previdenziale della regola dell’invarianza della retribuzione dei pubblici dipendenti in caso di progressione di carriera è generalizzata e non consente di porre utilmente a raffronto il trattamento pensionistico, spettante ai dipendenti collocati in quiescenza nel corso del quinquennio in questione, con quello riconosciuto ai dipendenti collocati in quiescenza dopo la scadenza di tale periodo.
Non può quindi ritenersi che l’applicazione della disciplina censurata concreti una violazione dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento con specifico riferimento alla promozione “alla vigilia”. E anzi il fatto che il legislatore non abbia sottratto questa fattispecie al blocco evita che possa esservi un trattamento differenziato tra i militari che nel periodo del blocco hanno conseguito la promozione per merito, esercitando le mansioni della qualifica superiore fino al collocamento in quiescenza, avvenuto nel periodo del blocco, e quelli ai quali nello stesso periodo è stata attribuita la qualifica superiore senza l’esercizio delle relative mansioni, come trattamento di miglior favore al momento del collocamento in quiescenza, o della sopravvenuta inabilità al servizio, o del decesso, in applicazione dell’art. 1076, comma 1, cod. ordinamento militare.
Pertanto, va dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, dell’art. 16, comma l, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, e dell’art. l, comma l, lettera a), del d.P.R. n. 122 del 2013.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, dell’art. 16, comma l, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, e dell’art. l, comma l, lettera a), del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, con le ordinanze iscritte al n. 65, n. 66 e n. 67 reg. ord. del 2020, indicate in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, dell’art. 16, comma l, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, e dell’art. l, comma l, lettera a), del d.P.R. n. 122 del 2013, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, con l’ordinanza iscritta al n. 63 reg. ord. del 2020, indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA