SENTENZA N. 112
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 11, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 30 dicembre 2020, n. 25 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2021-2023), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato l’8-12 marzo 2021, depositato in cancelleria il 9 marzo 2021, iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;
udita nell’udienza pubblica del 5 aprile 2022 la Giudice relatrice Daria de Pretis;
uditi l’avvocato dello Stato Federico Basilica per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Daniela Iuri per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;
deliberato nella camera di consiglio del 5 aprile 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 5 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 30 dicembre 2020, n. 25 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2021-2023), per violazione della competenza legislativa statale in materia di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione), e l’art. 11, commi 1, 2 e 3, della medesima legge regionale per violazione della competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.).
1.1.– Quanto al primo motivo di ricorso, l’art. 5 stabiliva, nel suo testo originario, che, «[a] causa della situazione emergenziale causata dalla pandemia da COVID-19 e della conseguente grave crisi economica che ha investito il settore degli autoservizi pubblici non di linea, i titolari di autorizzazione per il noleggio con conducente e i titolari di licenza taxi, in via del tutto eccezionale e fino al 31 dicembre 2022, possono cedere l’attività anche senza aver raggiunto i cinque anni dal rilascio dei medesimi titoli, fatti salvi i vincoli eventualmente derivanti da contribuzioni pubbliche».
In seguito, l’art. 5, comma 1, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2021, n. 23 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2022-2024), ha sostituito il termine del «31 dicembre 2022» con quello del «31 gennaio 2022».
Il ricorrente ricorda che, in base all’art. 8, comma 1, della legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea), «[l]a licenza per l’esercizio del servizio di taxi e l’autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente sono rilasciate dalle amministrazioni comunali, attraverso bando di pubblico concorso». In base all’art. 9, comma 1, della citata legge, «[l]a licenza per l’esercizio del servizio di taxi e l’autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente sono trasferite, su richiesta del titolare, a persona dallo stesso designata, purché iscritta nel ruolo di cui all’articolo 6 ed in possesso dei requisiti prescritti, quando il titolare stesso si trovi in una delle seguenti condizioni: a) sia titolare di licenza o di autorizzazione da cinque anni; b) abbia raggiunto il sessantesimo anno di età; c) sia divenuto permanentemente inabile o inidoneo al servizio per malattia, infortunio o per ritiro definitivo della patente di guida». In base all’art. 9, comma 3, «[a]l titolare che abbia trasferito la licenza o l’autorizzazione non può esserne attribuita altra per concorso pubblico e non può esserne trasferita altra se non dopo cinque anni dal trasferimento della prima».
Secondo il ricorrente, l’art. 9 risponderebbe «all’esigenza di evitare possibili fenomeni speculativi idonei a falsare la concorrenza, “atteso che la licenza conseguita per concorso è di carattere gratuito”». Il ricorrente ritiene che, pur rientrando la materia del servizio pubblico di trasporto, di linea e non di linea, nella competenza residuale regionale, la disciplina del trasferimento delle licenze e autorizzazioni afferisca anche alla materia trasversale della «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva statale. In particolare, il limite temporale minimo di cinque anni, richiesto dall’art. 9, comma 1, lettera a), della citata legge n. 21 del 1992, definirebbe «il punto di equilibrio fra il libero esercizio dell’attività di trasporto e gli interessi pubblici interferenti con tale libertà». Il ricorrente ricorda la sentenza n. 30 del 2016 di questa Corte, secondo la quale il bilanciamento operato dal legislatore statale fra libera iniziativa economica e altri interessi costituzionali costituisce espressione della potestà legislativa statale in materia di tutela della concorrenza e non sarebbe modificabile dal legislatore regionale.
Da ciò deriverebbe l’illegittimità costituzionale della norma regionale impugnata: infatti essa, prevedendo una deroga temporanea al limite quinquennale fissato per il trasferimento della licenza, altererebbe «il meccanismo diretto a regolare l’accesso al mercato», come definito dall’art. 9 della legge n. 21 del 1992, e dunque «le regole della concorrenza nello specifico settore, che anche le Regioni a statuto speciale devono seguire».
Il ricorrente ricorda le competenze legislative previste dall’art. 4, numero 11 («trasporti su funivie e linee automobilistiche, tranviarie e filoviarie, di interesse regionale»), e dall’art. 5, numero 7 («disciplina dei servizi pubblici di interesse regionale ed assunzione di tali servizi»), della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia), osservando che esse vanno esercitate nel rispetto dei limiti previsti dalle citate disposizioni statutarie. Inoltre, rileva che, dato il suo carattere trasversale, la «tutela della concorrenza» assumerebbe carattere prevalente e fungerebbe da limite alla disciplina che le regioni possono dettare nelle materie di propria competenza, sia pure entro quanto strettamente necessario ad assicurare gli interessi alla cui garanzia la competenza statale esclusiva è diretta.
1.2.– Venendo al secondo motivo di ricorso, l’art. 11 della legge regionale impugnata stabiliva, nel suo testo originario, quanto segue: «1. Attesa l’emergenza epidemiologica da COVID-19, per l’annualità 2021 l’importo annuo del canone dovuto quale corrispettivo dell’utilizzazione di beni demaniali marittimi di competenza regionale e comunale con qualunque finalità non può, comunque, essere inferiore a 361,90 euro. 2. Non è dovuto alcun canone qualora il bene demaniale marittimo statale venga concesso a enti pubblici, anche economici, al fine della realizzazione di un’opera pubblica. 3. Il canone demaniale per le concessioni e le autorizzazioni inerenti all’utilizzo di beni del demanio marittimo e del demanio idrico regionale, relative alla messa in opera e all’utilizzo dei cosiddetti bilancioni (impianti con rete), è determinato con esclusivo riferimento alla superficie sviluppata dalla rete. 4. La durata delle concessioni demaniali marittime in scadenza è prorogata fino al 31 dicembre 2021 al fine di consentire alle Amministrazioni concedenti il perfezionamento dei procedimenti amministrativi di competenza nel rispetto della normativa vigente».
In seguito, l’art. 11, comma 4, della citata legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 23 del 2021 ha sostituito (nel comma 1) le parole «per l’annualità 2021» con le parole «per l’annualità 2022».
Le norme impugnate, rileva il ricorrente, «incidono sulla disciplina del canone demaniale marittimo/idrico, prevedendone un ammontare minimo (comma 1), un’ipotesi di esenzione […] (comma 2), [e] disciplinandone le modalità di quantificazione riferite ad una determinata categoria di beni (comma 3)».
Il ricorrente ricorda che la Regione è dotata di competenza legislativa primaria in materia di ittica, pesca e turismo, ai sensi dell’art. 4, numeri 2, 3 e 10, dello statuto speciale, e che essa dev’essere esercitata nel rispetto dei limiti fissati dallo stesso art. 4. Osserva poi che i beni demaniali marittimi rientranti nel territorio regionale sono di proprietà statale, ad eccezione di quelli situati nella laguna di Marano-Grado, trasferiti alla Regione dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del demanio idrico e marittimo, nonché di funzioni in materia di risorse idriche e di difesa del suolo). Il citato art. 1 stabilisce anche, al comma 3, che «[l]a regione esercita tutte le attribuzioni inerenti alla titolarità dei beni trasferiti ai sensi dei commi 1 e 2».
Il ricorrente ricorda, ancora, che l’art. 9, comma 2, del decreto legislativo 1° aprile 2004, n. 111 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia concernenti il trasferimento di funzioni in materia di viabilità e trasporti), ha trasferito alla Regione le funzioni amministrative relative alle concessioni dei beni del demanio marittimo, e che, in base al comma 5 dello stesso art. 9, «[i] proventi e le spese derivanti dalla gestione del demanio marittimo […] spettano alla Regione».
Ciò premesso, il ricorrente rileva che, secondo la giurisprudenza costituzionale, «la potestà di determinazione dei canoni per l’assegnazione in uso di aree del demanio marittimo segue la titolarità del bene e non quella della gestione […] in quanto costituisce espressione del potere di disporre […] dei propri beni». Dunque, essa precederebbe il riparto delle competenze e inerirebbe «alla capacità giuridica dell’ente» secondo i principi civilistici (sono richiamate, tra le altre, le sentenze n. 73 del 2018 e n. 427 del 2004 di questa Corte).
Pertanto, per tutti i beni demaniali marittimi situati in Friuli-Venezia Giulia spetterebbe allo Stato la competenza a definire i «criteri tabellari di riferimento» per la determinazione dei canoni, il cui esatto ammontare sarà poi stabilito dall’ente gestore. Alla competenza statale sarebbe riconducibile anche la facoltà di determinare i casi di eventuale esenzione.
Il ricorrente osserva, poi, che l’art. 100, comma 4, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 13 ottobre 2020, n. 126, stabilisce che «[d]al 1° gennaio 2021 l’importo annuo del canone dovuto quale corrispettivo dell’utilizzazione di aree e pertinenze demaniali marittime non può essere inferiore a euro 2.500».
Dunque, le norme impugnate eccederebbero dalla competenza attribuita alla Regione dall’art. 4, numeri 2, 3 e 10, dello statuto speciale, che indica i limiti della potestà legislativa primaria.
1.3.– Il ricorrente conclude affermando che l’art. 5 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020 viola l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., «poiché interviene nella materia della tutela della concorrenza», e che l’art. 11, commi 1, 2 e 3, della stessa legge contrasta «con i principi dell’ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
2.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia si è costituita in giudizio con atto depositato il 15 aprile 2021.
2.1.– In primo luogo, la Regione eccepisce l’inammissibilità della questione riguardante l’art. 5, osservando che il ricorrente avrebbe dovuto argomentare sull’applicabilità del Titolo V della Parte seconda della Costituzione ad una Regione speciale, indicando le ragioni per le quali l’art. 117, secondo comma, Cost. garantirebbe una maggior autonomia alla stessa Regione. L’onere motivazionale sarebbe più intenso nel caso di specie, in cui la norma impugnata afferisce ad una materia di competenza primaria regionale (trasporti di interesse regionale).
2.2.– In ogni caso, il primo motivo di ricorso non sarebbe fondato. Con la disposizione impugnata la Regione avrebbe esercitato la propria competenza in materia di «trasporti su funivie e linee automobilistiche, tranviarie e filoviarie, di interesse regionale» (art. 4, numero 11, dello statuto speciale). La resistente ricorda le diverse norme di attuazione statutaria succedutesi in materia di trasporti e rileva che, già prima della riforma del Titolo V, essa disponeva di potestà legislativa primaria in tale materia, mentre le regioni ordinarie erano titolari di competenza legislativa concorrente, nell’ambito dei principi fissati dalla citata legge-quadro n. 21 del 1992, che, all’art. 4, comma 6, fa «salve le competenze proprie nella materia delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano». La norma interposta richiamata nel ricorso non sarebbe dunque utilmente invocabile nei confronti della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
La resistente poi rievoca le norme regionali adottate nella materia dei trasporti pubblici, fra le quali quelle dettate dalla legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 5 agosto 1996, n. 27 (Norme per il trasporto di persone mediante servizi pubblici automobilistici non di linea), tuttora in vigore. In particolare, rileva che la trasferibilità delle licenze è disciplinata dall’art. 13 di tale legge, che, a differenza dell’art. 9 della legge n. 21 del 1992, non contempla, tra i casi di trasmissibilità, il raggiungimento del sessantesimo anno di età. Secondo la resistente, se la trasferibilità delle licenze fosse un oggetto sottratto alla competenza legislativa primaria della Regione, l’indicato art. 13 non sarebbe sfuggito al controllo preventivo di legittimità previsto all’epoca dall’art. 127 Cost., anche in relazione al divieto di novazione della fonte.
La Regione ricorda poi la riforma del Titolo V, osservando che il principio del parallelismo fra funzioni amministrative e legislative, previsto dall’art. 8 dello statuto speciale, è più favorevole rispetto al principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, primo comma, Cost., ragion per cui «il cd. “blocco statutario” che fonda la competenza della Regione […] in materia di trasporti di interesse regionale risulta senz’altro complessivamente più favorevole in concreto per l’autonomia speciale, rispetto a quello derivante dalla riforma del Titolo V».
Non sarebbe dunque consentito invocare il Titolo V per sottrarre alla Regione una competenza già esercitata sul piano sia amministrativo che legislativo.
Quanto alla disposizione impugnata, la Regione osserva che essa costituirebbe «una modifica non testuale» del citato art. 13 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 27 del 1996. L’impugnato art. 5 contemplerebbe una deroga limitata all’art. 13, per consentire agli operatori del settore (gravemente colpito dalla crisi economica causata dal COVID-19) di trasferire ad altri la propria licenza, dietro corrispettivo. L’art. 5 avrebbe «esclusivamente finalità sociali» e non altererebbe il punto di equilibrio tra il libero esercizio dell’attività di trasporto e gli altri interessi pubblici, dal momento che, da un lato, il numero complessivo delle licenze resterebbe invariato e, dall’altro lato, «[a]l titolare che abbia trasferito la licenza o l’autorizzazione non può essere attribuita altra per concorso pubblico e non può esserne trasferita altra, se non dopo cinque anni dal trasferimento della prima» (art. 13, comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 27 del 1996, ripetitivo dell’art. 9, comma 3, della legge n. 21 del 1992).
Secondo la resistente, la disposizione impugnata produrrebbe effetti pro-concorrenziali, il che sarebbe consentito al legislatore regionale, nelle materie di sua competenza (sono citate le sentenze di questa Corte n. 43 del 2011 e n. 431 del 2007). Attualmente, l’accesso al mercato del trasporto non di linea sarebbe di fatto “congelato”, per effetto dell’art. 10-bis, comma 6, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12, in base al quale, «[a] decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla piena operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale delle imprese di cui al comma 3, non è consentito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di noleggio con conducente con autovettura, motocarrozzetta e natante»: infatti, non sarebbe ancora intervenuta «la piena operatività dell’archivio informatico» in questione. Dunque, la norma impugnata assumerebbe una funzione pro-concorrenziale, in quanto permetterebbe a nuovi operatori, in via eccezionale e per un periodo limitato, di entrare nel mercato del trasporto non di linea.
2.3.– Quanto al secondo motivo di ricorso, la Regione ne eccepisce l’inammissibilità, in quanto il ricorrente invocherebbe «in maniera generica, indistinta e cumulativa una pluralità di limiti statutari che la Regione non avrebbe rispettato». Il ricorso non illustrerebbe «né quali tra le disposizioni dei commi impugnati esorbiterebbero dai limiti» statutari, né «quali sarebbero, in concreto, i limiti asseritamente violati».
2.4.– Nel merito, la resistente afferma la non fondatezza del motivo in questione. Essa ricostruisce il quadro normativo relativo al demanio idrico regionale, al demanio marittimo regionale e al demanio marittimo statale, e rileva che, in relazione alle prime due categorie di beni, di proprietà regionale, lo stesso criterio invocato nel ricorso (la potestà di determinazione del canone spetta all’ente titolare del bene) dovrebbe condurre alla sua non fondatezza. Riguardo al demanio marittimo statale, la Regione rimarca che, in base al citato art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 111 del 2004, essa «riscuote in via diretta i canoni annui per le concessioni del demanio marittimo e provvede a iscriverli come “entrate” a bilancio, senza alcuna intermediazione dello Stato». Dunque, lo Stato avrebbe ceduto alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia «parte delle proprie prerogative proprietarie».
La resistente osserva poi che l’art. 100, comma 4, del citato d.l. n. 104 del 2020, invocato nel ricorso, è stato da essa impugnato davanti a questa Corte.
Inoltre, rileva che il censurato art. 11, comma 1, ha efficacia circoscritta al 2021 e trae origine dalla crisi economica causata dal COVID-19: esso, dunque, risponderebbe ad esigenze di utilità sociale e si fonderebbe sull’autonomia di entrata della Regione.
Similmente, l’autonomia regionale di entrata comprenderebbe la possibilità di prevedere un’esenzione dal pagamento del canone (art. 11, comma 2).
Infine, il comma 3 riguarderebbe gli impianti di pesca a rete, che sarebbero presenti in Friuli-Venezia Giulia solo nelle aree del demanio marittimo regionale (laguna di Marano-Grado) e del demanio idrico, di proprietà regionale. La Regione avrebbe dunque legittimamente fissato, nell’esercizio delle sue prerogative dominicali, un criterio di determinazione del canone relativo a questo tipo di occupazione del bene pubblico. Lo stesso testo del comma 3 sarebbe chiaro nel riferirsi ai canoni «del demanio marittimo e del demanio idrico regionale».
3.– Il 14 marzo 2022 la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato una memoria integrativa. In essa dà conto delle modifiche normative sopravvenute (sopra illustrate), evidenziando che l’art. 5 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020 ha ormai esaurito la propria efficacia. Osserva, inoltre, che la norma impugnata non consente guadagni speculativi, perché chi trasferisce la propria licenza, approfittando della deroga prevista, non può conseguirne un’altra per pubblico concorso e può ottenerne un’altra per trasferimento solo dopo cinque anni. La possibilità di monetizzare la licenza, dunque, sarebbe concessa una volta sola.
Quanto all’art. 11, commi 1, 2 e 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020, la resistente, dopo aver riferito della modifica apportata al comma 1 dall’art. 11, comma 4, della citata legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 23 del 2021, osserva che, alla luce del «giudicato costituzionale» di cui alla sentenza di questa Corte n. 46 del 2022, l’impugnato art. 11, comma 1, andrebbe interpretato nel senso di riferirsi solo al demanio marittimo regionale, con conseguente non fondatezza del ricorso sotto questo profilo.
Quanto al comma 3, la Regione ribadisce che l’aggettivo «regionale» andrebbe collegato anche a «demanio marittimo» e non solo a «demanio idrico»: di qui la non fondatezza dell’impugnazione del comma 3, sempre alla luce della sentenza n. 46 del 2022. La resistente deposita la planimetria delle concessioni di pesca a bilancia e le relative visure catastali, al fine di dimostrare che le concessioni di cui all’art. 11, comma 3, insistono solo su aree del demanio marittimo regionale (oltre che del demanio idrico).
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso iscritto al n. 21 reg. ric. 2021, ha impugnato l’art. 5 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 30 dicembre 2020, n. 25 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2021-2023), per violazione della competenza legislativa statale in materia di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione), e l’art. 11, commi 1, 2 e 3, della medesima legge regionale per violazione della competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.).
L’art. 5 stabiliva, nel suo testo originario, che, «[a] causa della situazione emergenziale causata dalla pandemia da COVID-19 e della conseguente grave crisi economica che ha investito il settore degli autoservizi pubblici non di linea, i titolari di autorizzazione per il noleggio con conducente e i titolari di licenza taxi, in via del tutto eccezionale e fino al 31 dicembre 2022, possono cedere l’attività anche senza aver raggiunto i cinque anni dal rilascio dei medesimi titoli, fatti salvi i vincoli eventualmente derivanti da contribuzioni pubbliche».
In seguito, l’art. 5, comma 1, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2021, n. 23 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2022-2024), ha sostituito il termine del «31 dicembre 2022» con quello del «31 gennaio 2022».
Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto altererebbe «il meccanismo diretto a regolare l’accesso al mercato», come definito dall’art. 9 della legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea), e dunque «le regole della concorrenza nello specifico settore, che anche le Regioni a statuto speciale devono seguire».
Il secondo motivo di ricorso investe l’art. 11 della legge regionale impugnata, il quale stabiliva, nel suo testo originario, quanto segue: «1. Attesa l’emergenza epidemiologica da COVID-19, per l’annualità 2021 l’importo annuo del canone dovuto quale corrispettivo dell’utilizzazione di beni demaniali marittimi di competenza regionale e comunale con qualunque finalità non può, comunque, essere inferiore a 361,90 euro. 2. Non è dovuto alcun canone qualora il bene demaniale marittimo statale venga concesso a enti pubblici, anche economici, al fine della realizzazione di un’opera pubblica. 3. Il canone demaniale per le concessioni e le autorizzazioni inerenti all’utilizzo di beni del demanio marittimo e del demanio idrico regionale, relative alla messa in opera e all’utilizzo dei cosiddetti bilancioni (impianti con rete), è determinato con esclusivo riferimento alla superficie sviluppata dalla rete. 4. La durata delle concessioni demaniali marittime in scadenza è prorogata fino al 31 dicembre 2021 al fine di consentire alle Amministrazioni concedenti il perfezionamento dei procedimenti amministrativi di competenza nel rispetto della normativa vigente».
In seguito, l’art. 11, comma 4, della citata legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 23 del 2021 ha sostituito (nel comma 1) le parole «per l’annualità 2021» con le parole «per l’annualità 2022».
Secondo il ricorrente, le disposizioni impugnate, là dove incidono sulla disciplina del canone di concessione demaniale, prevedendone un ammontare minimo (comma 1), introducendo un’ipotesi di esenzione (comma 2) e disciplinandone le modalità di quantificazione riferite ad una determinata categoria di beni (comma 3), violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto «la potestà di determinazione dei canoni per l’assegnazione in uso di aree del demanio marittimo segue la titolarità del bene e non quella della gestione», con la conseguenza che per tutti i beni demaniali marittimi situati in Friuli-Venezia Giulia spetterebbe allo Stato la competenza a definire i «criteri tabellari di riferimento» per la determinazione dei canoni.
2.– In relazione all’art. 5 della legge regionale impugnata, occorre in primo luogo verificare il rilievo dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 5, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 23 del 2021, che ha anticipato il termine finale di applicazione della disposizione impugnata dal 31 dicembre 2022 al 31 gennaio 2022.
La previsione modificativa (che non è stata impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri) non è idonea ad incidere sui termini della controversia.
Per un verso, essa non ha carattere satisfattivo, avendo solo ridotto l’arco temporale in cui ha operato la norma impugnata, secondo il ricorrente lesiva della competenza statale in materia di tutela della concorrenza. Tale norma era direttamente applicabile e ha prodotto effetti per circa un anno, sicché risultano assenti entrambi i presupposti di un’eventuale cessazione della materia del contendere (da ultimo, sentenze n. 92 e n. 23 del 2022). Come di recente ribadito nella sentenza n. 24 del 2022, invero, il sindacato di legittimità costituzionale attivato a seguito di un’impugnazione diretta, «in quanto mira a definire il corretto riparto delle competenze fra Stato e Regione nelle materie indicate, in linea con la natura astratta del giudizio in via principale, non risulta inutilmente svolto anche allorquando l’ambito temporale di applicazione delle norme impugnate sia assai ristretto o azzerato».
Mancano, per altro verso, i presupposti di un’eventuale estensione della questione alla disposizione sopravvenuta: da un lato, l’adozione di quest’ultima non mina l’effettività della tutela giurisdizionale del ricorrente (ex multis, sentenze n. 44 del 2018 e n. 44 del 2014), perché l’eventuale accoglimento del ricorso priverebbe di oggetto la disposizione modificativa; dall’altro lato, è escluso che si tratti di un caso di modifica marginale, in cui questa Corte ritiene la questione estensibile alle disposizioni sopravvenute, che non mutino il contenuto precettivo della disposizione impugnata (sentenze n. 178 e n. 20 del 2020). La modifica introdotta dalla disposizione sopravvenuta presenta carattere sostanziale, sicché l’estensione ad essa della questione – oltre ad incidere sul principio del contraddittorio e su quello di corrispondenza tra chiesto e pronunciato – determinerebbe un’impropria sostituzione della valutazione dell’organo politico competente a deliberare il ricorso (ex multis, sentenze n. 141 e n. 65 del 2016), valutazione necessaria anche nell’ipotesi in cui la modifica si traduce in una riduzione della portata lesiva della norma impugnata, come nel caso dell’art. 5, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 23 del 2021.
2.1.– Sempre in relazione all’impugnato art. 5, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha eccepito l’inammissibilità della questione, osservando che il ricorrente avrebbe dovuto argomentare sull’applicabilità del Titolo V della Parte seconda della Costituzione ad una Regione speciale, indicando le ragioni per le quali esso garantirebbe a quest’ultima una maggior autonomia. L’onere motivazionale sarebbe più intenso nel caso di specie, in cui la norma impugnata afferisce ad una materia di competenza primaria regionale (trasporti di interesse regionale: art. 4, numero 11, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante «Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia»).
L’eccezione non è fondata.
È vero, in linea generale, che, in virtù dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione), l’applicazione del Titolo V alle regioni speciali si giustifica solo se il regime statutario complessivo di una certa materia risulta meno favorevole del regime della stessa materia nel Titolo V (che comprende la possibile interferenza delle cosiddette materie trasversali e, in relazione alle funzioni amministrative, il principio di sussidiarietà, meno favorevole per le regioni speciali rispetto al principio del parallelismo sancito nei loro statuti), e che quindi l’invocazione del Titolo V in relazione ad una legge di una regione speciale presuppone una valutazione comparativa che attesti il suo carattere maggiormente favorevole (sentenza n. 119 del 2019). Tuttavia, nel ricorso in esame, per un verso le competenze statutarie della Regione nei settori dei trasporti e dei servizi pubblici sono prese in considerazione e, per altro verso, la norma impugnata e quella statale invocata sono ricondotte a una materia comunque estranea agli elenchi statutari, come la tutela della concorrenza. Nella sentenza n. 139 del 2021, riguardante proprio disposizioni legislative della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di concessioni demaniali, impugnate per lesione della competenza statale sulla tutela della concorrenza, questa Corte ha statuito che, «[n]ella prospettiva del ricorrente, […] l’afferenza della disciplina censurata alla materia della tutela della concorrenza vale a escludere che la Regione possa rivendicare qualsiasi propria competenza statutaria, la quale pacificamente non comprende la materia in questione». Similmente, proprio nella ricordata sentenza n. 119 del 2019, questa Corte ha osservato (sempre in relazione al Friuli-Venezia Giulia e alle concessioni demaniali) che «il ricorrente, pur prendendo in considerazione la competenza regionale statutaria in materia di demanio idrico, invoca l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost, facendo valere così una competenza esclusiva statale che non trova corrispondenza nello Statuto. Sicché, […] in questo caso uno scrutinio alla luce delle norme statutarie risulta inutile».
3.– Nel merito, la questione avente ad oggetto l’art. 5 è fondata.
L’attività di trasporto non di linea – taxi e noleggio con conducente (NCC) – è soggetta ad un regime autorizzatorio limitato, caratterizzato da una programmazione dei veicoli circolanti, attraverso il contingentamento delle licenze rilasciabili e la previsione di un concorso pubblico comunale per l’individuazione dei soggetti che possono acquisire le licenze disponibili (art. 8, comma 1, della legge n. 21 del 1992). La legge statale affida ai regolamenti comunali la disciplina del concorso (art. 5), nel rispetto di criteri fissati dalle regioni (art. 4), limitandosi a porre alcuni requisiti (art. 6) e un titolo preferenziale per il rilascio della licenza (art. 8, comma 4).
La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha disciplinato la materia del trasporto non di linea con la legge regionale 5 agosto 1996, n. 27 (Norme per il trasporto di persone mediante servizi pubblici automobilistici non di linea). Sulla base dell’art. 4, comma 1, di tale legge (secondo cui, «[e]ntro 180 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, i Comuni adottano il regolamento per l’esercizio degli autoservizi pubblici non di linea secondo uno schema-tipo approvato dalla Giunta regionale»), la Regione ha poi adottato, con delibera della Giunta regionale n. 663 del 1997, modificata dalla delibera n. 1680 del 2000, uno schema-tipo di regolamento comunale per l’esercizio degli autoservizi pubblici non di linea. Quanto al concorso comunale, gli artt. 27 e seguenti dello schema-tipo stabiliscono, fra l’altro, che il bando fissi i criteri per la valutazione dei titoli, lasciando dunque ampio spazio ai comuni (in sede di regolamento e di bando) per la scelta dei titoli rilevanti.
3.1.– Sulla base di questo sintetico inquadramento normativo, è possibile esaminare la questione sollevata dal ricorrente, secondo il quale il trasferimento delle licenze rientrerebbe nella materia «tutela della concorrenza», con conseguente illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, che prevede una deroga temporanea al limite quinquennale fissato per il trasferimento delle licenze dall’art. 9, comma 1, della legge n. 21 del 1992.
La disposizione statale invocata stabilisce quanto segue: «1. La licenza per l’esercizio del servizio di taxi e l’autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente sono trasferite, su richiesta del titolare, a persona dallo stesso designata, purché iscritta nel ruolo di cui all’articolo 6 ed in possesso dei requisiti prescritti, quando il titolare stesso si trovi in una delle seguenti condizioni: a) sia titolare di licenza o di autorizzazione da cinque anni; b) abbia raggiunto il sessantesimo anno di età; c) sia divenuto permanentemente inabile o inidoneo al servizio per malattia, infortunio o per ritiro definitivo della patente di guida». In base al comma 3 dello stesso art. 9, «[a]l titolare che abbia trasferito la licenza o l’autorizzazione non può esserne attribuita altra per concorso pubblico e non può esserne trasferita altra se non dopo cinque anni dal trasferimento della prima».
L’inquadramento della disciplina recata dal parametro interposto nell’ambito materiale della tutela della concorrenza è corretto.
La citata disposizione statale (art. 9, comma 1, lettera a, della legge n. 21 del 1992) – unitamente al comma 3 dello stesso art. 9 – mira infatti ad evitare il “commercio delle licenze”, cioè possibili speculazioni favorite dal fatto che, tramite il concorso pubblico, le licenze per il servizio taxi e le autorizzazioni per il servizio NCC vengono ottenute gratuitamente e potrebbero poi essere cedute a titolo oneroso con un lucro per il cedente (sul punto Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 26 gennaio 2021, n. 772, 12 gennaio 2015, n. 40, e 2 febbraio 2012, n. 577). Il fine perseguito dal legislatore statale è dunque la salvaguardia del concorso pubblico come mezzo per ottenere le licenze taxi e le autorizzazioni NCC. Questa Corte riconduce costantemente fra le «misure legislative di promozione» rientranti nella tutela della concorrenza quelle volte «a prefigurare procedure concorsuali di garanzia che assicurino la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici (concorrenza “per il mercato”)» (ex plurimis, sentenza n. 56 del 2020), con la conseguenza, dunque, che una norma diretta, come quella impugnata, a ridurre la portata applicativa della regola del concorso pubblico ricade a pieno titolo in quella materia.
A conclusioni non diverse si perviene se dal profilo teleologico si passa a quello – oggettivo – del contenuto proprio dell’art. 9 della legge n. 21 del 1992, che si risolve nella fissazione delle condizioni per l’accesso degli operatori economici allo specifico settore del trasporto non di linea. Nella sentenza n. 56 del 2020, riguardante il servizio NCC, questa Corte ha statuito che «la configurazione del mercato tramite la fissazione di determinate condizioni per l’accesso degli operatori al settore rientra nella materia della concorrenza». In questa stessa materia, inoltre, è stato individuato il titolo di intervento del legislatore statale nella specifica disciplina dell’assegnazione delle licenze per il servizio taxi (sentenza n. 452 del 2007).
L’argomento della difesa regionale, secondo cui la questione sarebbe non fondata in quanto la norma impugnata amplierebbe le possibilità di accesso al mercato rispetto alla disciplina statale e avrebbe così, in realtà, un effetto pro-concorrenziale, non è condivisibile. La norma impugnata elimina sì un limite al libero accesso al mercato del trasporto non di linea, ma si tratta di un limite posto dal legislatore statale, come detto, proprio al fine di non vanificare il concorso pubblico, cioè lo strumento previsto per promuovere la concorrenza nell’accesso al mercato in questione (sentenza n. 283 del 2009).
Occorre osservare, infine, che la deroga prevista dalla disposizione impugnata non può essere giustificata in ragione della grave crisi economica causata dalla pandemia da COVID-19. Come questa Corte ha già chiarito, proprio con riferimento a una norma legislativa provinciale limitativa della concorrenza, «la peculiare contingenza della crisi economica determinata dal COVID-19» non può in alcun modo rilevare nella definizione del riparto delle funzioni legislative in materia, essendo escluso che «[l]a precarietà del contesto di emergenza [abbia] ampliato le competenze» regionali (sentenza n. 23 del 2022). Resta così fermo che, anche in relazione all’emergenza pandemica, spetta solo allo Stato adottare norme di deroga in materia di concorrenza (sentenze n. 38 e n. 16 del 2021).
Va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020.
4.– Anche in relazione all’art. 11, commi 1, 2 e 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020, occorre in primo luogo verificare il rilievo dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 11, comma 4, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 23 del 2021, che ha sostituito nell’impugnato art. 11, comma 1, le parole «per l’annualità 2021» con le parole «per l’annualità 2022».
La previsione modificativa (che non è stata impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri) non è idonea a incidere sui termini della controversia. In primo luogo, essa palesemente non ha carattere satisfattivo, avendo anzi prolungato l’arco temporale di applicazione di una delle disposizioni impugnate.
Mancano inoltre i presupposti di un’eventuale estensione ad essa della questione, posto che l’art. 11, comma 4, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 23 del 2021 non apporta una modifica marginale ma muta il contenuto precettivo della disposizione impugnata. L’estensione della questione, dunque, va esclusa per le ragioni esposte sopra, al punto 2, con riferimento alla prima delle due questioni proposte nel ricorso in esame.
4.1.– La Regione eccepisce l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso, in quanto il ricorrente invocherebbe «in maniera generica, indistinta e cumulativa una pluralità di limiti statutari che la Regione non avrebbe rispettato». Il ricorso non illustrerebbe in particolare «né quali tra le disposizioni dei commi impugnati esorbiterebbero dai limiti» statutari né «quali sarebbero, in concreto, i limiti asseritamente violati».
L’eccezione non è fondata.
Sia nella premessa che nella conclusione il ricorso invoca solo l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., lamentando la violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile. Anche il nucleo della motivazione relativa all’impugnazione dell’art. 11 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020 fa leva sulla spettanza della competenza in materia di canoni demaniali allo Stato, «secondo i principi dell’ordinamento civile». L’invocazione dei limiti statutari della potestà legislativa primaria della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia rappresenta, dunque, più un elemento argomentativo che uno dei termini della questione, che resta delimitata, quanto al parametro, dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
5.– Venendo al merito della censura, è necessario richiamare ancora una volta il quadro normativo sull’assetto del demanio marittimo e idrico in Friuli-Venezia Giulia.
In base all’art. 1 del decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del demanio idrico e marittimo, nonché di funzioni in materia di risorse idriche e di difesa del suolo), «[s]ono trasferiti alla regione Friuli-Venezia Giulia […] tutti i beni dello Stato appartenenti al demanio idrico, comprese le acque pubbliche, gli alvei e le pertinenze, i laghi e le opere idrauliche, situati nel territorio regionale» (comma 1). Inoltre, «[s]ono trasferiti alla regione tutti i beni dello Stato e relative pertinenze […] situati nella laguna di Marano-Grado» (si tratta di beni del demanio marittimo). La Regione «esercita tutte le attribuzioni inerenti alla titolarità dei beni trasferiti ai sensi dei commi 1 e 2» (comma 3). In base all’art. 5, comma 5, «[i] proventi e le spese derivanti dalla gestione dei beni trasferiti spettano alla regione a decorrere dalla data di consegna». L’art. 2 dello stesso d.lgs. n. 265 del 2001 ha trasferito alla Regione «tutte le funzioni amministrative relative ai beni» di cui all’art. 1.
L’art. 9, comma 2, del decreto legislativo 1° aprile 2004, n. 111 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia concernenti il trasferimento di funzioni in materia di viabilità e trasporti), ha successivamente trasferito alla Regione «le funzioni relative alle concessioni dei beni del demanio della navigazione interna, del demanio marittimo, di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento energetico», dunque anche in relazione ai beni del demanio marittimo statale (cioè, quelli diversi dalla laguna di Marano-Grado). In base all’art. 9, comma 5, inoltre, «[i] proventi e le spese derivanti dalla gestione del demanio marittimo e della navigazione interna, per la parte non già trasferita con il decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265, […] spettano alla Regione».
5.1.– Le disposizioni regionali impugnate hanno ad oggetto la determinazione dei canoni delle concessioni dei beni del demanio idrico e marittimo situati in Friuli-Venezia Giulia. Tale tema è stato oggetto della recente sentenza n. 46 del 2022, con la quale questa Corte si è pronunciata sull’impugnazione, da parte della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, della disciplina statale concernente la determinazione dei canoni demaniali in questione (contenuta nei commi 2, 3, 4 e 5 dell’art. 100 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, recante «Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia», convertito, con modificazioni, nella legge 13 ottobre 2020, n. 126), per la violazione (fra l’altro) delle proprie competenze statutarie in diverse materie.
Questa Corte ha dichiarato le questioni non fondate, distinguendo però a seconda della titolarità dei beni. Per i beni del demanio marittimo di proprietà statale (cioè, tutti tranne la laguna di Marano-Grado), il ricorso è stato respinto, perché la competenza a regolare la determinazione dei canoni spetta all’ente titolare del bene, sul presupposto che, in base alla costante giurisprudenza costituzionale, «dirimente ai fini della competenza a dettare norme in materia di determinazione dei canoni “è la titolarità del bene e non invece la titolarità di funzioni legislative e amministrative intestate alle Regioni in ordine all’utilizzazione dei beni stessi” (sentenza n. 286 del 2004 e precedenti ivi richiamati, nonché sentenza n. 94 del 2008)» (si vedano anche le sentenze n. 128 e n. 73 del 2018, n. 213 del 2006, n. 427 del 2004). La pronuncia ha affermato, inoltre, l’operatività di tale criterio anche per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, nonostante la previsione dell’art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 111 del 2004, che attribuisce alla Regione stessa i proventi e le spese derivanti dal demanio marittimo di titolarità statale.
Per quanto riguarda invece i beni demaniali trasferiti alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, costituiti dal demanio idrico e, nell’ambito del demanio marittimo, dalla laguna di Marano-Grado, questa Corte ha dichiarato le questioni non fondate, perché, in virtù della clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 113-bis del d.l. n. 104 del 2020, le norme impugnate devono considerarsi inapplicabili alla stessa Regione, in forza del criterio «secondo il quale il potere di disciplinare l’ammontare dei canoni relativi a beni demaniali […] spetta in linea di principio all’ente che sia titolare dei beni medesimi: e dunque alla stessa Regione autonoma rispetto ai beni che fanno parte del suo patrimonio, essendo stati trasferiti alla medesima dalle […] norme di attuazione dello statuto – peraltro con l’espressa precisazione che la Regione “esercita tutte le attribuzioni inerenti alla titolarità dei beni trasferiti ai sensi dei commi 1 e 2” (art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 265 del 2001)» (ancora, sentenza n. 46 del 2022).
5.2.– Ciò premesso, si possono esaminare le singole questioni sollevate nell’odierno ricorso.
5.2.1.– Come visto, il comma 1 dell’art. 11 stabilisce (nel testo originario) che, «[a]ttesa l’emergenza epidemiologica da COVID-19, per l’annualità 2021 l’importo annuo del canone dovuto quale corrispettivo dell’utilizzazione di beni demaniali marittimi di competenza regionale e comunale con qualunque finalità non può, comunque, essere inferiore a 361,90 euro».
L’assunto della Regione resistente, secondo cui la previsione andrebbe interpretata, alla luce della citata sentenza n. 46 del 2022, nel senso di riferirsi solo al demanio marittimo regionale, non può essere condiviso. L’espressione «beni demaniali marittimi di competenza regionale e comunale» non può non comprendere infatti anche il demanio marittimo statale, che è anch’esso «di competenza regionale e comunale» per quanto riguarda le funzioni amministrative (si vedano gli artt. 4 e 5 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 13 novembre 2006, n. 22, recante «Norme in materia di demanio marittimo con finalità turistico-ricreativa e modifica alla legge regionale n. 16/2002 in materia di difesa del suolo e di demanio idrico»). In virtù del già riferito costante orientamento di questa Corte, l’art. 11, comma 1, è dunque costituzionalmente illegittimo nella parte in cui disciplina l’importo annuo minimo del canone dovuto per l’utilizzazione dei beni appartenenti al demanio marittimo statale.
In ragione della ravvisata illegittimità costituzionale parziale, lo stesso comma 1 dell’art. 11 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020, come modificato dall’art. 11, comma 4, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 23 del 2021 (che ha sostituito le parole «per l’annualità 2021» con le parole «per l’annualità 2022»), resta dunque applicabile solo in relazione ai beni del demanio marittimo regionale.
5.2.2.– Alla luce del medesimo costante orientamento di questa Corte in tema di canoni demaniali, risulta parimenti costituzionalmente illegittimo il comma 2 dell’art. 11, secondo cui «[n]on è dovuto alcun canone qualora il bene demaniale marittimo statale venga concesso a enti pubblici, anche economici, al fine della realizzazione di un’opera pubblica». Riferendosi al solo demanio marittimo statale, e prevedendo per esso un caso di esonero dal pagamento del canone concessorio, la disposizione interviene in ambito riservato al legislatore statale.
5.2.3.– L’art. 11, comma 3, dispone che «[i]l canone demaniale per le concessioni e le autorizzazioni inerenti all’utilizzo di beni del demanio marittimo e del demanio idrico regionale, relative alla messa in opera e all’utilizzo dei cosiddetti bilancioni (impianti con rete), è determinato con esclusivo riferimento alla superficie sviluppata dalla rete».
La Regione ha riferito che gli impianti in questione consistono in una grande rete quadra immersa nell’acqua, che viene sollevata periodicamente per raccogliere il pescato. Lo scopo della norma sarebbe quello di chiarire che, ai fini della determinazione del canone demaniale, nel computo della superficie non va compresa la proiezione sullo specchio acqueo dei cavi che collegano la rete da pesca alla cabina di manovra.
L’interpretazione adeguatrice suggerita dalla resistente – secondo la quale l’aggettivo «regionale» andrebbe riferito anche al «demanio marittimo» – non risulta coerente con la struttura lessicale della disposizione e con il riferimento dell’aggettivo «regionale» al solo «demanio idrico», con la conseguenza che l’espressione «demanio marittimo» è tale da comprendere potenzialmente anche beni del demanio marittimo statale. Né, d’altro canto, può condurre a conclusioni diverse il fatto, addotto dalla Regione, secondo cui, attualmente, i “bilancioni” sarebbero presenti solo nelle aree del demanio marittimo regionale (laguna di Marano-Grado) e del demanio idrico, di proprietà regionale. Si tratterebbe, invero, di una mera circostanza di fatto inidonea a definire in senso riduttivo la portata della norma, di per sé riferibile a ogni tipo di demanio marittimo, e dunque anche a quello statale.
Anche il comma 3 dell’art. 11 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020 risulta dunque costituzionalmente illegittimo nella parte in cui fissa un criterio di determinazione del canone riguardante beni del demanio marittimo statale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 30 dicembre 2020, n. 25 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2021-2023);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020, nella parte in cui disciplina l’importo annuo minimo del canone dovuto per l’utilizzazione dei beni appartenenti al demanio marittimo statale;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020, nella parte in cui fissa un criterio di determinazione del canone riguardante beni del demanio marittimo statale.
Cosi` deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Daria de PRETIS, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2022.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA