ORDINANZA N. 151
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri sorti a seguito dell’iter di approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121 (Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle infrastrutture stradali e autostradali), e in particolare dell’art. 7 del predetto decreto-legge, promossi da Gregorio De Falco, nella qualità di senatore, da Arianna Spessotto e altri, e da Stefano Fassina, nella qualità di deputati, con ricorsi depositati in cancelleria, rispettivamente, i primi due il 27 gennaio, il terzo, il 1° febbraio 2022, iscritti, rispettivamente, ai numeri 4, 5 e 6 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2022, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 27 aprile 2022 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;
deliberato nella camera di consiglio del 27 aprile 2022.
Ritenuto che, con ricorso depositato in data 27 gennaio 2022 (reg. confl. poteri n. 4 del 2022), il senatore Gregorio De Falco ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti «del Governo, anche nella persona del Presidente del Consiglio dei ministri, in proprio nonché quale rappresentante del Governo, del Presidente della ottava Commissione permanente (Lavori pubblici, comunicazioni), della Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari, del Presidente e dell’Assemblea del Senato della Repubblica»;
che, con ricorsi depositati in data 27 gennaio 2022 (reg. confl. poteri n. 5 del 2022) e 1° febbraio 2022 (reg. confl. poteri n. 6 del 2022), rispettivamente, i deputati Arianna Spessotto, Michele Sodano, Raphael Raduzzi, Alvise Maniero e il deputato Stefano Fassina hanno sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti «del Governo, anche nella persona del Presidente del Consiglio dei ministri, in proprio nonché quale rappresentante del Governo, e dell’Assemblea della Camera dei deputati»;
che i ricorrenti lamentano «la menomazione delle [proprie] attribuzioni rappresentate dagli specifici poteri riconosciuti al singolo parlamentare direttamente dalla Costituzione, quale rappresentante della Nazione (art. 67 Cost.) nonché partecipe della funzione legislativa delle Camere (artt. 71 e 72 Cost.)», menomazione derivante anche dalla violazione degli artt. 3, 68, 77, secondo comma, e 94 della Costituzione;
che le asserite menomazioni deriverebbero dall’approvazione, con apposizione della questione di fiducia, del disegno di legge di conversione del decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121 (Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle infrastrutture stradali e autostradali), e in particolare dell’art. 7 del predetto decreto-legge, in mancanza dell’acquisizione della decisione della Commissione europea prevista dall’art. 79 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, richiamata dal medesimo art. 7;
che, in punto di fatto, i ricorrenti ricordano che, a norma del comma 2, lettera a), del citato art. 7, il quale sostituisce il comma 4 dell’art. 11-quater del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73 (Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali), convertito, con modificazioni, nella legge 23 luglio 2021, n. 106, i commissari straordinari sono tenuti ad adeguare il programma della procedura di amministrazione straordinaria di Alitalia – Società Aerea Italiana spa e Alitalia Cityliner spa (d’ora in poi: Alitalia) a tale decisione, con la quale la Commissione europea si è pronunciata sugli aiuti di Stato, in riferimento ai finanziamenti concessi ad Alitalia e ha ravvisato la «discontinuità economica» tra la stessa e Italia Trasporto Aereo spa (d’ora in poi: ITA), collegandola alla sussistenza di condizioni in essa elencate;
che, in particolare, i ricorrenti segnalano che la predetta decisione della Commissione europea è stata pubblicata con omissis in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea solo il 24 gennaio 2022, anticipata da un mero comunicato stampa del 10 settembre 2021, pubblicato sul sito istituzionale della Commissione europea;
che, pur in assenza della pubblicazione della decisione della Commissione europea e della sua trasmissione ad opera del Governo, e sebbene, dunque, i parlamentari fossero all’oscuro degli atti presupposti alla norma oggetto di approvazione, sia alla Camera dei deputati sia al Senato della Repubblica si procedeva alla votazione dell’articolo unico del disegno di legge di conversione, con modificazioni, del d.l. n. 121 del 2021, sull’approvazione del quale il Governo poneva la questione di fiducia;
che, infatti, il predetto disegno di legge veniva approvato, alla Camera, con 371 voti favorevoli e 47 contrari, tra cui quelli dei deputati ricorrenti Michele Sodano, Arianna Spessotto, Raphael Raduzzi (ric. iscritto al n. 5 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2022), con astensione dei deputati ricorrenti Alvise Maniero (ric. iscritto al n. 5 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2022) e Stefano Fassina (ric. iscritto al n. 6 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2022), e veniva poi approvato al Senato (nel testo approvato dalla Camera dei deputati) con 190 voti favorevoli e 34 contrari, tra cui quello del senatore Gregorio De Falco (ric. iscritto al n. 4 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2022);
che i ricorrenti si dolgono dunque del fatto che si è deliberato «autorizzando l’adeguamento del programma della procedura di amministrazione straordinaria alla decisione della Commissione UE di cui non si conoscono i contenuti»;
che tale criticità – proseguono i ricorrenti – comporterebbe, altresì, una violazione dell’art. 14, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea), il quale disciplina gli obblighi informativi a carico del Governo nei confronti del Parlamento su procedure giurisdizionali e di precontenzioso riguardanti l’Italia e su tutti i documenti relativi a tali procedure che siano posti alla base di un disegno di legge, di un decreto-legge o di uno schema di decreto legislativo sottoposto al parere parlamentare;
che, in punto di ammissibilità, i ricorrenti, dopo aver ripercorso i precedenti di questa Corte, e in particolare l’ordinanza n. 17 del 2019, lamentano «la menomazione delle attribuzioni costituzionalmente garantite al singolo parlamentare, nella misura in cui è stato imposto all’Assemblea di votare con un decreto omnibus sottoposto a questione di fiducia la conversione in legge di un provvedimento senza poterne conoscere tutti i contenuti», e cioè, in sostanza, «lamenta[no] il richiamo all’interno dell’art. 7 del decreto-legge de quo ad un documento della Commissione europea il cui esame, pure imprescindibile ai fini della comprensione del testo oggetto di approvazione, è stato reso impossibile a causa della secretazione del medesimo, così realizzandosi una sostanziale negazione ed una evidente menomazione della funzione costituzionalmente attribuita [al singolo parlamentare], il quale non ha potuto esaminare il progetto di legge, formare il proprio convincimento, presentare emendamenti e votare secondo coscienza»;
che i ricorrenti, sviluppando argomentazioni sostanzialmente identiche, assumono che la peculiarità dei conflitti in esame risiede nel fatto che l’azione da essi intrapresa non è volta, come in casi precedentemente esaminati da questa Corte, a sindacare l’estremizzazione della prassi del decreto omnibus approvato attraverso il voto della questione di fiducia, ma l’impossibilità per i parlamentari di visionare la decisione della Commissione europea e quindi di conoscere il testo della disposizione nella sua interezza ed esprimere un voto consapevole;
che, infatti, dalla mancata trasmissione della predetta decisione (anche in quanto combinata con la prassi del maxi-emendamento con apposizione della questione di fiducia) deriverebbe una compromissione dell’istruttoria legislativa cui il singolo parlamentare ha diritto e un abuso del procedimento legislativo, idonei a determinare quella «violazione “manifesta, oggettiva e concreta”» delle prerogative del singolo parlamentare richiesta da questa Corte ai fini della ammissibilità del conflitto di attribuzione;
che viene dunque contestata la «violazione degli artt. 3, 67, 68, 71, 72 e 94 della Costituzione» oltre che dell’art. 77, secondo comma, Cost.;
che, deducendo in maniera unitaria la violazione dei suddetti parametri costituzionali, i ricorrenti sostengono che le lamentate menomazioni «raggiungono quella soglia di evidenza che giustifica l’invocato intervento della Corte per arginare l’abuso da parte delle maggioranze a tutela delle attribuzioni costituzionali del singolo parlamentare»;
che tale soglia di evidenza sarebbe evincibile, rispetto a passate vicende sottoposte all’esame di questa Corte, dalla peculiarità verificatasi nell’andamento dei lavori sia alla Camera sia al Senato e «rappresentata dalla contestuale apposizione della questione di fiducia, dell’utilizzo del decreto omnibus, del mancato trasferimento degli atti presupposti e necessari per la comprensione del testo oggetto di approvazione»;
che da tale connubio di elementi deriverebbe dunque «un abuso del procedimento legislativo tale da determinare una violazione “manifesta, oggettiva e concreta” (cfr. Corte Costituzionale, ordinanza n. 17 del 2019) delle prerogative costituzionali dei parlamentari e in particolare del potere di partecipare al procedimento legislativo, quale rappresentante della Nazione (art. 67 Cost.), tramite la presentazione di progetti di legge e di proposte emendative (art. 71 Cost.) e tramite la partecipazione all’esame dei progetti di legge sia in commissione sia in aula (art. 72 Cost.); facoltà necessarie all’esercizio del libero mandato parlamentare (art. 67 Cost.) di partecipare alle discussioni e alle deliberazioni esprimendo “opinioni” e “voti” (ai quali si riferisce l’art. 68 Cost., sia pure al diverso fine di individuare l’area della insindacabilità), che risultano menomate nella misura in cui il parlamentare sia chiamato a pronunciarsi su un testo il cui significato può essere compreso solamente previo esame di un atto esterno, presupposto e illegittimamente secretato»;
che, infine, i ricorrenti lamentano come la mancata trasmissione di un atto presupposto a una norma oggetto di deliberazione rileverebbe anche ai fini della partecipazione del Parlamento al processo di integrazione del diritto nazionale con l’ordinamento della Unione europea, improntato ai princìpi della sussidiarietà, della ragionevolezza e della leale collaborazione, alle cui logiche risponde l’art. 14 della legge n. 234 del 2012;
che, in particolare, in considerazione della funzione perseguita dal citato art. 14, da considerare una norma sulla produzione giuridica, mentre l’art. 7 da cui è scaturito l’odierno conflitto è una delle norme la cui produzione è regolata dalla prima, la violazione della prima si riverbererebbe negativamente sulla validità della seconda;
che, pertanto, la violazione perpetrata dal Governo, consistita nella mancata trasmissione della decisione della Commissione europea, nel tradursi nella «violazione del procedimento che regola la partecipazione del Parlamento italiano all’attuazione del diritto europeo nell’ordinamento nazionale», costituisce «motivo di invalidità della disposizione in tal modo approvata»; ciò rilevando – a parere dei ricorrenti – «anche in relazione al lamentato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato a discapito delle funzioni del singolo parlamentare», in quanto gli obblighi informativi previsti dalla norma de qua rappresenterebbero non solo un “avamposto” del generale potere di controllo delle Camere, che possono assumere al riguardo tutte le opportune deliberazioni in conformità ai rispettivi Regolamenti, ma anche una garanzia del potere del singolo parlamentare di conoscere il contenuto degli atti sottoposti alla propria approvazione, al fine di esercitare le attribuzioni a lui conferite dalla Costituzione;
che, quindi, i ricorrenti chiedono – previa decisione di ammissibilità dei conflitti – che questa Corte verifichi l’avvenuta menomazione delle proprie prerogative costituzionali e annulli, conseguentemente, la «conversione in parte qua» dell’art. 7 del d.l. n. 121 del 2021 «e, per l’effetto, di tutti gli atti conseguenti che diano esecuzione all’art. 1 della legge 9 novembre 2021, n. 156 nella parte in cui dichiara la conversione in legge» della predetta disposizione.
Considerato che, con ricorso n. 4 del 2022, il senatore Gregorio De Falco e, con ricorsi n. 5 e n. 6 del 2022, rispettivamente, i deputati Arianna Spessotto, Michele Sodano, Raphael Raduzzi, Alvise Maniero e il deputato Stefano Fassina hanno sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Governo («anche nella persona» del Presidente del Consiglio dei ministri, in proprio nonché quale rappresentante del Governo) e della propria Camera di appartenenza;
che il senatore De Falco ha sollevato conflitto anche nei confronti del Presidente della ottava Commissione permanente, della Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari e del Presidente del Senato della Repubblica;
che tutti i ricorrenti lamentano «la menomazione delle [proprie] attribuzioni rappresentate dagli specifici poteri riconosciuti al singolo parlamentare direttamente dalla Costituzione, quale rappresentante della Nazione (art. 67 Cost.) nonché partecipe della funzione legislativa delle Camere (artt. 71 e 72 Cost.)», menomazione derivante anche dalla violazione degli artt. 3, 68, 77, secondo comma, e 94 della Costituzione;
che le asserite menomazioni deriverebbero dall’approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121 (Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle infrastrutture stradali e autostradali), e in particolare dell’art. 7 di detto decreto-legge, a seguito della presentazione presso la Camera dei deputati, di un maxi-emendamento sostitutivo dell’art. 1 del disegno di legge, su cui è stata posta la questione di fiducia dal Governo, poi proposta anche in Senato, senza aver potuto conoscere la decisione – richiamata dal medesimo art. 7 – della Commissione europea prevista dall’art. 79 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27;
che, infatti, il Governo non ha provveduto a trasmettere la decisione della Commissione europea (adottata il 10 settembre 2021), decisione cui i commissari straordinari – a norma del comma 2, lettera a), del citato art. 7, che sostituisce il comma 4 dell’art. 11-quater del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73 (Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali), convertito, con modificazioni, nella legge 23 luglio 2021, n. 106 – sono tenuti ad adeguare il programma della procedura di amministrazione straordinaria di Alitalia – Società Aerea Italiana spa e Alitalia Cityliner spa (d’ora in poi: Alitalia);
che i ricorrenti sostengono che tale provvedimento – con il quale la Commissione europea si è pronunciata sugli aiuti di Stato in riferimento ai finanziamenti concessi ad Alitalia e ha ravvisato la «discontinuità economica» tra la stessa e Italia Trasporto Aereo spa (d’ora in poi: ITA), subordinandola alla sussistenza di numerose e significative condizioni – sia stato pubblicato solo in data successiva alla votazione per l’approvazione del predetto disegno di legge di conversione del d.l. n. 121 del 2021, risultando – alla data della votazione, sia alla Camera dei deputati sia al Senato della Repubblica – unicamente la pubblicazione sul sito istituzionale della Commissione europea di un comunicato stampa del 10 settembre 2021;
che i ricorsi, aventi il medesimo oggetto, presentano argomentazioni quasi integralmente sovrapponibili, e, pertanto, i relativi giudizi di ammissibilità vanno riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi con unica ordinanza;
che, in questa fase del giudizio, questa Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti, soggettivo e oggettivo, prescritti dall’art. 37, primo e terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali;
che questa Corte, con l’ordinanza n. 17 del 2019, ha riconosciuto, quanto al profilo soggettivo, l’esistenza di una sfera di prerogative che spettano al singolo parlamentare, diverse e distinte da quelle che spettano all’Assemblea di cui fa parte, prerogative che – qualora risultino lese da altri organi parlamentari – possono essere difese con lo strumento del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;
che tale legittimazione deve essere altresì rigorosamente circoscritta quanto al profilo oggettivo, ossia alle menomazioni censurabili in sede di conflitto, dovendo fondarsi sull’allegazione di vizi che determinino violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari (così, ancora, ordinanza n. 17 del 2019; in senso analogo ordinanze n. 188, n. 67 e n. 66 del 2021, n. 60 del 2020, n. 275 e n. 274 del 2019) e che tali violazioni devono essere rilevabili nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione (ordinanze n. 80 del 2022 e n. 186 del 2021);
che, in primo luogo, questa Corte ha più volte specificato la necessità, quanto al profilo soggettivo, che sia ravvisabile l’esistenza di una sfera di prerogative che spettano al singolo parlamentare in quanto tale (da ultimo, ordinanze n. 188 e n. 67 del 2021);
che, invece, con i conflitti in esame – indirizzati a contestare prevalentemente il modus operandi del Governo, non a caso individuato come (ulteriore) legittimato passivo – non viene rivendicata la lesione di una prerogativa dei singoli parlamentari ricorrenti, in quanto non è ravvisabile in capo a questi ultimi una posizione che sia, se non propriamente contrapposta, quantomeno distinta e autonoma rispetto a quella facente capo alla Camera di appartenenza;
che, infatti, la circostanza contestata e posta alla base dei conflitti – ovverosia la mancata trasmissione e la conseguente impossibilità di conoscere la decisione della Commissione europea – è una situazione che coinvolge l’intera assemblea, rispettivamente del Senato e della Camera;
che, quindi, eventualmente, di fronte alla condotta omissiva del Governo, titolare della sfera di attribuzioni costituzionali che si assumono violate è ciascuna Camera e, conseguentemente, solo quest’ultima è legittimata a sollevare il conflitto in difesa della dedotta lesione, e non il singolo parlamentare (ordinanze n. 67 del 2021 e n. 129 del 2020), la cui posizione è “assorbita” da quella della propria Camera di appartenenza;
che, d’altronde, questa Corte ha sul punto anche chiarito che il singolo parlamentare non può rappresentare l’intero organo cui appartiene e non è ipotizzabile alcuna concorrenza tra la legittimazione attiva del singolo parlamentare e quella della Camera di appartenenza (ordinanze n. 67 del 2021 e n. 163 del 2018);
che, a conferma della inerenza delle attribuzioni di cui i ricorsi lamentano la menomazione all’Assemblea e non al singolo componente in quanto tale, si pone l’intervenuta attivazione dei canali istituzionali della Camera dei deputati a tutela delle proprie prerogative: come ricostruito dagli stessi ricorrenti, la trasmissione della decisione de qua veniva sollecitata, in prima battuta (con una lettera del 24 settembre 2021 indirizzata al Ministro dell’economia e delle finanze) dal Presidente della Commissione trasporti della Camera dei deputati, e, in seconda battuta (in data 30 settembre e 20 ottobre 2021), dal Presidente della Camera dei deputati, con una lettera indirizzata al Ministro dei rapporti con il Parlamento – il quale inoltrava una nota del Ministro dell’economia e della finanze con cui si assicurava la trasmissione dell’atto richiamato “non appena ultimata la complessa procedura prevista per la sua pubblicazione a livello europeo” –; mentre successivamente, a votazione ormai avvenuta, il Presidente della Camera dei deputati scriveva una lettera al Presidente del Consiglio dei ministri, con la quale lamentava, come significativamente esposto dagli stessi ricorrenti, “la lesione delle prerogative della Camera” che aveva dovuto deliberare senza avere piena conoscenza delle cruciali prescrizioni della Commissione europea;
che, d’altra parte, nelle ipotesi in cui – diversamente dai conflitti in esame – il singolo parlamentare deduca unicamente violazioni dei Regolamenti della Camera e del Senato e delle relative prassi, operano rimedi interni alle assemblee parlamentari, cui è riservato il giudizio relativo all’interpretazione e applicazione delle norme e delle prassi regolamentari (ordinanze n. 193 e n. 186 del 2021);
che, in secondo luogo, quand’anche le lamentate lesioni fossero riconducibili alla sfera di attribuzioni del singolo parlamentare, mancherebbe, sotto il profilo oggettivo, il carattere manifesto ed evidente della violazione;
che, infatti, dalla ricostruzione dell’iter legislativo offerta dagli stessi ricorrenti e ricavabile dai lavori parlamentari risulta che, nel caso in esame, essi hanno potuto esercitare appieno le proprie prerogative di parlamentari, non solo esprimendo voto contrario o astenendosi e presentando emendamenti, ma anche segnalando alla propria Camera di appartenenza le ritenute criticità legate alla possibile approvazione della disposizione in assenza di una adeguata conoscenza della decisione della Commissione europea in essa richiamata;
che, come del resto segnalato dagli stessi ricorrenti, il contenuto essenziale di quest’ultima veniva reso noto sul sito istituzionale della Commissione europea il giorno stesso della sua adozione, attraverso la pubblicazione di tre distinti comunicati stampa, l’ultimo dei quali, in particolare, chiariva che «sulla base del piano dell’Italia relativo alla nuova compagnia e delle condizioni alle quali determinate attività saranno trasferite da Alitalia a ITA, vi è una discontinuità economica tra Alitalia e ITA», sicché quest’ultima non è responsabile del rimborso degli aiuti di Stato ricevuti in passato dalla prima;
che, pertanto, la tempestiva e puntuale conoscenza del contenuto della decisione della Commissione europea priva di fondamento i timori, espressi dagli stessi parlamentari, di una votazione senza la conoscenza delle determinazioni assunte in sede sovranazionale cui i commissari straordinari sarebbero stati tenuti ad adeguare il programma della procedura di amministrazione straordinaria di Alitalia, secondo quanto previsto dal comma 4 dell’art. 11-quater del d.l. n. 73 del 2021, come sostituito dal già citato comma 2, lettera a), dell’art. 7;
che, infine, quanto al profilo della legittimazione passiva, con riferimento al Governo, questa Corte ha sempre escluso che, in un conflitto, il singolo parlamentare possa rappresentare l’intero organo cui appartiene, in quanto non è «titolare di attribuzioni individuali costituzionalmente protette nei confronti dell’esecutivo» (ordinanze n. 80 del 2022, n. 67 del 2021 e n. 181 del 2018);
che, per gli altri soggetti individuati nel conflitto n. 4 del 2022, la prospettazione del ricorrente è resa incerta dal carattere cumulativo e congiunto del ricorso e dalla circostanza che le censure in esso contenute sono presentate senza considerazione della diversità delle rispettive qualificazioni (ordinanze n. 181 del 2018 e n. 277 del 2017);
che, pertanto, in conclusione, i ricorsi devono ritenersi inammissibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicati in epigrafe, promossi dal senatore Gregorio De Falco e dai deputati Arianna Spessotto, Michele Sodano, Raphael Raduzzi, Alvise Maniero e Stefano Fassina.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2022.
Il Cancelliere
F.to: Igor DI BERNARDINI