Corte Costituzionale, Ordinanza n.157 del 23/06/2022

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ORDINANZA N. 157

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sorto a seguito dell’approvazione dei commi da 629 a 633 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024), promosso da Cristina Piazza, «in qualità di Giudice di pace presso l’Ufficio del Giudice di pace di Bologna», con ricorso depositato in cancelleria il 10 gennaio 2022 ed iscritto al n. 2 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2022, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 25 maggio 2022 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

deliberato nella camera di consiglio del 25 maggio 2022.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 10 gennaio 2022, Cristina Piazza, «in qualità di Giudice di pace presso l’Ufficio del Giudice di pace di Bologna», ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, in persona dei rispettivi Presidenti;

che oggetto del conflitto sono i commi da 629 a 633 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024), ai quali la ricorrente imputa la «mancata estensione al magistrato onorario ricorrente delle stesse condizioni di lavoro previste per legge in favore dei magistrati professionali equivalenti (ex giudici di tribunale), come statuito dalla sentenza del 16 luglio 2020 della Corte di giustizia dell’Unione europea in causa C-658/18 UX […] e richiesto al Governo italiano dalla Commissione europea con lettera di messa in mora del 15 luglio 2021 nell’ambito della procedura di infrazione n. 2016/4081»;

che, con l’approvazione di queste disposizioni, i soggetti contro i quali il conflitto è proposto avrebbero determinato la «menomazione ed usurpazione delle attribuzioni e delle prerogative spettanti al giudice di pace ricorrente, quale appartenente alla giurisdizione ordinaria di primo grado», in violazione degli artt. 3, 4, primo comma, 36, primo comma, 38, secondo comma, 97, secondo e quarto comma, 101, secondo comma, 102, primo comma, 104, primo comma, 105, 106, primo e secondo comma, 107, primo comma, 108, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione: agli artt. 15, 20, 21, 30, 31, 34 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; alle clausole 2, 4 e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato; alla direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro;

che, in particolare, sarebbero stati lesi i principi costituzionali di indipendenza e inamovibilità del giudice di pace, di «uguaglianza della magistratura onoraria alle condizioni di lavoro previste per il magistrato professionale equiparabile», «di rispetto degli obblighi comunitari che impongono tale equiparazione», nonché «di diritto anche del magistrato onorario all’elettorato attivo e passivo per la nomina dei consiglieri del Consiglio superiore della magistratura»;

che la ricorrente illustra il contenuto delle impugnate disposizioni di legge, rilevando che esse – approvate in forza di un emendamento governativo – modificano l’art. 29 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57), prevedendo una procedura di conferma «a tempo indeterminato», sino al compimento dei settanta anni di età, dei magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 116 del 2017, all’esito di apposite procedure valutative, da svolgersi con modalità semplificate, innanzi ad una commissione di valutazione composta dal presidente del tribunale o da un suo delegato, da un magistrato che abbia conseguito almeno la seconda valutazione di professionalità designato dal Consiglio giudiziario e da un avvocato iscritto all’albo speciale dei patrocinanti davanti alle magistrature superiori designato dal Consiglio dell’ordine;

che, espone ancora la ricorrente, per coloro che non supereranno la procedura valutativa, oppure che non riterranno di sottoporvisi (in tal modo cessando dal servizio), si prevede «una sorta di liquidazione parametrata al numero di anni di servizio», per importi variabili, ma comunque complessivamente non superiori alla somma di euro cinquantamila lordi, la cui percezione – al pari della domanda di partecipazione alla procedura di valutazione – comporta la conseguenza della «rinuncia ad ogni ulteriore pretesa di qualsivoglia natura conseguente al rapporto onorario» cessato o pregresso;

che il superamento della procedura di valutazione attribuisce la facoltà di optare per un regime di esclusività dell’esercizio delle funzioni onorarie, in luogo di un impegno settimanalmente limitato perché destinato ad affiancarsi ad altre attività di lavoro autonomo o dipendente, con trattamento economico differenziato, ma comunque sempre equivalente a quella di un funzionario – «non di un dirigente» – dell’amministrazione della giustizia, con «copertura previdenziale e assistenziale», nonché riconoscimento del «buono pasto per ogni udienza oltre le 6 ore»;

che la ricorrente chiede a questa Corte di sollevare d’ufficio dinanzi a sé, per contrasto con i numerosi parametri costituzionali in precedenza indicati, tredici questioni di legittimità costituzionale: degli articoli da l a 33 (ad eccezione dell’art. 29, comma l) del d.lgs. n. 116 del 2017, «nella parte in cui le predette disposizioni vengono estese ai magistrati onorari già in servizio alla data di entrata in vigore del decreto»; dell’art. 29, comma l, del d.lgs. n. 116 del 2017, nella parte in cui non prevede che ai magistrati onorari, confermati all’esito delle descritte procedure valutative, si applichino «le stesse condizioni di lavoro dei magistrati professionali equiparabili (ex giudici di tribunale)»; degli artt. 23 e 24 della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura), «nella parte in cui dette disposizioni non comprendono, ai fini dell’elettorato attivo e passivo per l’elezione dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, anche i magistrati onorari» confermati;

che, quanto al requisito soggettivo richiesto ai fini dell’ammissibilità del conflitto, esso emergerebbe «dalla circostanza che l’odierna giudice di pace fa parte della giurisdizione di primo grado (artt. l e 4 dell’ordinamento giudiziario)», tanto che il ricorso sarebbe «diretto ad impegnare l’intero organo giudiziario»;

che la «situazione soggettiva» della ricorrente, del resto, sarebbe già stata «sottoposta alla delibazione incidentale della Corte di giustizia nella causa pregiudiziale C-658/18, UX contro Governo della Repubblica italiana, definita dalla sentenza del 16 luglio 2020», pronunciata in esito ad un rinvio pregiudiziale operato dal Giudice di pace di Bologna nell’ambito di un procedimento per decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto proprio dalla ricorrente, per il pagamento di una somma – corrispondente alla retribuzione mensile, al netto dei contributi fiscali e previdenziali, spettante ad un magistrato professionale avente pari anzianità di servizio – a titolo di risarcimento dei danni subiti per il mancato riconoscimento di un periodo di ferie retribuite;

che la ricorrente illustra ampiamente la motivazione con la quale la Corte di giustizia dell’Unione europea, nella sentenza 16 luglio 2020, in causa C-658/18, UX, ha stabilito che l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, deve essere interpretato nel senso che il giudice di pace italiano rientra nella nozione di «giurisdizione di uno degli Stati membri» e che, considerate le modalità di organizzazione del lavoro dei giudici di pace, questi ultimi «svolgono le loro funzioni nell’ambito di un rapporto giuridico di subordinazione sul piano amministrativo, che non incide sulla loro indipendenza nella funzione giudicante, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare»;

che, di conseguenza, secondo la citata pronuncia della Corte di giustizia UE, la figura del giudice di pace deve essere ricondotta alla nozione di «lavoratore a tempo determinato» e, perciò, differenze di trattamento, rispetto al magistrato professionale, non possono essere giustificate dalla sola temporaneità dell’incarico, ma unicamente «dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilità», mantenendo rilievo la circostanza che per i soli magistrati ordinari la nomina debba avvenire per concorso, a norma dell’art. 106, primo comma, Cost., e che a questi l’ordinamento riservi le controversie di maggiore complessità o da trattare negli organi di grado superiore;

che, sempre ai fini dell’ammissibilità del conflitto e quanto al requisito oggettivo, la ricorrente sostiene l’attualità e la concretezza della «lesione e menomazione della giurisdizione della giudice di pace», nonché dell’indipendenza e inamovibilità del medesimo magistrato onorario, aggiungendo che la Commissione europea, il 15 luglio 2021, ha notificato all’Italia una lettera di messa in mora (di cui vengono evidenziati i passaggi essenziali), con contestuale avvio di una procedura di infrazione, prospettando il contrasto della disciplina nazionale sui magistrati onorari con le norme europee sul diritto del lavoro, per il mancato riconoscimento di alcune “condizioni di impiego” da queste ultime previste e valevoli, invece, per i magistrati professionali, quali: indennità per gravidanza, malattia e infortunio; iscrizione alla gestione separata presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS); modalità retributive e differenze di trattamento economico; ferie annuali retribuite; rimborso delle spese legali per procedimenti disciplinari;

che sarebbe incomprensibile la ragione per la quale la ricorrente – «già vincitrice del concorso pubblico previsto dalla legge n. 374/91 per l’accesso all’Ufficio del Giudice di pace» e già soggetta a numerose procedure di conferma quadriennale (l’ultima delle quali sino al 31 maggio 2024) – dovrebbe sottoporsi ad una nuova valutazione, peraltro affidata – con previsione che sarebbe stata stigmatizzata dallo stesso Consiglio superiore della magistratura, in occasione del parere espresso sull’emendamento governativo alla legge di bilancio per il 2022 dal quale è originata l’approvazione delle disposizioni oggetto del presente conflitto – ad una commissione non nominata dall’organo di governo autonomo della magistratura, a differenza di quanto accade per il concorso di accesso alla magistratura ordinaria;

che, quanto al merito, la ricorrente richiama la sentenza n. 267 del 2020, nella quale questa Corte avrebbe preso atto dei principi espressi dalla più volte citata sentenza della Corte di giustizia UE del 16 luglio 2020, per poi riconoscere anche al giudice di pace – in ragione dell’identità della funzione del giudicare e della sua primaria importanza nel quadro costituzionale – il diritto al rimborso spettante ai dipendenti statali per le spese legali sostenute nei giudizi di responsabilità, quando questi siano stati promossi per fatti di servizio e si siano conclusi con accertamento negativo della responsabilità;

che da ciò la ricorrente trae argomenti per sostenere la contrarietà rispetto ai plurimi parametri costituzionali evocati – «e, quindi, la violazione dell’indipendenza e dell’inamovibilità della magistratura di pace ricorrente» – delle disposizioni impugnate, le quali, a suo giudizio, delineerebbero «un’inammissibile figura ibrida di magistrato che svolge in via esclusiva […] le stesse funzioni giurisdizionali del magistrato ordinario» e che, ciononostante, verrebbe retribuito «come assistente amministrativo» e dovrebbe anche rinunciare, con la presentazione della domanda di conferma, «ai diritti economici, normativi e previdenziali maturati in ragione dell’attività lavorativa svolta come magistrato onorario», nonostante questi diritti «siano stati accertati e riconosciuti nei confronti della giudice di pace ricorrente addirittura dalla Corte di giustizia nella sentenza UX e siano stati ribaditi nella loro vigenza dalla Commissione europea nella lettera di messa in mora del 15 luglio 2021»;

che, espone ancora la ricorrente, le diposizioni oggetto di conflitto, lasciando immodificato l’art. 21 del d.lgs. n. 116 del 2017 e, quindi, gli istituti della decadenza, della dispensa e della revoca dell’incarico onorario, senza le garanzie proprie del procedimento disciplinare, lederebbero la garanzia di inamovibilità spettante ai magistrati onorari;

che l’«evidente supremazia gerarchica del potere amministrativo del datore di lavoro (Ministero della giustizia) sulle funzioni giurisdizionali» determinerebbe una «grave regressione del credito e prestigio, di cui il singolo magistrato, come la giudice di pace ricorrente, e l’intero Ordine giudiziario, devono godere presso la comunità dei cittadini», dal momento che «il trattamento economico dei magistrati» non potrebbe ritenersi «nella libera disponibilità del potere legislativo o del potere esecutivo, trattandosi di un aspetto essenziale per attuare il precetto costituzionale dell’indipendenza»;

che, in data 28 gennaio 2022, la ricorrente ha presentato una «istanza cautelare» con la quale ha richiesto, nella «imminenza della rinuncia ex lege alla prosecuzione del giudizio», la «sospensione degli artt. 29, commi 5 e 9, e 21, commi 3-6, del d.lgs. n.116/2017», in considerazione dei «pregiudizi gravi, specifici e concreti per l’indipendenza e l’autonomia della ricorrente», segnalando l’incombente avvio delle procedure valutative di conferma;

che, in prossimità della camera di consiglio del 25 maggio 2022, la ricorrente ha depositato memoria, in data 13 maggio 2022, e dunque fuori termine, allo scopo di avanzare una nuova «istanza cautelare», volta ad ottenere la sospensione – anche in forza della sentenza della Corte di giustizia UE, prima sezione, 7 aprile 2022, in causa C-236/20, PG – degli atti amministrativi nelle more adottati dal Ministero della giustizia e dal Consiglio superiore della magistratura e con i quali sono state rispettivamente organizzate e indette le procedure valutative di conferma previste dalle disposizioni impugnate.

Considerato che Cristina Piazza, in asserita «qualità di Giudice di pace presso l’Ufficio del Giudice di pace di Bologna», solleva conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, in persona dei rispettivi Presidenti, per la declaratoria di «menomazione ed usurpazione delle attribuzioni e delle prerogative spettanti al giudice di pace ricorrente, quale appartenente alla giurisdizione ordinaria di primo grado»;

che il conflitto origina dall’approvazione dei commi da 629 a 633 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024), ai quali la ricorrente imputa la «mancata estensione al magistrato onorario ricorrente delle stesse condizioni di lavoro previste per legge in favore dei magistrati professionali equivalenti (ex giudici di tribunale), come statuito dalla sentenza del 16 luglio 2020 della Corte di giustizia dell’Unione europea in causa C-658/18 UX […] e richiesto al Governo italiano dalla Commissione europea con lettera di messa in mora del 15 luglio 2021 nell’ambito della procedura di infrazione n. 2016/4081»;

che tali disposizioni – approvate in forza di un emendamento governativo – modificano l’art. 29 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57), prevedendo una procedura di conferma «a tempo indeterminato», sino al compimento dei settanta anni di età, dei magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 116 del 2017;

che la disciplina impugnata per conflitto prevede che la conferma sia subordinata al superamento di procedure valutative, da svolgersi con modalità semplificate e innanzi ad una apposita commissione – composta da membri non designati dal Consiglio superiore della magistratura, sottolinea la ricorrente – e con attribuzione, in caso di esito positivo, di un trattamento economico, comprensivo di copertura previdenziale e assistenziale, parametrato a quello di un funzionario amministrativo;

che è previsto, inoltre, che la partecipazione alla procedura comporti la «rinuncia ad ogni ulteriore pretesa di qualsivoglia natura conseguente al rapporto onorario pregresso»;

che è stabilito, infine, che i magistrati onorari che non accedano alla conferma, tanto nell’ipotesi di mancata presentazione della domanda, quanto in quella di mancato superamento della procedura valutativa, cessino dall’incarico, salvo il diritto ad una indennità calcolata in base al numero di anni di servizio onorario prestato ma, comunque, di ammontare non superiore a cinquantamila euro, la cui accettazione comporta «rinuncia ad ogni ulteriore pretesa di qualsivoglia natura conseguente al rapporto onorario cessato»;

che le descritte disposizioni, ad avviso della ricorrente, determinerebbero una «violazione dell’indipendenza e dell’inamovibilità della magistratura di pace ricorrente», delineando «un’inammissibile figura ibrida di magistrato che svolge in via esclusiva […] le stesse funzioni giurisdizionali del magistrato ordinario» e che, ciononostante, verrebbe retribuito «come assistente amministrativo», obbligato anche a rinunciare, con la presentazione della domanda di conferma, «ai diritti economici, normativi e previdenziali maturati in ragione dell’attività lavorativa svolta come magistrato onorario», nonostante questi diritti «siano stati accertati e riconosciuti nei confronti della giudice di pace ricorrente» dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza 16 luglio 2020, in causa C-658/18, UX, di cui vengono ampiamente illustrati i contenuti;

che, espone ancora la ricorrente, i soggetti contro i quali è proposto il conflitto, omettendo di modificare l’art. 21 del d.lgs. n. 116 del 2017 – che prevede gli istituti della decadenza, della dispensa e della revoca dell’incarico e, quindi, «cause di automatica cessazione del rapporto di impiego a discrezione del datore di lavoro Ministero della giustizia e del CSM, senza procedimento disciplinare» – avrebbero leso la garanzia di inamovibilità spettante ai magistrati onorari;

che l’«evidente supremazia gerarchica del potere amministrativo del datore di lavoro (Ministero della giustizia) sulle funzioni giurisdizionali» determinerebbe una «grave regressione del credito e prestigio, di cui il singolo magistrato, come la giudice di pace ricorrente, e l’intero Ordine giudiziario, devono godere presso la comunità dei cittadini», dal momento che «il trattamento economico dei magistrati» non potrebbe ritenersi «nella libera disponibilità del potere legislativo o del potere esecutivo, trattandosi di un aspetto essenziale per attuare il precetto costituzionale dell’indipendenza»;

che, in definitiva, è richiesto a questa Corte di dichiarare che le disposizioni impugnate hanno leso le attribuzioni costituzionali di indipendenza e inamovibilità del giudice di pace, di «uguaglianza della magistratura onoraria alle condizioni di lavoro previste per il magistrato professionale equiparabile», «di rispetto degli obblighi comunitari che impongono tale equiparazione», nonché «di diritto anche del magistrato onorario all’elettorato attivo e passivo per la nomina dei consiglieri del Consiglio superiore della magistratura»;

che, in questa fase del giudizio, la Corte costituzionale è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri da norme costituzionali;

che, quanto al profilo soggettivo, la giurisprudenza di questa Corte riconosce la legittimazione dei singoli organi giurisdizionali – e quindi anche del giudice di pace – ad essere parte nei conflitti di attribuzione, in relazione al carattere diffuso che connota il potere di cui sono espressione, e alla loro competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono (da ultimo, ordinanza n. 19 del 2021);

che, sebbene la dottoressa Cristina Piazza dichiari di sollevare conflitto «in qualità di Giudice di pace presso l’Ufficio del Giudice di pace di Bologna», l’atto di promovimento non indica alcun processo in corso di svolgimento ed affidato per la trattazione e decisione alla ricorrente, la quale, del resto, neppure motiva in ordine all’incidenza delle disposizioni impugnate su attribuzioni costituzionali da esercitare in relazione a uno o più specifici procedimenti a lei assegnati e in corso di svolgimento;

che, all’evidenza, la ricorrente non agisce, quindi, nell’esercizio in concreto di funzioni giurisdizionali;

che invece, come da costante giurisprudenza costituzionale, la legittimazione dei singoli organi giurisdizionali a sollevare conflitto sussiste «”limitatamente all’esercizio dell’attività giurisdizionale assistita da garanzia costituzionale”» (ordinanze n. 19 del 2021, n. 296 del 2013 e n. 366 del 2008; nello stesso senso, ordinanze n. 338 del 2007 e n. 87 del 1978);

che, dunque, presupposto per la sollevazione del conflitto da parte del singolo giudice è che questi «sia attualmente investito del processo, in relazione al quale soltanto i singoli giudici si configurano come “organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengano”, ai sensi dell’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87» (ordinanza n. 144 del 2000; analogamente, ordinanza n. 127 del 2006), dal momento che il carattere diffuso, che connota gli organi giurisdizionali in ordine a tale competenza, «viene in rilievo solo con riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali» (ordinanza n. 285 del 2011);

che, quindi, anche il giudice di pace può proporre conflitto, perché competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene, ma solo «nell’esercizio delle funzioni attribuitegli» (ordinanza n. 151 del 2013; nello stesso senso, con riferimento a organi giurisdizionali diversi dal giudice di pace, ordinanze n. 35 del 2022, n. 148, n. 84, n. 82 e n. 69 del 2020, n. 139 del 2016 e n. 25 del 2013), risultando, altrimenti, «manifestamente privo della legittimazione attiva» (ordinanze n. 22 del 2000, n. 340 e n. 244 del 1999);

che tale carenza di legittimazione attiva deve essere affermata anche nella fattispecie in esame, in cui la ricorrente non solo non è nell’esercizio delle proprie funzioni giudicanti, ma utilizza il giudizio per conflitto tra poteri – destinato a garantire attribuzioni costituzionalmente presidiate – come una sorta di ricorso diretto, eccentrico rispetto ai mezzi di tutela offerti dall’ordinamento, in funzione di difesa di propri, asseriti, diritti tutelati dalla Costituzione (analogamente, ordinanza n. 279 del 2011);

che la carenza in parola, costituendo motivo assorbente d’inammissibilità del conflitto, dispensa dall’esame di altri profili, relativi, in particolare, alla astratta configurabilità di tutte le attribuzioni costituzionali prospettate come lese, ai presupposti di ammissibilità di un conflitto avente ad oggetto una legge, e alla corretta individuazione dei legittimati passivi;

che, in mancanza dei requisiti di ammissibilità del conflitto, questa Corte non deve pronunciarsi sulla richiesta di autorimessione delle questioni di legittimità costituzionale sollecitata dalla ricorrente, restando anche assorbita l’istanza di sospensione cautelare (ordinanze n. 32 del 2022 e n. 254 del 2021).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 23 giugno 2022.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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