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Covid, tamponi vietati in parafarmacia

Corte Costituzionale, Sentenza n.171 del 08/07/2022

La decisione di consentire soltanto alle farmacie, e non anche alle parafarmacie, di effettuare tamponi rapidi antigenici e test sierologici rientra nella sfera della discrezionalità legislativa e non è una scelta irragionevole.

È quanto ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza 8 luglio 2022 n. 171, dichiarando non fondate le questioni sollevate dal Tar Marche sull’art. 1, commi 418 e 419, della legge di bilancio 2021 (L n. 178 del 2020), con riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione.

La scelta del Legislatore di affidare durante la pandemia il servizio alle farmacie, e non anche alle parafarmacie, è fondata sull’inserimento delle farmacie nell’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale e quindi sulla loro abilitazione a trattare i dati sensibili raccolti e trasmetterli alle autorità sanitarie, attraverso i sistemi informativi e telematici già in uso.

Tale scelta è stata reputata dalla Corte non irragionevole.

Test anticovid, farmacie, divieto per le parafarmacie, disparità di trattamento, questione di legittimità costituzionale, non fondatezza

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 418 e 419, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), nella parte in cui consentono alle sole farmacie, e non anche alle cosiddette parafarmacie, l’effettuazione dei "test mirati a rilevare la presenza di anticorpi IgG e IgM e dei tamponi antigenici rapidi per la rilevazione di antigene SARS-CoV-2", sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione.

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SENTENZA N. 171

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 418 e 419, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche nel procedimento vertente tra il Movimento nazionale liberi farmacisti e altri e la Regione Marche e altri, con ordinanza dell’11 gennaio 2022, iscritta al n. 4 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visti gli atti di costituzione del Movimento nazionale liberi farmacisti e altri, dell’Unione regionale dei titolari di farmacia delle Marche - Federfarma Marche, della Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia italiani - Federfarma, nonché gli atti di intervento di Parafarmacia S. Rita di Binda Gaia e altri e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 7 giugno 2022 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

uditi gli avvocati Daniele Granara per Movimento nazionale liberi farmacisti e altri, Andrea Galvani per Unione regionale dei titolari di farmacia delle Marche - Federfarma Marche, Piermassimo Chirulli e Massimo Luciani per Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia italiani - Federfarma e l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio dell’8 giugno 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 418 e 419, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), per violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione. Le disposizioni censurate – nella parte in cui consentono alle sole farmacie, e non anche alle cosiddette parafarmacie, l’effettuazione dei «test mirati a rilevare la presenza di anticorpi IgG e IgM e dei tamponi antigenici rapidi per la rilevazione di antigene SARS-CoV-2» – determinerebbero un’irragionevole disparità di trattamento tra farmacie e parafarmacie, limitando inoltre, senza un giustificato motivo, la libertà di iniziativa economica delle seconde, che non potrebbero svolgere un’attività che invece le prime, operanti nello stesso mercato di riferimento, sono abilitate a svolgere.

1.1.– Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere, su ricorso di alcuni titolari di parafarmacie ubicate nella Regione Marche e da tre associazioni di categoria, sull’impugnazione della deliberazione della Giunta regionale delle Marche 24 maggio 2021, n. 663, nonché di altri atti presupposti, connessi e conseguenti specificamente indicati. Con detta deliberazione, la Giunta ne ha annullato in autotutela una precedente, la n. 465 del 19 aprile 2021, che era volta a recepire l’accordo con le parafarmacie per l’effettuazione di «test rapidi basati sulla ricerca dell’antigene e i test diagnostici rapidi per la ricerca di anticorpi anti SARS-CoV-2». I ricorrenti hanno richiesto, altresì, la condanna della Regione Marche al risarcimento del danno patito in ragione del provvedimento impugnato.

1.2.– Il TAR Marche dà conto, innanzitutto, delle doglianze dei ricorrenti nel giudizio a quo.

Nel loro ricorso, questi premettono che le parafarmacie, istituite dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248, «sono nate per incrementare l’offerta del servizio farmaceutico in favore dell’utenza e per aumentare il tasso di concorrenza all’interno del mercato di riferimento». In ciascuna di esse devono essere presenti uno o più farmacisti abilitati (art. 5, comma 2, del d.l. n. 223 del 2006, come convertito).

A causa della pandemia da COVID-19 e in ragione della «impellente necessità di svolgere screening di massa» la Regione Marche, con deliberazione della Giunta n. 1547 del 2020, aveva approvato l’accordo con le organizzazioni rappresentative delle farmacie convenzionate «finalizzato all’effettuazione dei test diagnostici sierologici rapidi per la ricerca degli anticorpi per il virus SARS-CoV-2»; con deliberazione della Giunta n. 145 del 2021, aveva sottoscritto l’accordo per l’effettuazione di tamponi rapidi antigenici in farmacia; con deliberazione della Giunta n. 146 del 2021, aveva ampliato il novero delle strutture che possono effettuare il test antigenico rapido (laboratori, strutture e professionisti privati accreditati dalla Regione), secondo quanto previsto dalla circolare del Ministero della salute n. 705 del 2021 (Aggiornamento della definizione di caso COVID-19 e strategie di testing).

Successivamente, in ragione dell’andamento della pandemia, la Regione ha voluto implementare i servizi di screening e, con la indicata deliberazione n. 465 del 2021, poi annullata in autotutela, ha approvato l’accordo con le associazioni più rappresentative delle parafarmacie delle Marche per l’effettuazione dei test in questione: ciò, al dichiarato fine di facilitare l’accesso dei cittadini alle prestazioni sanitarie, aumentare l’efficienza e la capillarità delle attività di prevenzione, mettere in atto un controllo più accurato dell’evoluzione della pandemia. In tale accordo erano stabilite le modalità di adesione e gli obblighi delle parafarmacie quali, in particolare, la necessità che i test si svolgessero con il presidio di un farmacista e che l’esito dei tamponi fosse comunicato all’amministrazione regionale ai fini dell’inserimento in apposita banca dati.

La richiamata deliberazione della Giunta regionale, pertanto, in linea con la normativa statale volta a contenere e gestire l’emergenza sanitaria, aveva ritenuto le parafarmacie strutture in grado di aumentare l’efficienza delle attività di prevenzione e contrasto alla diffusione del virus. Una volta stipulato l’accordo, argomenta il giudice ricorrente, le parafarmacie si sono adeguate ai protocolli stabiliti e hanno investito notevoli risorse per poter eseguire i test in discorso.

1.2.1.– In data 26 aprile 2021, tuttavia, Federfarma Marche chiedeva alla Giunta regionale, con formale diffida, l’annullamento della citata deliberazione, che veniva reputata illegittima per diversi profili, innanzitutto perché in violazione del disposto dell’art. 1, comma 418, della legge n. 178 del 2020, alla luce del quale il legislatore avrebbe «inteso riservare alle sole farmacie la possibilità di effettuare test mirati al monitoraggio del virus SARS-CoV-2». L’effettuazione di tali test presso le parafarmacie, inoltre, sarebbe in contrasto con quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 66 del 2017 – secondo la quale la legislazione statale consentirebbe alle parafarmacie la sola vendita di talune ristrette categorie di medicinali – oltre che con i princìpi posti dal legislatore statale sulla organizzazione del servizio farmaceutico, i quali avrebbero natura di princìpi fondamentali nella materia «tutela della salute», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.

In sede di parere, richiesto dall’Azienda regionale sanitaria Marche, l’Avvocatura regionale ha ritenuto corretta la prospettazione di Federfarma.

L’annullamento in autotutela, pertanto, sarebbe stato adottato in quanto, erroneamente, si è dato «esclusivo rilievo» al luogo in cui è eseguito il test, «anziché, come si sarebbe dovuto, alla figura professionale del soggetto che, tanto nelle farmacie che nelle parafarmacie, è obbligato ad assistere gli utenti nell’esecuzione del (o anche a effettuare in prima persona il) test».

Di qui la censura, da parte dei ricorrenti, dell’operato della Regione per diversi motivi.

1.3.– Il TAR Marche riferisce di aver respinto la domanda cautelare; tale pronuncia è stata riformata dal Consiglio di Stato, sezione terza, con l’ordinanza 21 settembre 2021, n. 5163, nei soli limiti della sollecita fissazione dell’udienza di trattazione nel merito, poi fissata per il 15 dicembre 2021.

Ciò premesso, il giudice rimettente reputa che «la definizione del presente giudizio non possa prescindere dalla previa risoluzione» delle sollevate questioni di legittimità costituzionale e di non poter accogliere le istanze dei ricorrenti volte a investire la Corte di giustizia dell’Unione europea.

1.3.1.– Il giudice dell’Unione europea, infatti, nella sentenza 5 dicembre 2013, in cause da C-159/12 a C-161/12, quarta sezione, Venturini e altri, si è pronunciato su questioni che vedevano contrapporsi farmacie e parafarmacie, affermando la compatibilità con i Trattati delle «limitazioni che la legge nazionale italiana poneva alle prestazioni e alle attività che le parafarmacie possono erogare» (si trattava, nella specie, del divieto di vendita, posto in capo alle parafarmacie, di una intera classe di farmaci, quelli soggetti a prescrizione medica che non sono a carico del Servizio sanitario nazionale). In particolare, si affermò allora che spetta a ciascuno Stato membro stabilire a quale livello intenda garantire la sanità pubblica e il modo in cui raggiungere detto livello, ferma restando la necessità che il sistema attuato sia idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo e non vada oltre quanto necessario per raggiungerlo.

Il rimettente, che riporta ampi stralci della decisione, afferma che i «ricorrenti, non si comprende sulla base di quali dati di conoscenza, sostengono che la pronuncia della CGUE andrebbe in realtà letta come un’ultima chance che il giudice comunitario ha voluto concedere al legislatore italiano per allineare la normativa di settore ai princìpi di concorrenza, libertà di stabilimento e parità di accesso al mercato, salvando in limine una normativa che, nel suo complesso, è invece confliggente con i citati princìpi comunitari».

Il TAR Marche non condivide tale assunto dei ricorrenti, deducendo, al contrario, che le conclusioni della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ha ritenuto non contrastante con i Trattati una «limitazione permanente e rilevante» all’attività delle parafarmacie, «sono vieppiù attagliate alla odierna controversia», ove viene invece in rilievo una limitazione «transeunte e riguardante peraltro solo una specifica prestazione, il tutto nel pieno di una emergenza sanitaria di livello pandemico». Aggiunge, poi, che, in ragione della sopravvenuta normativa di cui all’art. 5 del decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e per l’esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche), convertito nella legge 16 settembre 2021, n. 126, l’accordo con le farmacie approvato con la citata deliberazione n. 145 del 2021 è stato sospeso, il che «rende ancora meno rilevante […] qualsiasi profilo comunitario».

1.3.2.– Nel passare a motivare sulle ragioni che lo inducono a sollevare le questioni di legittimità costituzionale, il giudice rimettente, anzitutto, esclude che le disposizioni censurate possano essere «suscettibili di interpretazione analogica o estensiva». Il legislatore italiano, infatti, avrebbe ben presente la distinzione tra farmacie e parafarmacie, sicché «sia in base al canone di interpretazione letterale, sia alla luce delle fondate argomentazioni delle parti resistenti» deve escludersi che la disposizione contenga un refuso. Conseguentemente, il TAR rimettente reputa infondati tutti i «motivi di ricorso tesi ad evidenziare la violazione dei diritti partecipativi dei soggetti privati destinatari degli effetti lesivi del provvedimento di autotutela e l’assenza dei presupposti per il legittimo esercizio del ius poenitendi previsti dall’art. 21-nonies» della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). Resta invece da verificare, afferma il giudice a quo, se poteva considerarsi illegittima la deliberazione della Giunta regionale che recava l’accordo con le parafarmacie, annullata in autotutela dalla Regione perché ritenuta in violazione delle disposizioni censurate: il che, dunque, porta il giudice marchigiano a dubitare della legittimità costituzionale di queste ultime.

1.3.3.– In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che, al di là del fatto che l’accordo con le parafarmacie ha avuto comunque vigenza per circa un mese, i ricorrenti hanno proposto anche la domanda risarcitoria per i danni che assumono di aver subito con l’adozione del provvedimento di autotutela, di modo che l’eventuale illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate avrebbe «evidenti riflessi» sulla delibazione di detta domanda. Ove, infatti, le questioni di legittimità costituzionale fossero reputate non fondate, nel giudizio principale andrebbe verificato «se, al di là della conformità del provvedimento di autotutela alla normativa statale, il modus operandi dell’amministrazione sia comunque rilevante ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c.»; in caso di suo accoglimento, invece, dovrebbe essere chiamato in giudizio anche il Presidente del Consiglio dei ministri, in rappresentanza dello Stato, perché – ferma restando l’eventuale autonoma responsabilità della Regione – è al legislatore statale che si deve l’adozione delle disposizioni costituzionalmente illegittime.

1.3.4.– In punto di non manifesta infondatezza, il TAR Marche muove dall’osservazione per cui «un farmacista abilitato è idoneo ad eseguire tutte le prestazioni connesse all’arte farmaceutica a prescindere dal luogo in cui egli si trovi ad operare», senza che su ciò rilevi, nell’attuale ordinamento di settore e tanto più durante l’emergenza pandemica, il diverso ruolo delle farmacie e delle parafarmacie.

Non varrebbe opporre che «la struttura più “istituzionale”» delle farmacie offra maggiori garanzie circa l’erogazione di prestazioni sanitarie, come questa Corte avrebbe affermato nella sentenza n. 66 del 2017. Questo argomento, infatti, presuppone l’esistenza di «una differenza oggettiva fra la prestazione erogata nella farmacia e quella erogata nella parafarmacia», altrimenti si è dinanzi a una ingiustificata compressione della libertà di iniziativa economica: nel caso di specie, non sussisterebbe alcuna differenza, stante il fatto che in entrambi i casi – come dimostrerebbero gli accordi stipulati dalla Regione Marche con farmacie e parafarmacie – il tampone sarebbe stato eseguito in modalità di autosomministrazione da parte dell’assistito sotto la sorveglianza del farmacista, il quale avrebbe dovuto verificare la corretta esecuzione dei passaggi affinché il test fornisse un risultato attendibile.

Ne consegue, a parere del TAR rimettente, la violazione degli artt. 3 e 41 Cost. perché, senza un giustificato motivo, viene «limitata la libertà di iniziativa economica di determinati soggetti giuridici rispetto alla medesima attività che altri soggetti giuridici operanti nello stesso mercato di riferimento sono invece abilitati a svolgere (attività, peraltro, che richiede una identica qualificazione professionale)».

La scelta del legislatore non potrebbe trovare giustificazione nella supposta circostanza che le farmacie garantirebbero una maggiore riservatezza, in quanto molte di esse, «soprattutto rurali o “storiche”», non dispongono di spazi adeguati e sono pertanto autorizzate ad avvalersi anche di spazi esterni o strutture appositamente allestite, sicché non c’è alcuna sostanziale differenza con le parafarmacie, le quali sarebbero chiaramente tenute ad attrezzarsi similmente ove necessario.

Di nessun rilievo, infine, sarebbero i profili concernenti il collegamento con la banca dati regionale e il trattamento di dati sensibili: per quel che riguarda il primo, infatti, è sufficiente «la disponibilità di un personal computer e di una connessione internet»; per quel che riguarda il secondo, se è vero che le farmacie, in quanto parte del servizio sanitario nazionale (SSN), sono già autorizzate a trattare i dati sensibili, va anche considerato, da un lato, che l’accordo con le parafarmacie prevedeva analoga autorizzazione e, per un altro, che «il farmacista è già di per sé soggetto alle regole deontologiche professionali».

Il TAR Marche, infine, rileva che la limitazione disposta dalle norme censurate è, altresì, «in conflitto logico con la ratio sottesa alla normativa emergenziale, ossia quella di incrementare il numero di tamponi», senza che in proposito possano essere valorizzati i profili di cui alla citata sentenza della CGUE Venturini e altri, «perché la decisione dei cittadini di eseguire i tamponi in questione non discende necessariamente dall’insorgenza di sintomi della malattia, ma anche dal principio di precauzione». La possibilità di effettuare tamponi anche in parafarmacia, pertanto, «avrebbe aumentato lo screening di massa, senza peraltro incidere sul tradizionale bacino di utenza delle farmacie».

1.4.– Da ultimo, il giudice a quo osserva che il ruolo eminente delle farmacie nella gestione della crisi sanitaria, riconfermato dalla legislazione successiva alle disposizioni censurate, non ha rilievo sulla controversia del giudizio principale, anche perché «non significa che tale scelta sia insuscettibile di essere contestata da chi vi abbia interesse».

2.– Con atto del 28 febbraio 2022, si è costituita in giudizio l’Unione regionale dei titolari di farmacia delle Marche - Federfarma Marche, parte nel giudizio a quo, chiedendo che sia dichiarata l’inammissibilità o, comunque, la non fondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.

2.1.– Premessa la ricostruzione dei fatti di causa, la parte ritiene che le disposizioni censurate siano conformi a Costituzione «in ragione delle significative differenze esistenti tra farmacie e parafarmacie e della preminente finalità perseguita dal legislatore di tutela della salute».

Secondo la legislazione italiana, infatti, soltanto le farmacie «sono parte integrante ed essenziale del servizio sanitario, si configurano come presidi sanitari di rilievo e prestano un servizio pubblico, con conseguente assoggettamento ad un insieme articolato e rigoroso di obblighi inerenti all’esercizio di tale attività e relativi stringenti controlli», mentre le parafarmacie, non soggette a tali obblighi e controlli, sono «meri esercizi commerciali di prossimità».

Tale differenziazione avrebbe già superato il vaglio tanto della Corte di Lussemburgo, quanto quello di questa Corte. Il giudice di Lussemburgo, nella già richiamata sentenza Venturini e altri, avrebbe riconosciuto che le farmacie offrono sotto più aspetti «maggiore garanzia tecnica», così come questa Corte, nella sentenza n. 216 del 2014, avrebbe del pari affermato che le farmacie assicurano un «insieme di garanzie maggiori». Conclusioni, queste, che avrebbero poi trovato conferma, tanto nella sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 2 luglio 2015, quarta sezione, in causa C-497-12, Gullotta, quanto nella sentenza n. 66 del 2017 di questa Corte.

Per tali ragioni, non vi sarebbe alcuna violazione dell’art. 3 Cost., perché non è indifferente che una prestazione sia erogata in farmacia o in parafarmacia, poiché soltanto dalla prima è assicurata «la continuità e la qualità del servizio offerto, oltre che condizioni idonee a garantire un’efficace tutela della salute dei propri clienti».

2.1.1.– Ancora evocando la sentenza Venturini e altri, la difesa della parte reputa non fondato anche il dubbio di legittimità costituzionale in relazione all’art. 41 Cost. Secondo tale pronuncia, infatti, la finalità della tutela della salute consentirebbe agli Stati membri di regolare e limitare la concorrenza «per garantire il soddisfacimento di siffatte primarie esigenze sanitarie». Ciò, peraltro, sarebbe anche rispettoso del principio di precauzione, che giustifica limitazioni della libertà di iniziativa economica, di stabilimento e di concorrenza quando rivolte a tutelare la salute (sono richiamate le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, 1° marzo 2018, in causa C-297/2016, Colegiul Medicilor Veterinari din România - CMVRO e 1° ottobre 2020, in causa C-649/2018, A e altri).

Del resto, anche la giurisprudenza di questa Corte (oltre alla sentenza n. 216 del 2014, è richiamata la n. 430 del 2007) avrebbe ritenuto «prevalente l’esigenza di tutelare il fondamentale diritto alla salute, lasciando completamente in ombra il profilo imprenditoriale».

3.– Con atto del 1° marzo 2022, si è costituita in giudizio Federfarma - Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia italiani, parte nel giudizio a quo, chiedendo che sia dichiarata l’inammissibilità o, in subordine, la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale.

3.1.– Ampiamente ripercorsa l’ordinanza di rimessione, la difesa della parte costituita eccepisce, innanzitutto, l’inammissibilità delle questioni per una pluralità di motivi.

3.2.– Nel merito, esse sarebbero, ad ogni modo, non fondate.

3.2.1.– È attraverso le farmacie pubbliche e private convenzionate, infatti, che il servizio sanitario nazionale, secondo quanto previsto dagli artt. 25 e 28 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), erogherebbe prevalentemente l’assistenza farmaceutica, che è volta ad assicurare in concreto la tutela del diritto costituzionale alla salute e che, non a caso, è inserita tra i livelli essenziali di assistenza (LEA) disciplinati dal d.P.C.m. 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502).

D’altra parte, la stessa giurisprudenza costituzionale avrebbe più volte affermato che la «rete capillare delle farmacie» (sentenza n. 27 del 2003) svolge un «servizio di pubblico interesse» (sentenza n. 312 del 1983), preordinato a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute. Posizione, questa – aggiunge la parte – che è condivisa tanto dal Consiglio di Stato (sono richiamate l’ordinanza dell’adunanza plenaria, 30 marzo 2000, n. 1, e il parere della Commissione Speciale 3 gennaio 2018, n. 69), quanto dalla CGUE (oltre alla sentenza Venturini e altri, è richiamata la sentenza 1° giugno 2010, in cause C-570/07 e C-571/07, Blanco Pérez e Chao Gómez). Sarebbe evidente, pertanto, che «la farmacia rappresenta il presidio di prossimità del Servizio Sanitario Nazionale».

Al fine di valorizzare il ruolo delle farmacie all’interno del SSN, il decreto legislativo 3 ottobre 2009, n. 153 (Individuazione di nuovi servizi erogati dalle farmacie nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, nonché disposizioni in materia di indennità di residenza per i titolari di farmacie rurali, a norma dell’articolo 11 della legge 18 giugno 2009, n. 69), avrebbe definito nuovi compiti e funzioni assistenziali delle farmacie, tra i quali l’erogazione di servizi di primo e di secondo livello (art. 1, comma 2, lettere c), d) ed e). L’attività delle farmacie, dunque, «non è più ristretta alla distribuzione di farmaci o di prodotti sanitari, ma si estende alla prestazione di servizi» (è citata, ancora, la sentenza n. 66 del 2017).

Ebbene, l’esclusione delle parafarmacie dall’erogazione di servizi, nell’ambito dei quali rientrerebbe la disciplina censurata, sarebbe «pienamente legittima e ragionevole», perché la cosiddetta farmacia dei servizi si fonda sui «pilastri» della «capillarità delle farmacie» e sulla «qualità e peculiare affidabilità del servizio ch’esse offrono». Quanto al primo di tali pilastri, esso si baserebbe sulla pianta organica, che fa sì che l’assistenza farmaceutica, comprensiva dei servizi, sia garantita «in ogni contesto geografico»: pianta organica che le parafarmacie «hanno più volte tentato di cancellare con plurime iniziative giudiziarie». Quanto al secondo – prosegue la parte – farmacie e parafarmacie «non possono essere neanche lontanamente equiparate» in relazione a qualità e peculiare affidabilità del servizio erogato. Ciò non solo perché soltanto le farmacie sono riconducibili al SSN e sono luogo predisposto a garantire la tutela della salute (come chiaramente riconosciuto tanto dalla giurisprudenza costituzionale che del Consiglio di Stato, nelle pronunce già richiamate), ma anche perché ci sono significative differenze organizzative, puntualmente richiamate in atti, che inciderebbero su qualità e affidabilità del servizio.

3.2.2.– Le differenze intercorrenti tra farmacie e parafarmacie, pertanto, sarebbero così evidenti che sarebbe dimostrata la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 3 Cost., perché «non ha alcun fondamento logico, ancora prima che giuridico, pretendere di paragonarle e porle sullo stesso piano». Del resto, questa Corte già nella sentenza n. 216 del 2014 avrebbe affermato, con ragionamento estensibile al caso di specie, che consentire alle parafarmacie di svolgere attività riservate alle farmacie finirebbe con l’affidare dette attività ad esercizi commerciali «che lo stesso legislatore ha voluto assoggettare ad una quantità meno intensa di vincoli e adempimenti».

3.2.3.– Per escludere la violazione dell’art. 41 Cost. sarebbe sufficiente richiamare la sentenza n. 85 del 2020 di questa Corte, la quale avrebbe ribadito che non v’è lesione della libertà d’iniziativa economica privata quando i limiti al suo esercizio corrispondano all’utilità sociale, che deve essere individuata in modo non arbitrario e perseguita con misure non palesemente incongrue: la tutela della salute rientra pacificamente nell’ambito dell’utilità sociale (è richiamata, ex multis, anche la sentenza n. 137 del 1971), come da ultimo avrebbe confermato la modifica dell’art. 41 Cost. operata con la legge di revisione costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1 (Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente).

4.– Con atto del 1° marzo 2022 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate manifestamente infondate.

4.1.– L’interveniente, ricostruiti brevemente i termini del giudizio principale e della ordinanza di rimessione, reputa necessario dar conto del contenuto delle deliberazioni regionali adottate per far fronte alla necessità di eseguire test diagnostici per il COVID-19.

Lo schema di accordo con le parafarmacie che ha originato la controversia nel giudizio principale prevedeva che tali test fossero eseguiti in modalità di autosomministrazione da parte dell’assistito, sotto sorveglianza del farmacista: si tratta di modalità che, diversamente da quanto affermato nell’ordinanza di rimessione, è differente da quella deliberata per l’esecuzione dei test presso le farmacie in attuazione delle disposizioni censurate. In merito a quest’ultima, infatti, la Regione ha adottato tre deliberazioni, ciascuna delle quali sostitutiva della precedente.

L’accordo approvato con la deliberazione n. 1547 del 1° dicembre 2020, che effettivamente prevedeva modalità identiche a quelle successivamente previste nell’accordo con le parafarmacie, «è stato sancito prima ed a prescindere dall’emanazione dei commi 418 e 419 della Legge di bilancio 2021». Con tale accordo, pertanto, la Regione intendeva porre in essere «una strategia di screening» basata sul sistema della farmacia dei servizi, ma priva di relazione alcuna con la disciplina statale censurata nell’odierno giudizio. Successivamente, il legislatore statale ha adottato, oltre alle disposizioni censurate, quella di cui all’art. 1, comma 420, della medesima legge di bilancio, il quale ha individuato tra i nuovi servizi erogati dalle farmacie nell’ambito del SSN l’effettuazione da parte di un farmacista di test diagnostici che prevedono il prelievo di sangue capillare.

La Regione provvedeva, pertanto, a sostituire l’ora citata deliberazione con la n. 145 del febbraio 2021 che, approvando l’accordo con le farmacie, espressamente richiamava la normativa statale di cui alla legge di bilancio per il 2021.

Il legislatore statale è, poi, ulteriormente intervenuto in materia con il d.l. n. 105 del 2021, come convertito, il cui art. 5 ha dettato una disciplina attuativa delle disposizioni censurate che, in particolare, prevede che il Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 definisce, d’intesa con il Ministro della salute, un protocollo d’intesa con le farmacie e le altre strutture sanitarie al fine di assicurare la somministrazione di test antigenici rapidi a prezzi contenuti. Tale protocollo, stipulato in data 5 agosto 2021, ha previsto che la somministrazione dei test deve essere effettuata «direttamente da parte dei farmacisti ovvero da parte di personale sanitario abilitato (infermiere biologo) all’uopo individuato dal titolare o dal direttore tecnico della farmacia». Conseguentemente, la Regione Marche ha sospeso, con la deliberazione n. 1030 dell’11 agosto 2021, la precedente deliberazione n. 145.

4.2.– La descritta evoluzione della normativa dimostrerebbe, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, come si sia passati «dall’espletamento dei test in modalità di auto-somministrazione da parte dell’assistito sotto la sorveglianza del farmacista, ad una somministrazione diretta dei test da parte dei farmacisti ovvero di infermieri o biologi, in tal caso a mezzo di dispositivi medico-diagnostici in vitro ad uso professionale».

Particolare rilievo, in proposito, avrebbe il già citato comma 420, volto a consentire, per l’espletamento dei test sierologici, il prelievo del sangue capillare. Sarebbe evidente, pertanto, che la richiamata disciplina dettata dal legislatore statale ricade nell’ambito del sistema delineato dal d.lgs. n. 153 del 2009, «il cui perimetro di applicazione investe esclusivamente le farmacie convenzionate» e non anche gli esercizi commerciali di cui all’art. 5 del d.l. n. 223 del 2006, come convertito; conseguentemente, le prestazioni individuate dall’accordo che ha originato il giudizio a quo «non coincidono con quelle garantite dal SSN».

4.2.1.– Ulteriore differenza tra la deliberazione concernente l’accordo con le parafarmacie e le norme censurate risiederebbe nella remunerazione del servizio. Per i test eseguiti presso le parafarmacie, il relativo costo sarebbe rimasto a carico dell’assistito, pur entro cifre massime espressamente indicate nell’accordo. Per le farmacie, invece, la remunerazione è disciplinata dalle convenzioni di cui all’art. 8, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati ai sensi dell’art. 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), e ai correlati accordi regionali, «che tengano conto anche delle specificità e dell’importanza del ruolo svolto in tale ambito dalle farmacie rurali»: il che confermerebbe che le norme censurate ricadono «nella disciplina dei rapporti per l’erogazione delle prestazioni assistenziali».

4.2.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva, pertanto, che i commi 418, 419 e 420 dell’art. 1 della legge di bilancio per il 2021 devono «essere letti nel contesto del modello dei nuovi servizi erogati dalle farmacie quali presidi del Servizio sanitario nazionale», secondo quanto previsto dal d.lgs. n. 153 del 2009 e da connessi decreti ministeriali. Assume rilievo, in particolare, il decreto del Ministro della salute 16 dicembre 2010 (Erogazione da parte delle farmacie di specifiche prestazioni professionali), il quale definisce le condizioni e i limiti delle analisi di autocontrollo effettuabili in farmacia, in favore del cittadino: accertamenti, questi, che «possono essere un utile supporto all’attività dei medici di medicina generale nelle situazioni in cui l’esecuzione degli stessi accertamenti negli studi dei medici di assistenza primaria e di pediatria di libera scelta non risulti possibile dal punto di vista organizzativo».

Orbene, se è solo alle farmacie, la cui apertura è soggetta ad autorizzazione, che sono affidati tali servizi è perché è la loro presenza sul territorio nazionale a garantire «un’adeguata copertura dell’assistenza farmaceutica» e a evitare che «una quantità eccessiva di servizi vada a discapito della qualità del servizio». Le parafarmacie, che sono invece equiparate ad altre attività commerciali e che pertanto possono essere aperte solo con una segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA), devono dotarsi di un farmacista e possono vendere soltanto medicinali per i quali non è necessaria la ricetta medica, sicché non attengono ai livelli essenziali di assistenza farmaceutica.

La distinzione tra farmacie e parafarmacie, dunque, troverebbe la sua ragion d’essere «nell’esigenza di garantire un miglioramento costante della sicurezza e qualità delle cure, piuttosto che alle mere condizioni di concorrenzialità del mercato». Peculiarità, questa, che del resto non ha trovato obiezione da parte della giurisprudenza citata pure nell’ordinanza di rimessione.

4.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri conclude, pertanto, per la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale. Le disposizioni censurate non si applicano alle parafarmacie perché esse non sono annoverabili tra i soggetti che espletano assistenza sanitaria per il SSN, ma le evidenti differenze che connotano le loro funzioni e attività rispetto a quelle delle farmacie escluderebbero la violazione dell’art. 3 Cost.; non sarebbe conferente, poi, il profilo relativo alla libertà d’iniziativa economica privata di cui all’art. 41 Cost.

5.– Con atto del 1° marzo 2022 si sono costituiti in giudizio il Movimento nazionale liberi farmacisti, l’Unione nazionale dei farmacisti titolari di sola parafarmacia - UNAFTISP, la Federazione nazionale parafarmacie italiane (FNPI) e altri, tutte parti nel giudizio a quo, chiedendo, in via principale, il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale, in quanto sarebbe possibile interpretare le disposizioni censurate in senso conforme ai parametri costituzionali evocati, e, in subordine, la loro dichiarazione di illegittimità costituzionale «nella parte in cui non prevedono la possibilità per gli esercizi commerciali di cui all’art. 4, comma 1, lettere d), e) e f), del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, di effettuare le prestazioni» ivi indicate.

5.1.– Nel ripercorrere le vicende che hanno portato al contenzioso dinanzi al TAR Marche, la difesa delle parti osserva, innanzitutto, che, anche alla luce di quanto previsto dal decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito in legge 23 febbraio 2020, n. 6, e dal successivo d.P.C.m. 11 marzo 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale), nel contesto emergenziale le parafarmacie sarebbero state considerate attività essenziali.

In secondo luogo, rammenta come dinanzi al giudice a quo fosse stata avanzata la richiesta di effettuare «due questioni di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea», per sapere se le disposizioni censurate si pongano in contrasto con il principio di non discriminazione in materia di stabilimento di cui all’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, e con i princìpi di parità di trattamento, trasparenza e concorrenza di cui agli artt. 101 e seguenti del medesimo Trattato e all’allegato Protocollo n. 27.

5.2.– Ciò premesso, le parti ritengono che l’ordinanza di rimessione abbia erroneamente escluso di poter interpretare in senso conforme a Costituzione le disposizioni censurate.

Al contrario, esse potrebbero essere lette nel senso di consentire anche alle parafarmacie l’effettuazione delle prestazioni consistenti in test sierologici ed antigenici rapidi, in quanto «la voluntas legis depone per la più ampia estensione della possibilità di rendere le prestazioni de quibus, al fine di garantire lo screening della popolazione su larga scala». In questa prospettiva, il legislatore non avrebbe inteso riferirsi «al luogo di offerta delle prestazioni, ma alla qualifica di farmacista del personale chiamato a sovrintendere l’effettuazione delle stesse», come sarebbe dimostrato dalla previsione che i test possono effettuarsi solo in spazi idonei sotto il profilo igienico-sanitario e atti a garantire la tutela della riservatezza, requisiti questi che non necessariamente sarebbero soddisfatti da una farmacia solo perché tale.

5.3.– Nel caso in cui questa Corte non ritenesse praticabile tale interpretazione conforme a Costituzione, le questioni di legittimità costituzionale dovrebbero essere accolte.

Il ruolo assunto dalle farmacie durante la pandemia, infatti, non giustificherebbe «la riserva in loro favore dell’effettuazione di test sierologici e test antigenici rapidi di rilevazione del Covid-19». Tale affermazione troverebbe conferma della sentenza della CGUE Venturini e altri: se la riserva alle farmacie della commercializzazione dei medicinali soggetti a prescrizione trova giustificazione nella esigenza di garantire sull’intero territorio nazionale un servizio pubblico essenziale, diversamente la riserva operata dalle disposizioni censurate è irragionevole, in quanto l’effettuazione di test sierologici e antigenici rapidi anche presso le parafarmacie non eroderebbe «quella fetta di mercato tradizionalmente e – in vista della garanzia di un’elevata qualità e diffusione delle cure – necessariamente riservata alle farmacie».

Queste prestazioni, infatti, costituirebbero prestazioni aggiuntive, che possono essere effettuate anche presso ambulatori privati, sicché la loro liberalizzazione non inciderebbe sulla fetta di mercato riservata alle farmacie; del resto, si tratta di prestazioni sino a oggi non previste, di modo che la loro effettuazione da parte anche delle parafarmacie «non può ontologicamente inficiare la riserva di mercato in favore delle farmacie».

La circostanza per cui la cosiddetta riserva di farmacia non verrebbe incisa dall’estensione alle parafarmacie della possibilità di erogare i servizi in questione determinerebbe, conseguentemente, l’irrilevanza del peculiare regime cui sono sottoposte le farmacie, poiché il diverso trattamento potrebbe trovare giustificazione solo in una oggettiva differenza tra le prestazioni erogate: il che non è, perché a garantire l’elevata qualità di queste ultime sta «la presenza stabile di un soggetto qualificato, quale è il farmacista, che, ex lege, deve necessariamente essere presente sia nelle farmacie, sia nelle parafarmacie».

5.3.1.– Non sarebbero applicabili, poi, i princìpi affermati dalla sentenza di questa Corte n. 66 del 2017, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., di una legge regionale piemontese «che consentiva l’impiego di apparecchi di autodiagnostica rapida per il rilevamento di trigliceridi, glicemia e colesterolo totale presso gli esercizi di vicinato e nelle medie e grandi strutture di vendita».

La qualifica di principio fondamentale in materia di tutela della salute allora riconosciuto all’art. 1 del d.lgs. n. 153 del 2009 deriverebbe dal fatto, sostengono le parti, che il legislatore ha stabilito «un bouquet di servizi socio-sanitari di interesse generale, che la farmacia è chiamata – doverosamente – ad erogare in stretta collaborazione col Servizio sanitario nazionale». Si tratterebbe, tuttavia, di previsione stabile, «connessa all’imperitura necessità dell’offerta al pubblico di tali servizi», che in quanto tale è riconducibile alla riserva di farmacia, poiché dalla obbligatorietà di erogare dette prestazioni derivano costi da sostenere.

Le disposizioni censurate, invece, non sarebbero parte di una riforma organica del sistema delle farmacie, «ma si atteggiano a previsioni puntuali e specifiche, inerenti ad una determinata prestazione» e, inoltre, non imporrebbero alcun obbligo, rimanendo le farmacie libere di aderire o meno alla possibilità offerta dal legislatore, «secondo la logica del profitto che muove ogni impresa». Esse, inoltre, «rinvengono la propria giustificazione nella situazione epidemiologica», che ha carattere emergenziale e contingente, difettando pertanto quella stabilità della necessità di garantire il servizio che giustificherebbe la sua inclusione nella riserva di farmacia.

D’altra parte, detta riserva non potrebbe essere continuamente implementata, quando il novero dei servizi offerti dalle farmacie «consente loro di trarre del profitto anche in contesti territoriali ove si registra minor affluenza»: essa, infatti, sarebbe «previsione derogatoria addirittura del principio fondamentale della libera concorrenza» e, dunque, «deve essere rigorosamente definita nei suoi confini alla stregua del principio di proporzionalità». L’applicazione a contrario dei princìpi espressi dalla CGUE nella sentenza Venturini e altri, in base ai quali «la sottrazione alla libera concorrenza dell’effettuazione di alcune prestazioni può essere giustificata solo in vista della tutela di interessi ulteriori di pari rilievo non altrimenti tutelabili», dovrebbero pertanto condurre alla conclusione che le disposizioni censurate siano in contrasto con l’art. 3 Cost.

5.3.2.– L’art. 1, commi 418 e 419, della legge n. 178 del 2020 contrasterebbe con il principio di ragionevolezza anche «sotto un altro dirimente profilo».

È stato adottato, infatti, per consentire un maggior tracciamento della diffusione del virus da COVID-19, sicché sarebbe irragionevole qualsivoglia limitazione della diffusione dei meccanismi che consentano lo screening, ove non vi siano «altrettanto impellenti necessità di tutela di contrastanti interessi». Le disposizioni censurate, peraltro, non solo renderebbero meno efficace la gestione della crisi pandemica, ma recherebbero un danno anche alle stesse farmacie, «oberate dalla sempre crescente – fino all’insostenibilità – richiesta di effettuazione di tamponi degli utenti, costretti a lunghe attese, in rischiose situazioni di assembramento».

5.3.3.– Del pari evidente sarebbe la violazione dell’art. 41, primo comma, Cost. e del principio di libera concorrenza. Tale principio, infatti, potrebbe «subire compressioni o deroghe nelle sole ed esclusive ipotesi in cui vi siano interessi contrastanti parimenti meritevoli di tutela, in vista della quale, in rigorosa applicazione del principio di proporzionalità, non sia possibile misura diversa»: il che nel caso di specie non è, con «gravissimo danno patrimoniale per le parafarmacie» e correlato «ingiustificato arricchimento delle farmacie».

6.– Con ulteriori atti del 1° marzo 2022 si sono costituite in giudizio Farma DS Natura srls e altre – tutte persone giuridiche, con sede al di fuori della Regione Marche, che esercitano attività d’impresa quali parafarmacie, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006, come convertito – affermando di essere intervenute ad adiuvandum nel giudizio innanzi al TAR Marche e concludendo in senso identico alle altre parafarmacie e associazioni di queste rappresentative, facendo leva sui medesimi argomenti.

7.– Ancora con atti del 1° marzo 2022 sono intervenute in giudizio, ai sensi dell’art. 4 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, Parafarmacia S. Rita di Binda Gaia e altre – anch’esse parafarmacie con sede al di fuori della Regione Marche – affermando di avere «preciso, concreto e diretto interesse» all’accoglimento del ricorso giurisdizionale amministrativo, in ragione del fatto che il contenzioso presso il TAR Marche ha indotto le altre Regioni ad astenersi dal siglare accordi analoghi. Nel merito, hanno concluso in senso identico alle altre parafarmacie e associazioni di queste rappresentative costituitesi in giudizio, offrendo i medesimi argomenti.

8.– In prossimità dell’udienza pubblica, l’Unione regionale dei titolari di farmacia delle Marche - Federfarma Marche ha depositato una memoria, con la quale ha insistito affinché sia dichiarata l’inammissibilità o la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale.

8.1.– In punto di ammissibilità, si rileva che il TAR Marche non avrebbe adeguatamente motivato in punto di rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale.

8.2.– Nel merito, la parte rievoca la giurisprudenza costituzionale che avrebbe già evidenziato le differenze tra farmacie e parafarmacie, differenze tali da rendere ragionevole la diversità di disciplina normativa prevista per le une e per le altre. In materia di tutela della salute, poi, assumerebbe rilevanza la sentenza n. 37 del 2021, in tema di prevenzione e di contrasto del rischio infettivo, peraltro ignorata dal rimettente.

Non potrebbe essere considerata equivalente, pertanto, l’erogazione prestata in farmacia o in parafarmacia, «tanto più a fronte di un’emergenza pandemica in cui è necessario contare su un servizio sicuro, organizzato e capillare». Il legislatore, riferendosi alla farmacia e non al farmacista, con le disposizioni censurate avrebbe voluto attribuire «valenza alla struttura farmaceutica, la quale deve sottostare a previsioni peculiari e specifiche ed obblighi gestionali inerenti l’attività, propri di un presidio del servizio sanitario»: solo le farmacie, infatti, potrebbero considerarsi primi punti di accesso del cittadino al SSN, mentre le parafarmacie sarebbero esercizi commerciali.

8.2.1.– Di rilievo, ancora, sarebbe l’evoluzione del ruolo della farmacia che, in base ai più recenti interventi legislativi, sarebbe ora farmacia dei servizi, ovvero «centro sociosanitario polifunzionale a servizio delle comunità nonché come punto di raccordo tra Ospedale e territorio e front office del Servizio sanitario nazionale» (è citata la sentenza del Consiglio di Stato, sezione seconda, 4 gennaio 2021, n. 111).

È in tale prospettiva che il legislatore avrebbe conferito alle farmacie i compiti di cui alle disposizioni censurate per la «prevenzione e la ricerca di anticorpi anti SARS CoV2», senza che ciò possa considerarsi irragionevole in virtù della emergenza pandemica, perché «l’impellenza di assicurare il più ampio tracciamento in una situazione emergenziale non può e non deve comportare l’inosservanza delle garanzie per la salute dei cittadini, che solo una farmacia può essere in grado di assicurare»; insomma, una situazione emergenziale, «proprio perché tale, non può essere colta come ragione per un allargamento indiscriminato di competenze in favore delle parafarmacie, che, al contrario, in condizioni ordinarie non potrebbero mai assumere».

D’altra parte, il principio di ragionevolezza postulerebbe che l’intervento del legislatore «sia coerente rispetto all’obiettivo perseguito e non comporti effetti ultronei e sproporzionati»: il che sarebbe nel caso di specie, essendo la scelta legislativa volta a offrire la miglior tutela possibile alla salute in un contesto pandemico.

8.2.2.– Né potrebbe sostenersi che le disposizioni censurate siano in contrasto con l’art. 41 Cost., perché la giurisprudenza costituzionale avrebbe già affermato che il regime delle farmacie è volto a tutelare la salute, il che «consente di porre in essere in piena discrezionalità norme di regolazione della concorrenza».

9.– In prossimità dell’udienza pubblica, ha depositato memoria anche Federfarma - Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia italiani, insistendo per l’inammissibilità o, in subordine, la non fondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.

9.1.– La difesa della parte, innanzitutto, rileva l’inammissibilità della costituzione in giudizio «di soggetti che non erano parti nel giudizio a quo al momento della ordinanza di promovimento», i quali non avrebbero neppure titolo a essere qualificati come intervenienti ai sensi dell’art. 4 delle Norme integrative.

9.2.– Per quel che concerne l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, la difesa di Federfarma ribadisce i diversi profili già rilevati nell’atto di costituzione, insistendo particolarmente sul difetto di rilevanza e di motivazione della rilevanza.

9.3.– Nel merito, a conferma della non fondatezza, starebbe la recentissima sentenza del Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 14 aprile 2022, n. 5, la quale avrebbe ribadito «il ruolo centrale delle farmacie nell’ambito delle prestazioni del SSN e a tutela della salute». Sarebbe stato confermato, pertanto, che solo le farmacie sono presidio di prossimità del SSN, a nulla rilevando che le parafarmacie (o altri esercizi commerciali) possano vendere i kit contenenti i cosiddetti tamponi, perché non sono in grado di «asseverare la medesima e particolare fede pubblica che assiste il risultato dei tamponi somministrati in farmacia». Sarebbe, dunque, «l’incardinamento nella struttura a rete del SSN, con i connessi oneri che comporta, a testimoniare la speciale attitudine delle farmacie a erogare il servizio oggi in discussione, attitudine non riconoscibile nelle [para]farmacie».

9.3.1.– La parte ribadisce, poi, che la normativa censurata «si inserisce armonicamente» nella disciplina della cosiddetta farmacia dei servizi di cui alla citata sentenza n. 66 del 2017, aggiungendo un altro servizio a quelli già erogati dalle farmacie per conto del SSN, come sarebbe dimostrato dal prezzo calmierato esistente per la somministrazione dei tamponi.

9.3.2.– L’importanza del ruolo delle farmacie all’interno del SSN, poi, sarebbe stato confermato da interventi successivi alle disposizioni censurate, legislativi e non solo: l’art. 20, comma 2, lettera h), del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 21 maggio 2021, n. 69, ha previsto la possibilità di somministrare i vaccini contro il SARS-CoV-2 anche nelle farmacie; l’art. 5 del d.l. n. 105 del 2021, come convertito, non solo ha previsto che la somministrazione di test antigenici rapidi in farmacia debba essere assicurata sino al 31 dicembre 2021, ma ha disposto che esse concorrano alla campagna vaccinale antinfluenzale per la stagione 2021/2022; il Consiglio dei ministri ha approvato la riforma di settore del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), volta a definire un nuovo modello organizzativo della rete di assistenza sanitaria territoriale, ove è chiaramente ribadita l’essenzialità delle farmacie per il SSN per assicurare quotidianamente, in modo omogeneo sul territorio nazionale, servizi sanitari a tutela della salute della cittadinanza.

9.3.3.– Ancora, si insiste sulla circostanza per cui a differenziare le farmacie dalle parafarmacie starebbe, innanzitutto, la capillarità della presenza delle prime, la quale «rischierebbe fatalmente di rompersi nel caso in cui ad altri soggetti fosse consentito di svolgere anche solo alcune delle funzioni delegate alle farmacie – magari quelle più redditizie – senza sottostare a tutti gli obblighi organizzativi, di ubicazione e di svolgimento complessivo del servizio». Obblighi che, peraltro, sono volti a garantire qualità e peculiare affidabilità del servizio, sicché a contare non è solo la figura soggettiva del farmacista, ma decisivamente «la farmacia come plesso organizzativo, del tutto differenziato dalla parafarmacia, mero esercizio commerciale di vicinato».

9.3.4.– Se tutti questi argomenti dimostrerebbero la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 3 Cost., ad escludere la violazione dell’art. 41 Cost. starebbe la recente sentenza di questa Corte n. 218 del 2021, che ha ribadito che l’utilità sociale, quando non arbitraria e perseguita con misure non palesemente incongrue, può legittimamente limitare la libertà d’iniziativa economica.

Sotto questo profilo, poi, andrebbe rilevato che gli stessi ricorrenti nel giudizio principale, nel loro atto di costituzione, affermano che l’obbligatorietà di certi servizi giustificherebbe la loro riserva alle farmacie: ebbene, l’art. 5 del d.l. n. 105 del 2021, come convertito, dispone che le farmacie di cui alle disposizioni censurate sono tenute ad assicurare la somministrazione di test antigenici rapidi, obbligo presidiato da una sanzione amministrativa in caso di inosservanza.

9.3.5.– D’altra parte, a conclusioni analoghe sarebbe già arrivata la Corte di giustizia dell’Unione europea che, nella più volte richiamata sentenza Venturini e altri, si è posta nel solco della sua precedente giurisprudenza, più di recente ancora ribadita, in base alla quale lo Stato membro «ha ampi margini discrezionali per disciplinare le modalità di garanzia del livello di protezione della salute prescelto». Non solo, nella sentenza Venturini e altri la Corte di giustizia ha pienamente accolto tanto le conclusioni dell’Avvocato generale, quanto le osservazioni della Commissione, delle quali entrambe la parte riporta ampi stralci.

9.4.– La difesa di Federfarma, poi, ritiene non fondato l’assunto dei ricorrenti secondo cui sarebbe impellente la necessità di assicurare la massima diffusione degli strumenti che consentono lo screening. Verrebbe in tal modo confuso l’accertamento di eventuali positività – che può avvenire anche con i kit di autodiagnosi, vendibili anche in parafarmacia – con la necessità di «accertamenti che devono possedere una specifica garanzia di qualità e sono anche assistiti dalla pubblica fede», che richiedono in quanto tali specifiche misure organizzative e garanzie di qualità che soltanto le farmacie (o laboratori clinici e strutture analoghe) possono assicurare.

9.5.– Conclusivamente, la difesa della parte, in ragione della inequivocità del dato testuale, rileva l’impraticabilità dell’interpretazione conforme a Costituzione – invero interpretazione estensiva «che ovviamente è tutt’altra cosa» – prospettata dalla difesa delle parafarmacie. Senza dire, poi, del fatto che «è semmai la soluzione normativa opposta a quella cui gli originari ricorrenti aspirano a essere la sola compatibile con la Costituzione».

10.– Ha depositato una memoria illustrativa anche la difesa del Movimento nazionale liberi farmacisti, dell’Unione nazionale dei farmacisti titolari di sola parafarmacia - UNAFTISP, della Federazione nazionale parafarmacie italiane (FNPI) e di altri, che ha insistito nelle conclusioni già formulate nell’atto di costituzione.

10.1.– Si reputano non fondate, innanzitutto, tutte le eccezioni di inammissibilità.

10.2.– Nel merito, le parti, in primo luogo, ribadiscono, con argomenti analoghi a quelli già spesi nell’atto di costituzione, che le disposizioni censurate sarebbero passibili di interpretazione conforme a Costituzione, perché ciò che rileverebbe è che i test ivi previsti siano compiuti da un farmacista, ovvero da personale abilitato a effettuare il test da cui derivino effetti giuridici o sanitari di qualsiasi natura (è richiamata l’ordinanza del Consiglio di Stato, sezione terza, 29 marzo 2021, n. 1634).

10.2.1.– Diversamente opinando, le questioni di legittimità costituzionale meriterebbero accoglimento.

La cosiddetta riserva di farmacia, che potrebbe essere il solo «giustificato motivo» in grado di sorreggere la disparità di trattamento determinata dalle disposizioni censurate, costituisce una «deroga ai princìpi del libero accesso al mercato, della concorrenza, della libertà d’iniziativa economia e di non discriminazione», che deve considerarsi «accettabile, anzi doverosa» solo se funzionale a garantire altri princìpi fondamentali quali la tutela della salute. Nel caso di specie così non sarebbe perché: a) la distribuzione di farmaci è già di per sé sufficiente a garantire la riserva di mercato in favore delle farmacie; b) l’effettuazione dei test di cui alle disposizioni censurate è una necessità contingente connessa alla pandemia da COVID-19, sicché non potrebbe rientrare nella riserva di farmacia; c) le medesime prestazioni «possono essere rese anche presso strutture ambulatoriali, pubbliche, private e convenzionate».

D’altra parte, la riserva di farmacia non potrebbe essere continuamente implementata, quando i servizi che le farmacie erogano in esclusiva sono già sufficienti a trarre profitto «anche in contesti territoriali ove si registra minor affluenza».

10.2.2.– Le disposizioni censurate non troverebbero alcuna giustificazione neppure in ragione del peculiare regime autorizzatorio, di obblighi e controlli cui sono sottoposte le farmacie, perché non vi sarebbe alcuna differenza oggettiva tra la prestazione erogata dalla farmacia e quella erogata dalla parafarmacia, ove sol si consideri che gli standard di qualità e competenza nella prestazione del servizio previsto dalle disposizioni censurate è assicurato dalla presenza del farmacista.

10.2.3.– Irrilevante per la risoluzione delle odierne questioni di legittimità costituzionale sarebbe la sentenza n. 66 del 2017 di questa Corte.

Allora veniva in discussione, innanzitutto, il rispetto da parte di una legge regionale dei princìpi fondamentali in materia di tutela della salute, stabiliti dal legislatore statale con il d.lgs. n. 153 del 2009. In secondo luogo, la prestazione dei servizi di cui all’ora citato decreto legislativo «non costituisce una fetta della cd. riserva di farmacia», potendo le farmacie offrire o meno detti servizi, i quali inoltre possono essere erogati anche da altre strutture. Ma anche diversamente opinando, potrebbe giustificarsi la riserva considerandoli servizi che sono erogati in stretta collaborazione con il SSN: il che nel caso di specie non è, in quanto quelli di cui alle disposizioni censurate sono servizi dal carattere contingente e transitorio, che non sono parte di una riforma organica del sistema delle farmacie.

10.2.4.– Nella memoria illustrativa, infine e conclusivamente, si ribadiscono gli argomenti, già proposti nell’atto di costituzione, che dimostrerebbero, per un verso, che le disposizioni censurate sarebbero irragionevoli anche perché impedirebbero un’attività di screening della popolazione su ampia scala, certo maggiormente in grado di tracciare il virus; per un altro, che sarebbe violato il principio della libera concorrenza.

11.– Hanno, altresì, depositato memorie illustrative tanto le parafarmacie costituitesi in giudizio, sul presupposto di essere intervenute ad adiuvandum nel giudizio innanzi al TAR Marche, quanto le parafarmacie intervenute nel presente giudizio ai sensi dell’art. 4 delle Norme integrative: memorie, queste, sostanzialmente identiche nelle conclusioni e negli argomenti offerti a quella di cui ora si è detto.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 418 e 419, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), per violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione. Le disposizioni censurate – nella parte in cui consentono alle sole farmacie, e non anche alle cosiddette parafarmacie, l’effettuazione dei «test mirati a rilevare la presenza di anticorpi IgG e IgM e dei tamponi antigenici rapidi per la rilevazione di antigene SARS-CoV-2» – determinerebbero un’irragionevole disparità di trattamento tra farmacie e cosiddette parafarmacie, limitando inoltre, senza un giustificato motivo, la libertà di iniziativa economica delle seconde, che non potrebbero svolgere un’attività che invece le prime, operanti nello stesso mercato di riferimento, sono abilitate a svolgere; il tutto, quando detta attività richiede una identica qualificazione professionale, quella di farmacista, la cui presenza deve essere assicurata tanto nelle farmacie quanto nelle cosiddette parafarmacie. Il giudice a quo rileva, altresì, che la limitazione disposta dalle norme censurate sarebbe «in conflitto logico con la ratio sottesa alla normativa emergenziale, ossia quella di incrementare il numero di tamponi».

2.– Preliminarmente, si deve rilevare che nel giudizio costituzionale si sono costituite, insieme ai ricorrenti e ai resistenti nel giudizio a quo, anche Farma DS Natura srls e altre persone giuridiche – tutte con sede al di fuori della Regione Marche e che esercitano attività d’impresa quali parafarmacie, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248 – affermando di essere intervenute ad adiuvandum nel giudizio amministrativo principale.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, in base all’art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), e all’art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale possono costituirsi i soggetti che, alla data della sospensione del giudizio disposta con l’ordinanza di rimessione, erano parti del giudizio a quo (ex plurimis, ordinanza n. 14 del 2022; ordinanza allegata alla sentenza n. 246 del 2020; ordinanza allegata alla sentenza n. 106 del 2019; sentenza n. 85 del 2017; ordinanza n. 24 del 2015). Le anzidette parafarmacie risultano intervenute nel giudizio amministrativo principale solo successivamente all’adozione dell’ordinanza di rimessione, sicché, da un lato, deve escludersi la loro legittimazione a essere parti nel presente giudizio costituzionale e, dall’altro, a esse devono applicarsi i medesimi princìpi che regolano l’intervento nel giudizio in via incidentale di soggetti diversi dalle parti del giudizio a quo (ordinanza allegata alla sentenza n. 106 del 2019).

2.1.– Sono intervenute in giudizio, ai sensi dell’art. 4, comma 3, delle Norme integrative, Parafarmacia S. Rita di Binda Gaia e altre – anch’esse parafarmacie con sede al di fuori della Regione Marche – le quali affermano di avere «preciso, concreto e diretto interesse» all’accoglimento del ricorso giurisdizionale amministrativo, in ragione del fatto che il contenzioso presso il TAR Marche ha indotto le altre Regioni ad astenersi dal siglare accordi analoghi.

Ai sensi dell’indicato art. 4, comma 3, nel giudizio in via incidentale possono intervenire «i titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio». Tale disposizione recepisce la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale non è ammissibile l’intervento di terzi titolari di un interesse semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di censura (ex plurimis, sentenza n. 31 del 2022; ordinanza allegata alla sentenza n. 104 del 2022; ordinanze n. 14 del 2022 e n. 191 del 2021).

Tutti i soggetti intervenuti nel presente giudizio esercitano fuori dalla Regione Marche, come detto, l’attività commerciale di cui all’art. 5 del d.l. n. 223 del 2006, come convertito, e, pertanto, essi devono ritenersi titolari di un interesse solo riflesso all’accoglimento delle odierne questioni di legittimità costituzionale, per il fatto di non poter svolgere, al pari d’ogni altra parafarmacia, le attività che le disposizioni censurate consentono alle farmacie.

Ne consegue che i loro interventi sono inammissibili.

3.– Sempre in via preliminare, devono essere esaminate le diverse eccezioni di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale proposte da Federfarma - Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia italiani e quella avanzata dall’Unione regionale dei titolari di farmacia delle Marche - Federfarma Marche.

3.1.– Federfarma lamenta, innanzitutto, che il TAR Marche abbia apoditticamente evocato gli artt. 3 e 41 Cost., senza distinguere i profili di pretesa violazione.

L’eccezione non è fondata.

Il giudice a quo si diffonde sulle ragioni che lo portano a dubitare della legittimità costituzionale delle disposizioni censurate, affermando che esse determinerebbero un’irragionevole disparità di trattamento tra farmacie e parafarmacie e limiterebbero anche, senza un giustificato motivo, la libertà di iniziativa economica delle seconde: la sola circostanza che i parametri costituzionali vengano presi in considerazione unitariamente non è ragione d’inammissibilità, quando le censure siano chiare e volte a porre in evidenza il vulnus ai diritti e interessi costituzionali protetti dalle disposizioni di cui si lamenta la violazione (sentenza n. 53 del 2018).

3.2.– La difesa di Federfarma ritiene, poi, che questa Corte non potrebbe adottare la sentenza additiva chiesta dal rimettente, in ragione dell’assenza di “rime obbligate” e della esistente discrezionalità legislativa in tema di farmacie e parafarmacie, che consentirebbe al legislatore di graduare i «differenti oneri imposti e la diversa diffusione» delle une e delle altre.

Anche questa eccezione non è fondata.

Nella prospettiva del TAR rimettente, la disparità di trattamento determinata dall’art. 1, commi 418 e 419, della legge n. 178 del 2020 è ingiustificata e potrebbe trovare rimedio esclusivamente con l’estensione alle parafarmacie della possibilità di effettuare i test di cui alle norme censurate.

La valutazione sulla correttezza, o meno, dell’assunto del giudice a quo attiene al merito e non già all’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale. Questa Corte, infatti, è chiamata a sindacare non la generale scelta legislativa di tenere distinto il regime normativo che caratterizza le farmacie da quello che disciplina invece le parafarmacie, ma la puntuale scelta del legislatore, compiuta con le norme censurate, di consentire alle prime, e non anche alle seconde, la possibilità di effettuare i test sierologici e i tamponi antigenici rapidi anti COVID-19.

3.3.– A parere di Federfarma, inoltre, la motivazione in punto di non manifesta infondatezza sarebbe insufficiente per diverse ragioni. A suo avviso, il TAR Marche: a) non si sarebbe interrogato sul come le norme censurate si inseriscono nella complessiva disciplina della cosiddetta farmacia dei servizi; b) non avrebbe dato conto delle ragioni per le quali il ruolo “istituzionale” delle farmacie non sarebbe rilevante nel caso di specie; c) pur ritenendo che la disciplina censurata non contrasti con il diritto dell’Unione europea, non avrebbe spiegato perché le statuizioni della Corte di giustizia non rileverebbero nel giudizio dinanzi a sé, ove del pari si lamenta la violazione del principio di libera concorrenza; d) non avrebbe considerato le decisioni di questa Corte che già hanno raffrontato la disciplina delle farmacie con quella delle parafarmacie e che «avrebbero consentito agevolmente di superare i dubbi di costituzionalità» (il riferimento, diffuso nell’atto di costituzione, è alla sentenza n. 66 del 2017, cui si sarebbe fatto solo un fugace cenno, e alla sentenza n. 216 del 2014, del tutto ignorata); e) non avrebbe considerato la circostanza per cui la giurisprudenza costituzionale ha sempre ricondotto il cosiddetto diritto delle farmacie alla tutela della salute di cui all’art. 32 Cost., restando invece solo marginale sia il carattere professionale sia l’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista.

Neppure questa eccezione, con la quale, con diversi argomenti, si lamenta un’inadeguata ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale entro cui si inseriscono le disposizioni censurate, è fondata.

Vero è che il TAR Marche non ha preso in considerazione, segnatamente, né l’art. 32 Cost. né la sentenza n. 216 del 2014 di questa Corte, ma l’omissione non è tale da compromettere «irrimediabilmente l’iter logico argomentativo posto a fondamento delle valutazioni del rimettente» (sentenza n. 194 del 2021; in termini analoghi, di recente, anche la sentenza n. 91 del 2022). Il giudice a quo, infatti, ha «esposto in modo ampio, compiuto e chiaro le ragioni che lo inducono a porre in discussione la legittimità costituzionale delle norme censurate» (sentenza n. 278 del 2019), dando diffusamente conto, in particolare, della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, quarta sezione, 5 dicembre 2013, nelle cause riunite da C-159/12 a C-161/12, Venturini e altri, e delle ragioni per cui le disposizioni censurate non sarebbero in contrasto con il diritto dell’Unione europea.

Le obiezioni di Federfarma, che fanno leva sull’esigenza che le disposizioni impugnate vengano valutate anche alla luce del quadro normativo in tema di farmacie e della relativa giurisprudenza costituzionale, sono invero rivolte, dunque, a fornire argomenti contrari a quelli posti dal rimettente a fondamento delle censure, «sicché non ostano all’ammissibilità di queste ma devono essere più propriamente rimesse all’esame del merito» (sentenza n. 250 del 2017).

3.4.– Tanto Federfarma quanto Federfarma Marche, infine, lamentano che l’ordinanza di rimessione sarebbe carente anche in punto di rilevanza.

Secondo Federfarma, il TAR Marche non avrebbe chiarito se la dichiarazione d’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate sia decisiva per annullare la delibera della Giunta regionale oggetto del ricorso giurisdizionale amministrativo o per pronunciarsi sulla domanda risarcitoria in quella sede proposta.

Nelle rispettive memorie illustrative, entrambe le parti hanno, poi, rilevato che il giudice rimettente ha affermato che, in caso di accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale, dovrebbe chiamarsi in giudizio anche lo Stato, nella persona del Presidente del Consiglio dei ministri, cui sarebbe ascrivibile la responsabilità aquiliana per l’aver adottato norme costituzionalmente illegittime. Si tratterebbe di affermazione contrastante con la giurisprudenza tanto della Corte di cassazione quanto del Consiglio di Stato, che hanno ripetutamente escluso che possa configurarsi una responsabilità dello Stato per l’esercizio di attività legislativa dichiarata costituzionalmente illegittima: ne conseguirebbe l’irrilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, perché la responsabilità statale, ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, andrebbe comunque negata, quale che sia l’esito del presente giudizio.

Neppure questa eccezione è fondata.

Nel giudizio a quo, infatti, il TAR Marche è innanzitutto chiamato a valutare la legittimità del provvedimento con il quale la Giunta regionale ha annullato in autotutela la deliberazione che recava l’accordo con le parafarmacie marchigiane. Tanto basta a radicare la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, poiché il contrasto di quella deliberazione con le disposizioni censurate è il «presupposto essenziale» che ha portato la Regione Marche a esercitare il potere di annullamento. Le ulteriori valutazioni prognostiche del giudice rimettente sulle conseguenze dell’eventuale dichiarazione d’illegittimità costituzionale sulla diversa domanda di condanna della Regione Marche al risarcimento dei danni – al di là d’ogni considerazione sulla loro correttezza, che non spetta a questa Corte apprezzare – non sono dunque tali da inficiare il giudizio sulla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, la cui risoluzione è, essa sola, determinante per giudicare della legittimità dell’atto della Giunta regionale oggetto principale del ricorso giurisdizionale amministrativo.

4.– Ancora in via preliminare, deve rilevarsi che, successivamente all’ordinanza di rimessione, l’art. 41 Cost. è stato modificato dalla legge di revisione costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1 (Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente), la quale ha previsto – per quel che qui interessa – che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno alla salute.

La modifica di detto parametro costituzionale non è tale, tuttavia, da giustificare una restituzione degli atti per ius superveniens che consenta al giudice a quo di valutare gli effetti della revisione costituzionale sulla non manifesta infondatezza (ordinanze n. 150 del 2012, n. 307 e n. 95 del 2000), anche alla luce della pregressa giurisprudenza di questa Corte in tema di libertà di iniziativa economica privata e tutela della salute (sentenze n. 20 del 1978, n. 137 del 1971, n. 21 del 1964, n. 11 del 1960 e n. 29 del 1957).

5.– Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale non sono fondate.

5.1.– Secondo il costante orientamento di questa Corte, si è in presenza di una violazione dell’art. 3 Cost. «qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili» (ex plurimis, sentenze n. 71 del 2021, n. 85 del 2020, n. 13 del 2018, n. 71 del 2015); nel qual caso è insindacabile la discrezionalità del legislatore (sentenza n. 340 del 2004), sempre entro il limite generale dei principii di proporzionalità e ragionevolezza (ex plurimis, sentenze n. 192 e n. 79 del 2016, n. 85 del 2013).

Il giudice a quo censura l’art. 1, commi 418 e 419, della legge n. 178 del 2020 nel convincimento che il legislatore, in relazione alla possibilità di effettuare i test anti COVID-19 ivi previsti, abbia trattato ingiustificatamente in modo diverso due soggetti giuridici, farmacie e cosiddette parafarmacie, che si troverebbero in situazioni sostanzialmente identiche, poiché tanto le une quanto le altre sarebbero in grado di erogare le prestazioni in discorso, stante la presenza in entrambe di farmacisti abilitati.

Il quadro normativo, tuttavia, impedisce di affermare che si sia dinanzi alla «esistenza di una identità di situazioni giuridiche, rispetto alle quali la disciplina impugnata determini una disparità di trattamento normativo rilevante agli effetti dell’art. 3 della Costituzione» (sentenza n. 340 del 2004): l’esistenza di elementi comuni a farmacie e parafarmacie – e, nel caso di specie, la presenza di farmacisti abilitati presso entrambe – non è tale da mettere in dubbio «che fra i due esercizi permangano una serie di significative differenze, tali da rendere la scelta del legislatore non censurabile in termini di ragionevolezza» (sentenza n. 216 del 2014) e di violazione del principio di uguaglianza.

5.1.1.– Le cosiddette parafarmacie, infatti, sono esercizi commerciali, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettere d), e) e f), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), che, secondo quanto disposto dall’art. 5 del d.l. n. 223 del 2006, come convertito, «possono effettuare attività di vendita al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione […] e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica, previa comunicazione al Ministero della salute e alla regione in cui ha sede l’esercizio» (comma 1), e sempre che la vendita sia «effettuata nell’ambito di un apposito reparto, alla presenza e con l’assistenza personale e diretta al cliente di uno o più farmacisti abilitati all’esercizio della professione ed iscritti al relativo ordine» (comma 2).

Le farmacie, invece, erogano l’assistenza farmaceutica (art. 28 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, recante «Istituzione del servizio sanitario nazionale»), oggi ricompresa tra i livelli essenziali di assistenza ai sensi del d.P.C.m. 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), e svolgono, dunque, un «servizio di pubblico interesse» (sentenza n. 312 del 1983; analogamente, sentenza n. 29 del 1957), preordinato al fine di «garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale sia l’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista» (sentenza n. 87 del 2006, confermata successivamente, tra le tante, dalla sentenza n. 216 del 2014). I farmacisti titolari di farmacia, pertanto, sotto il profilo funzionale sono concessionari di un pubblico servizio (sentenza n. 448 del 2006; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 24 novembre 2004, n. 22119).

Le farmacie, dunque, rientrano nell’ambito del servizio sanitario nazionale (SSN), di cui fanno parte (artt. 25 e 28 della legge n. 833 del 1978), e sono dislocate sul territorio secondo il sistema di pianificazione di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 475 (Norme concernenti il servizio farmaceutico), il quale, dettando la specifica proporzione di una farmacia ogni 3300 abitanti (art. 1, comma secondo), è volto ad «assicurare l’ordinata copertura di tutto il territorio nazionale al fine di agevolare la maggiore tutela della salute dei cittadini» (sentenza n. 4 del 1996).

È anche in ragione di questa diffusione sull’intero territorio nazionale delle farmacie – frutto dell’applicazione del criterio del contingentamento nella determinazione del numero delle sedi farmaceutiche – che il legislatore delegato, con il decreto legislativo 3 ottobre 2009, n. 153 (Individuazione di nuovi servizi erogati dalle farmacie nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, nonché disposizioni in materia di indennità di residenza per i titolari di farmacie rurali, a norma dell’articolo 11 della legge 18 giugno 2009, n. 69), ha previsto che, in aggiunta all’assistenza farmaceutica, «nuovi servizi a forte valenza socio-sanitaria [siano] erogati dalle farmacie pubbliche e private nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale», come indicati nella legge di delegazione (art. 11, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile»); e, tra questi, la partecipazione «al servizio di assistenza domiciliare integrata a favore dei pazienti residenti o domiciliati nel territorio della sede di pertinenza di ciascuna farmacia, a supporto delle attività del medico di medicina generale o del pediatra di libera scelta» (art. 1, comma 2, lettera a, del d.lgs. n. 153 del 2009), nonché l’effettuazione «di prestazioni analitiche di prima istanza rientranti nell’ambito dell’autocontrollo» (art. 1, comma 2, lettera e, del d.lgs. n. 153 del 2009). In tal modo – ed è ciò che maggiormente rileva in questa sede – «l’attività svolta dalle farmacie non è più ristretta alla distribuzione di farmaci o di prodotti sanitari, ma si estende alla prestazione di servizi» (sentenza n. 66 del 2017), la cui determinazione avviene nell’ambito dei princìpi fondamentali, stabiliti dal legislatore statale, in materia di «tutela della salute», perché «finalizzati a garantire che sia mantenuto un elevato e uniforme livello di qualità dei [relativi] servizi in tutto il territorio» (sentenza n. 66 del 2017).

5.2.– La rilevata differenziazione di sistema, sotto i profili del regime e della posizione rivestita, rispettivamente nell’ambito del SSN e sul mercato, da farmacie e cosiddette parafarmacie, consente già di escludere che le disposizioni censurate trattino diversamente situazioni eguali. Tale differenziazione, del resto, non è negata in linea generale dalla stessa difesa delle parafarmacie, la quale deduce, peraltro, che le diversità in questione attengono a piani diversi e non sarebbero idonee a giustificare la mancata previsione della possibilità, anche per le parafarmacie, di effettuare i test di cui all’art. 1, commi 418 e 419, della legge n. 178 del 2020.

L’invocato scrutinio di costituzionalità va dunque svolto sul piano della ragionevolezza delle disposizioni censurate, non sussistendo, secondo la prospettazione del rimettente, un giustificato motivo per escludere le parafarmacie dalla possibilità di effettuare test sierologici e tamponi antigenici rapidi.

5.2.1.– Questa Corte ha già rilevato come la diffusione del COVID-19 abbia richiesto al legislatore l’introduzione di «nuove risposte normative e provvedimentali», perché, «a causa della rapidità e della imprevedibilità con cui il contagio si spande, ha imposto l’impiego di strumenti capaci di adattarsi alle pieghe di una situazione di crisi in costante divenire» (sentenza n. 37 del 2021).

Le disposizioni censurate – che consentono solo alle farmacie, e non anche alle parafarmacie, l’effettuazione dei test ivi previsti – sono esattamente parte della complessa e articolata reazione che lo Stato ha posto in essere per fronteggiare la diffusione del COVID-19 e tutelare la salute della collettività tutta. A fronte di «un virus respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, e che può venire contratto da chiunque» (sentenza n. 127 del 2022), è stato infatti necessario, tra le altre cose, erogare sull’intero territorio nazionale nuovi servizi sanitari, messi a punto per monitorare la circolazione del virus SARS-CoV-2.

5.2.2.– La scelta di avvalersi delle farmacie, quali soggetti del SSN, per la erogazione di nuovi servizi sanitari volti a contrastare la circolazione del virus SARS-CoV-2, d’altronde, è frutto di una opzione legislativa di sistema che, al di là d’ogni valutazione puntuale, è ribadita e confermata negli interventi normativi successivi, i quali neppure hanno affidato detti servizi anche al diverso settore, eminentemente commerciale, delle parafarmacie.

È il caso, in primo luogo, dell’art. 5 del decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e per l’esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche), convertito nella legge 16 settembre 2021, n. 126, il quale ha mantenuto in capo alle farmacie la possibilità di effettuare test sierologici e tamponi antigenici rapidi, contestualmente estesa ad altre strutture sanitarie, le quali, significativamente, sono state individuate tra quelle «private, autorizzate o accreditate con il Servizio sanitario nazionale e autorizzate dalle regioni a effettuare i medesimi test» (così il Protocollo d’intesa tra il Ministro della salute, il Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19 e dette strutture sanitarie, del 6 agosto 2021).

Con l’art. 1, comma 471, della legge n. 178 del 2020, come sostituito dall’art. 20, comma 2, lettera h), del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 21 maggio 2021, n. 69, è stato poi previsto che nelle farmacie aperte al pubblico – in via sperimentale per l’anno 2021, termine successivamente prorogato per tutto l’anno 2022 dall’art. 12 del decreto-legge 24 dicembre 2021, n. 221 (Proroga dello stato di emergenza nazionale e ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19) – i farmacisti possono somministrare vaccini contro il virus SARS-CoV-2, trasmettendo poi «i dati relativi alle vaccinazioni effettuate alla regione o alla provincia autonoma di riferimento».

Si tratta di opzioni normative che il legislatore, infine, ha ancor più di recente ribadito con l’art. 2, comma 8-bis, del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza, e altre disposizioni in materia sanitaria), convertito nella legge 19 maggio 2022, n. 52. Con l’inserimento, mediante il suddetto comma 8-bis, della lettera e-quater) nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 153 del 2009, sono stati aggiunti, ai servizi erogati dalle farmacie nell’ambito del SSN, tanto «la somministrazione, da parte di farmacisti […] di vaccini anti SARS-CoV-2», quanto «l’effettuazione di test diagnostici che prevedono il prelevamento del campione biologico a livello nasale, salivare o orofaringeo».

5.2.3.– Questa Corte ritiene che la scelta di consentire soltanto alle farmacie, e non anche alle parafarmacie, l’effettuazione dei test previsti dalle norme impugnate, a fronte della diversa natura dei due soggetti giuridici e del differente regime giuridico che li caratterizza, rientri nella sfera della discrezionalità legislativa e non sia censurabile per irragionevolezza.

5.2.4.– Tale scelta si fonda, essenzialmente, sull’inserimento delle farmacie nell’organizzazione del servizio sanitario nazionale, che già consente loro di condividere con le autorità sanitarie procedure amministrative finalizzate a fronteggiare situazioni ordinarie ed emergenziali, anche mediante il trattamento di dati sensibili in condizioni di sicurezza.

Coinvolgendo nell’attività in discorso soltanto le farmacie, infatti, il legislatore si è affidato a soggetti, presenti e ordinatamente dislocati sull’intero territorio nazionale in ragione delle esigenze della popolazione, che già fanno parte del servizio sanitario nazionale e che, in tale veste, sono stati chiamati a erogare servizi a forte valenza socio-sanitaria. Del resto – come riconosce lo stesso TAR rimettente – quelle di cui alle disposizioni censurate sono qualificabili «come vere e proprie prestazioni sanitarie», il che peraltro è ulteriormente confermato dall’inserimento all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 153 del 2009 sulla cosiddetta farmacia dei servizi – ad opera dell’art. 1, comma 420, della medesima legge n. 178 del 2020 – della lettera e-ter, che consente «l’effettuazione presso le farmacie da parte di un farmacista di test diagnostici che prevedono il prelievo di sangue capillare»: prelievo che, come ha rilevato il Presidente del Consiglio dei ministri nell’atto di intervento, è necessario per l’espletamento dei test sierologici. Ebbene, non può allora dirsi irragionevole la scelta discrezionale del legislatore di mantenere l’erogazione dei servizi sanitari in discorso all’interno del circuito del SSN e di non estenderla anche a soggetti che hanno a riferimento l’ambito della distribuzione commerciale.

Con l’art. 1, commi 418 e 419, della legge n. 178 del 2020, inoltre, è stata contenuta e predeterminata la platea di soggetti che sono tenuti a trasmettere alle autorità sanitarie i dati dei test antigenici rapidi; dati il cui trattamento rientra nell’ambito della disciplina di cui all’art. 9 del Regolamento generale sulla protezione dei dati (Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE). In tal modo, sono stati chiamati a interfacciarsi con le autorità sanitarie, attraverso sistemi informativi e telematici da loro già adoperati, soltanto soggetti – le farmacie, appunto – che, proprio perché già inseriti nel SSN, di tali autorità sono interlocutori abituali: aspetto, questo, tanto meno censurabile in termini di ragionevolezza, ove si pensi che la trasmissione di detti dati personali sensibili è funzionale anche all’adozione, da parte delle autorità sanitarie, di provvedimenti limitativi della libertà di circolazione ai sensi dell’art. 16 Cost. (sentenza n. 127 del 2022), che il legislatore può dunque ben ritenere richiedano un livello di “certificazione” riferibile a un soggetto già inserito nel sistema e che riveste – come si è ricordato – la qualifica di concessionario di un pubblico servizio.

5.2.5.– Le predette considerazioni valgono anche a escludere che le disposizioni censurate siano, come sostenuto dal giudice rimettente, «in conflitto logico con la ratio sottesa alla normativa emergenziale, ossia quella di incrementare il numero di tamponi». Se è vero che l’estensione alle cosiddette parafarmacie della possibilità di erogare le prestazioni in discorso avrebbe assai probabilmente determinato un aumento quantitativo dei test effettuati, ciò non vale, tuttavia, a rendere irragionevole la diversa scelta compiuta dal legislatore. Questi, infatti, ha, nella sua discrezionalità, valutato maggiormente rispondente alla tutela della salute, da un lato, che tali test siano effettuati sì in un numero inferiore di luoghi, ma distribuiti sul territorio nazionale secondo logiche non meramente commerciali, bensì di adeguatezza rispetto alla popolazione, cui assicurare con continuità l’accesso a tali prestazioni sanitarie; dall’altro, che la trasmissione dei dati relativi ai test sia effettuata da un numero limitato di soggetti, rendendo così più agevole la loro ricezione e gestione da parte delle autorità sanitarie, anche sotto il già richiamato profilo dell’adozione dei provvedimenti a tutela della salute pubblica.

A orientare la decisione legislativa non è stata, dunque, la figura professionale del farmacista – né la cosiddetta riserva di farmacia, relativa più propriamente alla vendita di determinati farmaci – ma la valutazione che la limitazione alle sole farmacie della possibilità di effettuare i test in questione fosse funzionale, per le ragioni anzidette, a un più efficace monitoraggio della circolazione del virus SARS-CoV-2 e, pertanto, a garantire una migliore tutela della salute pubblica su tutto il territorio della Repubblica. In un quadro complesso, ove vengono in gioco diversi interessi e primo tra tutti la tutela della salute, l’individuazione del relativo punto di equilibrio spetta al legislatore (sentenza n. 216 del 2014), e ove, come nel caso di specie, l’esercizio della discrezionalità legislativa non sia irragionevole, esso non è censurabile da questa Corte.

5.3.– La non irragionevolezza delle norme censurate vale altresì a escludere la violazione dell’art. 41 Cost., prospettata, dallo stesso rimettente, in connessione alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost. Il TAR Marche, infatti, muove dall’assunto che si è in presenza di una irragionevole disparità di trattamento, la quale determina anche, senza un giustificato motivo, una limitazione della libertà di iniziativa economica delle cosiddette parafarmacie: non essendo fondato tuttavia l’assunto, si rileva conseguentemente non fondato anche il correlato dubbio di legittimità costituzionale.

La giurisprudenza di questa Corte, d’altra parte, ha ripetutamente affermato che, in tema di restrizioni della libertà di iniziativa economica privata, il limite insuperabile deve essere individuato «nell’arbitrarietà e nell’incongruenza – e quindi nell’irragionevolezza – delle misure restrittive adottate per assicurare l’utilità sociale» (di recente, sentenza n. 218 del 2021).

5.3.1.– In senso analogo, la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha ripetutamente sostenuto che esigenze di tutela della salute consentono agli Stati membri di disporre restrizioni alla libertà di stabilimento e alla tutela della concorrenza, sempre che assicurino la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano oltre a quanto è necessario per raggiungerlo.

Di specifico rilievo è la citata sentenza Venturini e altri, non a caso presa in considerazione anche dal TAR Marche, il quale proprio sulla sua base ha escluso che le disposizioni oggetto del presente giudizio siano in contrasto con la normativa dell’Unione europea. In tale occasione la Corte di giustizia – chiamata a rispondere a questione pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sulla normativa italiana che impedisce alle cosiddette parafarmacie la possibilità di vendere i medicinali di fascia C soggetti a prescrizione medica, normativa sulla quale peraltro si è pronunciata anche questa Corte con la sentenza n. 216 del 2014, escludendo che essa sia in contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost. – ha osservato, tra l’altro, che l’importanza di tutelare la salute, idonea a giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento, «è confermata dagli articoli 168, paragrafo 1, TFUE e 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in virtù dei quali, in particolare, nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana» (paragrafo 41); che «l’apertura di farmacie sul territorio italiano è oggetto di un regime di pianificazione» (paragrafo 45), il quale «può rivelarsi indispensabile per colmare eventuali lacune nell’accesso alle prestazioni sanitarie e per evitare una duplicazione nell’apertura delle strutture, in modo che sia garantita un’assistenza medica adeguata alle necessità della popolazione, che copra tutto il territorio e tenga conto delle regioni geograficamente isolate o altrimenti svantaggiate» (paragrafo 47); che, infine, e soprattutto, «secondo giurisprudenza costante della Corte, in sede di valutazione dell’osservanza del principio di proporzionalità nell’ambito della sanità pubblica, occorre tenere conto del fatto che lo Stato membro può decidere il livello al quale intende garantire la tutela della sanità pubblica e il modo in cui questo livello deve essere raggiunto. Poiché tale livello può variare da uno Stato membro all’altro, si deve riconoscere agli Stati membri un margine di discrezionalità» (paragrafo 59).

Si trattava, peraltro, di affermazioni che la Corte di Lussemburgo aveva ripetutamente compiuto nella propria giurisprudenza (tra le tante, grande sezione, sentenza 1° giugno 2010, nelle cause riunite C-570/07 e C-571/07, Blanco Pérez e Chao Gómez; grande sezione, sentenza 19 maggio 2009, nelle cause riunite C-171/07 e C–172/07, Apotherkerkammer des Saarlandes e altri; grande sezione, sentenza 19 maggio 2009, in causa C-531/06, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana; sentenza 11 settembre 2008, in causa C-141/07, delle Comunità europee contro Repubblica federale tedesca; grande sezione, sentenza 10 marzo 2009, in causa C-169/07, Hartlauer Handelsgesellschaft mbH) e che sono state reiterate anche in pronunce successive (si vedano, ad esempio, le sentenze della terza sezione, 1° ottobre 2020, in causa C-649/18, A e altri; 1° marzo 2018, in causa C-297/16, Colegiul Medicilor Veterinari din România (CMVRO); e della quarta sezione, 13 febbraio 2014, in causa C-367/12, Sokoll-Seebacher).

6.– Le sollevate questioni di legittimità costituzionale, dunque, devono essere dichiarate non fondate.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibili gli interventi di Farma DS Natura srls e altri e di Parafarmacia S. Rita di Binda Gaia e altri;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 418 e 419, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 giugno 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l'8 luglio 2022.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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