SENTENZA N. 33
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Tribunale di sorveglianza di Messina, nel procedimento di sorveglianza ad istanza di S. N., con ordinanza del 6 dicembre 2019, iscritta al n. 59 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 gennaio 2022 il Giudice relatore Franco Modugno;
deliberato nella camera di consiglio del 12 gennaio 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 6 dicembre 2019 (reg. ord. n. 59 del 2021), pervenuta a questa Corte il 12 aprile 2021, il Tribunale di sorveglianza di Messina ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede che i benefici di cui al comma 1 possano essere concessi al condannato per i delitti di cui agli artt. 609-bis e 609-ter del codice penale (violenza sessuale e violenza sessuale aggravata) solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno.
1.1.– Il giudice a quo premette di essere investito dell’istanza di concessione delle misure alternative alla detenzione di cui agli artt. 47, 47-ter o 50 ordin. penit., presentata da un condannato «attualmente in regime di cui all’art. 656 c. 10 c.p.p.» in relazione alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione inflittagli dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Barcellona Pozzo di Gotto con sentenza del 7 giugno 2017, divenuta definitiva il 7 febbraio 2019, «per i reati di cui agli artt. 605 commi 1 e 3, 61 n. 2 c.p.; 609 bis, 609 bis comma 3, 609 ter comma 1 n. 3, 609 septies, comma 3 nn. 1 e 2, 61 n. 5 c.p.; 582, 585, 576 nn. 1 e 5 c.p.», commessi il 23 febbraio 2017.
Il rimettente rileva che l’interessato è stato condannato, tra gli altri, per il reato di violenza sessuale aggravata e che il giudice della cognizione ha formulato un giudizio di equivalenza tra l’attenuante di cui al terzo comma dell’art. 609-bis cod. pen. e le aggravanti contestate, tra cui quella di cui all’art. 609-ter cod. pen.: il che – ad avviso del giudice a quo – determinerebbe l’operatività del regime preclusivo stabilito dall’art. 4-bis, comma 1-quater, ordin. penit., in base al quale il condannato per determinati delitti contro la libertà sessuale, tra cui quelli previsti dagli artt. 609-bis e 609-ter cod. pen., può fruire dei benefici penitenziari solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente «per almeno un anno».
Nella specie, il condannato non è stato oggetto, per fatti a lui non addebitabili, di osservazione scientifica della personalità: sicché, dovendo espiare una pena residua di durata inferiore a un anno di reclusione – essendo il fine pena previsto per il 24 febbraio 2020 – non avrebbe alcuna possibilità di accedere alle misure alternative richieste, se non a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata; donde la rilevanza delle questioni.
1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ritiene che la norma censurata si ponga in contrasto anzitutto con il principio di ragionevolezza, stabilito dall’art. 3 Cost.
Il rimettente censura, in particolare, la rigidità del parametro temporale fissato dal legislatore, il quale ha previsto una soglia minima unica e indifferenziata, basata sulla presunzione assoluta per cui, ai fini della valutazione circa la meritevolezza del beneficio, l’osservazione scientifica della personalità del condannato per i reati in questione deve durare almeno un anno.
Tale previsione apparirebbe irragionevole, specie nelle ipotesi in cui la pena residua da espiare sia inferiore a un anno, essendo ben possibile che un’attenta e scrupolosa osservazione per un tempo più ridotto sia sufficiente a studiare la personalità del condannato per reato sessuale e a formulare un giudizio circa l’idoneità o meno di una misura alternativa a rieducare il reo e a prevenire il rischio della commissione di reati.
Affinché il dettato costituzionale possa ritenersi rispettato, la durata dell’osservazione necessaria per l’ammissione al beneficio dovrebbe essere legata all’effettiva personalità del reo, in relazione alla quale un anno potrebbe rivelarsi in alcuni casi un tempo eccessivamente lungo, in altri un tempo adeguato o ancora troppo breve.
L’irragionevolezza della norma risulterebbe evidente ove si consideri che, ai fini dell’individualizzazione del trattamento penitenziario, l’art. 13 ordin. penit. prevede che lo stesso «deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto» e che tutti i condannati debbano essere sottoposti a osservazione scientifica della personalità «per rilevare le carenze psicofisiche o le altre cause che hanno condotto al reato». Proprio in base ai risultati dell’osservazione si redige il programma di trattamento, la cui prima formulazione deve avvenire entro sei mesi dall’inizio dell’esecuzione. Per i reati diversi da quelli sessuali indicati dall’art. 4-bis, comma 1-quater, ordin. penit., il legislatore ha, quindi, scelto di non predeterminare un termine minimo rigido, sul presupposto che la durata dell’osservazione è strettamente e fisiologicamente legata alla «storia» del soggetto: anzi, ha indicato un termine massimo di sei mesi per evitare che un’osservazione troppo lunga possa incidere negativamente sul percorso di trattamento del detenuto, impedendogli di ottenere un programma funzionale al reinserimento.
Sul punto, l’irragionevolezza della norma censurata determinerebbe, quindi, anche una disparità di trattamento tra i cosiddetti «sex offenders» e gli autori di altri reati, anche di particolare allarme sociale, per i quali è possibile accedere alle misure alternative sulla base di un’osservazione scientifica della personalità legata all’effettivo «profilo» del condannato.
La norma denunciata determinerebbe, ancora, l’irragionevole conseguenza che il condannato per reato sessuale a una pena più severa, per aver commesso un fatto più grave, ha la prospettiva, previa osservazione annuale, di ottenere una misura alternativa, a differenza di chi, condannato per un fatto meno grave, debba espiare una pena, anche residua, inferiore a un anno di reclusione, il quale non potrebbe mai accedere al beneficio.
Il rimettente ricorda, inoltre, come i rigidi automatismi preclusivi, basati su presunzioni di pericolosità sociale dell’autore di reati che destano particolare allarme sociale, siano stati ripetutamente oggetto di censura – tanto nella materia delle misure cautelari, quanto in relazione alla fase di esecuzione della pena – da parte della giurisprudenza di questa Corte, la quale ha posto in evidenza l’esigenza di lasciare al giudice spazi di discrezionalità per effettuare valutazioni flessibili e individualizzate.
Sempre per affermazione di questa Corte, d’altro canto, le presunzioni assolute debbono ritenersi arbitrarie e irrazionali ove non fondate sull’id quod plerumque accidit, ossia su dati di esperienza generalizzati, e quindi nelle ipotesi in cui sia agevole formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta alla base della presunzione. Nella specie, sarebbe ben possibile che un’osservazione della personalità dell’autore di un reato sessuale condotta per un tempo inferiore a un anno sia sufficiente per tratteggiare il «quadro personologico» del soggetto e per stabilire se lo stesso debba avviare un percorso di trattamento extramurario. Ciò, salvo che si intenda assegnare alla presunzione assoluta in questione un carattere meramente afflittivo.
1.3.– Per questo verso, la norma censurata si porrebbe in contrasto anche con l’art. 27 Cost.
La funzione rieducativa della pena verrebbe, infatti, compromessa dalla rigida soglia temporale fissata dal legislatore, specie quando il condannato debba espiare una pena inferiore a un anno di reclusione. In questi casi, soltanto un vaglio nel merito, previa osservazione della personalità di congrua durata, consentirebbe di individuare la modalità di espiazione della pena in concreto più idonea a rieducare il reo.
L’inevitabile espiazione della pena in regime carcerario – per almeno un anno, o dell’intera pena, quando questa sia inferiore a un anno – potrebbe quindi avere un’efficacia meramente afflittiva, con soddisfacimento delle esigenze di prevenzione generale, sacrificando però la funzione rieducativa e di recupero del condannato cui la pena deve aspirare, anche se inflitta nei confronti di autori di reati particolarmente gravi, quale la violenza sessuale.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o non fondate.
2.1.– Ad avviso della difesa statale, le questioni sarebbero inammissibili per difetto di rilevanza, in quanto, nel momento dell’adozione dell’invocata pronuncia di questa Corte, la norma censurata non risulterebbe più applicabile nel giudizio principale, discutendosi di fattispecie nella quale il fine pena era fissato al 24 febbraio 2020.
L’oggettiva impossibilità che la decisione di questa Corte intervenisse prima dello scadere di tale termine avrebbe reso priva di effetti, nel procedimento a quo, un’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale, di cui l’interessato non avrebbe potuto, comunque sia, beneficiare.
2.2.– Nel merito, le questioni sarebbero, in ogni caso, non fondate.
Il comma 1-quater dell’art. 4-bis ordin. penit., introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, nella legge 23 aprile 2009, n. 38, stabilisce che «i benefici di cui al comma 1» – e, cioè, «l’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata» – possono essere concessi ai detenuti o internati per una serie di delitti di natura sessuale, tra i quali quelli di cui all’art. 609-bis (salvo che risulti applicata la circostanza attenuante dallo stesso contemplata) e all’art. 609-ter cod. pen., solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno, anche con la partecipazione degli esperti di cui all’art. 80, quarto comma, ordin. penit.
Si tratta di un periodo di osservazione prescritto quoad titulum, avendo la norma introdotto una presunzione di pericolosità «per tipo d’autore», superabile solo all’esito di una positiva osservazione del condannato avente il contenuto previsto e la durata indicata, e svolta secondo le modalità descritte.
Tale disciplina costituirebbe frutto di una valutazione discrezionale del legislatore, sindacabile solo ove trasmodi nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio, com’è in generale rispetto alle scelte inerenti al trattamento sanzionatorio, stante la natura tipicamente politica degli apprezzamenti «in ordine alla “meritevolezza” e al “bisogno di pena”».
Nella specie, la scelta espressa dalla norma censurata non apparirebbe irragionevole, né contrastante con la finalità rieducativa della pena.
La peculiare ratio che giustifica il periodo di osservazione nei confronti di soggetti condannati per violenza sessuale è stata, del resto, «ulteriormente rimarcata» dalla legge 1° ottobre 2012, n. 172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno), che, modificando l’art. 4-bis, comma 1-quater, ordin. penit., ha ampliato l’elenco dei delitti rispetto ai quali l’accesso ai benefici penitenziari è subordinato ai risultati positivi dell’osservazione scientifica della personalità del condannato per almeno un anno.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di sorveglianza di Messina dubita della legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede che i benefici di cui al comma 1 possono essere concessi al condannato per i delitti di cui agli artt. 609-bis e 609-ter del codice penale (violenza sessuale e violenza sessuale aggravata) solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno.
Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe anzitutto l’art. 3 della Costituzione per contrasto con il principio di ragionevolezza, in quanto il rigido e unitario parametro temporale fissato dal legislatore – che preclude in modo assoluto l’accesso ai benefici allorché la pena da espiare, anche residua, risulti inferiore a un anno – si baserebbe su presunzione assoluta, arbitraria e irrazionale, essendo ben possibile che un’osservazione per un tempo più ridotto sia sufficiente a studiare la personalità del condannato per un reato sessuale e a formulare un giudizio circa l’idoneità di una misura alternativa alla detenzione a rieducarlo e a prevenire il rischio della commissione di reati.
La norma sottoposta a scrutinio determinerebbe, altresì, una irragionevole disparità di trattamento tra gli autori dei reati sessuali considerati e gli autori di altri reati, anche di particolare allarme sociale, i quali possono accedere alle misure alternative sulla base di un’osservazione scientifica della personalità la cui durata resta legata all’effettivo profilo personale del soggetto.
Si registrerebbe anche una irragionevole disparità di trattamento tra gli stessi autori di reati sessuali. Il condannato per reato sessuale a una pena più severa, in quanto autore di un fatto più grave, può infatti ottenere, previa osservazione annuale, una misura alternativa, diversamente dal condannato per fatto meno grave che, dovendo espiare una pena, anche residua, inferiore a un anno di reclusione, non ha alcuna possibilità di accedere ai benefici.
Sarebbe violato inoltre l’art. 27 Cost., in quanto la rigida soglia temporale in questione, precludendo una valutazione individualizzante, farebbe sì che l’inevitabile espiazione della pena in regime carcerario per almeno un anno, o dell’intera pena, se inferiore all’anno, possa assumere un carattere meramente afflittivo, sacrificando la funzione rieducativa.
2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza, sulla considerazione che alla data dell’ordinanza di rimessione (6 dicembre 2019) appariva ampiamente prevedibile che l’invocata pronuncia di questa Corte sarebbe rimasta priva di effetti nel giudizio a quo, essendo oggettivamente impossibile che essa intervenisse prima del termine di fine pena del condannato istante (24 febbraio 2020: termine, in fatto, già spirato nel momento in cui l’ordinanza di rimessione è pervenuta a questa Corte, stante il ritardo con il quale la cancelleria del giudice a quo ha provveduto alla sua trasmissione).
L’eccezione non è fondata.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, dall’art. 21 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nel nuovo testo approvato con delibera del 22 luglio 2021 (corrispondente al precedente art. 18, in vigore alla data dell’ordinanza di rimessione), si desume un principio generale di autonomia del giudizio incidentale di costituzionalità, che, come tale, non risente delle vicende di fatto successive all’ordinanza di rimessione concernenti il rapporto dedotto nel giudizio principale: sicché la rilevanza delle questioni rispetto alla decisione del processo a quo deve essere vagliata ex ante, con riferimento al momento della prospettazione delle questioni stesse (ex plurimis, sentenze n. 127 del 2021, n. 270 e n. 85 del 2020).
Nella specie, l’incidente di legittimità costituzionale è scaturito dalla richiesta del condannato di concessione di misure alternative alla detenzione in relazione a una pena in quel momento non ancora interamente espiata, con conseguente obbligo del giudice rimettente di verificare la concedibilità delle misure richieste, tenuto conto della preclusione stabilita dalla norma censurata.
A fronte di ciò, la circostanza che, nelle more del giudizio di legittimità costituzionale, il condannato abbia finito di espiare la pena – stante anche l’esiguità della frazione di essa ancora ineseguita – non elide, di per sé, comunque sia, la rilevanza delle questioni (con riguardo a fattispecie similare, sentenza n. 7 del 2022).
3.– Le questioni sono, tuttavia, inammissibili per una diversa ragione, rilevabile ex officio, legata all’insufficiente descrizione della fattispecie concreta e al difetto di motivazione sulla rilevanza.
Il giudice rimettente riferisce che l’istante nel procedimento a quo è stato condannato, con sentenza divenuta irrevocabile, a tre anni e sei mesi di reclusione per tre diversi reati: sequestro di persona aggravato, violenza sessuale aggravata e lesioni personali aggravate. Di questi, però, uno solo – la violenza sessuale aggravata – è ostativo alla concessione dei benefici penitenziari ai sensi della norma censurata.
In simile situazione, sarebbe stato onere del rimettente verificare e specificare a quale, o a quali, di tali reati era imputabile la modesta frazione di pena residua (due mesi e diciotto giorni di reclusione) che – sempre secondo quanto riferito dal rimettente stesso – l’interessato doveva ancora scontare alla data dell’ordinanza di rimessione (è da supporre, a seguito dello scomputo del periodo di tempo trascorso in custodia cautelare o agli arresti domiciliari prima della condanna definitiva).
La giurisprudenza di legittimità è, infatti, da tempo costante nel ritenere che, nel caso di cumulo, materiale o giuridico, di pene inflitte per diversi titoli di reato, alcuni dei quali soltanto compresi nell’elenco dell’art. 4-bis ordin. penit., occorre procedere allo scioglimento del cumulo, venendo meno l’impedimento alla fruizione dei benefici penitenziari qualora l’interessato abbia già espiato la parte di pena relativa ai reati ostativi (ex plurimis, con riguardo al cumulo materiale, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 18 giugno-20 luglio 2021, n. 28141; Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 11 dicembre 2020-7 aprile 2021, n. 13041; con riguardo al cumulo giuridico, conseguente, in particolare, all’applicazione della disciplina del reato continuato, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 29 novembre-7 dicembre 2016, n. 52182; Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 31 marzo-26 luglio 2016, n. 32419): con l’ulteriore precisazione che, a questi fini, deve ritenersi scontata per prima la pena più gravosa per il reo, ossia quella riferibile ai reati che non consentirebbero l’accesso ai benefici (tra le altre, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza n. 28141 del 2021; Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 28 ottobre 2015-22 febbraio 2016, n. 6817).
Tale indirizzo giurisprudenziale recepisce le indicazioni fornite da questa Corte con la sentenza n. 361 del 1994, la quale, dichiarando non fondata nei sensi di cui in motivazione la questione al riguardo sollevata, ha escluso che la disciplina dell’art. 4-bis ordin. penit. abbia creato uno status di detenuto pericoloso destinato a permeare di sé l’intero rapporto esecutivo, a prescindere dallo specifico titolo di condanna concretamente in esecuzione.
La lacunosità, su questo punto, dell’ordinanza di rimessione impedisce, dunque, di verificare l’effettiva rilevanza delle questioni: il che, per costante giurisprudenza di questa Corte, ne determina l’inammissibilità (ex plurimis, ordinanze n. 136 del 2021, n. 147 e n. 108 del 2020, n. 64 del 2019). Le questioni sarebbero, infatti, prive di rilievo ove la frazione di pena ancora da scontare fosse imputabile ai soli reati non ostativi.
4.– Le questioni vanno dichiarate, pertanto, inammissibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Messina con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2022.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE