SENTENZA N. 4
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 75 della legge della Regione Piemonte 9 luglio 2020, n. 15 (Misure urgenti di adeguamento della legislazione regionale - Collegato), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25-28 agosto 2020, depositato in cancelleria il 28 agosto 2020, iscritto al n. 71 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di costituzione della Regione Piemonte;
udita nell’udienza pubblica del 23 novembre 2021 la Giudice relatrice Daria de Pretis;
uditi l’avvocato dello Stato Maria Luisa Spina per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Eleuterio Zuena per la Regione Piemonte;
deliberato nella camera di consiglio del 24 novembre 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 25-28 agosto 2020, depositato il 28 agosto 2020 e iscritto al n. 71 del registro ricorsi 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 75 della legge della Regione Piemonte 9 luglio 2020, n. 15 (Misure urgenti di adeguamento della legislazione regionale - Collegato).
Tale disposizione prevede che, «[f]ino al termine dello stato di emergenza sanitaria di cui alla delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020 (Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili) e, comunque, fino al 31 dicembre 2020, in considerazione dei motivi imperativi di interesse generale attinenti al raggiungimento di obiettivi di politica sociale e delle relative esigenze, di tutela dei lavoratori, di sostegno al reddito e alle imprese, i soggetti aggiudicatori della Regione possono introdurre criteri premiali di valutazione delle offerte e relativa attribuzione di punteggi, nei confronti degli operatori economici che, in caso di aggiudicazione, per l’esecuzione dell’appalto o della concessione, si impegnano a utilizzare, in misura prevalente, manodopera o personale a livello regionale, attribuendo un peso specifico alle ricadute occupazionali sottese alle procedure di accesso al mercato degli appalti e delle concessioni, in ottemperanza alle esigenze inderogabili di promozione della continuità dei livelli occupazionali e nel rispetto delle disposizioni dell’Unione europea».
Nonostante la formale dichiarazione di rispetto del diritto europeo, l’art. 75 della legge reg. Piemonte n. 15 del 2020 contrasterebbe con i principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza affermati agli artt. 3, 49 e seguenti, 101, 102 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, in quanto l’attribuzione di punteggi premiali a coloro che, nel presentare offerte nelle pubbliche gare, si impegnino a utilizzare in misura prevalente la manodopera di un dato territorio (quello regionale) a scapito della manodopera di un altro (nazionale o europeo), privilegerebbe uno o più concorrenti in base alla territorialità della manodopera impiegata, introducendo in tal modo un criterio protezionistico.
La disposizione regionale violerebbe pertanto l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione ai citati parametri interposti.
Sarebbe violato anche l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., per invasione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza. L’impugnato art. 75 introdurrebbe, infatti, criteri premiali di valutazione delle offerte in contrasto con l’art. 30 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), secondo cui nell’affidamento degli appalti e delle concessioni le stazioni appaltanti devono rispettare i principi di libera concorrenza e non discriminazione e non possono limitare in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici.
L’illegittimità costituzionale non si potrebbe escludere invocando l’art. 1, comma 1, lettera ddd), della legge 28 gennaio 2016, n. 11 (Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), che aveva previsto la «valorizzazione delle esigenze sociali e di sostenibilità ambientale, mediante introduzione di criteri e modalità premiali di valutazione delle offerte nei confronti delle imprese che, in caso di aggiudicazione, si impegnino, per l’esecuzione dell’appalto, a utilizzare anche in parte manodopera o personale a livello locale». A parte la non sovrapponibilità tra la norma statale delegante (che consentiva di premiare l’utilizzo della manodopera locale «anche in parte») e quella regionale (che ne premia l’utilizzo «in misura prevalente»), sarebbe decisiva la «indebita ingerenza» del legislatore regionale nell’ambito riservato alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza. Una previsione come quella censurata potrebbe essere adottata solo con effetto su tutto il territorio nazionale, per evitare che «la manodopera piemontese sia avvantaggiata in Piemonte e il lavoratore di altre regioni non possa godere di analogo vantaggio nella propria regione».
2.– La Regione Piemonte si è costituita in giudizio con memoria depositata il 28 settembre 2020, concludendo per la non fondatezza delle questioni.
Pur riconoscendo che la disciplina del codice dei contratti pubblici sulle procedure di gara è riconducibile alla materia della tutela della concorrenza, la resistente dà evidenza alla peculiarità della fattispecie, rilevando che si tratta di una previsione temporanea – efficace fino alla cessazione dello stato di emergenza sanitaria derivante dalla pandemia in atto e comunque fino al 31 dicembre 2020 – e preordinata a coniugare il principio di libera concorrenza e di non discriminazione con il sostegno dei lavoratori in un ambito territoriale economicamente tra i più colpiti dalla pandemia.
La disposizione impugnata sarebbe quindi rispettosa del d.lgs. n. 50 del 2016 (d’ora in avanti: codice dei contratti pubblici), e segnatamente dei suoi artt. 2 e 30, anche alla luce dei criteri direttivi dettati all’art. 1, comma 1, lettera ddd), della legge delega n. 11 del 2016, citata dal ricorrente.
3.– La stessa Regione ha poi depositato il 29 ottobre 2021 una memoria illustrativa.
In essa ha preliminarmente chiesto di dichiarare cessata la materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse del ricorrente, sull’assunto che la disposizione impugnata – i cui effetti sono cessati con lo spirare del termine ultimo del 31 dicembre 2020 – non avrebbe avuto medio tempore applicazione. In proposito, allega nota del Dirigente del Settore trasparenza e anticorruzione della Regione Piemonte, nella quale si comunica che «nel periodo di vigenza» della stessa disposizione, «da un controllo a campione effettuato sul portale di pubblicazione dell’Osservatorio dei contratti pubblici, sui bandi indetti nel periodo luglio/dicembre 2020, non è stato riscontrato l’utilizzo dei criteri premiali di valutazione delle offerte previste dall’articolo 75».
Nel merito, ribadisce che non sussisterebbe la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli evocati parametri interposti, trattandosi di norma temporanea dettata in una situazione di estrema urgenza e straordinarietà, nella quale il Governo aveva disposto la chiusura dei confini nazionali e restrizioni allo spostamento tra regioni, onde il principio europeo di libera concorrenza, se inteso in senso eccessivamente restrittivo, di fatto non avrebbe potuto essere garantito.
Neppure sarebbe violato l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., stante la coincidenza quasi totale tra l’art. 75 della legge reg. Piemonte n. 15 del 2020 e il citato art. 1, comma 1, lettera ddd), della legge n. 11 del 2016, nonché, in ogni caso, l’«assenza di contrasto con l’orientamento nazionale». Inoltre, si dovrebbe considerare che l’art. 95, comma 13, del codice dei contratti pubblici consente il ricorso a un criterio premiale legato al territorio, prevedendo che le amministrazioni aggiudicatrici possono indicare, nel bando di gara, nell’avviso o nell’invito, il maggior punteggio relativo all’offerta per beni, lavori o servizi che presentano un minore impatto sulla salute e sull’ambiente. Questo sarebbe il caso oggetto della disposizione impugnata, diretta a far fronte all’emergenza sanitaria.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 75 della legge della Regione Piemonte 9 luglio 2020, n. 15 (Misure urgenti di adeguamento della legislazione regionale - Collegato), secondo cui, «[f]ino al termine dello stato di emergenza sanitaria di cui alla delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020 (Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili) e, comunque, fino al 31 dicembre 2020, in considerazione dei motivi imperativi di interesse generale attinenti al raggiungimento di obiettivi di politica sociale e delle relative esigenze, di tutela dei lavoratori, di sostegno al reddito e alle imprese, i soggetti aggiudicatori della Regione possono introdurre criteri premiali di valutazione delle offerte e relativa attribuzione di punteggi, nei confronti degli operatori economici che, in caso di aggiudicazione, per l’esecuzione dell’appalto o della concessione, si impegnano a utilizzare, in misura prevalente, manodopera o personale a livello regionale, attribuendo un peso specifico alle ricadute occupazionali sottese alle procedure di accesso al mercato degli appalti e delle concessioni, in ottemperanza alle esigenze inderogabili di promozione della continuità dei livelli occupazionali e nel rispetto delle disposizioni dell’Unione europea».
La disposizione impugnata violerebbe, in primo luogo, l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 3, 49 e seguenti, 101, 102 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130. L’attribuzione di punteggi premiali a coloro che, nel presentare offerte nelle pubbliche gare, si impegnino a utilizzare in misura prevalente la manodopera o il personale di un dato territorio (quello regionale), a scapito della manodopera o il personale di un altro territorio (nazionale o europeo), contrasterebbe con i principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza posti dal diritto dell’Unione europea, privilegiando uno o più concorrenti rispetto ad altri in base alla territorialità della manodopera impiegata e introducendo in tal modo un criterio protezionistico.
Sarebbe violato anche l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., per invasione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza. L’introduzione dei previsti criteri premiali di valutazione delle offerte nelle gare pubbliche contrasterebbe con l’art. 30 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), alla cui stregua le stazioni appaltanti, nell’affidamento degli appalti e delle concessioni, devono rispettare i principi di libera concorrenza e non discriminazione, non potendo in alcun modo artificiosamente limitare la concorrenza allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici.
2.– Il legislatore regionale ha limitato l’efficacia del censurato art. 75 della legge reg. Piemonte n. 15 del 2020 «[f]ino al termine dello stato di emergenza sanitaria di cui alla delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020 […] e, comunque, fino al 31 dicembre 2020». Quest’ultimo termine finale è medio tempore scaduto, non essendo state adottate disposizioni di proroga.
La Regione Piemonte chiede per questo che si dichiari la cessazione della materia del contendere, sull’assunto che la disposizione impugnata, la cui efficacia è nel frattempo cessata, non avrebbe avuto applicazione. Allega a tale fine una nota del dirigente del settore trasparenza e anticorruzione della Regione stessa, nella quale si dichiara che «da un controllo a campione effettuato sul portale di pubblicazione dell’Osservatorio dei contratti pubblici, sui bandi indetti nel periodo luglio/dicembre 2020, non è stato riscontrato l’utilizzo dei criteri premiali di valutazione delle offerte previste dall’articolo 75», nel periodo «di [sua] vigenza».
L’istanza della Regione non può essere accolta.
Né la cessazione di efficacia della disposizione per lo spirare del termine, né la sua asserita non applicazione medio tempore – peraltro non dimostrata, in quanto il documento prodotto dalla Regione si limita ad attestare il risultato negativo di un mero controllo a campione dei bandi di gara – determinano il sopravvenuto difetto dell’interesse al ricorso.
Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, infatti, il giudizio promosso in via principale è giustificato dalla mera pubblicazione di una legge che si ritenga lesiva della ripartizione di competenze, a prescindere dagli effetti che essa abbia o non abbia prodotto (ex plurimis, sentenze n. 156 del 2021, n. 166 del 2019, n. 195 del 2017 e n. 262 del 2016), consistendo l’interesse attuale e concreto del ricorrente esclusivamente «nella tutela delle competenze legislative nel rispetto del riparto delineato dalla Costituzione» (sentenza n. 195 del 2017).
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri propone, nell’ordine, una questione diretta a denunciare la violazione di vincoli europei, ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., e un’altra relativa al riparto interno di competenza tra Stato e regioni, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Si deve tuttavia invertire l’ordine di esame delle questioni, giacché la censura relativa al riparto di competenza presenta carattere prioritario, sotto il profilo logico-giuridico, rispetto all’altra, che investe il contenuto della scelta legislativa (ex plurimis, sentenze n. 38 del 2021, n. 114 del 2017 e n. 209 del 2013).
4.– La questione riferita all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. è fondata.
4.1.– Questa Corte è costante nell’affermare che la nozione di «concorrenza» di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost. «non può non riflettere quella operante in ambito europeo (sentenze n. 83 del 2018, n. 291 e n. 200 del 2012, n. 45 del 2010). Essa comprende, pertanto, sia le misure legislative di tutela in senso proprio, intese a contrastare gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati, sia le misure legislative di promozione, volte a eliminare limiti e vincoli alla libera esplicazione della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese (concorrenza “nel mercato”), ovvero a prefigurare procedure concorsuali di garanzia che assicurino la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici (concorrenza “per il mercato”). In questa seconda accezione, attraverso la “tutela della concorrenza”, vengono perseguite finalità di ampliamento dell’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese, queste ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi (sentenze n. 299 del 2012 e n. 401 del 2007)» (sentenza n. 137 del 2018).
Sulla scorta di tale nozione di tutela della concorrenza “per il mercato”, questa Corte ha altresì affermato che «la disciplina delle procedure di gara, la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione […] mirano a garantire che le medesime si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertà di stabilimento, nonché dei principi costituzionali di trasparenza e parità di trattamento (sentenze n. 431, n. 401 del 2007, n. 411 del 2008)», sicché tali discipline, in quanto «volte a consentire la piena apertura del mercato nel settore degli appalti, sono riconducibili all’ambito della tutela della concorrenza, di esclusiva competenza del legislatore statale (sentenze n. 401 del 2007, n. 345 del 2004)» (sentenza n. 186 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 2 del 2014, n. 259 del 2013 e n. 339 del 2011), costituendo esse uno strumento indispensabile per tutelare e promuovere la concorrenza in modo uniforme sull’intero territorio nazionale (sentenze n. 39 del 2020, n. 28 del 2014, n. 339 del 2011, n. 1 del 2008 e n. 401 del 2007).
L’art. 75 della legge reg. Piemonte n. 15 del 2020 – attribuendo ai «soggetti aggiudicatori della Regione» il potere di prevedere criteri premiali di valutazione delle offerte a favore degli operatori economici che si impegnino a utilizzare in misura prevalente manodopera o personale a livello regionale – è idoneo a produrre effetti diretti sull’esito delle gare e, indirettamente, sulla scelta degli operatori economici in ordine alla partecipazione alle stesse, incidendo in questo modo sulla concorrenzialità nel mercato. Dall’introduzione dei detti criteri premiali, infatti, possono derivare conseguenze sulla minore o maggiore possibilità di accesso delle imprese al mercato regionale dei contratti pubblici.
La disposizione regionale impugnata si pone inoltre in contrasto con l’esigenza di assicurare procedure di evidenza pubblica uniformi su tutto il territorio nazionale, in modo che siano rispettati i principi di libera concorrenza e di non discriminazione ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 50 del 2016 (d’ora in avanti: codice dei contratti pubblici). Quest’ultima disposizione – assunta dal ricorrente a norma interposta – prevede infatti che, «[n]ell’affidamento degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano […] i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità» (comma 1) e «non possono limitare in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici» (comma 2).
La possibilità di introdurre, anche in via transitoria, criteri premiali di valutazione delle offerte per far fronte alle ineludibili esigenze sorte dall’emergenza sanitaria è dunque riservata allo Stato, cui spetta in generale, nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza, definire il punto di equilibrio tra essa e la tutela di altri interessi pubblici con esso interferenti (ex plurimis, sentenze n. 56 del 2020 e n. 30 del 2016, con riferimento al libero esercizio dell’attività di trasporto), come quelli sottesi al raggiungimento di «obiettivi di politica sociale […], di tutela dei lavoratori, di sostegno al reddito e alle imprese», che l’art. 75 della legge reg. Piemonte n. 15 del 2020 dichiara di perseguire.
Esigenze simili – anche se non collegate all’epidemia in atto, ma riconducibili al più ampio tema dell’uso “strategico” dei contratti pubblici per la realizzazione di obiettivi sociali, oltre che di tutela ambientale e di sviluppo sostenibile, ulteriori rispetto alle finalità proprie dei contratti stessi – sono state effettivamente considerate dal legislatore statale, in attuazione di scopi enunciati dalle stesse direttive europee in materia di appalti.
Così, l’art. 1, comma 1, lettera ddd), della legge 28 gennaio 2016, n. 11 (Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), include, tra i princìpi e i criteri direttivi dettati al Governo per l’adozione del nuovo codice dei contratti pubblici, la «valorizzazione delle esigenze sociali e di sostenibilità ambientale, mediante introduzione di criteri e modalità premiali di valutazione delle offerte nei confronti delle imprese che, in caso di aggiudicazione, si impegnino, per l’esecuzione dell’appalto, a utilizzare anche in parte manodopera o personale a livello locale ovvero in via prioritaria gli addetti già impiegati nel medesimo appalto, in ottemperanza ai princìpi di economicità dell’appalto, promozione della continuità dei livelli occupazionali, semplificazione ed implementazione dell’accesso delle micro, piccole e medie imprese, tenendo anche in considerazione gli aspetti della territorialità e della filiera corta e attribuendo un peso specifico anche alle ricadute occupazionali sottese alle procedure di accesso al mercato degli appalti pubblici, comunque nel rispetto del diritto dell’Unione europea».
Inoltre, il già citato art. 30 del codice dei contratti pubblici, dopo avere affermato che «[l]’affidamento e l’esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni, […] si svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza» (comma 1, primo periodo), precisa che «[i]l principio di economicità può essere subordinato, nei limiti in cui è espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico» (comma 1, terzo periodo).
Né dall’una, né dall’altra delle richiamate disposizioni è tuttavia possibile trarre argomenti a sostegno della non illegittimità costituzionale dell’art. 75 della legge reg. Piemonte n. 15 del 2020, assumendo, come prospetta la Regione, che il suo contenuto si porrebbe in linea, nella sostanza, con gli obiettivi sociali perseguiti dal legislatore statale. A parte il rilievo che al legislatore regionale è precluso finanche di riprodurre tali disposizioni, per il divieto di novazione della fonte in un ambito materiale di competenza esclusiva statale (ex plurimis, sentenze n. 16 del 2021, n. 40 del 2017 e n. 98 del 2013), è decisivo quanto già rilevato sopra circa la riserva allo Stato della scelta di introdurre ulteriori criteri premiali fondati sull’utilizzo di personale locale. Solo allo Stato spetta infatti la facoltà di adottare, in esito al bilanciamento tra l’interesse alla concorrenza e altri interessi pubblici e nell’ambito di una disciplina uniforme per l’intero territorio nazionale, eccezionali restrizioni al libero accesso degli operatori economici al mercato, che, ove disposte da differenti normative regionali, sarebbero suscettibili di creare dislivelli di regolazione, produttivi di barriere territoriali (sentenza n. 283 del 2009).
Per le stesse ragioni non può essere invocato a sostegno della non fondatezza dell’odierna questione di legittimità costituzionale quanto previsto dall’art. 95, comma 13, del codice dei contratti pubblici, in tema di criteri premiali di valutazione delle offerte, che consente alle amministrazioni aggiudicatrici di indicare il «maggiore punteggio relativo all’offerta concernente beni, lavori o servizi che presentano un minore impatto sulla salute e sull’ambiente, ivi compresi i beni o i prodotti da filiera corta o a chilometro zero». È evidente, infatti, l’eterogeneità del fine così perseguito – di tutela della salute e dell’ambiente – rispetto a quello che ispira la norma impugnata, diretta a favorire la “territorialità” del personale impiegato nell’esecuzione del contratto, e in via mediata delle imprese esecutrici, a prescindere dall’impatto della prestazione affidata su diversi interessi, quali fra gli altri la salute o l’ambiente.
5.– Va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 75 della legge reg. Piemonte n. 15 del 2020.
La questione proposta con riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., per la lamentata violazione dei menzionati parametri interposti del diritto dell’Unione europea, resta assorbita.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 75 della legge della Regione Piemonte 9 luglio 2020, n. 15 (Misure urgenti di adeguamento della legislazione regionale - Collegato).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 novembre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Daria de PRETIS, Redattrice
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2022.
Il Cancelliere
F.to: Igor DI BERNARDINI