Corte Costituzionale, Sentenza n.51 del 02/03/2022

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Giudizio costituzionale per l'ammissibilità del referendum - In genere - Contraddittorio - Soggetti diversi dai promotori, purché interessati alla decisione - Facoltà dell'intervento ammessa dalla Corte costituzionale - Esclusione di un diritto a partecipare al procedimento - Necessità che il procedimento rispetti una scansione temporale definita, nell'avvio e nella conclusione. (Classif. 116001)

Nella camera di consiglio di ammissibilità del referendum abrogativo, è consentita non solo l'illustrazione orale delle memorie depositate dai soggetti presentatori (ex art. 33 della legge n. 352 del 1970), ma - prima ancora - possono essere ammessi le memorie presentate da soggetti diversi, e tuttavia interessati alla decisione sull'ammissibilità delle richieste referendarie, come contributi contenenti argomentazioni ulteriori rispetto a quelle altrimenti a disposizione della Corte costituzionale. Tale ammissione non si traduce in un diritto di questi soggetti di partecipare al procedimento e di illustrare le relative tesi in camera di consiglio, ma comporta solo la facoltà della Corte, ove lo ritenga opportuno, di consentire brevi integrazioni orali degli scritti prima che i presentatori illustrino le rispettive posizioni. (Precedenti: S. 10/2020 - mass. 42251; S. 13/2012 - mass. 36043; S. 5/2015, S. 28/2011 - mass. 35382, n. 27/2011 - mass. 35379, n. 26/2011 - mass. 35375, S. 25/2011 - mass. 35370, S. 24/2011 - mass. 35366, S. 17/2008 - mass. 32096, S. 16/2008 - mass. 32089; S. 15 del 2008 - mass. 32082). Il procedimento per valutare l'ammissibilità del referendum abrogativo deve tenersi, e concludersi, secondo una scansione temporale definita. (Precedente: S. 31/2000 - mass. 25143).

Legge - Abrogazione - Effetto prodotto da atto radicalmente viziato nella sua formazione - Esclusione. (Classif. 141002)

L'atto affetto da vizio radicale nella sua formazione [come per la carenza dei presupposti ex art. 77, secondo comma, Cost.] è inidoneo ad innovare l'ordinamento e, quindi, anche ad abrogare la precedente normativa. (Precedenti: S. 32/2014; S. 123/2011; S. 361/2010).

Giudizio costituzionale per l'ammissibilità del referendum - Controllo di ammissibilità - Normativa di risulta - Valutazione della Corte costituzionale - Condizione - Grave contraddittorietà rispetto al fine dell'iniziativa referendaria, che pregiudica la scelta libera e consapevole dell'elettore - Conseguente difetto di chiarezza e univocità del quesito - Irrilevanza della finalità assunta dal Comitato promotore (nel caso di specie: inammissibilità della richiesta di referendum per l'abrogazione di disposizioni penali e sanzioni amministrative del t.u. stupefacenti). (Classif. 116003)

Secondo il costante orientamento della Corte costituzionale, non solo la richiesta referendaria non può investire una delle leggi indicate nell'art. 75 Cost. o comunque riconducibili ad esse, ma è necessario che il quesito da sottoporre al giudizio del corpo elettorale consenta una scelta libera e consapevole, richiedendosi pertanto i caratteri della chiarezza, dell'omogeneità, dell'univocità del medesimo quesito, oltre che l'esistenza di una sua matrice razionalmente unitaria (Precedenti: S. 10/2020 - mass. 42254; S. 17/2016 - mass. 38712; S. 16/1978 - mass. 14196). Nel quesito referendario ciò che rileva è il suo contenuto oggettivo, e non già la finalità soggettiva assunta dal Comitato promotore. Il referendum non consente di scindere il quesito e, quindi, non offre possibilità di soluzioni intermedie tra il rifiuto e l'accettazione integrale della proposta abrogativa (Precedente: S. 12/2014). Non può essere inibita alla Corte costituzionale la valutazione della normativa di risulta allorché quest'ultima presenti elementi di grave contraddittorietà rispetto al fine obiettivo dell'iniziativa referendaria tali da pregiudicare la chiarezza e la comprensibilità del quesito per l'elettore. (Precedenti: S. 24/2011 - mass. 35368; S. 15/2008 - mass. 32084; S. 45/2005 - mass. 29123). (Nel caso di specie, è dichiarata inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nell'art. 73 t.u. stupefacenti, nel comma 1, dell'inciso «coltiva» nel comma 4, delle parole «la reclusione da due a sei anni e» e nell'art. 74 , nel comma 1, delle parole «a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni». Mentre, per la dichiarata intenzione del Comitato, il quesito referendario depenalizzerebbe la coltivazione domestica "rudimentale" della canapa indiana, in realtà esso produrrebbe un risultato, per un verso, più esteso, e per l'altro, illusorio. Sotto il primo profilo, la disciplina dei reati sugli stupefacenti - in ragione del fenomeno della reviviscenza che ha fatto seguito alla sentenza n. 32 del 2014 - è tornata ad applicarsi nella versione precedente alla novella del 2006. Ne deriva che l'esito positivo della richiesta referendaria andrebbe a depenalizzare direttamente la coltivazione delle piante da cui si estraggono le droghe "pesanti", di cui alle Tabelle I e III dell'art. 14, e, indirettamente, quella della pianta di cannabis, ricompresa nella Tabella II, peraltro anche nella dimensione agricola. Sotto il secondo profilo, rimarrebbe, invece, immutata la rilevanza penale della condotta di coltivazione non autorizzata di piante, tra cui la canapa, ex art. 28 dello stesso t.u. stupefacenti. Tale discrasia risulta fuorviante per il corpo elettorale, ridondando in difetto di chiarezza e univocità del quesito. La medesima richiesta referendaria è diretta anche all'eliminazione - per le condotte di rilievo penale aventi ad oggetto droghe "leggere" - della pena della reclusione, residuando la sola multa. Va al riguardo sottolineata la vistosa contraddittorietà - la quale ridonda in difetto di chiarezza, giacché il quesito chiederebbe all'elettore di operare una scelta illogica e contraddittoria - che conseguirebbe alla proposta eliminazione, derivandone un'irriducibile antinomia con il successivo comma 5, che applica la sanzione congiunta della reclusione e della multa per i medesimi fatti, se ritenuti di «lieve entità»). (Precedenti: S. 23/2016; S. 27/1997: S. 28/1993 - mass. 19087).

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SENTENZA N. 51

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), iscritto al n. 180 del registro, della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione di alcune disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza); in particolare:

- art. 73, comma 1, limitatamente all’inciso «coltiva»;

- art. 73, comma 4, limitatamente alle parole «la reclusione da due a 6 anni e»;

- art. 75, limitatamente alle parole «a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;».

Vista l’ordinanza del 10 gennaio 2022 con la quale l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi gli avvocati Mauro Ronco e Domenico Menorello per il Comitato per il no alla droga legale, Andrea Pertici e Gian Domenico Caiazza per il Comitato promotore referendum cannabis legale, nelle persone di Marco Perduca, nella qualità di promotore e presentatore, Riccardo Magi e Leonardo Fiorentini, nella qualità di presentatori;

deliberato nella camera di consiglio del 16 febbraio 2022.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 10 gennaio 2022, depositata in data 12 gennaio 2022, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, a norma dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo) e successive modificazioni, ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge la richiesta del referendum popolare abrogativo, proposto ai sensi dell’art. 75 della Costituzione da cinquecentomila elettori (con annuncio n. 21A05375, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, dell’8 settembre 2021), sul seguente quesito «Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, avente ad oggetto “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza” limitatamente alle seguenti parti: Articolo 73 (Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), comma 1, limitatamente all’inciso «coltiva»; Articolo 73 (Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), comma 4, limitatamente alle parole «la reclusione da due a sei anni e»; Articolo 75 (Condotte integranti illeciti amministrativi), comma 1, limitatamente alle parole “a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;”?» e con la seguente denominazione: «Abrogazione di disposizioni penali e di sanzioni amministrative in materia di coltivazione, produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope».

2.- L’Ufficio centrale ha dato atto che il 28 ottobre 2021, nella cancelleria della Corte di cassazione, si sono presentati i promotori della raccolta delle firme a sostegno del referendum, i quali hanno depositato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 28 della legge n. 352 del 1970: una scatola, recante l’indicazione «referendum cannabis legale referendumcannabis.it», che hanno affermato contenere n. 294 moduli predisposti con le modalità indicate dall’art. 27 della predetta legge, regolarmente autenticate e accompagnate, in parte, dalla certificazione di iscrizione nelle liste elettorali; un hard disk che hanno affermato contenere il duplicato informatico, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera i-quinquies), del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale), di n. 606.879 firme raccolte elettronicamente, accompagnate dal duplicato informatico, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera i-quinquies) succitato, delle richieste formulate con PEC alle amministrazioni comunali e dei certificati d’iscrizione nelle liste elettorali acclusi ai messaggi PEC ricevuti.

Inoltre, con ordinanza non definitiva del 15 dicembre 2021, l’Ufficio centrale ha rilevato, tra l’altro, che le norme oggetto del quesito sono contenute in un atto normativo avente natura ed efficacia di legge; che si tratta di norme tuttora in vigore, non essendo intervenuti, rispetto a nessuna di esse, atti di abrogazione o pronunce di illegittimità costituzionale; che, in particolare, in relazione alla rubrica dell’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) e al testo del comma 4 dello stesso articolo, le modifiche introdotte dall’art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), convertito con modificazioni, nella legge 21 febbraio 2006, n. 49, sono state dichiarate costituzionalmente illegittime da questa Corte con la sentenza n. 32 del 2014, nella quale si è affermato che tornano «a ricevere applicazione l’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate» con le disposizioni di cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale.

Con la medesima ordinanza non definitiva, l’Ufficio centrale ha ritenuto opportuno integrare il quesito con l’indicazione della rubrica di ciascuno degli articoli in esso richiamati e del comma in cui è contenuta la disposizione dell’art. 75 di cui è richiesta l’abrogazione; e di aver proposto, ai fini dell’identificazione del quesito, la seguente denominazione: «Abrogazione di disposizioni penali e di sanzioni amministrative in materia di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope».

Infine, il medesimo Ufficio ha accolto la richiesta dei promotori di integrazione della denominazione del quesito referendario con la parola «coltivazione» (da inserire dopo le parole «in materia di»), per una più puntuale individuazione dell’oggetto del quesito nella parte relativa all’art. 73, comma 1, t.u. stupefacenti.

3.- Il Presidente della Corte costituzionale, ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum, ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 15 febbraio 2022, disponendo che ne fosse data comunicazione ai presentatori ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.

4.- In data 8 febbraio 2022, è stato depositato un atto di intervento ad opponendum del Presidente pro tempore del Comitato per il No alla droga legale, nel quale sono state rappresentate plurime ragioni a sostegno della inammissibilità della richiesta referendaria, che, in sostanza, si connoterebbe, tra l’altro, per «il troppo ampio ventaglio di significati possibili che derivano dal quesito».

5.- In data 11 febbraio 2022, i promotori della richiesta referendaria hanno depositato una memoria, nella quale argomentano considerazioni a sostegno dell’ammissibilità del referendum.

In particolare, il Comitato promotore afferma che l’intento referendario, espresso nel quesito, si identifica nello scopo di attutire la portata sanzionatoria rispetto a determinate condotte tenute in relazione alle sostanze stupefacenti che, secondo la prassi e l’applicazione giurisprudenziale, si contraddistinguono per una bassa ovvero inesistente carica di lesività dei beni oggetto di tutela.

I promotori, in particolare, sostengono, con riferimento alla prima parte del quesito, che l’unico frammento di impunità che vi è ritagliato attiene esclusivamente alla coltivazione rudimentale finalizzata all’immediato uso personale, restando preclusa, dalla normativa di risulta, la possibilità di detenzione e successiva cessione della sostanza, con ciò rispettando altresì le Convenzioni in materia.

Con riferimento, poi, alla seconda parte del quesito, la proposta referendaria mira all’eliminazione delle sole pene detentive (da due a sei anni), tenendo ferma la multa da euro 5.164 a 77.468.

Quanto, infine, alla terza parte, si richiede al corpo elettorale di espungere dall’art. 75, comma 1, t.u. stupefacenti la sola lettera a), al fine di eliminare una sanzione che ha natura particolarmente afflittiva e che senz’altro, sostiene il Comitato, incide considerevolmente sui diritti fondamentali della persona, quali la libertà di circolazione e financo il diritto al lavoro che spesso viene ingiustamente inciso in occasione della comminazione della sospensione della patente di guida.

6.- In data 11 febbraio, è stata altresì depositata una memoria nell’interesse di Antigone Onlus e Coalizione italiana per le libertà e i diritti civili, dal Presidente di Antigone Onlus, a sostegno delle ragioni di ammissibilità del referendum sostenute dal Comitato promotore.

Considerato in diritto

1.- Il presente giudizio concerne l’ammissibilità della richiesta di referendum popolare dichiarata legittima con ordinanza del 10 gennaio 2022 dell’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.

La richiesta di referendum popolare, promossa dal «Comitato promotore referendum Cannabis legale», ha ad oggetto l’abrogazione delle seguenti disposizioni del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza):

art. 73 (Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), comma 1, limitatamente all’inciso «coltiva»;

art. 73 (Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), comma 4, limitatamente alle parole «la reclusione da due a sei anni e»;

art. 75 (Condotte integranti illeciti amministrativi), comma 1, limitatamente alle parole «a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni».

Alla richiesta di referendum è stata data la seguente denominazione: «Abrogazione di disposizioni penali e di sanzioni amministrative in materia di coltivazione, produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope».

2.- In via preliminare, va rilevato che nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022, questa Corte ha consentito, secondo la sua costante giurisprudenza, l’illustrazione orale delle memorie depositate dai soggetti presentatori del referendum ai sensi dell’art. 33, terzo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), e ha – prima ancora – ammesso le memorie presentate da soggetti diversi da quelli contemplati dalla disposizione citata, e tuttavia interessati alla decisione sull’ammissibilità delle richieste referendarie, come contributo contenente argomentazioni ulteriori rispetto a quelle altrimenti a disposizione della Corte (ex plurimis, sentenze n. 10 del 2020, n. 5 del 2015, n. 13 del 2012, n. 28, n. 27, n. 26, n. 25 e n. 24 del 2011, n. 17, n. 16 e n. 15 del 2008).

L’ammissione di tali contributi, va qui ribadito, non si traduce in un diritto di questi soggetti di partecipare al procedimento – che, comunque, «deve tenersi, e concludersi, secondo una scansione temporale definita» (sentenza n. 31 del 2000) – e di illustrare le relative tesi in camera di consiglio, ma comporta la facoltà di questa Corte, ove lo ritenga opportuno, di consentire brevi integrazioni orali degli scritti, come è avvenuto nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022 prima che i soggetti di cui al citato art. 33 della legge n. 352 del 1970 abbiano illustrato le rispettive posizioni.

3.- Ciò precisato, è opportuno premettere, in sintesi, il complessivo (e complesso) quadro normativo nel quale si collocano le disposizioni oggetto della richiesta referendaria.

4.- Il quesito referendario – articolato, come sopra indicato, in tre parti – investe, nelle prime due, il comma 1 ed il comma 4 dell’art. 73 t.u. stupefacenti, e, nella terza parte, la lettera a) del comma 1 dell’art. 75, appartenente al medesimo testo unico.

Si è altresì già rilevato che l’Ufficio centrale per il referendum ha sottolineato che in relazione alla rubrica dell’art. 73 t.u. stupefacenti e al testo del comma 4 dello stesso articolo, le modifiche introdotte dall’art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 2006, n. 49, sono state oggetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 32 del 2014.

Più precisamente, con tale pronuncia, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per contrasto con l’art. 77, secondo comma, della Costituzione, l’art. 4-bis (che modificava l’art. 73 t.u. stupefacenti) e l’art. 4-vicies ter (che modificava ulteriori disposizioni del testo unico e, tra queste, l’art. 14 in materia di criteri per la formazione delle tabelle), i quali in particolare avevano unificato la disciplina del trattamento sanzionatorio delle condotte tenute in riferimento alle sostanze stupefacenti, senza alcuna distinzione tra droghe cosiddette “pesanti” e droghe cosiddette “leggere”, ricomprese in un’unica tabella.

Nella sentenza, ai fini che qui interessano, si è affermato che «[i]n considerazione del particolare vizio procedurale accertato in questa sede, per carenza dei presupposti ex art. 77, secondo comma, Cost., deve ritenersi che, a seguito della caducazione delle disposizioni impugnate, tornino a ricevere applicazione l’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate». La sentenza ha infatti precisato che «[i]n tali casi, in base alla giurisprudenza di questa Corte, l’atto affetto da vizio radicale nella sua formazione è inidoneo ad innovare l’ordinamento e, quindi, anche ad abrogare la precedente normativa (sentenze n. 123 del 2011 e n. 361 del 2010)», sicché «la disciplina dei reati sugli stupefacenti contenuta nel d.P.R. n. 309 del 1990, nella versione precedente alla novella del 2006, torn[a] ad applicarsi, non essendosi validamente verificato l’effetto abrogativo».

In tale ripristinato contesto normativo – ritenuto altresì dalla costante giurisprudenza di legittimità della Corte di cassazione (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 26 febbraio-28 luglio 2015, n. 33040) – si colloca, pertanto, la disposizione di cui al comma 1 dell’art. 73 t.u. stupefacenti, oggetto della prima parte del quesito referendario; disposizione che dunque stabilisce: «Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede o riceve, a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta, importa, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene, fuori dalle ipotesi previste dall’articolo 75, sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’articolo 14, è punito con la reclusione da otto a venti anni e con la multa da euro 25.822 (lire cinquanta milioni) a euro 258.228 (lire cinquecento milioni)».

La stessa disposizione (art. 73, comma 1) è stata poi dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni (sentenza n. 40 del 2019).

Analogamente si ha che la disposizione di cui al comma 4, dell’art. 73 t.u. stupefacenti, è quella vigente prima della legge n. 49 del 2006; essa quindi stabilisce: «Se taluno dei fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 riguarda sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dall’articolo 14, si applicano la reclusione da due a sei anni e la multa da euro 5.164 (lire dieci milioni) a euro 77.468 (lire centocinquanta milioni)».

Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 4-vicies ter del d.l. n. 272 del 2005, come convertito, consegue altresì che le preesistenti Tabelle I e III, cui rinvia l’art. 73, comma 1, e le Tabelle II e IV, cui rinvia l’art. 73, comma 4, previste dall’art. 14 (Criteri per la formazione delle tabelle), tornano ad avere applicazione.

Però, immediatamente dopo la sentenza n. 32 del 2014, il decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36 (Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali), convertito, con modificazioni, nella legge 16 maggio 2014, n.79, ha novellato le Tabelle di cui all’art. 14 citato, integrandole con l’indicazione di sostanze sottoposte a controllo del Ministero della salute e di quelle sottoposte a controllo in attuazione di Convenzioni internazionali, nonché delle nuove sostanze psicoattive, individuate sulla base delle acquisizioni scientifiche; le quali tutte per effetto della indicata dichiarazione di illegittimità costituzionale non potevano ritenersi più ricomprese nelle “vecchie” tabelle; ma, in ogni caso l’intervento normativo ha mantenuto ferma la distinzione del trattamento sanzionatorio tra le sostanze stupefacenti di tipo “pesante” e di tipo “leggero”.

Parallelamente deve rilevarsi che la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 4-vicies ter del d.l. n. 272 del 2005, come convertito, ha investito anche l’art. 26 t.u. stupefacenti, disposizione che rinviava alla sola Tabella I per la individuazione delle piante, la cui coltivazione era vietata nel territorio dello Stato, in tal modo facendo rivivere la precedente formulazione, la quale dunque ripristina il rinvio alle piante ricomprese nelle Tabelle I e II. Però successivamente l’art. 1, comma 4, del medesimo d.l. n. 36 del 2014, come convertito, ha sostituito tale disposizione (l’art. 26) prescrivendo che «[s]alvo quanto stabilito nel comma 2, è vietata nel territorio dello Stato la coltivazione delle piante comprese nelle tabelle I e II di cui all’articolo 14, ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all’articolo 27, consentiti dalla normativa dell’Unione europea. 2. Il Ministro della sanità può autorizzare istituti universitari e laboratori pubblici aventi fini istituzionali di ricerca, alla coltivazione delle piante sopra indicate per scopi scientifici, sperimentali o didattici».

La dichiarazione di illegittimità costituzionale non ha invece investito la disposizione di cui all’art. 75, comma 1, lettera a), t.u. stupefacenti, oggetto della terza parte del quesito referendario, nonostante anch’essa sia stata incisa dalla disciplina di cui all’art. 4-ter, comma 1, del d.l. n. 272 del 2005, come convertito.

Al riguardo, si è affermato che «la declaratoria di illegittimità costituzionale colpisce per intero le due disposizioni impugnate e soltanto esse, restando impregiudicata la valutazione di questa Corte in relazione ad eventuali ulteriori impugnative aventi ad oggetto altre disposizioni della medesima legge» (sentenza n. 32 del 2014, citata).

Su tale disposizione è però intervenuto l’art. 1, comma 24-quater, lettera a), del d.l. n. 36 del 2014, come convertito, che ha sostituito la norma secondo la formulazione attualmente vigente e che dispone: «Chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope è sottoposto, per un periodo da due mesi a un anno, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle I e III previste dall’articolo 14, e per un periodo da uno a tre mesi, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV previste dallo stesso articolo, a una o più delle seguenti sanzioni amministrative: a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni; b) sospensione della licenza di porto d’armi o divieto di conseguirla; c) sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli; d) sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario».

Può aggiungersi, infine, che al di fuori del quesito referendario in esame è la disciplina della “canapa sativa” delle varietà delle specie di piante agricole, che «non rientrano nell’ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope» ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 2 dicembre 2016, n. 242 (Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa), al pari delle piante officinali di cui al decreto legislativo 21 maggio 2018, n. 75 (Testo unico in materia di coltivazione, raccolta e prima trasformazione delle piante officinali, ai sensi dell’articolo 5, della legge 28 luglio 2016, n. 154).

5.- Così delineato il contesto normativo di riferimento e l’insieme delle disposizioni oggetto del quesito referendario, occorre ora valutare l’ammissibilità di quest’ultimo alla luce dei criteri desumibili dall’art. 75 Cost., come elaborati da questa Corte sin dalla sentenza n. 16 del 1978.

Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, non solo la richiesta referendaria non può investire una delle leggi indicate nell’art. 75 Cost. o comunque riconducibili ad esse, ma è necessario che il quesito da sottoporre al giudizio del corpo elettorale consenta una scelta libera e consapevole, richiedendosi pertanto i caratteri della chiarezza, dell’omogeneità, dell’univocità del medesimo quesito, oltre che l’esistenza di una sua matrice razionalmente unitaria (sentenze n. 10 del 2020 e n. 17 del 2016).

6.- Un particolare rilievo, in riferimento al referendum in esame, hanno i vincoli internazionali.

Giova ricordare che la disciplina della cannabis – che costituirebbe il proprium del referendum in esame, secondo la memoria del Comitato promotore – è stata oggetto, in passato, di altre analoghe iniziative referendarie.

La prima perseguiva lo scopo di liberalizzare la coltivazione, il commercio, la detenzione, l’uso della canapa indiana e dei suoi derivati (hashish e marijuana). Questa Corte (sentenza n. 30 del 1981) aveva dichiarato inammissibile il referendum perché esso – avendo ad oggetto la Tabella II (allora prevista dall’art. 12 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, recante «Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza») e, con riferimento al divieto assoluto di coltivazione, l’inciso «di piante di canapa indiana» di cui all’art. 26 della legge ora citata – si poneva in contrasto con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia in materia di disciplina della canapa indiana e dei suoi derivati, dovendo ritenersi preclusi i referendum che investano non soltanto le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, ma anche quelle strettamente collegate all’esecuzione dei trattati medesimi.

Una seconda iniziativa referendaria – avente ad oggetto varie disposizioni del d.P.R. n. 309 del 1990, e la cui finalità, secondo la Corte, era quella «di rendere lecite e, quindi, prive di sanzione, le attività preliminari e connesse all’uso personale della canapa indiana e dei suoi derivati, quali hashish e marijuana» – è stata anch’essa dichiarata inammissibile con sentenza n. 27 del 1997 in ragione, parimenti, dei vincoli derivanti dalle Convenzioni internazionali. Dall’abrogazione delle disposizioni oggetto del quesito referendario sarebbe derivata infatti l’esposizione dello Stato italiano a responsabilità nei confronti delle altre parti contraenti a causa della violazione degli impegni assunti in sede internazionale.

Invece, è stato dichiarato ammissibile il referendum che concerneva l’uso personale di sostanze stupefacenti, anche in dose superiore a quella media giornaliera, e che mirava alla depenalizzazione dell’importazione, dell’acquisto e della detenzione limitatamente a tale uso, lasciando sussistere le sanzioni amministrative, sicché esso non si poneva in contrasto con gli obblighi internazionali assunti in materia dallo Stato italiano (sentenza n. 28 del 1993).

Il quadro degli obblighi internazionali rilevanti in questa materia è definito dalla Convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo 1961 e dal relativo Protocollo di emendamento, adottato a Ginevra il 25 marzo 1972, entrambi ratificati e resi esecutivi in Italia per effetto della legge 5 giugno 1974, n. 412 (Ratifica ed esecuzione della convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo 1961 e del protocollo di emendamento, adottato a Ginevra il 25 marzo 1972); dalla Convenzione sulle sostanze psicotrope di Vienna del 21 febbraio 1971, ratificata con legge 25 maggio 1981, n. 385 (Adesione alla convenzione sulle sostanze psicotrope, adottata a Vienna il 21 febbraio 1971, e sua esecuzione); dalla Convenzione delle Nazioni Unite, adottata a Vienna il 20 dicembre 1988, contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, ratificata e resa esecutiva in Italia per effetto della legge 5 novembre 1990, n. 328 (Ratifica ed esecuzione della convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, con annesso, atto finale e relative raccomandazioni, fatta a Vienna il 20 dicembre 1988).

Rileva poi la decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti, la quale, nel dettare norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti, ha indicato anche la coltivazione della cannabis tra le condotte per le quali i singoli Stati devono applicare sanzioni penali.

La direttiva (UE) 2017/2103 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2017 ha modificato la decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, al fine di includere nuove sostanze psicoattive nella definizione di «stupefacenti».

Non vi è quindi dubbio che, alla stregua delle Convenzioni internazionali di Vienna e di New York, nonché della richiamata normativa europea, la canapa indiana e i suoi derivati rientrano tra le sostanze stupefacenti, la cui coltivazione e detenzione deve essere qualificata come reato e che solo la loro destinazione al consumo personale rende possibile l’adozione delle misure amministrative riabilitative e di reinserimento sociale diverse dalla sanzione penale (sentenza n. 28 del 1993).

7.- Il Comitato promotore è ben consapevole di tali vincoli derivanti dalla normativa sovranazionale in ragione dei quali in passato - come appena ricordato - questa Corte ha già dichiarato inammissibili iniziative referendarie analoghe.

Ma - per sostenere ora la compatibilità con tali vincoli - il Comitato precisa nella sua memoria che il quesito referendario proposto persegue, in realtà, uno scopo diverso e ben più limitato, indicato nella finalità di «attenuare la portata sanzionatoria del testo unico n. 309/1990». Ciò rappresenterebbe un obiettivo maggiormente circoscritto rispetto alle due precedenti iniziative referendarie, dichiarate inammissibili da questa Corte (sentenze n. 27 del 1997 e n. 30 del 1981), di talché, proprio in ragione di questa asserita portata ridotta, il quesito proposto risulterebbe essere compatibile con i vincoli internazionali ed europei in materia.

La mera attenuazione della risposta sanzionatoria, che la richiesta referendaria perseguirebbe, si avrebbe attraverso: a) la depenalizzazione delle sole condotte di coltivazione cosiddette “domestiche” e “rudimentali” delle piante di cannabis perché ad esse si riferirebbe la condotta di chi «coltiva», quale prevista nel comma 1 dell’art. 73; b) l’eliminazione della pena della reclusione per tutte le condotte diverse dalla coltivazione, che riguardano la cannabis e i derivati, previste dal comma 4 dell’art. 73 e che rimarrebbero punite con la pena della sola multa; c) l’esclusione, in caso di uso personale di qualsiasi sostanza stupefacente, della sanzione amministrativa della sospensione della patente e degli altri titoli abilitativi alla guida di motoveicoli e ciclomotori.

8.- Pur così articolata in tre parti (due ritagli e un’abrogazione parziale), la richiesta referendaria – va subito precisato - richiede una valutazione necessariamente unitaria.

Questa Corte ha, infatti, affermato che il referendum «non consente di scindere il quesito e quindi non offre possibilità di soluzioni intermedie tra il rifiuto e l’accettazione integrale della proposta abrogativa» (sentenza n. 12 del 2014).

9.- La richiesta referendaria è diretta innanzi tutto ad espungere, dall’art. 73, comma 1, t.u. stupefacenti, la parola «coltiva», termine che – nell’interpretazione prospettata dal Comitato promotore - riguarderebbe solo la coltivazione domestica “rudimentale” della pianta di cannabis.

Nella sua memoria il Comitato promotore richiama il recente arresto della Corte di legittimità (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 19 dicembre 2019-16 aprile 2020, n. 12348), che, a composizione di un contrasto di giurisprudenza, ha affermato che dall’area dell’illecito penale del comma 1 dell’art. 73 devono ritenersi escluse – per difetto di tipicità, quale necessaria connotazione della fattispecie penale – le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.

Sicché - assume il Comitato promotore - l’abrogazione della parola «coltiva» nel comma 1 dell’art. 73 avrebbe l’effetto di sottrarre alla punibilità proprio e solo la coltivazione domestica cosiddetta “rudimentale” della pianta per l’infiorescenza di cannabis.

9.1.- Ma questa lettura riduttiva non è ricavabile dal testo normativo secondo gli ordinari canoni interpretativi, né trova fondamento nel principio giurisprudenziale sopra richiamato.

Deve infatti considerarsi che – in ragione della reviviscenza del testo vigente prima della legge n. 49 del 2006 nel contesto normativo di cui si è detto sopra sub punto 4 – la condotta di coltivazione, ricompresa nella catalogazione del comma 1 (unitamente a quelle di produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione, vendita ed altre ancora), si riferisce testualmente alle Tabelle I e III dell’art. 14, che concernono le droghe “pesanti” e non già la cannabis, la quale è compresa invece nella Tabella II.

Quindi la condotta di chi «coltiva», prevista dal comma 1 dell’art. 73, è testualmente quella relativa alle piante indicate nella Tabella I (la Tabella III non ne contiene alcuna): il papavero sonnifero e le foglie di coca; inoltre, in mancanza di specificazioni, si tratta della coltivazione tout court, quale che sia la sua estensione, pure agraria e finanche massiva.

La coltivazione della canapa è, invece, contemplata nel comma 4 dell’art. 73, che riguarda le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle Tabelle II e IV previste dall’art. 14 e che, quanto alle condotte sanzionate penalmente, richiama quelle dei commi precedenti e segnatamente del comma 1. Sicché è solo come conseguenza indiretta dell’eventuale abrogazione referendaria della parola «coltiva» nel comma 1 della stessa disposizione che sarebbe parimenti depenalizzata altresì la coltivazione della canapa, prevista dalla Tabella II, pure essa nella dimensione agricola, in ipotesi finanche massiva.

Pertanto il quesito referendario – per quello che è il suo contenuto oggettivo, l’unico rilevante, e non già la finalità soggettiva assunta dal Comitato nella sua memoria – conduce a depenalizzare direttamente la coltivazione (quale ne sia l’estensione) delle piante della Tabella I, da cui si estraggono le sostanze stupefacenti qualificate come droghe cosiddette “pesanti” (papavero sonnifero e foglie di coca), e indirettamente altresì la coltivazione della pianta di cannabis della Tabella II, peraltro nella dimensione anche agricola e non solo domestica (quest’ultima, anzi, essendo in parte già fuori dalla fattispecie penale nella misura in cui ricorrano le condizioni indicate dalla citata giurisprudenza di legittimità).

9.2.- Questo così esteso risultato, obiettivamente prefigurato dalla richiesta referendaria al di là dell’intento soggettivo del Comitato promotore, contrasta apertamente con i vincoli sovranazionali di cui sopra sub punto 6, come questa Corte ha già ritenuto nelle sentenze n. 27 del 1997 e n. 30 del 1981. In particolare la citata decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea 2004/757/GAI, integrata dalla direttiva 2017/2103/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 novembre 2017, prevede espressamente all’art. 2, paragrafo 1, che ciascuno Stato membro provvede affinché siano punite plurime condotte connesse al traffico illecito di stupefacenti, tra le quali è espressamente indicata – alla lettera b) – «la coltura del papavero da oppio, della pianta di coca o della pianta della cannabis». Nella Relazione al disegno di legge, recante «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea con la legge di delegazione europea 2018», il Governo – come prescritto dall’art. 29, comma 7, lettera d), della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea) – ha dato atto dell’omesso inserimento, tra le altre, della citata direttiva integrativa della richiamata decisione quadro «poiché l’ordinamento nazionale risulta essere conforme al dettato normativo europeo e, pertanto, non necessita[…] di norme di attuazione».

9.3.- Inoltre il risultato prefigurato dalla richiesta referendaria neppure verrebbe conseguito perché comunque rimarrebbe la fattispecie penale dell’art. 28 t.u. stupefacenti, che – in quanto non attinto dalla richiesta referendaria, come del resto ammette lo stesso Comitato promotore – continuerebbe a sanzionare la coltivazione non autorizzata di tutte le piante di cui all’art. 26, comprendendo così sia quelle della Tabella I (papavero sonnifero e foglie di coca), sia quelle della Tabella II (canapa), con la sola eccezione, espressamente prevista, della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all’art. 27, consentiti dalla normativa dell’Unione europea.

Anche in caso di esito affermativo della consultazione referendaria, quindi, rimarrebbe vigente la prescrizione dell’art. 28, che prevede, al comma 1, che chiunque, senza essere autorizzato, coltiva le piante indicate nel precedente art. 26, è assoggettato alle sanzioni penali (oltre che amministrative) stabilite per la fabbricazione illecita delle sostanze stesse (ossia quelle dell’art. 73). L’art. 26 a sua volta richiama le Tabelle dell’art. 14, come sostituito dal d.l. n. 36 del 2014, come convertito, che contemplano, appunto, le piante sia di papavero sonnifero, sia di coca, sia di canapa.

9.4.- In definitiva, mentre apparentemente, per quella che è la dichiarata intenzione del Comitato, il quesito referendario mirerebbe soltanto a depenalizzare la coltivazione, non agricola ma domestica “rudimentale” (o minimale), della canapa indiana (cannabis), in realtà esso – per quello che è invece il suo contenuto oggettivo, l’unico rilevante – per un verso produrrebbe un risultato ben più esteso, riguardando direttamente ogni coltivazione delle piante per estrarre sostanze stupefacenti cosiddette “pesanti” (papavero sonnifero e foglie di coca) e indirettamente anche la coltivazione, agricola o domestica che sia, della pianta di canapa; risultato complessivo precluso dai vincoli sovranazionali sopra richiamati che non consentono l’ammissibilità di un referendum di questa portata.

Per altro verso, questo apparente risultato più ampio sarebbe in realtà vano e illusorio, perché rimarrebbe in ogni caso immutata la rilevanza penale, prevista dall’art. 28 t.u. stupefacenti, non oggetto della richiesta referendaria, per ogni coltivazione non autorizzata di piante di cui all’art. 26, tra cui proprio la canapa indiana.

Questa discrasia, che emerge dall’esame del ritaglio proposto dal quesito referendario nel comma 1 dell’art. 73, è rilevante, non essendo inibita a questa Corte la valutazione della normativa di risulta allorché essa, come nella fattispecie, presenti elementi di grave contraddittorietà rispetto al fine obiettivo dell’iniziativa referendaria tali da pregiudicare la chiarezza e la comprensibilità del quesito per l’elettore (sentenze n. 24 del 2011, n. 15 del 2008 e n. 45 del 2005).

Si ha infatti che in questa parte la proposta referendaria risulta essere fuorviante per il corpo elettorale, che - diversamente da quanto proclamato dal Comitato promotore - non sarebbe, in realtà, affatto chiamato a esprimersi sull’alternativa, di portata ridotta, se depenalizzare, o no, la coltivazione della canapa in forma domestica “rudimentale”, bensì si troverebbe di fronte all’alternativa, sopra indicata, ad un tempo ben più ampia (in quanto comprensiva della depenalizzazione anche della coltivazione del papavero sonnifero e delle foglie di coca), quanto illusoria (rimanendo, in realtà, la rilevanza penale di tutte tali condotte); e ciò ridonda in irrimediabile difetto di chiarezza e univocità del quesito.

10.- La richiesta referendaria è diretta anche alla eliminazione dalla disposizione di cui al comma 4 dell’art. 73 t.u. stupefacenti delle parole «la reclusione da due a sei anni e».

Il rinvio, contenuto nel comma 4, ai fatti di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 73 t.u. stupefacenti postula, come già rilevato sopra sub punto 4, che anche in questo caso le norme applicabili vanno individuate in quelle che tornano in vigore a seguito della sentenza n. 32 del 2014 di questa Corte.

Dal rinvio contenuto nel comma 4 dell’art. 73 discende che, in caso di positivo esito referendario, alle stesse condotte sanzionate dai commi precedenti (tra cui la condotta di chi «coltiva»), se concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle Tabelle II e IV previste dall’art. 14 (droghe cosiddette “leggere”), si applicherebbe la sola sanzione penale della multa (da euro 5.164 a euro 77.468), con esclusione quindi della reclusione, attualmente prevista tra il minimo di due anni e il massimo di sei anni.

L’intento referendario mira quindi all’alleggerimento del trattamento sanzionatorio, che conseguirebbe all’eliminazione della pena della reclusione, residuando solo quella della multa, quando si tratta delle condotte di rilievo penale aventi ad oggetto le cosiddette droghe “leggere”, individuate attraverso il rinvio «ai fatti di cui ai commi 1, 2 e 3».

Nella fattispecie, pur rimanendo precluse, nel giudizio di ammissibilità del referendum, valutazioni di merito sulla legittimità costituzionale della normativa di risulta, questa Corte non può, tuttavia, non rilevare, sotto il profilo dell’ambiguità del quesito, la vistosa contraddittorietà che conseguirebbe all’eliminazione della pena detentiva, per l’irriducibile antinomia che ne deriverebbe con la fattispecie del comma 5 del medesimo art. 73 t.u. stupefacenti, disposizione non toccata dalla proposta abrogativa referendaria. Infatti si avrebbe che ai medesimi fatti di cui al comma 4, se ritenuti di «lieve entità», rimarrebbe invece applicabile la sanzione congiunta della reclusione e della multa.

È vero - come sottolinea il Comitato promotore nella sua memoria - che questa Corte (sentenza n. 23 del 2016) ha affermato in proposito che, dopo la trasformazione della circostanza attenuante in reato autonomo, «non sussiste più alcuna esigenza di mantenere una simmetria sanzionatoria tra fatti di lieve entità e quelli non lievi». Ma ciò giustifica solo che il regime sanzionatorio del novellato comma 5 dell’art. 73 possa essere - come in effetti è - unico, senza distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, e non già che paradossalmente il fatto di «lieve entità» possa essere punito con la pena congiunta della reclusione e della multa e non lo sia invece il fatto non lieve o addirittura quello grave per la ricorrenza delle circostanze aggravanti dell’art. 80 t.u. stupefacenti (l’aumento di pena è, infatti, previsto con riferimento alla pena base, che per la fattispecie del comma 4 dell’art. 73, in caso di esito affermativo del referendum, sarebbe costituita dalla sola multa).

Anche in questa parte la richiesta referendaria presenta, quindi, un irrimediabile profilo di inammissibilità per la manifesta contraddittorietà della normativa di risulta con l’intento referendario, in quanto la sanzione detentiva permarrebbe in riferimento ai medesimi fatti quando di «lieve entità».

Ciò ridonda in difetto di chiarezza giacché il quesito referendario chiederebbe all’elettore di operare una scelta illogica e contraddittoria: se eliminare, o no, la pena della reclusione per i fatti concernenti le droghe cosiddette “leggere”, conservandola invece per le medesime condotte se di «lieve entità».

11.- Conclusivamente, va quindi dichiarata inammissibile, nel complesso, la richiesta di referendum in esame.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), richiesta dichiarata legittima con ordinanza del 10 gennaio 2022, pronunciata dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 febbraio 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2022.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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