ORDINANZA N. 80
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’iter di approvazione, con apposizione della questione di fiducia, dei disegni di legge A.C. n. 2463 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19. Proroga dei termini per l’adozione di decreti legislativi); A.C. n. 2547 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, recante misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19); A.C. n. 2500-A/R (Conversione in legge del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19); A.C. n. 2617 (Conversione in legge del decreto-legge 30 luglio 2020, n. 83, recante misure urgenti connesse con la scadenza della dichiarazione di emergenza epidemiologica da COVID-19 deliberata il 31 gennaio 2020); A.C. n. 2828 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, recante ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19); A.C. n. 3002 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 marzo 2021, n. 25, recante disposizioni urgenti per il differimento di consultazioni elettorali per l’anno 2021); A.C. n. 3099 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41, recante misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19); A.C. n. 3132-A/R (Conversione in legge del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, recante misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali); A.C. n. 3146-A/R (Conversione in legge del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, recante governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure); A.C. n. 3243, recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, recante misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia», e A.C. n. 3264-A (Conversione in legge del decreto-legge 6 agosto 2021, n. 111, recante misure urgenti per l’esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti), promosso da Sara Cunial, nella qualità di deputata, con ricorso depositato in cancelleria il 25 ottobre 2021 ed iscritto al n. 6 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2021, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 22 febbraio 2022 il Giudice relatore Franco Modugno;
deliberato nella camera di consiglio del 22 febbraio 2022.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 25 ottobre 2021, la deputata Sara Cunial ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Governo della Repubblica, chiedendo che si accerti la menomazione delle attribuzioni conferitele ai sensi dell’art. 67 della Costituzione, «nel rispetto del regolamento di cui all’articolo 64 del Testo fondamentale vigente e nella funzione legislativa ex articolo 70 Cost.»;
che tale menomazione deriverebbe «dall’approvazione, con apposizione della questione di fiducia», di undici disegni di legge di conversione: in particolare, del disegno di legge A.C. n. 2463 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19. Proroga dei termini per l’adozione di decreti legislativi); del disegno di legge A.C. n. 2547 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, recante misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19); del disegno di legge A.C. n. 2500-A/R (Conversione in legge del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19); del disegno di legge A.C. n. 2617 (Conversione in legge del decreto-legge 30 luglio 2020, n. 83, recante misure urgenti connesse con la scadenza della dichiarazione di emergenza epidemiologica da COVID-19 deliberata il 31 gennaio 2020); del disegno di legge A.C. n. 2828 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, recante ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19); del disegno di legge A.C. n. 3002 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 marzo 2021, n. 25, recante disposizioni urgenti per il differimento di consultazioni elettorali per l’anno 2021); del disegno di legge A.C. n. 3099 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41, recante misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19); del disegno di legge A.C. n. 3132-A/R (Conversione in legge del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, recante misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali); del disegno di legge A.C. n. 3146-A/R (Conversione in legge del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, recante governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure); del disegno di legge A.C. n. 3243, recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, recante misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia», e, da ultimo, del disegno di legge A.C. n. 3264-A (Conversione in legge del decreto-legge 6 agosto 2021, n. 111, recante misure urgenti per l’esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti);
che si rappresenta, in premessa, che la ricorrente avrebbe partecipato attivamente ai lavori parlamentari nel periodo dal 29 gennaio 2020 al 7 ottobre 2021, prendendo parte a 2752 votazioni su un totale di 3855;
che, quanto alla legittimazione soggettiva a sollevare conflitto, il ricorso illustra come, a partire dall’ordinanza n. 149 del 2016, questa Corte avrebbe conferito al parlamentare la qualifica di potere dello Stato, delineando un orientamento consolidato, non scalfito dalle ordinanze n. 277 e n. 280 del 2017, in occasione delle quali essa si sarebbe vista costretta a dichiarare l’inammissibilità dei conflitti a causa della impalpabilità delle argomentazioni spese nei ricorsi e del carattere cumulativo delle censure;
che, infatti, nell’ordinanza n. 17 del 2019, si è affermato che «[l]o status costituzionale del parlamentare comprende […] un complesso di attribuzioni inerenti al diritto di parola, di proposta e di voto, che gli spettano come singolo rappresentante della Nazione, individualmente considerato, da esercitare in modo autonomo e indipendente»;
che, ad avviso della ricorrente, sin dalla sentenza n. 379 del 1996, questa Corte avrebbe riconosciuto in capo ai parlamentari alcuni diritti che gli apparterrebbero quali membri delle Camere, che si sommerebbero a quelli di cui godono in quanto «persone», inserendo, poi, nell’ordinanza n. 177 del 1998, «una "clausola di sicurezza"», per non escludere che il singolo parlamentare sia legittimato a ricorrere per conflitto tra poteri dello Stato;
che nell’ordinanza n. 149 del 2016 si sarebbe precisato che il singolo parlamentare può sollevare il conflitto per la «violazione degli artt. 1 comma 2, 67, 71 e 72 comma 1 e 4 Cost.» e che, a tali fini, sul ricorrente grava l’onere di dimostrare come gli atti impugnati abbiano menomato le sue attribuzioni, non bastando la denuncia della loro lesione su un piano astratto;
che, più di recente, questa Corte avrebbe affermato che sia censurabile in questa sede «un vizio procedimentale di gravità tale da determinare una menomazione delle prerogative costituzionali dei singoli parlamentari» (è citata l’ordinanza n. 274 del 2019);
che «[u]n’applicazione concreta della violazione appena prospettata e potenzialmente applicabile al presente ricorso attiene la vicenda attinente all’approvazione della legge di bilancio del 2019 e alla relativa ordinanza n. 17/2019», la quale presenterebbe similarità con i casi alla base dell’odierno conflitto;
che, infatti, «[c]ome evidenziato in quest’ultima, l’adozione di una legge in tempi contingentati può essere sintomo di violazione del giusto procedimento legislativo», impedendosi al parlamentare di esprimere voti e opinioni (art. 68 Cost.) e, comunque sia, di svolgere liberamente il suo mandato (art. 67 Cost.), esercitando il potere di iniziativa legislativa e quello di proporre emendamenti;
che, nell’odierno conflitto, sarebbero evidenti le menomazioni «appena indicate poiché si tratta della conversione in legge di decreti-legge adottati per affrontare la gestione della situazione derivante dall’emergenza sanitaria causata dalla diffusione dell’agente patogeno SarsCov2 i quali, a loro volta, rinviavano per la loro attuazione a fonti secondarie di produzione del diritto (DPCM). A causa del contenuto dei decreti-legge e dei relativi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore la maggior parte della disciplina ed il relativo bilanciamento degli interessi costituzionali contrapposti risultavano essere declinati nei secondi e non nei primi, poiché essi risultavano contenere delle mere disposizioni in bianco e delle clausole di autorizzazione alla adozione di dette fonti secondarie»;
che, dunque, dall’abuso del procedimento legislativo deriverebbe il pregiudizio alle prerogative del singolo parlamentare in sede di conversione dei decreti in legge;
che, per converso, il contesto pandemico richiederebbe una discussione parlamentare ampia e la conversione dei decreti-legge non dovrebbe essere sottoposta alla questione di fiducia: sarebbe evidente la menomazione delle funzioni della deputata, non avendo potuto Sara Cunial proporre emendamenti che venissero discussi in sede di conversione;
che la questione di fiducia sarebbe, inoltre, capace di determinare discriminazioni tra deputati e senatori, poiché – in una sorta di «monocameralismo rafforzato» – solamente un ramo del Parlamento esaminerebbe il testo «condannando gli altri parlamentari […] al silenzio», e l’elemento lesivo delle loro attribuzioni costituzionali risulterebbe proprio l’«utilizzazione della questione di fiducia»;
che scopo del ricorso è la denuncia delle «trasformazioni patologiche» dell’istituto in questione, «letali nelle loro conseguenze» e derivanti dalla posizione della fiducia su un maxi-emendamento, che evita qualsiasi «snaturamento dell’originaria proposta del Governo», aggirando i vincoli costituzionali che richiedono la votazione di alcune leggi articolo per articolo, dovendosi, peraltro, rilevare «una sostanziale difformità tra la materia oggetto dell’emendamento ed il titolo del decreto-legge»;
che tutto ciò significherebbe la sostanziale «rinuncia da parte del Parlamento, in favore del Governo, dell’esercizio della propria competenza legislativa garantita dalla Costituzione», atteso che se «le Camere del Parlamento non potessero esercitare il loro potere di emendamento si assisterebbe ad una limitazione dell’esercizio della funzione legislativa che risulta essere loro affidata»;
che, d’altro canto, l’art. 94, quarto comma, Cost. – ove prescrive che il mancato accoglimento di una «proposta del Governo» non comporta obbligo di dimissioni – si riferirebbe, oltre che all’iniziativa legislativa, anche alle proposte di emendamenti;
che, in conclusione, secondo la ricorrente, movendo dal presupposto che al Parlamento è riconosciuta la possibilità di emendare i decreti-legge, si dovrebbe accertare che la posizione della questione di fiducia produce «non solamente una immodificabilità del testo ma anche la degradazione del ruolo del Parlamento a quello di ausiliario del Governo», e ha determinato, per l’onorevole Cunial, «l’impossibilità di partecipare al procedimento legislativo mediante l’esame del testo e la possibile presentazione di emendamenti»;
che la ricorrente chiede – previa decisione di ammissibilità del conflitto – che questa Corte verifichi l’avvenuta menomazione delle sue prerogative costituzionali e annulli, conseguentemente, «gli atti incidenti sulle stesse».
Considerato che l’onorevole Sara Cunial, quale deputata in carica, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Governo della Repubblica, chiedendo che si accerti la menomazione delle attribuzioni conferitele ai sensi dell’art. 67 della Costituzione, «nel rispetto del regolamento di cui all’articolo 64 del Testo fondamentale vigente e nella funzione legislativa ex articolo 70 Cost.»;
che le dedotte lesioni deriverebbero «dall’approvazione, con apposizione della questione di fiducia», di undici disegni di legge di conversione di decreti-legge adottati – tra il marzo 2020 e l’agosto 2021 – per fronteggiare l’emergenza sanitaria, economica e sociale seguita alla diffusione del virus Sars-Cov-2;
che, come questa Corte avrebbe riconosciuto nell’ordinanza n. 17 del 2019, «l’adozione di una legge in tempi contingentati può essere sintomo di violazione del giusto procedimento legislativo», impedendo al parlamentare di esprimere voti e opinioni (art. 68 Cost.) e, comunque sia, di svolgere liberamente il suo mandato (art. 67 Cost.), esercitando il potere di iniziativa legislativa e quello di proporre emendamenti (artt. 71 e 72 Cost.);
che, nella tesi della ricorrente, l’aggiramento dei vincoli costituzionali che richiedono la votazione articolo per articolo e l’impossibilità di modificare il disegno di legge governativo causerebbero un pregiudizio alle prerogative del parlamentare in sede di conversione dei decreti in legge;
che, peraltro, ulteriori violazioni dell’ordinamento costituzionale sarebbero provocate, in primo luogo, dalla circostanza che i decreti-legge, successivamente convertiti, demanderebbero «la loro attuazione a fonti secondarie di produzione del diritto (DPCM)», cosicché gli «interessi costituzionali contrapposti risultavano essere declinati nei secondi e non nei primi»; in secondo luogo, dalla discriminazione tra deputati e senatori, poiché – in una sorta di «monocameralismo rafforzato» – solamente un ramo del Parlamento esaminerebbe il testo «condannando gli altri parlamentari […] al silenzio»; in terzo luogo, dalla «rinuncia da parte del Parlamento, in favore del Governo, dell’esercizio della propria competenza legislativa»;
che – sebbene il ricorso articoli censure sui vizi delle fonti normative e sul rispetto degli equilibri istituzionali propri della forma di governo italiana – ritiene questa Corte che la principale doglianza risulti essere la menomazione delle attribuzioni costituzionali dell’onorevole Cunial, in specie del diritto di voto e del potere di emendamento, determinata dall’«utilizzazione della questione di fiducia», in occasione della conversione in legge di undici decreti-legge adottati nel periodo della pandemia da COVID-19;
che, in questa fase del giudizio, questa Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni delineata dalle norme costituzionali;
che l’ordinanza di questa Corte n. 17 del 2019 ha riconosciuto l’esistenza di una sfera di prerogative che spettano al singolo parlamentare, affermando che – qualora risultino lese da altri organi parlamentari – esse possono essere difese con lo strumento del ricorso per conflitto tra poteri dello Stato;
che tali sono le prerogative, legate «all’esercizio del libero mandato parlamentare (art. 67 Cost.), di partecipare alle discussioni e alle deliberazioni esprimendo “opinioni” e “voti” (ai quali si riferisce l’art. 68 Cost., sia pure al diverso fine di individuare l’area della insindacabilità); segnatamente, nell’ambito della funzione legislativa che viene in rilievo nel presente conflitto, le prerogative del singolo rappresentante si esplicitano anche nel potere di iniziativa, testualmente attribuito “a ciascun membro delle Camere” dall’art. 71, primo comma, Cost., comprensivo del potere di proporre emendamenti, esercitabile tanto in commissione che in assemblea (art. 72 Cost.)» (ordinanza n. 17 del 2019);
che il potere di presentare proposte emendative, di cui si denuncia la menomazione, è, dunque, astrattamente ricompreso nel potere di iniziativa legislativa conferito al parlamentare;
che la stessa ordinanza n. 17 del 2019 ha, tuttavia, precisato che «[l]a legittimazione attiva del singolo parlamentare deve […] essere rigorosamente circoscritta quanto al profilo oggettivo, ossia alle menomazioni censurabili in sede di conflitto», essendo necessario, ai fini dell’ammissibilità dello stesso, che il ricorrente alleghi «una sostanziale negazione o un’evidente menomazione» delle proprie prerogative costituzionali;
che la medesima esigenza è stata, successivamente, ribadita dalle ordinanze n. 274 e n. 275 del 2019, nonché, da ultimo, dalle ordinanze n. 255 e 256 del 2021, ove si è chiarito che la legittimazione soggettiva deve fondarsi sull’allegazione di vizi che determinano violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari, ed è necessario che tali violazioni siano rilevabili nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione;
che tale condizione, nel presente caso, non è soddisfatta;
che, infatti, il ricorso omette completamente la ricostruzione delle circostanze in cui si sarebbero verificate le dedotte menomazioni ed è carente di informazioni sull’effettiva partecipazione della ricorrente alla discussione e al voto sui disegni di legge di conversione, non chiarendo se e quanti emendamenti ella abbia proposto, né il loro contenuto, e non dando conto del fatto che sia stata richiesta, consentita o negata, l’illustrazione delle proposte emendative;
che, dunque, se all’«utilizzazione della questione di fiducia» si riconduce automaticamente la lesione delle attribuzioni del parlamentare, è, all’inverso, assente finanche l’allegazione dei pregiudizi materialmente subìti, nelle undici occasioni in cui sarebbe stato inibito l’esercizio delle dette attribuzioni;
che, in definitiva, il ricorso non offre – sul piano concreto – elementi che portino alla valutazione di questa Corte una evidente violazione delle prerogative della deputata ricorrente, e si rivela, così, inammissibile (ordinanza n. 197 del 2020);
che tali carenze determinano la difficoltà di individuare con esattezza gli atti asseritamente lesivi: anche per una certa ambiguità del ricorso – che censura ora «l’approvazione, con apposizione della questione di fiducia», ora «l’utilizzazione della questione di fiducia» – le menomazioni potrebbero dipendere dalla posizione della questione di fiducia, dall’approvazione della legge di conversione o dalle decisioni del presidente d’assemblea in ordine all’illustrazione o al reciso respingimento delle proposte emendative;
che questa Corte ha già escluso, in un conflitto promosso dal singolo parlamentare nei confronti del Governo, che il primo possa rappresentare l’intero organo cui appartiene, perché il singolo parlamentare non è «titolare di attribuzioni individuali costituzionalmente protette nei confronti dell’esecutivo» (ordinanze n. 67 del 2021e n. 181 del 2018);
che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, rimanendo assorbito ogni altro profilo d’inammissibilità.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dalla deputata Sara Cunial, indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2022.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA