SENTENZA N. 81
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 15, commi 1, 2 e 3, dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia nel procedimento vertente tra A. Z. e altri e il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri e altri, con ordinanza del 20 luglio 2020, iscritta al n. 5 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udita nella camera di consiglio dell’8 marzo 2022 la Giudice relatrice Daria de Pretis;
deliberato nella camera di consiglio dell’8 marzo 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 20 luglio 2020, iscritta al n. 5 del registro ordinanze 2021, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, commi 1, 2 e 3, dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 76 e 77 della Costituzione. Le disposizioni contenute nei citati commi dell’art. 15 del d.lgs. n. 104 del 2010 (d’ora in avanti: cod. proc. amm.) sono censurate nella parte in cui precludono al giudice adito di statuire, nella fase di merito, sull’eccezione di difetto di competenza territoriale, qualora nella fase cautelare «sia stata trattenuta implicitamente la competenza».
1.1.– Le questioni sono sorte nel corso di cinque giudizi riuniti promossi da altrettanti ufficiali dell’Arma dei Carabinieri per l’annullamento, previa sospensione cautelare, del decreto dirigenziale n. 461790 del 17 agosto 2017, con cui il Ministero della difesa ha rideterminato la loro anzianità di servizio ai fini del passaggio in ruolo, in asserita violazione dell’art. 2212-duodecies del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare).
Il rimettente riferisce che il Ministero della difesa, costituitosi in tutti i giudizi, ha tempestivamente eccepito l’incompetenza territoriale del TAR adito, assumendo che sarebbe competente il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in ragione della natura generale dell’atto impugnato. Riferisce, altresì, che le domande cautelari presentate dai ricorrenti sono state respinte per mancanza del periculum in mora, senza una pronuncia espressa sulla competenza.
1.2.– Le censure muovono dal presupposto secondo cui il diritto vivente, rappresentato dalla costante giurisprudenza amministrativa (è citata, «da ultimo», la sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana 26 giugno 2016, n. 182), non consentirebbe al giudice adito di pronunciarsi sull’eccezione di incompetenza territoriale tempestivamente sollevata dalla parte interessata, qualora lo stesso giudice abbia provveduto sulla domanda cautelare senza rilevare il difetto di competenza, com’è avvenuto nel caso di specie. In questo senso, anche una pronuncia assunta in sede cautelare senza riferimenti espressi alla competenza, in quanto statuizione implicita su di essa, ne precluderebbe l’esame nella fase di merito.
Queste conclusioni deriverebbero dal «combinato disposto» dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 15 cod. proc. amm. La regola generale contenuta al primo periodo del comma 1, secondo cui l’incompetenza può essere rilevata d’ufficio finché la causa non è decisa in primo grado, sarebbe infatti derogata in due casi. In primo luogo, quando è proposta domanda cautelare, in base a quanto previsto al comma 2, secondo cui «[i]n ogni caso il giudice decide sulla competenza prima di provvedere sulla domanda cautelare e, se non riconosce la propria competenza ai sensi degli articoli 13 [e] 14, non decide sulla stessa». In secondo luogo, quando, in mancanza di domanda cautelare, è presentata dalla parte eccezione di difetto di competenza entro il termine previsto per la costituzione in giudizio, nel qual caso «[i]l presidente fissa la camera di consiglio per la pronuncia immediata sulla questione di competenza», come stabilisce il comma 3.
La mancanza di coordinamento tra i menzionati diversi regimi processuali della decisione sulla competenza farebbe sì che, pur in presenza di una tempestiva eccezione di parte, la proposizione di una domanda cautelare concentrerebbe, «[i]n ogni caso», la decisione sulla competenza in quella fase, anteriore al merito, dovendosi omettere la «speciale camera di consiglio prevista dall’art. 15, comma 3, c.p.a., e questo perché la questione di incompetenza può essere trattata assieme e “prima” della definizione della questione cautelare».
Questa conclusione varrebbe non solo nell’ipotesi di pronuncia espressa sulla competenza in sede cautelare, ma anche nel caso in cui la competenza, nella medesima sede, sia stata accertata in forma implicita. In questo caso, infatti, «bisognerebbe intendere il “trattenere” la competenza territoriale in fase cautelare come una statuizione – seppure implicita – definitiva (e quindi non più emendabile nella fase di merito) sulla questione stessa».
1.3.– Sarebbero così violati, innanzitutto, gli artt. 3, 24 e 25 Cost., e in particolare i principi di ragionevolezza, di effettività della tutela giurisdizionale e del giudice naturale, in quanto il combinato disposto delle disposizioni censurate limiterebbe il diritto di difesa della parte che, pur avendo eccepito tempestivamente l’incompetenza, si vedrebbe «precluso definitivamente l’esame motivato, con pronuncia espressa, della sua eccezione», e produrrebbe un irragionevole «disallineamento nel sistema congegnato dagli artt. 15 e 16 c.p.a., distogliendo ingiustificatamente la [stessa] parte […] dal giudice naturale precostituito per legge».
Sarebbe irragionevole, in particolare, collegare la preclusione processuale a una fase soltanto eventuale del giudizio, come quella cautelare, caratterizzata da una delibazione sommaria, «mentre la questione di competenza territoriale deve essere normalmente decisa, quale questione pregiudiziale di rito, nella fase di definizione del giudizio di merito». A questo riguardo, il rimettente richiama «quale tertium comparationis» il regime della rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza dettato dall’art. 38, comma 3, cod. proc. civ., alla cui stregua l’incompetenza per materia, per valore e per territorio inderogabile sono rilevate d’ufficio non oltre la prima udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ., a seguito della quale la causa può essere già trattenuta in decisione.
Inoltre, le parti diverse dai ricorrenti sarebbero irragionevolmente costrette a impugnare l’ordinanza cautelare in ipotesi a loro favorevole che abbia implicitamente ritenuto la competenza, onde evitare «la definitiva eliminazione in entrambi i gradi del giudizio» della facoltà processuale «costituzionalmente tutelata di far valere la propria posizione giuridica nella sede di competenza del giudice precostituito per legge». Ciò in quanto sarebbe preclusa finanche la possibilità di riproporre la questione in appello, poiché la statuizione sulla competenza – per quanto non contenuta in alcun capo della pronuncia impugnata, come richiede l’art. 15, comma 1, secondo periodo, cod. proc. amm. – deriverebbe, in modo implicito, da un’ordinanza cautelare ormai non più impugnabile.
1.3.1.– Sarebbero altresì violati gli artt. 76 e 77 Cost., per eccesso di delega. Il legislatore delegato avrebbe innovato il regime di rilevabilità del difetto di competenza nel silenzio del legislatore delegante e in contrasto con gli indirizzi generali stabiliti dall’art. 44, comma 2, lettera a), della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), secondo cui il nuovo codice del processo amministrativo deve assicurare la «effettività della tutela».
Nessun criterio e principio direttivo della legge delega avrebbe abilitato il legislatore delegato a riformare l’istituto della competenza, rendendo quella per territorio sempre inderogabile, pur a fronte della sua totale derogabilità nel sistema vigente sin dal 1971, e a creare una «inusitata interferenza tra fase cautelare e rilievo definitivo dell’incompetenza», prima inesistente.
Né la ratio sottesa alla legge delega giustificherebbe una simile scelta, in quanto l’opzione per l’inderogabilità della competenza territoriale sin dalla fase cautelare e l’articolazione di complessi e diversificati rimedi per far valere l’incompetenza non solo non troverebbero riferimenti nel sistema previgente, ma avrebbero irrigidito la risposta di giustizia, in contrasto con la principale finalità perseguita dalla delega di snellire l’attività giurisdizionale e ridurne i tempi, attraverso un riassetto del processo.
La scelta, non autorizzata, del legislatore delegato comprimerebbe il diritto di difesa della parte resistente, privandola, nel caso in cui sia proposta istanza cautelare, della possibilità di ottenere l’esame specifico dell’eccezione sollevata. Con la distonica conseguenza che, per il particolare meccanismo delle impugnazioni introdotto dagli artt. 15 e 16 cod. proc. amm., la medesima parte sarebbe costretta, come visto, a impugnare anche una pronuncia cautelare a sé favorevole.
1.4.– Quanto alla rilevanza delle questioni, l’applicazione dell’art. 15, commi 1, 2 e 3, cod. proc. amm., così interpretato, precluderebbe al giudice a quo di pronunciarsi sull’eccezione di incompetenza territoriale tempestivamente sollevata dall’amministrazione resistente. Tale eccezione sarebbe astrattamente idonea a definire la controversia, poiché il Consiglio di Stato, con orientamento costante, ritiene che in casi come quello di specie, avente per oggetto l’impugnazione di un atto adottato da un’amministrazione centrale con effetti non limitati alla sola Regione Lombardia e ai soli ricorrenti, ma disciplinanti lo status di plurimi soggetti «sparsi su tutto il territorio nazionale», sia applicabile il comma 1, anziché il comma 2, dell’art. 13 cod. proc. amm., con la conseguenza che, escluso il criterio del “foro del pubblico impiego”, sarebbe competente il TAR Lazio, sede di Roma.
1.5.– Una pronuncia ablativa delle parole «[i]n ogni caso», al comma 2 dell’art. 15, cod. proc. amm., realizzerebbe l’obiettivo di consentire al giudice di decidere sull’eccezione di incompetenza territoriale anche nella fase di merito, poiché l’eliminazione dell’inciso renderebbe applicabile alla fattispecie, secondo un’interpretazione costituzionalmente «adeguata», il comma 1 dello stesso art. 15, alla cui stregua, come visto, il difetto di competenza è rilevato d’ufficio finché la causa non è decisa in primo grado.
2.– Con atto depositato il 2 marzo 2021 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità e comunque per la non fondatezza delle questioni.
2.1.– Esse, in primo luogo, sarebbero inammissibili per difetto di rilevanza.
Il giudice a quo avrebbe omesso di interpretare le norme censurate in senso conforme a Costituzione, limitandosi a richiamare, definendola come consolidata, una giurisprudenza non aderente al dettato normativo.
La lettura combinata dei commi 1 e 2 dell’art. 15 cod. proc. amm. condurrebbe infatti alla conclusione che il giudice può decidere d’ufficio della questione di competenza nella fase di merito, ma che tale esame è possibile «in ogni caso», sempre d’ufficio, anche nella fase cautelare. In definitiva, il giudice adito potrebbe esaminare la questione di competenza in ogni fase del giudizio. Nella fase cautelare non si formerebbe dunque alcuna preclusione sia perché il provvedimento cautelare ha, per sua natura, carattere interinale, sia perché l’art. 15, comma 1, prevede espressamente che la competenza territoriale sia esaminata prima dell’esame del merito del ricorso, quindi anche dopo la (eventuale) fase cautelare.
Il principio desumibile dagli artt. 15, comma 2, e 55, comma 13, cod. proc. amm., secondo cui l’esame della domanda cautelare è subordinato alla verifica della competenza del giudice adito, andrebbe confrontato non solo con la già vista regola generale della rilevabilità officiosa dell’incompetenza sino alla decisione di primo grado (art. 15, comma 1), ma anche con quanto dispone l’art. 92, comma 5, dello stesso codice (norma ignorata dal rimettente), alla cui stregua «[n]on costituiscono decisione implicita sulla competenza […] le ordinanze […] che disattendono l’istanza cautelare senza riferimento espresso alla questione di competenza».
Inoltre, qualora l’ordinanza cautelare ometta di statuire sulla competenza, le parti che abbiano interesse a eccepirne il difetto ben potrebbero farlo ai sensi dell’art. 15, comma 3, cod. proc. amm., in pendenza dei relativi termini, senza necessità di proporre regolamento di competenza o appello cautelare. Sarebbe pertanto assurdo ritenere che il giudice possa pronunciare sull’eccezione ma non rilevare d’ufficio il difetto di competenza ai sensi dell’art. 15, comma 1, cod. proc. amm., perché vincolato dalla precedente decisione implicita resa in sede cautelare. La ratio sottesa alla norma che obbliga il giudice a interrogarsi sulla propria competenza prima di esaminare l’istanza cautelare non sarebbe di paralizzare il meccanismo di rilevabilità dell’incompetenza, ma di attuare la regola dell’inderogabilità della competenza sancita dagli artt. 13 e 14 cod. proc. amm.
Solo il rilievo della propria incompetenza, d’ufficio o su istanza di parte, con l’indicazione del giudice competente ai sensi dell’art. 15, comma 4, cod. proc. amm., consumerebbe il potere del giudice e lo vincolerebbe alla sua decisione, facendo sorgere per le parti l’onere di impugnazione con il regolamento di competenza.
2.2.– Le questioni sarebbero poi manifestamente infondate sotto il lamentato profilo dell’eccesso di delega. Con la nuova disciplina della competenza il legislatore delegato avrebbe correttamente applicato il principio direttivo concernente il «riassetto del processo» di cui all’art. 44 della legge n. 69 del 2009, esercitando in modo non irrazionale, per i motivi esposti in precedenza, l’ampia discrezionalità che gli spetta nella conformazione degli istituti processuali.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia dubita della legittimità costituzionale dell’art. 15, commi 1, 2 e 3, dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 76 e 77 della Costituzione. Le disposizioni contenute nei citati commi dell’art. 15 del d.lgs. n. 104 del 2010 (d’ora in avanti: cod. proc. amm.) sono censurate in quanto il loro «combinato disposto» precluderebbe al giudice adito di statuire nella fase di merito sull’eccezione di difetto di competenza territoriale, qualora nella fase cautelare «sia stata trattenuta implicitamente la competenza».
2.– Le questioni sono sorte nel corso di giudizi riuniti promossi da alcuni ufficiali dell’Arma dei Carabinieri per l’annullamento, previa sospensione cautelare, del decreto dirigenziale n. 461790 del 17 agosto 2017 con cui il Ministero della difesa ha rideterminato la loro anzianità di servizio ai fini del passaggio in ruolo, in asserita violazione dell’art. 2212-duodecies del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare).
Il giudice a quo riferisce che il resistente Ministero della difesa, ha tempestivamente eccepito l’incompetenza territoriale del TAR adito, in favore del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in ragione della natura generale dell’atto impugnato; precisa, inoltre, che le domande cautelari presentate dai ricorrenti sono state respinte per mancanza del periculum in mora, senza una pronuncia espressa sulla competenza.
3.– Secondo il rimettente – che richiama un orientamento giurisprudenziale del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, qualificato come «diritto vivente» – le disposizioni censurate non consentirebbero al giudice adito di pronunciarsi sull’eccezione di incompetenza, tempestivamente sollevata dalla parte interessata, qualora lo stesso giudice abbia provveduto sulla domanda cautelare senza rilevare il difetto di competenza. In questo senso, anche una pronuncia assunta in sede cautelare senza riferimenti espressi alla competenza costituirebbe una statuizione implicita su di essa e comporterebbe, con l’esaurimento del potere del giudice di rilevare l’incompetenza, la preclusione all’esame di tale questione nella fase di decisione della causa.
La mancanza di coordinamento tra i diversi regimi processuali della decisione sulla competenza farebbe sì che la regola generale della rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza finché la causa non è decisa in primo grado, prevista al primo periodo del comma 1 dell’art. 15 cod. proc. amm., conosca due ipotesi di deroga: quando è stata proposta domanda cautelare, in base a quanto previsto al comma 2, secondo cui «[i]n ogni caso il giudice decide sulla competenza prima di provvedere sulla domanda cautelare e, se non riconosce la propria competenza ai sensi degli articoli 13 [e] 14, non decide sulla stessa»; e quando, in mancanza di domanda cautelare, la parte ha eccepito il difetto di competenza entro il termine previsto per la costituzione in giudizio, nel qual caso «[i]l presidente fissa la camera di consiglio per la pronuncia immediata sulla questione di competenza», come stabilisce il successivo comma 3.
Pur in presenza di una tempestiva eccezione di parte, dunque, la proposizione di una domanda cautelare concentrerebbe «[i]n ogni caso» la decisione sulla competenza in quella fase, anteriore al merito, e ciò varrebbe non solo nell’ipotesi di pronuncia espressa sulla competenza in sede cautelare, ma anche nel caso in cui la competenza venisse accertata in forma implicita, in un’ordinanza cautelare adottata senza riconoscimento espresso della competenza da parte del giudice adito.
4.– Sarebbero così violati innanzitutto gli artt. 3, 24 e 25 Cost., e in particolare i principi di ragionevolezza, di effettività della tutela giurisdizionale e del giudice naturale. La parte che ha eccepito tempestivamente l’incompetenza si vedrebbe precluso definitivamente l’esame motivato della sua eccezione e, in conseguenza dell’irragionevole disallineamento nel sistema congegnato dagli artt. 15 e 16 cod. proc. amm., verrebbe distolta dal giudice naturale precostituito per legge. La scelta legislativa contestata sarebbe inoltre irragionevole, sia perché anticipa la preclusione a una fase processuale, quella cautelare, connotata dal carattere eventuale e dalla sommarietà della cognizione, sia perché impone alla parte che intenda contestare la competenza l’onere di impugnare l’ordinanza che ha respinto la domanda cautelare, in ipotesi a sé favorevole.
4.1.– Sarebbero altresì violati gli artt. 76 e 77 Cost., per eccesso di delega.
Il legislatore delegato avrebbe innovato il regime di rilevabilità del difetto di competenza nel silenzio del legislatore delegante e in contrasto con gli indirizzi generali stabiliti dall’art. 44, comma 2, lettera a), della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), secondo cui il nuovo codice del processo amministrativo deve assicurare la «effettività della tutela».
La ratio sottesa alla legge delega non giustificherebbe una simile scelta, in quanto l’opzione per l’inderogabilità della competenza territoriale sin dalla fase cautelare e l’articolazione di complessi e diversificati rimedi per far valere l’incompetenza non troverebbero riferimenti nel sistema previgente, e ciò si risolverebbe in un contrasto con la principale finalità perseguita dalla delega di snellire l’attività giurisdizionale e ridurne i tempi, attraverso un riassetto del processo amministrativo.
5.– Le questioni sono inammissibili, e lo sono sotto un profilo diverso e assorbente rispetto a quanto eccepito nell’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, che addebita al rimettente di non avere seguito una diversa interpretazione delle disposizioni censurate, più aderente ai parametri costituzionali invocati.
Come visto, il giudice a quo assume che nel processo principale gli sia precluso di esaminare nella fase di merito l’eccezione di incompetenza sollevata tempestivamente dalla parte resistente, in quanto, avendo già provveduto sulla domanda cautelare, avrebbe con ciò affermato in modo implicito la propria competenza territoriale e consumato così il potere di rilevarne il difetto. Tale conseguenza discenderebbe, secondo lo stesso rimettente, dall’art. 15 cod. proc. amm., e segnatamente dal fatto che il combinato disposto dei suoi commi 1, 2 e 3 gli precluderebbe, secondo la giurisprudenza amministrativa da esso qualificata diritto vivente, una statuizione nel merito sulla propria competenza territoriale.
Nell’argomentare ciò, tuttavia, il rimettente trascura un aspetto rilevante della fattispecie processuale al suo esame, ossia che l’ordinanza cautelare adottata nel giudizio a quo, in quanto di rigetto della relativa domanda, è soggetta allo specifico regime definito dall’art. 92, comma 5, secondo periodo, cod. proc. amm. In una lettura sistematica della disciplina del processo amministrativo dettata del codice, tale disposizione, contenuta nel Libro III sulle «[i]mpugnazioni», e segnatamente nel suo Titolo I dedicato alle «[i]mpugnazioni in generale», è di decisiva rilevanza anche nell’interpretazione delle regole relative alla verifica della competenza territoriale.
Il citato comma 5 dell’art. 92, cod. proc. amm., infatti, dopo avere stabilito, al primo periodo, la regola generale dell’appellabilità, ai sensi dell’art. 62 dello stesso codice, dell’«ordinanza cautelare che, in modo implicito o esplicito, ha deciso anche sulla competenza», prevede, al secondo periodo, che «[n]on costituiscono decisione implicita sulla competenza», oltre alle «ordinanze istruttorie o interlocutorie di cui all’articolo 36, comma 1», quelle «che disattendono l’istanza cautelare senza riferimento espresso alla questione di competenza».
Poiché dunque, nel giudizio a quo, l’ordinanza cui il rimettente attribuisce valore implicito di decisione sulla competenza è, come lo stesso espone, di rigetto, si potrebbe ritenere che la fattispecie ricada nell’ambito di applicazione della citata previsione, e che di conseguenza, in base alla lettera di quest’ultima, non possa ravvisarsi una decisione implicita sulla competenza idonea a fare scattare la preclusione ipotizzata dallo stesso rimettente nel processo principale. Non solo, pertanto, il suo potere di rilevare l’incompetenza sino alla decisione della causa in primo grado (art. 15, comma 1, cod. proc. amm.) non si sarebbe esaurito, ma, semmai, il giudice stesso sarebbe tenuto a pronunciarsi in tale fase anche sull’eccezione di incompetenza tempestivamente sollevata dall’amministrazione resistente, non trattata prima – nelle forme previste dall’art. 15, comma 3, secondo periodo, cod. proc. amm. – stante la presentazione della domanda cautelare.
Nel valutare la non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente avrebbe dovuto dare conto dell’esistenza del citato art. 92, comma 5, secondo periodo, cod. proc. amm. e, in ipotesi, fornire adeguata motivazione delle ragioni per le quali nel caso di specie ricorra una «decisione implicita sulla competenza», nonostante si verta proprio del caso di un’ordinanza che disattende l’istanza cautelare senza riferimenti espressi alla competenza (a differenza dell’ipotesi presa in considerazione nelle sentenze citate dal rimettente e qualificate come «diritto vivente», ove sembra presupporsi un accoglimento dell’istanza cautelare).
Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, l’incompleta ricostruzione, così come la mancata ponderazione del quadro normativo di riferimento, da cui consegua una lacuna motivazionale dell’ordinanza di rimessione, determina l’inammissibilità delle questioni, potendo incidere sia sulla rilevanza che sulla non manifesta infondatezza delle stesse, e ne preclude quindi lo scrutinio nel merito (ex plurimis, sentenze n. 201, n. 61 e n. 15 del 2021, n. 264 e n. 213 del 2020; ordinanze n. 229 del 2020, n. 162 del 2019, n. 244 del 2017 e n. 27 del 2015).
Nel caso di specie, la lacuna dell’ordinanza di rimessione si riflette sull’adeguatezza della motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza, con la conseguenza dell’inammissibilità delle questioni, «dal momento che i trascurati profili di applicabilità dell[a] richiamat[a] disposizion[e] [...] sarebbero anche idonei a confutare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale» (sentenza n. 61 del 2021).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, commi 1, 2 e 3, dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 76 e 77 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 marzo 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Daria de PRETIS, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2022.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA