ORDINANZA N. 97
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche, sezione prima, nel procedimento vertente tra V. M. e il Ministero dell’interno e l’Ufficio territoriale del Governo - Prefettura di Ascoli Piceno, con sentenza non definitiva del 9 marzo 2020, iscritta al n. 109 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udita nella camera di consiglio del 23 marzo 2022 la Giudice relatrice Daria de Pretis;
deliberato nella camera di consiglio del 23 marzo 2022.
Ritenuto che, con sentenza non definitiva del 9 marzo 2020, iscritta al n. 109 del registro ordinanze 2020, il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, sezione prima, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, per violazione dell’art. 3 della Costituzione;
che il giudice rimettente è investito del ricorso proposto dal sig. V. M. contro il Ministero dell’interno e l’Ufficio territoriale del Governo - Prefettura di Ascoli Piceno, per l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento del 6 dicembre 2018, con cui la citata Prefettura ha revocato la misura di accoglienza nei confronti del ricorrente;
che il ricorrente è un cittadino extracomunitario a cui è stato rilasciato, il 4 ottobre 2018, un permesso di soggiorno per motivi umanitari;
che lo stesso giorno è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il d.l. n. 113 del 2018, entrato in vigore il 5 ottobre 2018 e successivamente convertito in legge n. 132 del 2018;
che il citato decreto-legge ha, per un verso (art. 1, comma 1, lettera b), abolito il permesso di soggiorno per motivi umanitari previsto dall’art. 5, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sostituendolo con il permesso di soggiorno per «casi speciali», e ha previsto, per altro verso (art. 12, comma 6), limitatamente ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore dello stesso decreto-legge, che «[i] titolari di protezione umanitaria presenti nel Sistema di protezione di cui all’articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, alla data di entrata in vigore del presente decreto, rimangono in accoglienza fino alla scadenza del periodo temporale previsto dalle disposizioni di attuazione sul funzionamento del medesimo Sistema di protezione e comunque non oltre la scadenza del progetto di accoglienza»;
che il rimettente rileva «un possibile contrasto» della norma censurata con l’art. 3 Cost., in ragione del fatto che «la disposizione transitoria salvaguarda solo i cittadini extracomunitari titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari che, per mera casualità, alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 113/2018 erano stati già ammessi in strutture di accoglienza appartenenti al sistema SPRAR e non anche coloro che, sempre per mera casualità, non vi sono stati ammessi per mancanza di posti»;
che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il TAR Marche sottolinea che il d.l. n. 113 del 2018, come convertito, consente l’accesso al nuovo «Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati», denominato SIPROIMI, dei titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari rientranti in determinate casistiche (ad esempio, cure mediche, vittime di tratta o di violenza domestica o di grave sfruttamento lavorativo);
che, ciò nondimeno, «le esigenze primarie a cui rispondono le misure di accoglienza sono le medesime, a prescindere dallo status individuale del cittadino extracomunitario», trattandosi pur sempre di individui che, in quanto titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari, «non sono equiparabili ai migranti c.d. economici né tantomeno sono migranti clandestini»;
che, da quanto appena detto, il rimettente deduce il diritto di questi migranti a beneficiare delle misure di accoglienza nel tempo occorrente per la ricerca di un’occupazione; e che, inoltre, nel caso di specie, l’assenza di una disposizione transitoria applicabile a tutti i titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari «ha determinato il brusco allontanamento degli interessati dai centri di accoglienza temporanei e, quindi, la perdita dei mezzi minimi di sostentamento»;
che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo afferma che «nel caso di specie non si può applicare […] il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza delle Sezioni Unite n. 29460 del 24 settembre 2019, dal TAR Brescia e dal TAR Basilicata nelle sentenze nn. 649/2019 e 564/2019 […], e ciò in quanto […] il permesso di soggiorno è stato rilasciato al sig. V. M. il giorno 4 ottobre 2018, per cui la domanda di ammissione al sistema SPRAR è stata presentata dopo l’entrata in vigore del decreto-legge n. 113/2018»;
che, pertanto, sebbene la posizione del ricorrente rientri nella casistica oggetto delle pronunce appena richiamate, «la peculiare cadenza temporale che ha connotato la vicenda ha reso di fatto impossibile presentare la richiesta di disponibilità in tempo utile (richiesta che, dal 5 ottobre 2018, non è stato più possibile presentare)»;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile e comunque infondata;
che la difesa statale precisa, tra l’altro, che «l’inserimento nel circuito SPRAR non era atto dovuto bensì condizionato all’accertamento preliminare della disponibilità di posti a livello nazionale perché la rete SPRAR – come anche l’attuale SIPROIMI – aveva un numero limitato di posti in tutta Italia (circa 30 mila), e non ha mai potuto accogliere tutti i potenziali beneficiari che ne chiedevano l’accesso»;
che in questo quadro normativo si è inserito il d.l. n. 113 del 2018, come convertito, che ha in parte mutato le condizioni di accesso alla seconda fase di accoglienza, sostituendo il sistema SPRAR con quello SIPROIMI, che, in ragione della ratio e della finalità dei centri facenti parte di questo sistema, fornisce accoglienza «unicamente ai soggetti a cui sia stata riconosciuta una qualche forma di protezione» (beneficiari della «protezione internazionale – rifugio politico o sussidiaria», «titolari dei permessi di soggiorno “speciali”», «stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravità», «vittime di violenza domestica», «vittime di situazioni di violenza o grave sfruttamento», «stranieri il cui Paese di origine viva una situazione di contingente ed eccezionale calamità», «vittime di situazioni di particolare sfruttamento lavorativo» e «stranieri che abbiano compiuto atti di particolare valore civile»);
che il legislatore del 2018 si è comunque preoccupato di dettare una disciplina transitoria per i «soggetti titolari dei (soppressi) permessi di soggiorno per protezione umanitaria che fossero già presenti nel sistema SPRAR», con la previsione contenuta nel censurato art. 12, comma 6, del d.l. n. 113 del 2018, come convertito;
che il citato servizio centrale, anche sulla base delle indicazioni ricevute dal Ministero dell’interno, ha interpretato questa disposizione nel senso di consentire esclusivamente la permanenza all’interno del sistema di accoglienza (e per la sola durata del progetto cui erano stati assegnati) dei soggetti che vi fossero già presenti;
che, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il principio di diritto individuato dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione (sentenze 13 novembre 2019, n. 29459, n. 29460 e n. 29461) «afferisc[e] al solo esame dell’istanza di protezione, con particolare riferimento alla verifica dei presupposti oggettivi e soggettivi per il rilascio del titolo di soggiorno “per motivi umanitari” […] anche se la sussistenza dei presupposti comporta il rilascio non del permesso per motivi umanitari ex art. 5 pre-novella, perché giuridicamente ormai inesistente, ma di un permesso per “casi speciali”, introdotto, appunto, dalla nuova legge»;
che né nelle sentenze citate né nella prima pronuncia sul regime intertemporale del d.l. n. 113 del 2018, come convertito, (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 19 febbraio 2019, n. 4890) «vi è alcun riferimento, neppure in semplici obiter dicta, alle disposizioni sull’accoglienza»;
che non esisterebbero obblighi derivanti da norme internazionali o dell’Unione europea volti a garantire l’accesso alle misure di inserimento e di integrazione sociale ai titolari di protezione umanitaria, trattandosi di «una forma di protezione nazionale che non trova corrispondenza nella normativa europea»;
che la questione sollevata dal TAR Marche sarebbe inammissibile, poiché il giudice a quo non avrebbe chiarito se sia richiesto un intervento meramente ablativo della norma censurata o un intervento manipolativo-additivo della stessa;
che il legislatore, nel regolare il regime transitorio, eserciterebbe un potere altamente discrezionale, censurabile in sede di giudizio di legittimità costituzionale solo entro limiti molto precisi (è citata la sentenza n. 231 del 2015 di questa Corte), e avrebbe, quindi, nell’esercizio della sua discrezionalità, «la facoltà di delimitare la sfera temporale di applicazione delle norme» (è citata la sentenza n. 194 del 2018 di questa Corte);
che, inoltre, il rimettente sarebbe incorso in una contraddizione nel sostenere, allo stesso tempo, che l’accoglienza è una misura essenziale e che il legislatore è libero di determinare la durata e l’entità del servizio da erogare;
che sarebbe erroneo il presupposto sul quale si basa l’atto introduttivo del presente giudizio, «atteso che non esisteva […] e non sussiste tutt’ora alcun diritto dell’immigrato di accedere alla rete di accoglienza (prima SPRAR, ora SIPROIMI)»;
che, quindi, a prescindere dalla normativa applicabile ratione temporis, l’accesso al sistema di seconda accoglienza è subordinato alla previa verifica, da parte dell’amministrazione, «di una situazione di particolare vulnerabilità dell’istante» e, «parallelamente, di una disponibilità all’interno del progetto di accoglienza ed inserimento sociale più confacente alla particolare condizione del richiedente»;
che, in conclusione, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il ricorrente nel giudizio a quo «non potrebbe, di diritto, accedere alla rete SIPROIMI», né in applicazione del principio di diritto intertemporale enunciato dalle richiamate sentenze delle sezioni unite della Corte di cassazione, in quanto ha presentato richiesta di ingresso nel SIPROIMI solo dopo l’entrata in vigore della novella, né in applicazione del principio del tempus regit actum, perché il provvedimento di rigetto è intervenuto successivamente all’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, come convertito, né, eventualmente, in base alla precedente disciplina, in quanto la possibilità per un titolare di protezione umanitaria di accedere alle misure di accoglienza diffusa (o secondaria) era comunque subordinata alle valutazioni discrezionali dell’autorità amministrativa;
che, in prossimità della data fissata per la camera di consiglio, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria integrativa nella quale, in via preliminare, chiede la restituzione al giudice a quo degli atti del presente giudizio per il riesame della rilevanza della questione, e, in via gradata, insiste nella richiesta di una dichiarazione di inammissibilità e, comunque, di manifesta infondatezza;
che, quanto alla richiesta di restituzione degli atti, la difesa erariale fa presente che, nelle more del presente giudizio, la normativa oggetto di censura è stata ulteriormente sostituita dal decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 173;
che il d.l. n. 130 del 2020, come convertito, ha introdotto il «Sistema di accoglienza e integrazione» (SAI), che ha sostituito il sistema SIPROIMI, istituito dal d.l. n. 113 del 2018, come convertito;
che, pertanto, muovendo dall’assunto che la norma censurata sarebbe stata abrogata e che ciò sarebbe avvenuto successivamente alla data in cui è stata sollevata la questione, la difesa statale chiede la restituzione degli atti al giudice a quo al fine di rendere una nuova valutazione circa la rilevanza della questione di legittimità costituzionale.
Considerato che, con sentenza non definitiva del 9 marzo 2020, iscritta al n. 109 del registro ordinanze 2020, il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, sezione prima, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, per violazione dell’art. 3 della Costituzione;
che, successivamente alla rimessione dell’odierna questione di legittimità costituzionale, il quadro normativo di riferimento è stato significativamente modificato dal decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 173;
che l’art. 4 del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, ha modificato, per un verso (comma 1), la normativa in tema di sistema di accoglienza, novellando l’art. 8 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), per altro verso (comma 3), l’art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n. 39;
che, in particolare, il citato art. 4 ha sostituito il «Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati» (SIPROIMI, in precedenza SPRAR), con il nuovo «Sistema di accoglienza e integrazione» (SAI);
che le principali novità introdotte sono consistite, in primo luogo, nell’ampliamento della platea dei potenziali beneficiari delle prestazioni del sistema di “seconda accoglienza”, con la conseguenza che l’inserimento nelle strutture di tale circuito è oggi possibile, nei limiti dei posti disponibili, oltre che per i titolari di protezione internazionale e i minori stranieri non accompagnati, per i richiedenti la protezione internazionale, che erano stati esclusi dal d.l. n. 113 del 2018, come convertito, nonché per i titolari di diverse categorie di permessi di soggiorno previsti dal decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), e per i neomaggiorenni affidati ai servizi sociali in prosieguo amministrativo;
che, in secondo luogo, il d.l. n. 130 del 2020, come convertito, ha diversificato i servizi del sistema, che ora si articola in due livelli di prestazioni: il primo dedicato ai richiedenti protezione internazionale, il secondo a coloro che ne sono già titolari, con servizi aggiuntivi finalizzati all’integrazione;
che, con specifico riguardo al giudizio a quo, rileva soprattutto la prima delle novità introdotte dallo ius superveniens, che, pur non abrogando la norma censurata, ha tuttavia reso possibile l’accesso al sistema di seconda accoglienza anche a soggetti che si trovano nella posizione del ricorrente nel giudizio principale;
che – pur restando impregiudicata la possibilità (negata dal rimettente e dall’Avvocatura generale) di estendere anche alla fase della seconda accoglienza il principio di diritto enucleato dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione, con le sentenze 13 novembre 2019, n. 29459, n. 29460 e n. 29461, quindi di ritenere applicabile l’intera normativa introdotta dal d.l. n. 113 del 2018, come convertito, solo alle domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte dopo l’entrata in vigore di questo decreto-legge – lo ius superveniens, costituito dall’art. 4 del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, ha inciso «profondamente sull’ordito logico che sta alla base delle censure prospettate» (ordinanza n. 60 del 2021);
che, pertanto, si rende necessaria la restituzione degli atti al giudice a quo perché possa procedere alla rivalutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione prospettata, tenendo conto delle intervenute modifiche normative (ex plurimis, ordinanze n. 243 e n. 60 del 2021, n. 269 e n. 185 del 2020).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al giudice rimettente.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Daria de PRETIS, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2022.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA