Corte Costituzionale, Sentenza n.129 del 23/06/2023

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Diritti inviolabili o fondamentali - Tutela della salute - Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie - Estensione anche ai soggetti che abbiano subito lesioni o infermità permanente psico-fisica per essere stati sottoposti a vaccinazione, raccomandata, antimeningococcica - Asserita omessa previsione - Denunciata violazione dei principi di solidarietà, tutela, anche collettiva, della salute, e di ragionevolezza - Difetto di motivazione - Inammissibilità delle questioni. (Classif. 081002)

Sono dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte di cassazione, sez. lavoro, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost. dell'art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui, asserisce il rimettente, non prevede che la tutela mediante indennizzo, a carico dello Stato, a quanti abbiano riportato menomazioni permanenti della integrità psico-fisica a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, spetti anche ai soggetti che tali conseguenze abbiano patito per essere stati sottoposti a vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, antimeningococcica. Il quadro normativo rilevante contiene elementi che il rimettente non ha preso in considerazione. Sebbene, infatti, le vaccinazioni contro il meningococco di gruppo B e C, in seguito all'approvazione della legge di conversione n. 119 del 2017 del d.l. n. 73 del 2017, non sono più obbligatorie, ma solo raccomandate, l'art. 5-quater, inserito a sua volta in sede di conversione, rinvia alla legge n. 210 del 1992, in materia di indennizzi, prevendendone l'applicazione a tutti i soggetti che, a causa delle vaccinazioni indicate nell'art. 1, abbiano riportato lesioni o infermità permanenti. Per vero, dall'indicato art. 5-quater è possibile trarre conclusioni diverse, financo opposte tra loro: ad esempio che abbia funzione ricognitiva, come una sorta di "rinvio fisso" all'impianto originario dell'art. 1, cosicché si riferisca alle sole vaccinazioni obbligatorie; o che, al contrario, come emerge dai lavori preparatori, nonché dalla giurisprudenza costituzionale, il legislatore abbia voluto riconoscere il diritto all'indennizzo anche ai danneggiati dalle vaccinazioni raccomandate. Inoltre andrebbe ulteriormente stabilito se esso risulti ratione temporis applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio principale, che riguarda una vaccinazione somministrata ad un minore nel febbraio 2008. Al contrario, l'ordinanza di rimessione rimane silente rispetto a tutte le questioni interpretative prospettate, determinando una lacuna che compromette irrimediabilmente l'iter logico argomentativo posto a fondamento delle valutazioni del rimettente sia sulla rilevanza, sia sulla non manifesta infondatezza. (Precedenti: S. 42/2023 - mass. 45413; S. 35/2023 - mass. 45368; S. 29/2023 - mass. 45344; S. 232/2021 - mass. 44389; S. 194/2021 - mass. 44214; S. 61/2021 - mass. 43765; S. 264/2020 - mass. 43269; S. 118/2020 - mass. 43420; S. 266/2019 - mass. 40921; S. 150/2019 - mass. 41415; S. 5/2018 - mass. 39688; S. 268/2017 - mass. 40637; S. 107/2012 - mass. 36289; S. 423/2000 - mass. 25734; S. 118/1996 - mass. 22329; S. 27/1998 - mass. 23685; O. 244/2017 - mass. 40153).

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SENTENZA N. 129

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Silvana SCIARRA; Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), promosso dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra il Ministero della salute e N. S. e A. F., nella qualità di genitori di A. F., con ordinanza del 30 maggio 2022, iscritta al n. 133 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2022, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 19 aprile 2023.

Udito nella camera di consiglio del 20 aprile 2023 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

deliberato nella camera di consiglio del 20 aprile 2023

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 30 maggio 2022 (reg. ord. n. 133 del 2022), la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), «nella parte in cui non prevede che il diritto all’indennizzo, istituito e regolato dalla stessa legge e alle condizioni ivi previste, spetti anche ai soggetti che abbiano subito lesioni e/o infermità, da cui siano derivati danni irreversibili all’integrità psico-fisica, per essere stati sottoposti a vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, antimeningococcica».

2.– La Corte di cassazione riferisce di essere stata investita del ricorso promosso dal Ministero della salute avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Brescia, confermando la pronuncia assunta in primo grado dal Tribunale ordinario di Cremona, aveva riconosciuto – sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 – il diritto all’indennizzo «per la menomazione all’integrità psico-fisica conseguita alla vaccinazione antimeningococcica» (precisamente con vaccino «Menjugate») nei confronti di un minore che a tale profilassi era stato sottoposto in data 20 febbraio 2008.

A seguito della somministrazione, erano state riscontrate «condizione di sofferenza acuta cerebrale, disturbo disintegrativo della fanciullezza con modalità subacute», «alterazioni comportamentali e delle funzioni cognitive», in un minore sano alla nascita, ma che, dopo il vaccino, presentava «all’età di 21 mesi età di sviluppo di 10 mesi e, nel prosieguo, all’età di 8 anni […] età di sviluppo pari a 3 anni». Il consulente d’ufficio nominato nel giudizio d’appello aveva escluso che si trattasse di «autismo primario» e – «pur dando atto dell’insufficienza delle conoscenze, in materia, di cause e meccanismi patogenetici del disturbo autistico e della sostanziale mancanza, in letteratura, di dati relativi ad esiti di reazioni avverse alla vaccinazione in esame» – aveva riscontrato la «prevalenza e chiarezza, nel minore, di alterazioni causalmente collegate alla vaccinazione antimeningococcica somministratagli, in termini di elevata e qualificata probabilità».

Con il primo motivo di ricorso, il Ministero della salute deduceva tuttavia proprio l’erroneità della valutazione operata sul nesso di causalità; con il secondo motivo, la violazione dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, che contempla la tutela indennitaria per le sole vaccinazioni obbligatorie; con il terzo motivo, ancora, lamentava che il giudice d’appello non avesse in alcun modo tenuto in considerazione le valutazioni tecniche del consulente dello stesso Ministero.

I genitori del minore, resistendo al ricorso, eccepivano in via subordinata l’illegittimità costituzionale del menzionato art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui esclude dall’indennizzo ivi previsto coloro che siano stati sottoposti a vaccinazione anti-meningococcica.

3.– La Corte di cassazione ritiene di dover muovere, sia pur per «sintesi», da una ricostruzione delle «disposizioni vigenti in materia di indennizzo a carico dello Stato per danni conseguenti a profilassi vaccinale».

L’ordinanza richiama contenuti e finalità della legge n. 210 del 1992. Statuendo all’art. 1, comma 1, che «[c]hiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge», tale legge, in ossequio agli artt. 2 e 32 Cost., e dando seguito alla sentenza n. 307 del 1990 di questa Corte, avrebbe introdotto in favore dei soggetti ivi indicati una «tutela in termini di sicurezza sociale, con scopo solidaristico».

Ricorda il rimettente che il citato art. 1, comma 1, è stato interessato da plurimi interventi di questa Corte, concernenti i danni conseguenti a vaccinazioni non obbligatorie ma oggetto di politiche incentivanti. Con la sentenza n. 27 del 1998, in particolare, la disposizione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevedeva l’indennizzo anche a favore della persona sottopostasi a vaccinazione antipoliomielitica nel periodo in cui, in forza della legge 30 luglio 1959, n. 695 (Provvedimenti per rendere integrale la vaccinazione antipoliomielitica), la stessa era incentivata, ma non ancora obbligatoria. Questa Corte affermò infatti che non vi fosse ragione per differenziare il caso in cui il trattamento sia imposto da quello in cui il trattamento sia promosso dalla pubblica autorità per favorirne la diffusione capillare nella società. Una simile distinzione si risolverebbe, infatti, in un vizio di irrazionalità della legge, perché riserverebbe a quanti siano stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale, giustificato da ragioni di solidarietà sociale, un trattamento deteriore rispetto a quello previsto per coloro che abbiano invece agito in forza della «minaccia» di una sanzione.

Con la successiva sentenza n. 423 del 2000, la tutela prevista dalla legge n. 210 del 1992 è stata poi estesa ai soggetti sottopostisi alla vaccinazione antiepatite B a partire dal 1983, ovvero da quando tale profilassi vaccinale è stata fatta oggetto di raccomandazione.

4.– In punto di rilevanza, osserva la Corte di cassazione che il minore è stato sottoposto ad una vaccinazione non obbligatoria, ma che rientrerebbe «nel novero dei protocolli sanitari per i quali l’opera di sensibilizzazione, informazione e convincimento delle pubbliche autorità», in linea anche con i progetti di informazione previsti dall’art. 7 della legge n. 210 del 1992, «viene reputata più adeguata e rispondente alle finalità di tutela della salute pubblica rispetto alla vaccinazione obbligatoria». Si tratterebbe, infatti, di vaccinazione raccomandata dal «piano Nazionale per la prevenzione vaccinale già dal 2005/2007 e, a partire dal Piano Nazionale 2012/2014 tale vaccinazione [sarebbe] addirittura consigliata per tutti i bambini di età compresa tra i 13 e i 15 mesi, in concomitanza con il vaccino MPR (morbillo, pertosse, rosolia) e per gli adolescenti non precedentemente immunizzati». Il vaccino in questione sarebbe inoltre «inserito nei Livelli Essenziali di Assistenza (cd. L.E.A.) ed è somministrato gratuitamente in tutta Italia».

Aggiunge il rimettente che sarebbe «notorio» che il vaccino anti-meningococcico «è consigliato dai pediatri del servizio sanitario e dalle Aziende sanitarie anche attraverso capillare informazione alle famiglie sui benefici conseguenti e sul fine di prevenire l’insorgenza della malattia».

Con riferimento al nesso di causalità, la Corte di cassazione richiama nuovamente le osservazioni del consulente d’ufficio, il quale, utilizzando l’algoritmo dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), improntato su sei livelli di attribuzione causale, ha ritenuto pienamente integrato il primo livello, segnalando «concomitante, improvvisa e brusca comparsa di plurimi sintomi di sofferenza cerebrale acuta, occorsi immediatamente dopo il vaccino e di durata maggiore rispetto a quelli di solito osservabili subito dopo la vaccinazione; concomitanti segni di grave regressione psicomotoria autistica, assai rapidamente progrediti; disfunzioni neurologiche di tipo neuromotorio e, successivamente, anomalie elettroencefalografiche epilettiformi». Tutto ciò ha portato la Corte d’appello a ritenere che la patologia fosse «causalmente collegata, in termini di elevata (o qualificata) probabilità logica, alla vaccinazione antimeningococcica» cui era stato sottoposto il minore.

5.– Diversamente dalla Corte d’appello, la Corte di cassazione ritiene però non sperimentabile un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, stante l’inequivoco tenore del testo, riferito alle sole «vaccinazioni obbligatorie», né potendosi in senso opposto evocare i principi affermati nella richiamata giurisprudenza costituzionale, che ha riguardato «peculiari vaccinazioni e profilassi», con la conseguenza della non estensibilità di tali precedenti al caso di specie, «pena la sostanziale disapplicazione, ope iudicis, della disposizione scrutinata».

6.– In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente evidenzia come il diritto all’indennizzo sia stato esteso da questa Corte anche a coloro che abbiano patito conseguenze invalidanti per effetto di vaccinazioni «assunte nell’ambito della politica sanitaria anche solo promossa dallo Stato». Con la sentenza n. 268 del 2017, in particolare, sarebbe stato «ridisegna[to], ancora una volta, l’asse portante della tutela indennitaria» in esame, mediante l’estensione del perimetro applicativo dell’art. 1, comma 1, anche ai soggetti danneggiati da vaccinazione antinfluenzale. Confermando quanto già messo in luce dalla sentenza n. 107 del 2012, questa Corte avrebbe infatti chiarito che sarebbe del tutto irrilevante la riconducibilità del comportamento cooperativo dell’individuo ad un obbligo o a una attività di persuasione, così come, sul versante passivo, all’intento di evitare una sanzione o di aderire a un invito. In ogni caso, in presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione, si ingenererebbe nei consociati un affidamento rispetto a quanto consigliato dalle autorità pubbliche, e l’adesione alla campagna vaccinale sarebbe da ricondursi, al di là delle particolari motivazioni del singolo, alla salvaguardia della salute anche collettiva (è richiamata anche la sentenza n. 118 del 2020). Ricorda poi il rimettente come la distanza tra raccomandazione e obbligo sarebbe stata ridimensionata anche dalla successiva sentenza di questa Corte n. 5 del 2018.

A dire del giudice a quo, i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale sarebbero riferibili anche alla profilassi preventiva per meningococco, trattandosi di vaccinazione raccomandata, ovverosia fondata «sull’affidamento, mirato alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, ingenerato da pervasive campagne informative di immunizzazione».

Le esigenze di solidarietà sociale e di tutela della salute del singolo richiederebbero, allora, che sia la collettività ad accollarsi l’onere del pregiudizio eventualmente patito da coloro che si siano sottoposti a tale trattamento sanitario, mentre «costituirebbe, per contro, un vulnus addossare all’individuo danneggiato il costo del beneficio anche collettivo dell’immunizzazione».

La disposizione sarebbe altresì lesiva del canone della ragionevolezza, comportando un’ingiustificata differenziazione tra quanti si siano sottoposti a vaccinazione in osservanza di un obbligo giuridico e quanti, invece, si siano ad essa sottoposti ottemperando alle raccomandazioni delle autorità sanitarie; ciò a fronte del medesimo rilievo che obbligo e raccomandazione assumerebbero al fine della tutela della salute collettiva, giacché, sebbene la tecnica della raccomandazione esprima maggior attenzione all’autodeterminazione individuale, e quindi al profilo soggettivo del diritto alla salute, essa sarebbe pur sempre indirizzata alla salvaguardia della salute come interesse anche collettivo.

Considerato in diritto

l.– La Corte di cassazione, sezione lavoro, dubita, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, disposizione che riconosce un indennizzo, a carico dello Stato, a quanti abbiano riportato, «a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica».

La disposizione è censurata nella parte in cui non prevede che la medesima tutela spetti anche ai soggetti che tali conseguenze abbiano patito «per essere stati sottoposti a vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, antimeningococcica».

2.– Il giudice a quo è chiamato a pronunciarsi sul ricorso promosso dal Ministero della salute avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Brescia, accedendo ad una lettura costituzionalmente conforme della predetta disposizione, ha ritenuto che l’indennizzo ivi disciplinato dovesse essere erogato anche a beneficio di un minore sottopostosi, il 20 febbraio 2008, al vaccino non obbligatorio «Menjugate».

Riferisce il rimettente che il giudice di secondo grado, basandosi sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ha qualificato la patologia insorta nel minore come «causalmente collegata, in termini di elevata (o qualificata) probabilità logica, alla vaccinazione antimeningococcica» a questi somministrata.

3.– La Corte di cassazione, tuttavia, non considera questo elemento sufficiente a dar luogo, nel caso di specie, alla tutela indennitaria. Ciò per l’inequivoco disposto dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, che concerne testualmente le sole «vaccinazioni obbligatorie» e non si presterebbe ad una lettura costituzionalmente orientata. Né, aggiunge, un simile esito potrebbe poggiare sulla giurisprudenza costituzionale che ne ha ampliato l’ambito di applicazione, ricomprendendovi anche talune vaccinazioni raccomandate. Trattandosi di giudizi relativi a specifiche profilassi, la portata di tali pronunce non sarebbe infatti suscettibile di estendersi, per via interpretativa, ad altri vaccini, pena la «disapplicazione, ope iudicis, della disposizione scrutinata».

4.– I principi enunciati in quelle decisioni, ad avviso del rimettente, condurrebbero tuttavia a dubitare della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui esso omette di apprestare tutela anche nei confronti dei soggetti danneggiati in modo permanente da una vaccinazione – quale quella anti-meningococcica – basata sull’«affidamento, mirato alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, ingenerato da pervasive campagne informative di immunizzazione».

Ricorda, infatti, il giudice a quo che, come più volte affermato da questa Corte, non vi è ragione di differenziare il caso in cui il trattamento sanitario sia imposto per legge da quello in cui sia promosso dalla pubblica autorità (sentenza n. 27 del 1998). Pur essendo obbligo e raccomandazione frutto di concezioni parzialmente diverse del rapporto tra individuo e autorità sanitarie pubbliche, oltre che il risultato di diverse condizioni sanitarie della popolazione di riferimento, quel che rileva, quanto al riconoscimento del diritto all’indennizzo, è l’obiettivo essenziale che entrambi perseguono nella profilassi delle malattie infettive: ossia il comune scopo di garantire e tutelare la salute (anche) collettiva attraverso il raggiungimento della massima copertura vaccinale (sentenza n. 268 del 2017).

In presenza di specifiche campagne di incentivazione condotte dalle istituzioni sanitarie, dunque, il generale clima di affidamento che ne scaturisce rende la scelta adesiva dei singoli, al di là delle loro particolari e specifiche motivazioni, di per sé obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo (sentenza n. 107 del 2012). A completamento del «patto di solidarietà» tra individuo e collettività in tema di tutela della salute, è allora doverosa la traslazione in capo alla collettività degli effetti dannosi che da tale scelta adesiva siano eventualmente derivati (sentenze n. 118 del 2020 e n. 268 del 2017).

A dire del rimettente, sussisterebbero rilevanti indici che attraggono la profilassi anti-meningococcica nel novero di quelle raccomandate nel senso richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte: tale profilassi, infatti, rientrerebbe tra quelle raccomandate dal piano nazionale vaccini già dal 2005-2007, verrebbe «consigliata» ai bimbi di età compresa tra i tredici e i quindici mesi e agli adolescenti non precedentemente immunizzati a partire dal piano nazionale vaccini 2012-2014, risulterebbe esser stata inserita tra i livelli essenziali di assistenza, sarebbe somministrata gratuitamente in tutto il territorio nazionale, e, infine, sarebbe notoriamente consigliata dai pediatri e dalle aziende sanitarie attraverso una capillare informazione.

Sulla scorta di queste acquisizioni, il giudice a quo afferma che, esattamente come nei vari casi già scrutinati da questa Corte, anche l’omessa previsione del diritto all’indennizzo per le patologie irreversibili contratte in occasione della sottoposizione a vaccinazione anti-meningococcica produrrebbe l’effetto di riversare sul singolo i costi del beneficio che la collettività ne ha tratto, in violazione delle esigenze di solidarietà costituzionalmente fondate sull’art. 2 Cost., del diritto alla salute individuale tutelato dall’art. 32 Cost., nonché del canone della ragionevolezza imposto dall’art. 3 Cost.

5.– Secondo quanto riferisce il rimettente, le questioni di legittimità costituzionale concernono la profilassi anti-meningococcica di gruppo C, essendo il vaccino «Menjugate», somministrato al minore, utilizzato per prevenire la malattia causata dal batterio meningococcico di tale gruppo.

Va immediatamente rilevato che, in riferimento a tale specifica profilassi, il quadro normativo rilevante contiene elementi che il rimettente non ha preso in considerazione valutando la sussistenza dei requisiti di accesso al sindacato di costituzionalità. Ciò determina, secondo quanto si chiarirà, l’inammissibilità delle sollevate questioni.

6.– La somministrazione della vaccinazione anti-meningococcica, sia di gruppo B, sia di gruppo C, era stata prevista quale obbligatoria dal decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale). Nella versione originaria approvata dal Consiglio dei ministri, queste due profilassi erano infatti annoverate tra le dodici rese obbligatorie per i minori di età compresa tra zero e sedici anni (art. 1, comma 1, lettere g e h).

In sede di conversione, intervenuta con legge 31 luglio 2017, n. 119, le vaccinazioni obbligatorie sono state tuttavia ridotte a dieci, indicate in due appositi elenchi. Il primo è contenuto nel comma 1 dell’art. 1 ed include le vaccinazioni anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse e anti-Haemophilus influenzae tipo B. Il secondo elenco, contenuto al successivo comma 1-bis, include i vaccini anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite e anti-varicella, e si differenzia dal primo perché la obbligatorietà può cessare a seguito di una attività di monitoraggio specificamente regolata al comma 1-ter.

Tutte tali vaccinazioni – sia quelle del primo, sia quelle del secondo catalogo – sono espressamente accomunate dall’essere indirizzate, tra l’altro, ad «assicurare la tutela della salute pubblica e il mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale» (così l’incipit dell’art. 1, comma 1).

Le profilassi espunte dal novero delle iniziali dodici obbligatorie sono proprio le due anti-meningococciche di gruppo B e C. Esse, tuttavia, non sono semplicemente eliminate dal testo dell’art. 1: vengono invece collocate, insieme alle vaccinazioni anti-pneumococcica e anti-rotavirus, in un ulteriore separato catalogo, inserito nel comma 1-quater del medesimo art. 1. Tale comma attribuisce a regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano il compito, «[a]gli stessi fini di cui al comma 1», di garantirne l’«offerta attiva e gratuita, in base alle specifiche indicazioni del Calendario vaccinale nazionale relativo a ciascuna coorte di nascita».

Dunque, come questa Corte ha già rilevato, le vaccinazioni contro il meningococco di gruppo B e C, in seguito all’approvazione della legge di conversione n. 119 del 2017, «non sono più obbligatorie, ma solo raccomandate» (sentenza n. 5 del 2018). Un regime, quello della raccomandazione, che peraltro poteva dirsi sussistente già prima dell’intervento legislativo del 2017. Riferendosi proprio alle vaccinazioni anti-meningococciche, la sentenza n. 5 del 2018 ha infatti avuto occasione di ragionare di «preesistenti» (al decreto-legge) e «ripristinate» (dalla legge di conversione) raccomandazioni.

Ciò posto, in questa sede rileva particolarmente quanto statuito dal successivo art. 5-quater del d.l. n. 73 del 2017, inserito a sua volta in sede di conversione. Richiamando proprio la disciplina dell’indennizzo sottoposta a censura dal giudice a quo, tale articolo prevede, infatti, che «[l]e disposizioni di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, si applicano a tutti i soggetti che, a causa delle vaccinazioni indicate nell’articolo 1, abbiano riportato lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica».

L’individuazione del significato di tale complessivo rinvio ai distinti elenchi di profilassi di cui all’art. 1 costituisce un passaggio indispensabile nel percorso logico che il rimettente avrebbe dovuto seguire vagliando la sussistenza dei presupposti per sollevare le odierne questioni di legittimità costituzionale.

7.– Per vero, dall’art. 5-quater del d.l. n. 73 del 2017, come risultante dalla legge di conversione, è possibile trarre conclusioni diverse, financo opposte tra loro.

Si potrebbe innanzitutto ritenere che, attraverso il suo innesto nel corpo della disciplina soggetta a conversione, il legislatore abbia inteso selettivamente riferirsi alle sole vaccinazioni obbligatorie annoverate all’art. 1, ovverosia quelle eleggibili ai fini del riconoscimento dell’indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992.

L’art. 5-quater avrebbe, in sostanza, funzione ricognitiva, essendosi il legislatore limitato a ribadire, per chiarezza, quanto già ricavabile dall’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992: tutte le vaccinazioni obbligatorie, anche quelle qualificate come tali da leggi approvate in un momento successivo, danno accesso alla tutela indennitaria.

A sostegno di una simile lettura, potrebbe anche rilevarsi che se, invece, il legislatore avesse voluto mutare la ratio originaria della legge n. 210 del 1992, allo scopo di ricondurre al perimetro applicativo di quest’ultima anche i danni conseguenti a vaccinazioni raccomandate, sarebbe dovuto intervenire proprio in quella peculiare sedes materiae: come accaduto, ad esempio, con l’estensione dell’indennizzo alle ipotesi di vaccinazione raccomandata anti SARS-CoV-2, ora prevista all’art. 1, comma 1-bis, della stessa legge n. 210 del 1992.

Ulteriore conferma di questa interpretazione dell’art. 5-quater del d.l. n. 73 del 2017, come convertito, potrebbe trovarsi nella circostanza che esso si situa al termine di una sequenza di previsioni (dall’art. 5-bis all’art. 5-quater) dedicate alla materia dell’indennizzo da profilassi vaccinale, la seconda delle quali (art. 5-ter) conferisce al Ministero della salute il potere di avvalersi di un contingente di personale aggiuntivo per definire le procedure finalizzate al «ristoro dei soggetti danneggiati» proprio (e dunque solo) da «vaccinazioni obbligatorie».

7.1.– È agevole tuttavia osservare che l’art. 5-quater del d.l. n. 73 del 2017, come convertito, si presta anche ad una ben diversa interpretazione.

Innanzitutto, anche tale previsione, così come la nuova disciplina contenuta nello stesso art. 1 del d.l. n. 73 del 2017, è il frutto di un emendamento approvato in sede di conversione, nel corso della lettura svolta dal Senato (i correttivi inseriti nell’art. 1 sono stati originariamente votati nella seduta pomeridiana della 12a Commissione igiene e sanità del 5 luglio 2017; l’art. 5-quater risulta inserito e approvato nella seduta di Aula del 19 luglio 2017).

Non è affatto secondaria la circostanza che le due disposizioni – quella da cui risulta che alcune vaccinazioni sono obbligatorie, altre raccomandate (art. 1), nonché quella che vi fa indistinto e complessivo riferimento, per rendere ad esse applicabili le disposizioni di cui alla legge n. 210 del 1992 (art. 5-quater) – abbiano entrambe avuto origine in un momento successivo rispetto all’adozione del decreto-legge. È tale circostanza, infatti, a privare di forza l’interpretazione che intenda il contenuto dell’art. 5-quater come una sorta di “rinvio fisso” all’impianto originario dell’art. 1, che contemplava solo vaccinazioni obbligatorie.

Gli stessi lavori preparatori, sia pur non risolutivamente, restituiscono traccia della possibile volontà del legislatore di riconoscere il diritto all’indennizzo anche ai danneggiati dalle vaccinazioni raccomandate previste dal disegno di legge di conversione. Non a caso, in seno alla XII Commissione affari sociali della Camera, nella seduta del 25 luglio 2017, si è affermato, da parte di alcuni deputati, che la legge n. 210 del 1992 «si applica anche alle vaccinazioni raccomandate dal decreto»; mentre da parte di altri sono state espresse perplessità in ordine alla omessa considerazione, nel testo in approvazione, di vaccini raccomandati ulteriori rispetto a quelli già menzionati. In termini ancora più espliciti, si è pure affermato che «l’articolo 5-quater […] estende l’applicazione della legge n. 210 del 1992 in materia di indennizzi a favore dei soggetti danneggiati da complicanze irreversibili da vaccinazioni indicate nell’articolo 1, siano ess[e] obbligatori[e] o raccomandat[e]» (Aula, seduta del 26 luglio 2017).

Anche in sede di verifica dei costi finanziari del provvedimento, svolta congiuntamente dal Servizio bilancio dello Stato e dalla segreteria della Commissione bilancio della Camera («Verifica delle quantificazioni», A.C. 4595, n. 565 del 25 luglio 2017), viene segnalato che la disposizione in questione, «richiamando indistintamente le “vaccinazioni indicate nell’articolo 1”, appare suscettibile di estendere l’ambito applicativo della legge n. 210/1992 sia alle vaccinazioni prima facoltative e ora considerate obbligatorie (ai sensi dei commi 1 e 1-bis dell’art. 1 del D.L. in esame), sia alle vaccinazioni da erogare gratuitamente, ma non obbligatorie (ai sensi del comma 1-quater dello stesso articolo 1)» (analogamente il dossier dell’Osservatorio legislativo e parlamentare del 24 luglio 2017, n. 169).

Infine, è utile rammentare il contenuto dell’ordine del giorno n. 9/4595/43, sul quale il Governo ha reso parere favorevole, alla Camera, nella seduta del 28 luglio 2017. Attraverso di esso, l’esecutivo viene impegnato a monitorare gli effetti dell’applicazione dell’art. 5-quater, anche al fine di estendere l’indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992 «non solo alle persone danneggiate da vaccinazioni obbligatorie o fortemente raccomandate, ma a tutte le persone vaccinate in adempimento del Piano Vaccinale vigente».

7.2.– L’opzione interpretativa ora descritta, del resto, potrebbe trarre argomenti proprio dalla giurisprudenza di questa Corte – richiamata dallo stesso rimettente– che ha fatto discendere dagli artt. 2, 3 e 32 Cost. l’obbligo per lo Stato di accollarsi l’onere del pregiudizio individuale sofferto da chi si sia sottoposto a determinate vaccinazioni raccomandate, risultando di contro ingiusto che siano i singoli danneggiati a sopportare il costo del beneficio collettivo cui hanno contribuito (sentenze n. 35 del 2023, n. 118 del 2020, n. 268 del 2017, n. 107 del 2012, n. 423 del 2000 e n. 27 del 1998).

8.– La necessaria opera d’interpretazione della disposizione in esame non potrebbe tuttavia arrestarsi a questo punto. Anche laddove si ritenga che l’art. 5-quater sia capace di restituire il significato normativo da ultimo evidenziato, andrebbe ulteriormente stabilito se esso risulti ratione temporis applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio principale, che riguarda una vaccinazione anti-meningococcica di gruppo C somministrata ad un minore nel febbraio 2008.

In forza dell’ordinario canone della irretroattività delle leggi, potrebbe, prima facie, rispondersi negativamente, e ritenersi così che la disposizione in esame dispieghi i propri effetti unicamente in riferimento alle profilassi eseguite dopo la sua entrata in vigore.

Più in generale, il fatto che a fronte di complicanze di tipo irreversibile conseguenti alle vaccinazioni raccomandate, ora in questione, la corresponsione dell’indennizzo sia possibile unicamente a partire dall’entrata in vigore della disposizione, potrebbe giustificarsi assumendo che proprio e solo l’introduzione della disciplina legislativa recata dal d.l. n. 73 del 2017, come convertito, abbia riconosciuto a queste vaccinazioni caratteristiche tali da renderle “meritevoli” di un simile statuto giuridico.

Eppure, anche sul profilo dell’efficacia temporale della disposizione è possibile una lettura di segno opposto, che autorizza un’applicazione retroattiva dell’indennizzo. In questo senso potrebbe militare, sia il tenore letterale della disposizione, che utilizza il tempo passato (l’art. 5-quater fa riferimento ai soggetti che «abbiano riportato» lesioni o infermità, dalle quali «sia derivata» una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica), sia la circostanza che la stessa Camera dei deputati, nel già richiamato documento di verifica dei costi del provvedimento, si sia interrogata proprio sugli «effetti retroattivi potenzialmente onerosi» della disposizione.

Quale ulteriore argomento a favore di una applicazione retroattiva dell’indennizzo potrebbe essere valorizzato il richiamo omnicomprensivo, nell’art. 5-quater, alle «disposizioni di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210», disciplina che prevede l’indennizzabilità degli «eventi ante legem, al pari di quelli post legem» (sentenza n. 118 del 1996), purché relativi a vaccinazioni evidentemente obbligatorie anche prima della sua entrata in vigore. L’argomento reggerebbe sul presupposto, da dimostrare, che questa stessa prospettiva sia estensibile anche ad una vaccinazione raccomandata, e purché si tratti di profilassi valutabile come tale già prima della conversione del d.l. n. 73 del 2017 (come si potrebbe evincere dalla sentenza n. 5 del 2018 di questa Corte, ove si ragiona, sia pur incidentalmente, a proposito della profilassi qui in questione, come di una raccomandazione «preesistente»).

9.– Come già accennato, l’ordinanza di rimessione non menziona il d.l. n. 73 del 2017, come convertito. In particolare, non analizza il complessivo contenuto degli elenchi di profilassi di cui all’art. 1, tra i quali quello di cui al comma 1-quater, e tace sullo stesso cruciale art. 5-quater. Rimane conseguentemente silente rispetto a tutte le questioni interpretative fin qui prospettate.

Sarebbe, invece, spettato al giudice a quo dare conto dell’esistenza di tali rilevanti disposizioni e operare una consapevole ed esplicita scelta tra le differenti soluzioni interpretative che esse dischiudono (analogamente, sentenza n. 232 del 2021).

La circostanza che il giudice rimettente abbia omesso di misurarsi con il significato e gli effetti di tali disposizioni, anche solo al fine di stabilirne eventualmente l’irrilevanza, determina una lacuna che «compromette irrimediabilmente l’iter logico argomentativo posto a fondamento delle valutazioni del rimettente sia sulla rilevanza, sia sulla non manifesta infondatezza» (sentenze n. 232, n. 194 e n. 61 del 2021; analogamente, sentenze n. 42 e n. 29 del 2023, n. 264 del 2020, n. 266 e n. 150 del 2019, ordinanza n. 244 del 2017).

Per queste ragioni, le sollevate questioni vanno dichiarate inammissibili.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 23 giugno 2023.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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