Corte Costituzionale, Sentenza n.163 del 27/07/2023

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SENTENZA N. 163

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Silvana SCIARRA; Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 2, lettera a), 3, 6, lettere b) e d), numeri 1) e 2), 11, lettere b) e c), 12, lettera d), e 14, lettera b); e dell’art. 8, comma 1, della legge della Regione Molise 23 maggio 2022, n. 7 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2022-2024 in materia di entrate e spese. Modificazioni e integrazioni di leggi regionali), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25 luglio 2022, depositato in cancelleria il successivo 28 luglio, iscritto al n. 52 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di costituzione della Regione Molise;

udito nell’udienza pubblica del 19 aprile 2023 il Giudice relatore Maria Rosaria San Giorgio;

uditi l’avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Claudia Angiolini per la Regione Molise;

deliberato nella camera di consiglio del 19 aprile 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con il ricorso iscritto al n. 52 del registro ricorsi 2022, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Molise 23 maggio 2022, n. 7 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2022-2024 in materia di entrate e spese. Modificazioni e integrazioni di leggi regionali).

1.1.– È impugnato, anzitutto, l’art. 6, comma 2, lettera a), della predetta legge regionale, che sostituisce le parole «30 aprile 2022» con quelle «30 aprile 2023» nel testo dell’art. 1, comma 1, ultimo periodo, della legge della Regione Molise 18 luglio 2008, n. 25 (Interventi per il recupero dei sottotetti, dei locali interrati e seminterrati e dei porticati).

In tal modo, la norma impugnata, intervenendo nella disciplina sul recupero dei sottotetti, dei locali interrati e seminterrati e dei porticati degli edifici ubicati sul territorio regionale (già dettata dalla menzionata legge reg. Molise n. 25 del 2008), prolunga il termine entro il quale sono transitoriamente ammessi gli interventi comportanti modifiche all’aspetto esteriore degli edifici, anche nei territori assoggettati a tutela paesaggistica.

Il ricorrente riferisce che, ottemperando a un «precedente impegno» assunto dalla Regione con il Governo, la legge della Regione Molise 17 novembre 2020, n. 14 (Variazione del bilancio di previsione 2020-2022 e modifiche di leggi regionali), aveva inserito, nel medesimo art. 1, comma 1, della legge regionale n. 25 del 2008, una clausola che imponeva comunque il rispetto delle disposizioni di cui alla Parte II del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e che, con specifico riferimento proprio agli interventi che comportano modifiche all’aspetto esteriore degli edifici, li consentiva solo nei casi e nei limiti previsti dai piani paesaggistici, ovvero nei casi e nei limiti individuati mediante apposito accordo tra Regione e Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (oggi: Ministero della cultura), accordo destinato a confluire nei piani paesaggistici.

Successivamente, nel medesimo testo normativo, era stato introdotto un ultimo periodo, ad opera dell’art. 7, comma 8, della legge della Regione Molise 4 maggio 2021, n. 1 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2021-2023 in materia di entrate e spese. Modificazioni e integrazioni di leggi regionali), il quale stabiliva che «[n]elle more dell’adozione di provvedimenti conseguenziali al predetto accordo e comunque fino al 30 aprile 2022, sono ammessi gli interventi comportanti modifiche all’aspetto esteriore degli edifici, anche nei territori assoggettati a tutela paesaggistica sulla base di decreti ministeriali ove vigenti». In sede di interlocuzione con il Ministero in merito a tale previsione, la Regione, con apposita nota (che viene allegata al ricorso), aveva assunto l’impegno di riformularla in senso migliorativo per le ragioni di tutela paesaggistica. Confidando in tale impegno – secondo quanto riferisce il ricorrente – all’epoca il Governo non aveva impugnato la novella del 2021.

Nel ricorso si evidenzia che la disposizione impugnata non solo non ha modificato l’ultimo periodo del predetto art. 1, comma 1, della legge reg. Molise n. 25 del 2008, mantenendo pertanto la previsione che consente di realizzare le modifiche all’aspetto esteriore degli edifici anche nei territori sottoposti a tutela paesaggistica, ma ne ha addirittura disposto la proroga.

Ne risulterebbe violato il principio di leale collaborazione che deve caratterizzare il rapporto tra Stato e regioni.

La previsione normativa menzionata si porrebbe, altresì, in contrasto con i principi di copianificazione obbligatoria e di prevalenza del piano paesaggistico (di cui agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali), a cagione dell’elaborazione unilaterale, da parte della Regione, della disciplina transitoriamente applicabile agli immobili paesaggisticamente tutelati, nonché con gli artt. 3, 9 e 97 della Costituzione.

Infine, stante il generale abbassamento del livello di tutela, si avrebbe anche contrasto con il valore primario e assoluto del paesaggio, riconosciuto ancora dall’art. 9 Cost.

1.2.– Oggetto di impugnazione è poi l’art. 6, comma 3, della legge reg. Molise n. 7 del 2022, che sostituisce l’art. 21, comma 2, della legge della Regione Molise 30 marzo 1995, n. 10 (Nuovo ordinamento della formazione professionale). La nuova disposizione prevede il ricorso a figure esterne all’amministrazione regionale, «ove il dirigente del settore istruzione e formazione professionale ne ravvisi l’opportunità», per l’espletamento delle attività, spettanti alla regione o alle province, indicate dal comma 1 del medesimo art. 21, che si riferiscono all’accertamento dei requisiti per il riconoscimento del «Centro di Formazione Professionale» e delle sedi di svolgimento dei corsi, nonché alla vigilanza e al controllo tecnico, didattico, amministrativo e contabile sullo svolgimento delle attività corsuali.

A giudizio del ricorrente questa previsione si porrebbe in contrasto con gli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alle norme interposte di cui agli artt. 7, commi 6 e 6-bis, e 19, commi 6, 6-bis e 6-ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

La disposizione impugnata non chiarirebbe in base a quali istituti giuridici possa realizzarsi il previsto ricorso a figure esterne. Qualora attuato mediante contratti di collaborazione, peraltro, l’impiego di personale esterno dovrebbe avvenire nel rispetto della normativa statale vigente, di cui alle richiamate norme nazionali, le quali dettano specifici requisiti di legittimità validi nei confronti di tutte le amministrazioni pubbliche. Verrebbe, dunque, incisa la competenza legislativa esclusiva statale nella materia dell’ordinamento civile, «posto che l’avvalimento del personale di cui trattasi avviene mediante la stipulazione di un contratto di diritto privato».

1.3.– Viene ancora impugnato l’art. 6, comma 6, lettere b) e d), numeri 1 e 2, della legge reg. Molise n. 7 del 2022.

In particolare, la lettera b) di detta norma sopprime alcune parole nel testo dell’art. 2-bis, comma 1, della legge della Regione Molise 11 dicembre 2009, n. 30 (Intervento regionale straordinario volto a rilanciare il settore edilizio, a promuovere le tecniche di bioedilizia e l’utilizzo di fonti di energia alternative e rinnovabili, nonché a sostenere l’edilizia sociale da destinare alle categorie svantaggiate e l’edilizia scolastica). Secondo il ricorrente la disposizione impugnata, che, modificando l’art. 2-bis, comma 1, della legge regionale citata, sul cosiddetto piano casa, mediante la soppressione delle «parole ricomprese tra “ampliamento degli edifici” ed “esistenti alla data del 31 dicembre 2014”» e determinerebbe il seguente testo di risulta: «[al] fine di rigenerare il patrimonio edilizio ricadente nei centri storici di cui all’articolo 2 del decreto ministeriale n. 1444/1968, è consentito l’ampliamento degli edifici, fino al 20 per cento del volume esistente, se diretto all’esclusivo scopo di migliorarne la vivibilità o l’efficienza energetica oppure la fruibilità attraverso la eliminazione delle barriere architettoniche».

Il ricorrente lamenta che, per effetto della soppressione delle parole disposta dal legislatore regionale del 2022, si consentirebbe, oggi, l’incremento volumetrico fino al venti per cento «per tutti gli edifici», realizzati in qualunque tempo, e perfino per quelli di futura costruzione, e non già soltanto (come si esprimeva il precedente testo) per i soli edifici a uso residenziale esistenti alla data del 31 dicembre 2014.

Nel ricorso, poi, si passa a considerare la lettera d), numero 1), del comma 6 dell’art. 6 della legge regionale impugnata, che sostituisce, nel testo dell’art. 11, comma 1, primo periodo, della legge reg. Molise n. 30 del 2009, sul cosiddetto piano casa, le parole «31 dicembre 2022» con quelle «31 dicembre 2024». Il testo di risulta di tale primo periodo, pertanto, è il seguente: «La segnalazione certificata di inizio attività o la denuncia di inizio attività di tutti gli interventi di cui alla presente legge devono essere presentate entro il 31 dicembre 2024».

Di seguito, il ricorrente esamina il numero 2) della stessa lettera d), che, ancora intervenendo sul testo dell’art. 11, comma 1, della legge regionale sul piano casa, questa volta ne modifica l’ultimo periodo, sostituendo le parole «30 aprile 2022» con quelle «30 aprile 2023». Il testo di risulta di tale ultimo periodo, pertanto, è il seguente: «Nelle more dell’adozione di provvedimenti conseguenziali al predetto accordo e comunque fino al 30 aprile 2023, sono ammessi gli interventi comportanti modifiche all’aspetto esteriore degli edifici, anche nei territori assoggettati a tutela paesaggistica sulla base di decreti ministeriali ove vigenti».

Si ricorda nel ricorso che, a seguito della proroga dell’efficacia del piano casa, disposta con la legge della Regione Molise 30 aprile 2020, n. 1 (Legge di stabilità regionale 2020), il Presidente della Regione aveva assunto un impegno con il Governo, volto a mitigare gli effetti delle continue proroghe legislative di interventi edilizi non assentibili in via ordinaria (previsti dalla legge regionale sul cosiddetto piano casa) mediante l’esplicita introduzione di riferimenti al piano paesaggistico regionale. In ottemperanza a detto impegno, il legislatore molisano (con l’art. 3, comma 1, della legge reg. Molise n. 14 del 2020) aveva dunque introdotto, a chiusura del comma 1 dell’art. 11 della legge regionale n. 30 del 2009, una clausola di rispetto delle norme di tutela paesaggistica dettate dal cod. beni culturali, con la quale, tra l’altro, si precisava che gli interventi comportanti modifiche all’aspetto esteriore degli edifici erano ammissibili solo entro i limiti stabiliti dai piani paesaggistici ovvero (in mancanza di questi ultimi) da apposito accordo tra la Regione e il Ministero.

Analogamente a quanto riferito per la prima questione, il ricorrente aggiunge che tuttavia, di lì a poco, il legislatore molisano – con la già menzionata legge regionale n. 1 del 2021 – ha approvato una norma che ha ammesso, eccezionalmente sin da subito, le modifiche esteriori degli edifici vincolati, nelle more della stipula del predetto accordo con il Ministero.

A fronte della prospettata impugnativa di tale norma del 2021, il Presidente della Regione Molise, con la nota già richiamata nelle premesse della prima questione, si era allora impegnato a modificarla in senso satisfattivo per lo Stato. E tuttavia – in modo del tutto analogo alla vicenda di cui alla prima questione – con la legge regionale in questa sede impugnata il legislatore molisano non solo non ha introdotto le modifiche satisfattive, ma ha addirittura prorogato di un anno la previsione del 2021.

In tal modo, il legislatore regionale sarebbe venuto meno agli impegni presi con il Governo, i quali andrebbero collocati «nello stesso solco degli accordi finalizzati alla elaborazione congiunta del piano» paesaggistico. Ne deriverebbe la violazione del principio di leale collaborazione (sono citate le sentenze n. 54 del 2021 e n. 86 del 2019). Sarebbero altresì violati i principi di copianificazione obbligatoria e di preminenza del piano paesaggistico, di cui agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, non spettando alla regione unilateralmente disciplinare i beni paesaggistici tutelati, la cui regolamentazione è rimessa dal codice al piano paesaggistico, da elaborarsi congiuntamente tra lo Stato e la regione.

Illegittima, altresì, sarebbe la proroga della legge regionale sul piano casa, disposta fino al 31 dicembre 2024. Aggiungendosi a una lunga serie di proroghe, già disposte da precedenti interventi legislativi, essa avrebbe snaturato la finalità perseguita dal legislatore regionale del 2009 (e dal precedente accordo raggiunto in sede di Conferenza unificata in data 1° aprile 2009), che era quella di «consentire interventi “straordinari” per un periodo temporalmente limitato». Ne risulterebbe invasa la competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per violazione della normativa di tutela dei beni culturali e paesaggistici di cui al cod. beni culturali.

Ricorda il ricorrente, in proposito, che la Parte III cod. beni culturali ha delineato «un sistema organico di tutela paesaggistica», inquadrandolo nella prospettiva dell’elaborazione congiunta, tra Stato e regioni, del piano paesaggistico, avente «assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale». Le continue proroghe di interventi non assentibili in via ordinaria, derivanti da unilaterali scelte della Regione Molise, si porrebbero dunque in contrasto con detta disciplina e, sul piano costituzionale, con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.

1.4.– È poi impugnato l’art. 6, comma 11, lettere b) e c), della legge reg. Molise n. 7 del 2022, nella parte in cui dette disposizioni sostituiscono rispettivamente gli artt. 6 e 7 della legge della Regione Molise 11 aprile 1997, n. 9 (Tutela, valorizzazione e gestione del demanio tratturi). Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, specificamente, la possibilità, introdotta dalla novella del 2022, di alienare i suoli tratturali «irrimediabilmente compromessi dalla presenza di manufatti e strutture non amovibili» attraverso appositi piani di alienazione con cadenza annuale.

Tale previsione, a giudizio del ricorrente, si porrebbe in contrasto, anzitutto, con gli artt. 3 e 9 Cost. Si ricorda che, a mente dell’art. 53, comma 2, cod. beni culturali, i beni del demanio culturale non possono essere alienati, né formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei limiti e con le modalità previste dal cod. beni culturali. In particolare, a norma dell’art. 54, sono inalienabili, tra gli altri, gli immobili e le aree di interesse archeologico. I tratturi – fa notare il ricorrente – hanno «ordinariamente la natura di immobili di interesse archeologico». Di conseguenza, la loro alienabilità risulterebbe esclusa espressamente dall’art. 54 cod. beni culturali; in ogni caso, anche al di fuori delle fattispecie indicate da quest’ultima norma, il ricorrente precisa che «la sdemanializzazione e l’alienazione di tali beni non potrebbe avvenire […] senza l’autorizzazione dei competenti organi del Ministero della cultura».

Si aggiunge che l’eventuale compromissione dei tratturi di proprietà demaniale giustificherebbe, semmai, appropriate azioni di recupero e di valorizzazione, «e non certo la sdemanializzazione e l’alienazione»: ciò che determinerebbe «un arbitrario abbassamento della tutela», in violazione degli evocati artt. 3 e 9 Cost.

Sotto altro profilo, il ricorrente sostiene che l’art. 6, comma 11, lettera b), contrasterebbe anche con l’art. 117, «comma 1» (recte: secondo comma), lettera e), Cost., in quanto esso prevede, in favore dei soggetti che ricevono per trasferimento o vendita le aree tratturali su cui ricadono fabbricati e dei proprietari dei fabbricati confinanti con le medesime aree, la «priorità nella fase di rinnovo delle concessioni riguardanti aree adiacenti e/o confinanti con gli immobili» (nuovo art. 6, comma 4, della legge reg. Molise n. 9 del 1997), e non una mera prelazione. In tal modo verrebbe illegittimamente ristretta la concorrenza nelle procedure di concessione delle aree pubbliche.

1.5.– Viene poi impugnato l’art. 6, comma 12, lettera d), della legge reg. Molise n. 7 del 2022, che introduce i commi 2-bis e 2-ter nell’art. 15 della legge della Regione Molise 4 maggio 2015, n. 8 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2015 in materia di entrate e spese. Modificazioni e integrazioni di leggi regionali).

Per effetto della novella, viene consentita l’assunzione di nuovo personale presso l’Agenzia regionale per la ricostruzione post-sisma e per le opere strategiche e la tutela del territorio (ARPS), prevedendosi, in particolare, al nuovo comma 2-bis che l’ARPS, al ricorrere delle condizioni previste dalla vigente normativa, possa assumere personale, previa predisposizione del piano triennale dei fabbisogni di personale e nel rispetto dei vincoli assunzionali, e, al nuovo comma 2-ter, la copertura di «ulteriori» posti della dotazione organica di tale Agenzia mediante procedura selettiva «riservata a coloro che sono in possesso di specifica esperienza professionale nelle materie di cui all’articolo 11, comma 3-quater, della presente legge».

Il ricorrente, nell’evidenziare la «scarsa chiarezza della norma in esame, la quale non consente di individuare quali siano gli ulteriori posti della dotazione organica dell’Agenzia» da coprire, né, «conseguentemente», quale sia la ratio della riserva di esperienza professionale, come sancita dal nuovo comma 3-quater dell’art. 11 della legge reg. Molise n. 8 del 2015, avanza l’ipotesi che, in tal modo, «la Regione voglia procedere ad una surrettizia stabilizzazione di personale». Si ricorda che, a norma degli artt. 6 e 6-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, la definizione della dotazione organica è orientata dalla preliminare valutazione dei fabbisogni di personale, secondo il piano triennale elaborato al riguardo da ciascuna amministrazione. Le disposizioni impugnate, a giudizio del ricorrente, devierebbero da tale percorso, ponendosi così in contrasto con gli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Viene inoltre evidenziato che la previsione di una procedura selettiva, riservata a coloro che sono in possesso di specifica esperienza professionale nei campi di attività dell’Agenzia, «appare porsi al di fuori del perimetro traccia[t]o per tutte le pubbliche amministrazioni, in materia di proced[u]re concorsuali riservate, dall’art. 35, comma 3-bis del d.lgs. n. 165/2001», con conseguente contrasto, sotto questo profilo, con gli artt. 97 e 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost. Si ricorda, in proposito, che, in tema di stabilizzazione di personale, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte qualificato le norme statali in materia come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, essendo esse ispirate alla finalità del contenimento della spesa pubblica nello specifico settore del personale. Sarebbe, altresì, incisa la materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva statale, posto che le norme regionali in tema di stabilizzazione inciderebbero sulla regolamentazione del rapporto di lavoro precario, determinando la costituzione di altro e diverso rapporto giuridico. Le disposizioni impugnate, pertanto, andrebbero a collocarsi nella «fase costitutiva del contratto di lavoro», richiedendo la stipulazione di un contratto di diritto privato, la cui disciplina non potrebbe che essere rimessa alla legge dello Stato.

1.6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, ancora, l’art. 6, comma 14, lettera b), della legge reg. Molise n. 7 del 2022, che sostituisce il comma 1 dell’art. 2 della legge della Regione Molise 11 novembre 2020, n. 12 (Disposizioni in materia di valorizzazione e utilizzazione commerciale e turistica del trabucco molisano), per violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali.

La disposizione impugnata, per le finalità indicate all’art. 1 della medesima legge reg. Molise n. 12 del 2020 (che si riferisce alla valorizzazione del patrimonio storico-culturale della costa molisana e alla promozione dell’utilizzo dei trabucchi), rimette ai comuni la redazione di piani di recupero, ripristino, conservazione e costruzione dei trabucchi, nel rispetto delle prescrizioni del Piano regionale di utilizzazione degli arenili (PRUA) e del Piano spiaggia comunale (PSC), e in conformità alle previsioni della legge della Regione Molise 22 dicembre 1999, n. 44 (Interventi per il recupero della tradizione dei trabucchi della costa molisana).

Il ricorrente richiama la sentenza n. 45 del 2022 di questa Corte, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, e 2, commi 1 e 2, della legge reg. Molise n. 12 del 2020 (nella formulazione all’epoca vigente). A seguito di essa, il legislatore molisano, con le disposizioni oggi impugnate, ha abrogato gli artt. 1, comma 2, e 2, comma 2, di tale legge regionale, provvedendo, al contempo, a sostituire il testo dell’art. 2, comma 1. Il nuovo testo, tuttavia, ricalcherebbe, nella sostanza, quello già dichiarato costituzionalmente illegittimo da questa Corte, riproponendo la competenza dei comuni quanto all’elaborazione della disciplina d’uso degli ambiti tutelati, finalizzata al recupero e alla realizzazione dei trabucchi.

Tale previsione, pertanto, sarebbe costituzionalmente illegittima per le stesse ragioni fatte valere dalla sentenza n. 45 del 2022. Ne risulterebbe nuovamente sovvertito, infatti, il sistema di competenze stabilito dagli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, che rimettono alla collaborazione tra Stato e regione l’approvazione del piano paesaggistico, chiamato a dettare le norme di tutela, senza che possa riconoscersi un autonomo spazio di intervento ai comuni. Sarebbe altresì violato il rapporto di gerarchia tra gli strumenti di pianificazione territoriale, che pone al primo posto il piano paesaggistico.

Tali profili di illegittimità costituzionale non verrebbero meno – aggiunge il ricorrente – per il solo fatto che l’art. 2 della legge reg. Molise n. 12 del 2020 non prevede più oggi (com’era nel testo originario) il recepimento dei piani comunali nel piano paesaggistico regionale. E ciò, argomenta il ricorrente, «in quanto a essere compromessa è la necessità che la disciplina d’uso degli ambiti tutelati, finalizzata al recupero e alla realizzazione di trabucchi, venga dettata dal Piano paesaggistico da approvarsi previa intesa con lo Stato».

1.7.– Infine, è impugnato l’art. 8 della legge reg. Molise n. 7 del 2022, che prevede la stabilizzazione del personale precario della Regione, degli enti strumentali e dell’Azienda sanitaria regionale del Molise (ASREM), secondo le modalità, i tempi e i requisiti previsti dall’art. 20, commi 1 e 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche».

Il ricorrente, premesso che la Regione Molise è «sottoposta a Piano di Rientro ed inoltre è commissariata», osserva che le previsioni impugnate «potrebbero interferire con i compiti affidati al Commissario ad Acta per l’attuazione del predetto Piano di rientro». In particolare, esse dovrebbero mantenersi coerenti «con quanto previsto dal suddetto Piano e dal punto ix) del mandato commissariale», che riguarda «gestione ed efficientamento della spesa per il personale in coerenza con l’effettivo fabbisogno, in applicazione della normativa vigente in materia».

Nel merito, la disposizione impugnata determinerebbe un disallineamento, rispetto alla normativa statale, della finestra temporale delle stabilizzazioni per il personale del Servizio sanitario regionale, fissando il termine del 31 dicembre 2023 anziché del 31 dicembre 2022. Ciò, in quanto la norma, nel richiamare i soli commi 1 e 2 dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, e non anche i commi 11 e 11-bis, anche per il personale sanitario renderebbe applicabile il termine temporale previsto dai primi (e divergente da quello previsto dai secondi).

Di conseguenza, consentendosi la stabilizzazione al di fuori dei termini consentiti dalla disciplina nazionale di riferimento, la disposizione impugnata violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., «che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile», oltre agli artt. 3 e 97 Cost., per contrasto con i principi di uguaglianza, buon andamento e imparzialità dell’amministrazione.

2.– Con atto depositato il 5 settembre 2022, si è costituita in giudizio la Regione Molise, in persona del Presidente pro tempore, che – in disparte l’errore materiale contenuto nelle conclusioni, che non si riferiscono alle impugnate disposizioni della legge reg. Molise n. 7 del 2022, ma alla diversa legge reg. Molise 24 maggio 2022, n. 8, recante «Legge di stabilità regionale anno 2022») – ha contestato l’impugnativa promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri limitatamente alle sole censure sviluppate nei confronti dell’art. 6, comma 11, della legge reg. Molise n. 7 del 2022. Ha, pertanto, formulato tesi difensive con esclusivo riguardo alla quarta questione, concernente l’alienazione dei tratturi.

La resistente sostiene, in proposito, che la novella introdotta nella legge reg. Molise n. 9 del 1997 non avrebbe «intaccato né […] modificato sostanzialmente l’originaria disciplina», innestandosi nel previgente impianto normativo. Anche il precedente testo degli artt. 6 e 7 della legge regionale n. 9 del 1997 prevedeva, infatti, la possibilità di alienazione dei tratturi compromessi, nell’ambito di un apposito piano di alienazione elaborato dalla Regione.

A giudizio della resistente, la novella del 2022 non avrebbe affatto «sminuito» il ruolo degli organi statali nell’ambito del procedimento di alienazione, dovendosi ancor oggi fare riferimento alle previsioni del regolamento regionale 16 (recte: 8) gennaio 2003, n. 1 (Nuovo regolamento di esecuzione della legge regionale 11 aprile 1997, n. 9, in materia di tutela, valorizzazione e gestione del suolo demaniale tratturale). L’art. 8 di tale regolamento stabilisce che solo a seguito del parere della Soprintendenza archeologica del Molise, ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, può essere redatto il piano di sclassificazione e di alienazione dei tratturi, con successivo esame da parte della Giunta regionale, chiamata ad approvarlo. Il menzionato parere, conformemente alla disciplina del cod. beni culturali, avrebbe «natura vincolante».

Quanto, poi, all’ulteriore profilo di censura sollevato dal Governo – riguardante la prevista «priorità», in favore degli acquirenti, nella fase di rinnovo delle concessioni – la resistente osserva che il legislatore regionale, con tale dizione, avrebbe utilizzato un sinonimo del sostantivo “prelazione”. La censura, comunque, sarebbe poco chiara, in quanto «non spiega perché l’utilizzo del termine “priorità”, in luogo di “prelazione” costituirebbe una differenza sostanziale e, soprattutto, non dimostra quale sarebbe il vulnus costituzionalmente rilevante, derivante dall’utilizzo della prima».

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale concernenti alcune disposizioni della legge reg. Molise n. 7 del 2022, che detta norme, afferenti a varie materie, collegate alla manovra di bilancio regionale 2022-2024.

2.– È impugnato anzitutto l’art. 6, comma 2, della legge reg. Molise n. 7 del 2022. Come emerge chiaramente dal testo della censura, essa è limitata alla previsione recata dalla lettera a), che sostituisce le parole «30 aprile 2022» con quelle «30 aprile 2023» nel testo dell’art. 1, comma 1, ultimo periodo, della legge reg. Molise n. 25 del 2008, concernente la disciplina degli interventi edilizi per il recupero dei sottotetti, dei locali interrati e seminterrati e dei porticati.

La disposizione denunziata prolunga il termine entro il quale sono transitoriamente ammessi gli interventi modificativi dell’aspetto esteriore degli edifici, anche nei territori assoggettati a tutela paesaggistica, in attesa che sopraggiunga un accordo tra Regione e Ministero per i beni e le attività culturali e il turismo (oggi: Ministero della cultura). Il testo di risulta dell’ultimo periodo dell’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 25 del 2008, a seguito della sostituzione operata con l’intervento normativo, è il seguente: «Nelle more dell’adozione di provvedimenti conseguenziali al predetto accordo e comunque fino al 30 aprile 2023, sono ammessi gli interventi comportanti modifiche all’aspetto esteriore degli edifici, anche nei territori assoggettati a tutela paesaggistica sulla base di decreti ministeriali ove vigenti».

Il ricorrente ritiene che questa previsione si ponga in contrasto con il principio di leale collaborazione, venendo con essa meno il legislatore regionale a un impegno già assunto dalla Regione Molise con il Governo, nonché «con i principi di copianificazione obbligatoria (artt. 135, 143 e 145 del Codice») e con gli artt. 3, 9 e 97 Cost.».

Inoltre, si sostiene nel ricorso che «stante il generale abbassamento del livello di tutela, la novella contrasta anche con il valore primario e assoluto del paesaggio, riconosciuto dall’art. 9 Cost. (sentenza n. 367/2007)».

2.1.– Prima di esaminare nel merito le censure sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, è opportuno un breve inquadramento della disposizione impugnata nel contesto regionale di riferimento.

Il territorio molisano risulta attualmente disciplinato, sotto il profilo della tutela paesistica, dai Piani territoriali paesistico-ambientali di area vasta (PTPAAV), adottati, per ciascuna delle «aree vaste» in cui è stato suddiviso lo stesso territorio, ai sensi della legge della Regione Molise 1° dicembre 1989, n. 24 (Disciplina dei piani territoriali paesistico-ambientali). Esistono ancora oggi, pertanto, otto diversi Piani paesistici di area vasta, approvati tra il 1997 e il 1999, il cui «insieme» costituisce il «Piano territoriale paesistico-ambientale regionale» (così l’art. 2 della legge reg. Molise n. 24 del 1989). A norma dell’art. 7 della stessa legge, i PTPAAV sono adottati dalla Giunta regionale e, previa apposita istruttoria e partecipazione dei comuni, sono approvati dal Consiglio regionale. Non è dunque prevista alcuna partecipazione di organi ministeriali, salvo che nella forma della mera possibilità di un «parere» ai sensi dell’art. 7, quarto comma, secondo periodo, della legge reg. Molise n. 24 del 1989 (che, con riferimento al frangente temporale in cui il piano adottato rimane depositato per eventuali osservazioni, stabilisce quanto segue: «Entro tale periodo, inoltre, possono pervenire eventuali pareri di amministrazioni ed aziende autonome dello Stato, di Enti Territoriali ed Associazioni interessate»).

In tale contesto, che dunque registra ancora oggi la mancanza di un piano paesaggistico condiviso con il Governo, e quindi la perdurante omessa attuazione delle previsioni del cod. beni culturali che prescrivono l’elaborazione congiunta di detto piano tra Ministero e regioni, l’art. 1 della legge reg. Molise n. 25 del 2008 consente, al quarto e ultimo periodo, la eccezionale e transitoria possibilità di effettuare modifiche all’aspetto esteriore degli edifici «anche nei territori assoggettati a tutela paesaggistica sulla base di decreti ministeriali ove vigenti».

Tale possibilità si colloca nell’ambito della realizzazione degli interventi edilizi che sono ammessi dalla medesima legge regionale n. 25 del 2008, i quali consistono nel recupero, a fini residenziali, dei sottotetti, dei porticati, degli interrati e dei seminterrati (art. 1, comma 2), da effettuarsi previa segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA; art. 1, comma 4). Tra gli interventi ammessi sono previste, tra l’altro, opere di un certo spessore, come quelle volte alla realizzazione di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi (art. 4, comma 3).

La proroga si innesta in un testo normativo frutto di precedenti integrazioni, via via succedutesi nel tempo. Rispetto all’originario testo dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Molise n. 25 del 2008, che si riferiva, genericamente, alle citate opere di recupero, si è avuta una prima integrazione a opera dell’art. 3, comma 2, della legge reg. Molise n. 14 del 2020, che ha aggiunto due periodi in chiusura del comma 1. Con essi, il legislatore regionale ha prescritto il necessario rispetto delle disposizioni di cui alla parte seconda del d.lgs. n. 42 del 2004, quelle cioè concernenti i beni culturali (così l’attuale secondo periodo del comma 1) e, quanto alla tutela dei beni paesaggistici, ha ammesso «gli interventi comportanti modifiche all’aspetto esteriore degli edifici» solo«nei casi e nei limiti previsti dai piani paesaggistici di cui agli articoli 135, comma 1, e 143, comma 2, ovvero dalla disciplina d’uso dei beni paesaggistici, di cui agli articoli 140, 141 e 141-bis, ovvero nei casi e nei limiti individuati mediante apposito accordo stipulato tra la Regione e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, destinato a confluire nei piani paesaggistici» (così l’attuale terzo periodo del comma 1).

In tal modo, il legislatore molisano, pur nella perdurante assenza di un piano paesaggistico condiviso con lo Stato ai sensi delle previsioni del cod. beni culturali, aveva già ammesso la possibilità di modifiche all’aspetto esteriore degli edifici purché entro i binari di una concertazione di livello preliminare, destinata teoricamente a confluire nella pianificazione paesaggistica (una volta, naturalmente, che questa fosse stata definitivamente varata).

Una seconda integrazione è stata poi apportata dall’art. 7, comma 8, della legge reg. Molise n. 1 del 2021, che ha aggiunto, in coda al comma 1 in esame, un ulteriore periodo (il quarto, e attualmente ultimo). Esso consente, in via transitoria, e «anche nei territori assoggettati a tutela paesaggistica sulla base di decreti ministeriali ove vigenti», la realizzazione delle modifiche esteriori pur nelle more dell’adozione dei provvedimenti consequenziali al predetto accordo con il Ministero, dunque sostanzialmente prescindendo da quest’ultimo, con conseguente deviazione unilaterale rispetto al previsto percorso condiviso di redazione del piano paesaggistico.

Come detto, la proroga al 30 aprile 2023, oggetto della presente questione, si riferisce proprio a quest’ultima possibilità, ammessa dal quarto periodo del comma 1 in esame.

2.2.– Tanto premesso, le questioni sono fondate in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che il sistema di pianificazione paesaggistica, come delineato dal codice di settore, costituisce «attuazione dell’art. 9, secondo comma, Cost. ed è funzionale a una tutela organica e di ampio respiro, che non tollera interventi frammentari e incoerenti (da ultimo, sentenze n. 187, n. 45 e n. 24 del 2022, n. 219 e n. 74 del 2021)» (sentenza n. 229 del 2022). L’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica assurge, dunque, a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale (ex plurimis, sentenze n. 187, n. 45 del 2022, n. 74 del 2021 e n. 240 del 2020), ed è espressione delle scelte del legislatore nazionale, dotato in materia di competenza legislativa esclusiva ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Come pure chiarito da questa Corte, la «tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali» (sentenza n. 367 del 2007), rimanendo comunque salva la facoltà delle regioni «di adottare norme di tutela ambientale più elevate nell’esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che vengano a contatto con quella dell’ambiente» (sentenze n. 272 e n. 12 del 2009).

Coglie pertanto nel segno la censura che lamenta la violazione del principio della copianificazione paesaggistica, come codificato nelle norme nazionali di settore richiamate dal ricorso, che costituiscono espressione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. La previsione impugnata, infatti, protrae nel tempo la possibilità, già eccezionale e transitoria, di realizzare modifiche all’aspetto esteriore degli edifici, anche nei territori che risultino assoggettati a tutela paesaggistica (sulla base di vigenti prescrizioni ministeriali); e ciò stabilisce prescindendo, in modo esplicito, dal necessario percorso condiviso con lo Stato, finalizzato a confluire nel piano paesaggistico. Essa si pone, pertanto, al di fuori di qualsiasi schema di cooperazione o di collaborazione con l’autorità statale competente, pur con riferimento a beni il cui rilievo paesaggistico risulti attestato da apposito provvedimento ministeriale e che, come tali, richiedono la pianificazione congiunta ai sensi degli artt. 135, comma 1, e 143, comma 1, cod. beni culturali.

Siffatta previsione, come ulteriormente riferito nel ricorso, è stata introdotta dal legislatore molisano dopo che la stessa Regione si era formalmente impegnata con il Ministero (come risulta dalla nota prot. n. 104241, del 23 giugno 2021, che il ricorrente ha depositato), ad introdurre modifiche legislative che avrebbero dovuto essere di opposto tenore, in quanto dirette a contenere – e non a ulteriormente aggravare – la deroga al principio di pianificazione congiunta che era stata introdotta con la legge reg. Molise n. 1 del 2021. A fronte di simile impegno, peraltro, il ricorrente riferisce di non aver provveduto a impugnare la predetta legge regionale del 2021 proprio in un’ottica di collaborazione istituzionale.

In questo complessivo contesto, in cui la Regione, come chiarito, è priva di un piano paesaggistico frutto di condivisione con lo Stato, e in cui non è neppure stato raggiunto l’accordo preliminare volto alla sola regolazione degli interventi edilizi di modifica degli aspetti esteriori degli edifici (pur preannunziato dalla legge regionale n. 14 del 2020), la decisione unilaterale della Regione di prorogare il termine entro il quale sono consentiti quegli interventi costituisce violazione non solo degli impegni assunti con il Governo, ma soprattutto di quanto prescritto dal cod. beni culturali che, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti in materia, mira a garantire «l’effettiva ed uniforme tutela dell’ambiente» (sentenza n. 210 del 2016).

Deve, quindi, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, lettera a), della legge reg. Molise n. 7 del 2022, per violazione della competenza esclusiva del legislatore statale che, nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ha codificato il principio della pianificazione paesaggistica congiunta negli artt. 135 e 145 cod. beni culturali.

Restano assorbite le ulteriori censure.

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna poi l’art. 6, comma 3, della legge reg. Molise n. 7 del 2022, che sostituisce l’art. 21, comma 2, della legge reg. Molise n. 10 del 1995, in materia di formazione professionale.

La nuova disposizione stabilisce le modalità con le quali la Regione o – per le attività loro delegate – le province esercitano i compiti inerenti alla vigilanza e al controllo sulla formazione professionale. Si prevede che le funzioni inerenti all’accertamento dei requisiti per il riconoscimento dei centri di formazione professionale e delle sedi di svolgimento dei corsi, nonché quelle di vigilanza e di controllo tecnico, didattico, amministrativo e contabile sullo svolgimento delle attività corsuali «possono essere espletate anche mediante ricorso a figure esterne all’Amministrazione regionale, ove il dirigente del settore istruzione e formazione professionale ne ravvisi l’opportunità».

A giudizio del ricorrente questa previsione si porrebbe in contrasto con gli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alla normativa interposta di cui agli artt. 7, commi 6 e 6-bis, e 19, commi 6, 6-bis e 6-ter, del d.lgs. n. 165 del 2001, che dettano specifici requisiti inerenti al conferimento di incarichi esterni, validi nei confronti di tutte le amministrazioni pubbliche. Il legislatore regionale avrebbe invaso la materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva statale, «posto che l’avvalimento del personale di cui trattasi avviene mediante la stipulazione di un contratto di diritto privato».

3.1.– Deve premettersi che il legislatore molisano, già con la legge 9 dicembre 2019, n. 16 (Disposizioni in materia di politiche attive del lavoro e formazione professionale e funzionamento del sistema regionale dei servizi per il lavoro), aveva perseguito un obiettivo analogo a quello della disposizione oggi impugnata dallo Stato. In quell’occasione era stata istituita una struttura di supporto all’attività regionale dei servizi territoriali per il lavoro, volta a sopperire alla carenza di organico degli uffici regionali (artt. 1 e 3, comma 4), e destinata a operare anche nello specifico settore della formazione professionale, con il compito di realizzare una «base informativa inerente la filiera della formazione professionale regionale» (art. 1, comma 4). Si era previsto l’impiego, presso tale struttura, di personale esterno alla Regione, da individuarsi tra gli operatori della formazione professionale iscritti nel relativo albo regionale (art. 15).

Questa Corte, con la sentenza n. 257 del 2020, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di dette previsioni – unitamente ad altre della medesima legge regionale, parimenti afferenti al regime da applicarsi a tale personale “esterno” e alle modalità del suo impiego presso la Regione – per violazione della sfera di competenza legislativa esclusiva statale nella materia dell’ordinamento civile, ravvisando l’incompatibilità della complessiva disciplina regionale rispetto a quella statale che regola il trattamento giuridico dei dipendenti pubblici. Si è rilevato, in particolare, in quella occasione, che la legge molisana, nel prevedere un’utilizzazione tendenzialmente permanente dei lavoratori così individuati, per l’approntamento di una struttura «che l’organico regionale non era in grado di assicurare», istituiva una peculiare ipotesi di distacco del personale, non avente riscontri nel diritto privato del lavoro, e dunque priva dei suoi connotati essenziali che sono l’interesse dell’imprenditore distaccante e la temporaneità del distacco. Questa tendenziale “internalizzazione” di personale privato nell’organico regionale, proprio perché strettamente funzionale all’operatività della struttura di nuovo conio, è stata dunque ritenuta in contrasto non solo con la competenza legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento civile», ma altresì con il principio di uguaglianza e di buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost.

La disposizione della legge reg. Molise n. 7 del 2022, oggetto della presente questione, pur perseguendo l’analogo obiettivo dell’“internalizzazione”, si pone tuttavia su un piano parzialmente diverso, in quanto il ricorso a figure esterne all’amministrazione regionale è adesso previsto in maniera eventuale, essendo rimesso ad apposita valutazione di opportunità da parte del dirigente del settore istruzione e formazione professionale, e soprattutto non forma oggetto di disciplina lungo il versante della costituzione del relativo rapporto di lavoro. L’impiego delle figure esterne, peraltro, è riferito solo all’espletamento di funzioni (di accertamento, vigilanza e controllo), in relazione allo specifico settore della formazione professionale, che per il resto rimangono istituzionalmente affidate agli uffici amministrativi già esistenti e che continueranno ad essere svolte dal personale pubblico disponibile (eventualmente, appunto, affiancato da quello esterno).

3.2.– Tanto premesso, le questioni non sono fondate, nei sensi di seguito precisati.

La disposizione impugnata si limita a prevedere la possibilità che unità di personale “esterno” siano utilizzate dalla Regione per il compimento delle predette attività, ma non indica le modalità con le quali tale operazione dovrà essere compiuta. Essa, dunque, si ferma sulla soglia che attiene alla sfera organizzativa interna della struttura amministrativa della Regione, rientrando nel titolo di competenza regionale esclusivo che attiene all’organizzazione delle risorse umane e che riguarda la fase anteriore all’instaurazione del rapporto di lavoro.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, sono ascrivibili alla materia dell’ordinamento civile gli interventi legislativi che dettano misure relative a rapporti lavorativi già in essere, mentre rientrano nella competenza legislativa regionale quelli che riguardano profili pubblicistico-organizzativi che si collocano a monte (ex plurimis, sentenza n. 195 del 2021 e, con specifico riguardo all’impiego di soggetti “esterni” all’amministrazione, sentenza n. 70 del 2022).

Va tuttavia rilevato che la disposizione impugnata, accennando al «ricorso a figure esterne», e rimettendo la scelta ad una mera valutazione di opportunità del dirigente, lambisce la predetta soglia, lasciando intendere che l’impiego del personale esterno, anziché costituire una soluzione eccezionale praticabile entro le stringenti condizioni fissate dalla cornice statale di riferimento, costituirà il modello ordinario della gestione delle risorse umane nel particolare settore considerato. Affinché la disposizione stessa non presti il fianco alle censure prospettate, che (attraverso il richiamo agli artt. 117, secondo comma, lettera l, e 97 Cost.) si riferiscono alla violazione sia del riparto delle competenze legislative, sia a profili di buon andamento dell’amministrazione, in modo non dissimile dal vizio di illegittimità costituzionale rinvenuto nel menzionato precedente di cui alla sentenza n. 257 del 2020, occorre intenderne correttamente il significato, in linea con i predetti parametri costituzionali. Il ricorso alle figure esterne dovrà, quindi, essere interpretato nel senso che, qualora il dirigente competente ne ravvisi l’opportunità, dovranno comunque essere rispettati i requisiti e le modalità che le norme statali di settore – e, in specie, l’art. 7, commi 6 e 6-bis, nonché, quanto agli incarichi dirigenziali, l’art. 19, commi 6, 6-bis e 6-ter, t.u. pubblico impiego – impongono per il conferimento di incarichi individuali a soggetti esterni.

Così interpretata, la disposizione regionale impugnata si sottrae alle censure di illegittimità costituzionale fatte valere dal ricorrente.

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, ancora, l’art. 6, comma 6, lettere b) e d), della legge reg. Molise n. 7 del 2022, deducendo la violazione del principio di leale collaborazione, degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. e degli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali (evocati quali norme interposte). Le disposizioni impugnate modificano, estendendone la portata, la disciplina degli interventi edilizi straordinari di cui alla legge reg. Molise n. 30 del 2009 (cosiddetta legge sul piano casa). L’estensione opera su un duplice piano, interessando ora la tipologia di costruzioni che possono subire ampliamenti della volumetria edilizia, ora il margine temporale entro il quale gli interventi in deroga vengono consentiti. Tratto comune è l’allargamento delle precedenti ipotesi di deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici.

In particolare, con la lettera b), sono soppresse alcune parole nel testo dell’art. 2-bis, comma 1, della legge reg. Molise n. 30 del 2009, che già consentiva interventi di ampliamento volumetrico per il recupero degli edifici ricadenti nei centri storici. Nel dettaglio, sono soppresse «le parole ricomprese tra “ampliamento degli edifici” ed “esistenti alla data del 31 dicembre 2014”». A giudizio del ricorrente, il conseguente testo di risulta consentirebbe l’ampliamento, con incremento volumetrico fino al venti per cento, di tutti gli edifici situati nei centri storici, realizzati in qualunque tempo, e persino di futura costruzione (e non più, dunque, soltanto degli edifici a uso residenziale esistenti alla data del 31 dicembre 2014, secondo quanto indicato dal testo previgente).

La seconda disposizione impugnata, ossia l’art. 6, comma 6, lettera d), al numero 1), ha provveduto invece a sostituire alcune parole nel testo dell’art. 11, comma 1, primo periodo, della legge regionale sul piano casa, che ne fissava la tempistica di applicazione. In luogo della data «31 dicembre 2022» viene adesso prevista la data del «31 dicembre 2024» nel seguente testo di risulta: «La segnalazione certificata di inizio attività o la denuncia di inizio attività di tutti gli interventi di cui alla presente legge devono essere presentate entro il 31 dicembre 2024».

Ancora, il numero 2) della lettera d) opera un’ulteriore sostituzione di date, questa volta intervenendo sul testo dell’ultimo periodo del medesimo art. 11, comma 1, della stessa legge regionale sul piano casa. Vengono sostituite le parole «30 aprile 2022» con le parole «30 aprile 2023», ottenendosi il seguente testo di risulta: «Nelle more dell’adozione di provvedimenti conseguenziali al predetto accordo e comunque fino al 30 aprile 2023, sono ammessi gli interventi comportanti modifiche all’aspetto esteriore degli edifici, anche nei territori assoggettati a tutela paesaggistica sulla base di decreti ministeriali ove vigenti».

Riguardo a quest’ultima previsione, e similmente a quanto riferito per la prima questione (concernente analoga sostituzione di date nella corrispondente previsione della legge molisana sul recupero dei sottotetti, dei porticati, degli interrati e seminterrati), anche in questo caso il ricorrente richiama l’«impegno puntuale» che, in occasione di una precedente proroga dell’efficacia della legge regionale sul piano casa, era stato assunto dalla Regione Molise con il Governo. Nonostante la Regione si fosse, dunque, impegnata a riformulare le norme che consentono, ancora oggi, la realizzazione degli interventi edilizi in deroga, attraverso l’introduzione di un’esplicita previsione che richiamasse la necessità dell’autorizzazione paesaggistica, l’impugnata previsione in esame non solo sarebbe venuta meno a tale impegno, ma avrebbe addirittura aggravato la situazione, disponendo la proroga di un anno della disciplina transitoria già prevista. Ne conseguirebbe la violazione del principio di leale collaborazione, oltre che dei principi di copianificazione obbligatoria e di preminenza del piano paesaggistico, di cui agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali.

Costituzionalmente illegittima, altresì, sarebbe la proroga della legge sul piano casa, come disposta dall’art. 6, comma 6, lettera d), numero 1), della legge reg. Molise n. 7 del 2022. La proroga in questione, che è solo l’ultima di una lunga serie, finirebbe infatti per snaturare le finalità del piano casa, che consisteva, all’epoca, nell’ammettere interventi edilizi straordinari solo per un limitato periodo di tempo. Essa, dunque, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per indebita invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, in relazione alle già richiamate prescrizioni del cod. beni culturali.

4.1.– Con riguardo alla disposizione molisana (art. 6, comma 6, lettera b, della legge regionale n. 7 del 2022), che ha esteso la possibilità, già in precedenza ammessa dall’art. 2-bis della legge regionale sul piano casa, di realizzare l’ampliamento di edifici esistenti nei centri storici, deve essere anzitutto verificata la correttezza dell’interpretazione avanzata dal ricorrente, secondo il quale la novella del 2022 consentirebbe, oggi, l’ampliamento di tutti gli edifici situati nei centri storici a prescindere dall’epoca della loro realizzazione, e addirittura anche di quelli di futura costruzione.

L’assunto non è corretto.

Il testo previgente era stato introdotto dall’art. 3, comma 1, della legge della Regione Molise 14 aprile 2015, n. 7, recante «Disposizioni modificative della legge regionale 11 dicembre 2009, n. 30 (Intervento regionale straordinario volto a rilanciare il settore edilizio, a promuovere le tecniche di bioedilizia e l’utilizzo di fonti di energia alternative e rinnovabili, nonché a sostenere l’edilizia sociale da destinare alle categorie svantaggiate e l’edilizia scolastica)». Esso – come integrato dalla modifica introdotta dall’art. 7, comma 2, della legge della Regione Molise 24 gennaio 2018, n. 1 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2018-2020 in materia di entrate e spese. Modificazioni e integrazioni di leggi regionali), che aveva innalzato la percentuale di aumento volumetrico dall’originaria soglia massima del dieci per cento a quella (ancor oggi contemplata) del venti per cento – disponeva come segue: «Al fine di rigenerare il patrimonio edilizio ricadente nei centri storici di cui all’articolo 2 del decreto ministeriale n. 1444/1968, è consentito l’ampliamento degli edifici ad uso residenziale, esistenti alla data del 31 dicembre 2014, fino al 20 per cento del volume esistente, se diretto all’esclusivo scopo di migliorarne la vivibilità o l’efficienza energetica oppure la fruibilità attraverso la eliminazione delle barriere architettoniche».

Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata avrebbe soppresso non solo le parole «ad uso residenziale», ma anche l’espressione «esistenti alla data del 31 dicembre 2014». Egli ritiene, pertanto, che la novella del 2022 consentirebbe oggi non solo di ampliare qualsiasi tipologia di edificio esistente nei centri storici (non più solo quelli ad uso residenziale), ma anche di prescindere dall’epoca di realizzazione dell’edificio, applicandosi anche ai manufatti di più recente realizzazione (e finanche a quelli che verranno costruiti in futuro).

In contrario, va rilevato che la norma del 2022 sopprime, letteralmente, come riferito, solo le parole «ricomprese tra “ampliamento degli edifici” ed “esistenti alla data del 31 dicembre 2014”». In base al significato lessicale dei termini impiegati, essa dunque elide solo quanto è “ricompreso” tra i due indicati estremi, ossia, unicamente, le parole «ad uso residenziale,». Ne consegue che, per effetto della novella del 2022, è adesso consentito, nei centri storici molisani, l’ampliamento volumetrico di tutti gli edifici esistenti, pur se destinati ad uso diverso da quello residenziale, purché si tratti di edifici esistenti alla data del 31 dicembre 2014.

4.2.– Quanto precede, tuttavia, non esclude che permanga il vulnus lamentato nel ricorso, permanendo, rispetto alla precedente formulazione della norma, un’oggettiva estensione delle opere di ampliamento (che potranno adesso interessare tutti gli edifici, e non più solo quelli a uso residenziale, purché, comunque, esistenti alla data del 31 dicembre 2014).

4.3.– Le questioni sono fondate.

Questa Corte ha ricondotto le disposizioni regionali attuative della disciplina del “Piano casa” alla competenza legislativa concorrente delle regioni in materia di «governo del territorio», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto esse disciplinano, nel loro nucleo essenziale, aspetti attinenti alla normativa edilizia e urbanistica (da ultimo, ex plurimis, sentenza n. 17 del 2023). Con specifico riguardo alle norme regionali che, successivamente all’adozione della legge sul piano casa di una determinata regione, hanno previsto proroghe per la realizzazione degli interventi in deroga, questa Corte ha affermato che il conseguente ampliamento degli interventi assentibili non interferisce, di per sé solo considerato, con il diverso profilo della tutela del paesaggio, in quanto «il valore unitario e prevalente della pianificazione paesaggistica […] mantiene intatta la sua forza imperativa anche con riguardo alle leggi regionali attuative del “Piano casa”, piano che, pur nelle sue differenti versioni, deve essere sottoposto a stretta interpretazione per quel che attiene alla sua portata derogatoria» (sentenze n. 17 del 2023, n. 229 del 2022 e n. 170 del 2021; nello stesso senso, ex plurimis, da ultimo, sentenza n. 124 del 2021).

In questa prospettiva, qualora la legge regionale di proroga (o, comunque, di ampliamento oggettivo degli interventi assentibili secondo il piano casa) non preveda deroghe espresse alle previsioni di tutela paesaggistica, essa «può e deve essere interpretat[a] in termini compatibili con le prescrizioni del piano paesaggistico, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte» (così, ex plurimis, sentenza n. 59 del 2023); ciò, tuttavia, a condizione che, per l’appunto, si tratti di regione dotata di piano paesaggistico, frutto di condivisione con la competente autorità statale, secondo le prescrizioni del cod. beni culturali. Come ritenuto da questa Corte, infatti, l’omessa indicazione, da parte del legislatore regionale, della espressa necessità di rispettare il piano paesaggistico o il codice di settore «non determina di per sé l’illegittimità costituzionale della disposizione solo ove nella stessa regione sia operante un piano paesaggistico approvato secondo quanto previsto dagli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali (sentenze n. 187 e n. 24 del 2022, n. 124 e n. 54 del 2021)» (così, da ultimo, sentenza n. 251 del 2022). Conseguentemente, questa Corte ha predicato la necessità di una «maggiore cautela» nel valutare le norme regionali che intersechino profili attinenti alla pianificazione paesaggistica, qualora ci si trovi di fronte alla mancanza di un piano paesaggistico codeciso tra lo Stato e la regione; e ciò, «[n]on perché la Regione non possa in nessun caso attivare le proprie competenze legislative, ma perché va evitato il rischio che esse […] permettano il consolidamento di situazioni tali da ostacolare il compiuto sviluppo della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 187 del 2022, sul punto richiamata dalla sentenza n. 251 del 2022).

Nel caso di specie, ai fini dell’accoglimento delle questioni promosse, assume rilevanza la medesima premessa da cui questa Corte è più sopra partita nell’esame della prima questione (punto 2.1. del presente Considerato in diritto), cui va aggiunta un’ulteriore circostanza che caratterizza il complessivo scenario di tutela paesaggistica vigente nella Regione Molise.

Da un lato, si ribadisce il rilievo della perdurante mancanza di una pianificazione paesaggistica condivisa con lo Stato. Non solo non è stato ancora approvato un piano paesaggistico secondo il procedimento indicato dal cod. beni culturali, ma (analogamente a quanto visto con riguardo alla prima questione) non sono stati nemmeno conclusi accordi prodromici a detta approvazione, pur già astrattamente previsti dalle norme che regolano aspetti settoriali della tutela paesistica, come nel caso che riguarda le possibili modifiche dell’aspetto esteriore degli edifici in contesti paesaggisticamente tutelati.

Dall’altro lato, ad aggravare il precario contesto di tutela, si è introdotta una deroga espressa al principio di prevalenza della tutela paesaggistica, pur se temporanea e limitata a specifici interventi edilizi. Una delle disposizioni impugnate, infatti, ammette la possibilità di realizzare modifiche all’aspetto esteriore degli edifici pur in contesti paesaggisticamente tutelati, prescindendo dunque dalle prescrizioni vigenti; e ciò è tanto più grave, in quanto tale norma è introdotta, come eccezione esplicita, in chiusura della disposizione (l’art. 11, comma 1, della legge regionale n. 30 del 2009) che stabilisce l’ambito di applicazione temporale della legge sul “Piano casa”.

Alla luce delle osservazioni che precedono, emerge anzitutto l’illegittimità costituzionale della modifica che ha interessato la disciplina sul recupero degli immobili situati nei centri storici di cui all’art. 2-bis, comma 1, della legge reg. Molise n. 30 del 2009. L’ampliamento fino al venti per cento del volume esistente, oggi consentito anche per gli edifici non residenziali situati nei centri storici (purché esistenti alla data del 31 dicembre 2014), senza una contestuale ed esplicita clausola di salvaguardia delle norme dettate dal cod. beni culturali, e nell’attuale assenza di una pianificazione paesaggistica condivisa (sentenza n. 251 del 2022, punto 6.3. del Considerato in diritto), rischia di sottoporre i beni dotati, anche potenzialmente, di rilevanza paesaggistica ad un abbassamento della tutela praticabile, anche e soprattutto in prospettiva futura. Il procedimento di pianificazione, nel momento in cui interverrà, dovrà infatti confrontarsi con situazioni già consolidate (sentenza n. 187 del 2022, punto 9.4.1. del Considerato in diritto), eventualmente anche in modo irreversibile, per effetto dell’attuale disciplina maturata al di fuori del percorso condiviso con lo Stato.

In simile situazione, non è sufficiente la clausola di salvezza, pur contemplata dal comma 2 dell’art. 2-bis in esame, che ammette gli ampliamenti in questione «ferme restando le autorizzazioni connesse alla disciplina dei vincoli». Al momento, infatti, i «vincoli» così preservati sono solo quelli apposti in assenza della pianificazione condivisa con lo Stato, e dunque non si riferiscono a quelle situazioni che – pur potenzialmente tutelabili, all’esito del procedimento di pianificazione regolato ai sensi del codice di settore – rischiano di rimanere definitivamente compromesse per l’assenza di attuali protezioni.

Ancor più grave è il vulnus recato dalle due ulteriori previsioni impugnate, che allargano la finestra temporale entro la quale sono consentiti gli interventi in deroga previsti dalla legge molisana sul “Piano casa”. Da un lato, viene prorogata al 31 dicembre 2024 la possibilità di presentare la SCIA o la dichiarazione di inizio attività (DIA) per tutti gli interventi edilizi in deroga (nuovo testo del primo periodo dell’art. 11, comma 1); dall’altro lato, è disposta la proroga al 30 aprile 2023 per gli interventi che comportano modifiche all’aspetto esteriore degli edifici, pur se in contesti paesaggisticamente tutelati, nelle more dello specifico accordo Regione-Ministero (nuovo testo dell’ultimo periodo dell’art. 11, comma 1). Entrambe le proroghe scontano una duplice mancanza.

Per un verso, analogamente alla disposizione prima esaminata di cui all’art. 2-bis, comma 1, anche qui non può considerarsi sufficiente la clausola di salvezza contenuta nel comma 2 dell’art. 11 (secondo cui «Le disposizioni di cui alla presente legge, fatto salvo quanto previsto ai successivi commi, si applicano anche agli edifici soggetti a specifiche forme di tutela, a condizione che gli interventi siano espressamente autorizzati dall’autorità competente alla relativa tutela, in conformità della normativa statale, regionale o degli strumenti urbanistici e territoriali»). Come nel caso prima esaminato, tale clausola fa salve unicamente le «specifiche forme di tutela» attualmente vigenti, derivanti quindi da una cornice pianificatoria che non è frutto della condivisione con lo Stato, mettendosi così a repentaglio la futura pianificazione che, pur entro i binari procedimentali segnati dalle norme del cod. beni culturali, non potrà che prendere atto delle situazioni di fatto irrimediabilmente ormai consolidatesi.

Per altro verso, e ancor più gravemente, l’effettiva vigenza di quella clausola di salvezza è revocabile in dubbio per il sopravvenire di altra clausola, meno ampia, che è stata introdotta direttamente nel testo del comma 1 (a opera, come già visto, dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Molise n. 14 del 2020, che ha introdotto il terzo periodo dell’art. 11, comma 1, della legge reg. Molise n. 30 del 2009) e che, pur collocata all’interno della disposizione originariamente dedicata a segnare il generale ambito temporale di applicazione di tutti gli interventi del “Piano casa”, si riferisce bensì alla salvaguardia dei beni paesaggistici, ma limitatamente «[a]gli interventi comportanti modifiche all’aspetto esteriore degli edifici» (non, dunque, a tutti gli interventi assentibili in deroga, secondo la legge sul “Piano casa”). Oltretutto, tale meno ampia clausola di salvezza è ulteriormente limitata dall’esplicita introduzione, proprio con una delle disposizioni impugnate nel presente giudizio, della deroga transitoria, che ammette le modifiche all’aspetto esteriore degli edifici anche nei contesti paesaggisticamente vincolati fino al 30 aprile 2023.

Ne risulta un quadro normativo regionale in cui l’ampliamento oggettivo degli interventi edilizi in deroga, assentibili secondo la legge sul “Piano casa” (a notevole distanza di tempo dall’approvazione di quest’ultima), non è assistito da adeguate clausole di salvaguardia paesaggistica, in un contesto che tuttora vede inattuate le norme del cod. beni culturali sulla pianificazione paesaggistica condivisa.

Tutte e tre le disposizioni impugnate sono, pertanto, costituzionalmente illegittime per violazione della competenza esclusiva del legislatore statale – che, nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ha codificato il principio della pianificazione paesaggistica congiunta agli artt. 135 e 145 cod. beni culturali – e per il conseguente abbassamento del livello di tutela ambientale (art. 9 Cost.).

Restano assorbite le ulteriori censure.

5.– È poi impugnato l’art. 6, comma 11, della legge reg. Molise n. 7 del 2022, che introduce modificazioni alla legge reg. Molise n. 9 del 1997, in materia di tutela, valorizzazione e gestione del demanio tratturi.

Il themadecidendum va limitato alle previsioni di cui alle lettere b) e c) di tale comma, le uniche che formano oggetto delle censure sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri. Esse sostituiscono, rispettivamente, l’art. 6 e l’art. 7 della legge reg. Molise n. 9 del 1997, ridisegnando la disciplina della sclassificazione e dell’alienazione dei tratturi (art. 6) e del piano di alienazione degli stessi (art. 7). Sul presupposto che si tratti di beni di interesse archeologico, come tali non alienabili, le nuove disposizioni sono impugnate per violazione degli artt. 3 e 9 Cost. – in relazione alle norme dettate dal d.lgs. n. 42 del 2004 in materia di alienazione dei beni culturali, in specie agli artt. 53 e 54 – nonché, limitatamente alle previsioni del nuovo art. 6, comma 4, della legge reg. Molise n. 9 del 1997, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

5.1.– Prima di passare all’esame delle censure, è opportuno procedere a un inquadramento normativo atto a chiarire la natura e il regime giuridico applicabile ai tratturi, come beni in origine appartenenti al cosiddetto demanio armentizio.

5.1.1.– Ascritti dapprima al demanio dello Stato, e posti sotto la diretta amministrazione delle relative articolazioni ministeriali (come prevedevano gli artt. 1 e seguenti del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3244, recante «Passaggio dei tratturi di Puglia e delle trazzere di Sicilia dalla dipendenza del Ministero delle finanze a quella del Ministero dell’economia nazionale», nonché le norme del relativo regolamento di attuazione di cui al regio decreto 29 dicembre 1927, n. 280, recante «Approvazione del regolamento per l’assetto definitivo dei tratturi di Puglia e delle trazzere di Sicilia»), i tratturi sono successivamente transitati al demanio regionale, nel quadro del trasferimento alle regioni delle funzioni concernenti il demanio armentizio. In tal senso ha disposto l’art. 66, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), trovando poi conferma nelle leggi delle regioni sul cui territorio insistono i beni in questione.

Per quanto specificamente riguarda la Regione Molise, l’art. 1 della legge regionale n. 9 del 1997 definisce i tratturi come beni del demanio regionale, riconoscendone il ruolo strumentale rispetto «alle funzioni amministrative trasferite alla regione, ai sensi del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616». Ancora all’epoca, infatti, i tratturi mantenevano la loro tradizionale funzione economica, quali beni indispensabili per l’allevamento e la pastorizia del bestiame. Tale funzione, con il passare del tempo, è andata sempre più ridimensionandosi, soprattutto a causa dell’irreversibile trasformazione dei suoli cagionata dalle attività antropiche. Alla tradizionale rilevanza economica si è quindi, via via, sostituita una funzione culturale dei tratturi, quale retaggio e testimonianza delle antiche abitudini e della storia del territorio. Questo passaggio è testimoniato, in epoca relativamente recente, dai decreti del Ministro per i beni culturali e ambientali che sono stati adottati tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, i quali hanno certificato (per quanto qui più specificamente interessa, con il decreto del Ministro segretario di Stato per i beni culturali e ambientali del 15 giugno 1976) il «notevole interesse per l’archeologia» dei tratturi del Molise, per l’effetto sottoponendoli alle previsioni della legge 1° giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose d’interesse artistico e storico).

I tratturi del Molise sono, così, passati sotto la vigilanza del Ministero per i beni culturali e ambientali, esercitata tramite la Soprintendenza del Molise, secondo quanto previsto dal citato d.m. 15 giugno 1976.

Ad oggi, essi (analogamente a quelli di altre regioni dell’Italia meridionale, che hanno assistito ad analoga evoluzione normativa), in quanto beni appartenenti al demanio regionale, e in virtù del riconoscimento del loro interesse archeologico, hanno natura giuridica di beni del demanio accidentale, ai sensi degli artt. 822, secondo comma, e 824 del codice civile. La relativa normativa è oggi contenuta negli artt. 53 e 54 del d.lgs. n. 42 del 2004, che prevedono il regime della assoluta inalienabilità dei beni culturali aventi interesse archeologico (art. 54, comma 1, lettera a, cod. beni culturali).

La rilevata natura è confermata dalle attuali previsioni dei Piani paesistico-ambientali di area vasta della Regione Molise. Ad esempio, nel PTPAAV n. 1 «Fascia costiera», i tratturi vengono indicati quali «aree archeologiche di rilievo» e sono sottoposti alla modalità di tutela «A1», che comporta l’incompatibilità di qualsiasi uso, con «divieto di qualunque intervento di modificazione dello stato dei luoghi e della vegetazione».

5.1.2.– La legge reg. Molise n. 9 del 1997, che ancora oggi detta la disciplina di tutela, valorizzazione e gestione del «demanio tratturi», è del resto chiaramente ispirata al principio di non alienabilità dei beni che fanno parte di tale demanio.

Una delle preoccupazioni principali del legislatore regionale, sin dall’adozione del richiamato testo normativo, è stata quella di assicurare un’adeguata ricognizione del territorio, proprio al fine di individuare i tratturi che devono essere conservati al demanio regionale. In proposito, l’art. 3 ha stabilito che «[l]a Regione provvede, sulla base di titoli probatori, carte descrittive, elenchi, tracce esistenti sul territorio ed ogni altro possibile elemento, all’accertamento, alla ricognizione della consistenza ed alla conseguente reintegra del suolo tratturale, allo scopo di procedere alla sua definitiva destinazione».

L’art. 4 della legge reg. Molise n. 9 del 1997, rubricato «Tratturi da conservare al demanio regionale», stabilisce, al comma 1, che i tratturi, «in quanto beni di notevole interesse storico, archeologico, naturalistico e paesaggistico, nonché utili all’esercizio dell’attività armentizia», devono essere «conservati al demanio regionale». Essi costituiscono, per esplicita menzione del comma 1, «un sistema organico della rete tratturale denominato “Parco dei tratturi del Molise”». Il comma 2 dell’art. 4, nella sua attuale formulazione, aggiunge che i tratturi, come sopra definiti, sono gestiti e amministrati dalla Regione «nel rispetto dei vincoli disposti dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42». Il comma 3 affida alla Giunta regionale il compito di elaborare un elenco dei suoli tratturali, costituenti il «Parco dei tratturi del Molise», con successiva approvazione del Consiglio regionale.

In questo contesto si inseriscono gli artt. 6 e 7 della legge reg. Molise n. 9 del 1997, come riscritti dalla legge reg. Molise n. 7 del 2022. L’art. 6, rubricato «Tratturi da sclassificare e alienare», al comma 1 affida alla Giunta regionale – sulla base di appositi «piani di alienazione» trasmessi dai comuni entro il 31 dicembre di ogni anno – il compito di elaborare un ulteriore elenco, questa volta concernente i «suoli tratturali irrimediabilmente compromessi dalla presenza di manufatti e strutture non amovibili», precisando che, per i suoli così inseriti in detto elenco, «si prevede la sdemanializzazione, il trasferimento e la vendita» (previsione, quest’ultima, che forma oggetto delle censure di cui al ricorso).

Seguono, nel testo dell’art. 6 in esame, disposizioni relative al procedimento di sclassificazione e di alienazione dei tratturi, le quali tuttavia non formano oggetto di specifica censura. Secondo tale disciplina, l’elenco dei suoli da alienare, predisposto dalla Giunta regionale, viene approvato annualmente dal Consiglio regionale, con successiva sclassificazione e alienazione dei suoli così individuati, fermo restando che deve essere conservata «la continuità del percorso tratturale» (art. 6, comma 2, alinea). Le alienazioni sono consentite in favore di enti pubblici territoriali (che hanno priorità) e dei soggetti privati che ne siano possessori attuali «sulla base di titolo legittimo», ovvero in favore dei relativi eredi (art. 6, comma 2, lettere a e b). Il prezzo di vendita è calcolato sulla base della normativa vigente in materia di esproprio ed è riferito al valore del suolo (art. 6, comma 3); ciò, fermo restando il pagamento delle somme dovute e non corrisposte per canoni pregressi (art. 7, comma 4).

La vera e propria alienazione è destinata a compiersi secondo appositi piani annuali di alienazione, disciplinati dal nuovo art. 7, che sono redatti dalla «Regione» una volta che i soggetti interessati all’acquisto, di cui alle precedenti categorie, abbiano presentato apposita domanda al competente servizio regionale (così l’art. 7, comma 1). Il piano di alienazione contiene l’elenco dei potenziali acquirenti (eventualmente, anche di quelli a titolo gratuito), i prezzi di vendita stabiliti e una relazione generale (art. 7, comma 3).

A questa complessiva disciplina che concerne la sdemanializzazione e l’alienazione dei tratturi – che corrisponde comunque, nella sostanza, a quella che era già dettata dal previgente testo degli artt. 6 e 7 della legge regionale n. 9 del 1997 – l’ultimo comma dell’art. 6 aggiunge un’ulteriore previsione che a sua volta forma oggetto di specifica censura da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, la quale così recita: «I soggetti che ricevono, per trasferimento o vendita, le aree tratturali su cui ricadono fabbricati e i proprietari di fabbricati confinanti con le medesime aree hanno priorità nella fase di rinnovo delle concessioni riguardanti aree adiacenti e/o confinanti con gli immobili» (comma 4).

5.2.– Tanto premesso, la questione riguardante il regime di alienabilità dei tratturi, come disciplinato dal nuovo testo degli artt. 6 e 7 della legge reg. Molise n. 9 del 1997, non è fondata.

La tesi del ricorrente incorre, invero, in un evidente salto logico, laddove ritiene che, di per sé, il regime di alienabilità dei tratturi, come oggi disciplinato dalle norme censurate, possa comportare un vulnus alla tutela stabilita in base alla disciplina statale di riferimento. Quest’ultima, nel prescrivere il regime di inalienabilità, prende in considerazione i «beni culturali», che trovano definizione a opera del medesimo codice. Il regime del divieto di alienazione assiste, dunque, solo i «beni del demanio culturale» (art. 53, comma 2, cod. beni culturali) nonché, per quanto in questa sede interessa, «gli immobili e le aree di interesse archeologico» purché appartengano, per l’appunto, alla più ampia categoria dei «beni del demanio culturale» (art. 54, alinea, e comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 42 del 2004).

Il presupposto da cui partono le disposizioni regionali impugnate, invece, è la preventiva perdita della demanialità dei tratturi, laddove «irrimediabilmente compromessi» per opera dell’uomo. Solo in quanto i tratturi non siano più parte della categoria dei beni culturali, perché oggetto di sdemanializzazione, essi potranno dunque essere alienati, secondo il procedimento delineato dalle norme molisane. In tal senso è chiara la stessa rubrica dell’art. 6 impugnato («Tratturi da sclassificare e alienare»), mentre il comma 1 precisa, come visto, che i suoli, prima di essere alienati, dovranno essere sdemanializzati.

Viene quindi richiamato esplicitamente, dal legislatore regionale, l’istituto della sdemanializzazione o sclassificazione, che trova oggi disciplina nell’art. 12 cod. beni culturali. Assume rilevanza, in particolare, il comma 2 di tale disposizione, secondo cui «[i]competenti organi del Ministero, d’ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi, verificano la sussistenza dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1», ossia proprio dei «beni culturali» che formano oggetto delle norme di tutela dettate dalla Parte II del codice. Viene in rilievo, altresì, il comma 4, che stabilisce quanto segue: «Qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l’interesse di cui al comma 2, le cose medesime sono escluse dall’applicazione delle disposizioni del presente Titolo», con riferimento, pertanto, alle disposizioni che concernono la «tutela» dei «beni culturali», tra le quali sono ricompresi anche gli artt. 53 e 54.

Ancora, in base al comma 5 dell’art. 12 cod. beni culturali, «[n]el caso di verifica con esito negativo su cose appartenenti al demanio dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, la scheda contenente i relativi dati è trasmessa ai competenti uffici affinché ne dispongano la sdemanializzazione qualora, secondo le valutazioni dell’amministrazione interessata, non vi ostino altre ragioni di pubblico interesse». A norma del successivo comma 6, poi, «[l]e cose di cui al comma 4 e quelle di cui al comma 5 per le quali si sia proceduto alla sdemanializzazione sono liberamente alienabili, ai fini del presente codice».

Pertanto, i tratturi molisani potranno essere alienati, conformemente alle modalità previste dai (nuovi) artt. 6 e 7 della legge reg. Molise n. 9 del 1997, solo a seguito della procedura di sdemanializzazione da attuarsi secondo le previsioni del cod. beni culturali, dunque con il necessario coinvolgimento del Ministero competente. Del resto, come già visto, l’art. 4, comma 2, della stessa legge molisana richiama, per le attività di gestione e amministrazione dei tratturi, il necessario rispetto «dei vincoli disposti dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42»: formulazione generica che ben può essere interpretata nel senso di ricomprendere la procedura di sdemanializzazione, così come disciplinata dal cod. beni culturali.

Se ne rinviene ulteriore conferma, del resto, nel regolamento regionale n. 1 del 2003, di attuazione della legge reg. Molise n. 9 del 1997, il cui art. 8 prevede espressamente la partecipazione della Soprintendenza archeologica del Molise al procedimento di sclassificazione e alienazione dei tratturi, stabilendo che il piano di alienazione dei tratturi, di cui all’art. 7 della legge regionale n. 9 del 1997, va redatto «dopo aver acquisito il parere della Soprintendenza Archeologica del Molise ai sensi della legge n. 490/1999».

Risultano, dunque, pienamente rispettate le condizioni in presenza delle quali è possibile la sdemanializzazione e la conseguente alienazione dei tratturi.

Va qui ricordato che, con la sentenza n. 388 del 2005, questa Corte ha dichiarato non fondate le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento ad alcune norme della (oggi abrogata) legge della Regione Puglia 23 dicembre 2003, n. 29 (Disciplina delle funzioni amministrative in materia di tratturi), e in particolare alla norma che, analogamente a quelle della legge molisana oggi in esame, stabiliva la predisposizione di un «piano dei tratturi», anche in vista della loro possibile alienazione. La non fondatezza delle questioni era motivata proprio alla stregua della considerazione che le disposizioni regionali prevedevano comunque un parere della Soprintendenza, da intendersi quale parere “vincolante” (pur se tale qualificazione non era esplicitata dalla legge pugliese, essendo comunque ricavabile dal complessivo sistema). Con specifico riguardo all’alienazione dei tratturi irrimediabilmente compromessi, questa Corte ha rilevato trattarsi di beni «dei quali, con il parere vincolante delle Soprintendenze, è stata già accertata la perdita irreversibile della originaria consistenza, cioè della loro caratteristica di tratturo e, come tale, di bene di interesse archeologico, e per i quali l’alienazione è subordinata alla sdemanializzazione». Analoghe considerazioni possono valere per le norme molisane oggetto dell’odierna questione.

Non sono pertanto fondate le censure sollevate in riferimento agli artt. 3 e 9 Cost., non apprezzandosi alcun abbassamento della tutela rispetto agli standard previsti dalla normativa codicistica di settore.

5.3.– La questione che ha ad oggetto l’art. 6, comma 11, lettera b), della legge reg. Molise n. 7 del 2022, nella parte in cui ha sostituito l’art. 6, comma 4, della legge reg. Molise n. 9 del 1997, promossa per violazione della competenza legislativa esclusiva statale nella materia della concorrenza, è invece inammissibile.

Ad essa, infatti, non si rinviene alcun riferimento nella delibera a impugnare adottata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, che non considera, ex professo, la previsione qui in esame e che tantomeno invoca il parametro della concorrenza.

Come costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, «nei giudizi in via principale deve sussistere “una piena e necessaria corrispondenza tra la deliberazione con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione ed il contenuto del ricorso, attesa la natura politica dell’atto d’impugnazione” (sentenze n. 154 del 2017 e n. 110 del 2016; nello stesso senso sentenze n. 46 del 2015 e n. 198 del 2012), poiché “l’omissione di qualsiasi accenno ad un parametro costituzionale nella delibera di autorizzazione all’impugnazione dell’organo politico, comporta l’esclusione della volontà del ricorrente di promuovere la questione al riguardo, con conseguente inammissibilità della questione che, sul medesimo parametro, sia stata proposta dalla difesa nel ricorso” (sentenza n. 239 del 2016)» (così, tra le tante, sentenza n. 128 del 2018).

Sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte, del resto, l’autonomia tecnica dell’Avvocatura dello Stato «trova il suo limite nel perimetro delle ragioni espresse nella deliberazione a ricorrere poiché è evidente che non possono essere introdotte censure diverse o ulteriori rispetto a quelle indicate dall’organo politico» (così, ex plurimis, sentenza n. 228 del 2017).

In tale prospettiva, non vi è dubbio che quella promossa con il motivo qui in esame costituisca una questione del tutto ulteriore e diversa rispetto a quanto era stato autorizzato nella delibera del Consiglio dei ministri, che aveva individuato solo quella dell’alienazione dei tratturi, intesi quali beni culturali, in riferimento ai parametri degli artt. 3 e 9 Cost. (con il pedissequo richiamo agli artt. 53 e 54 del d.lgs. n. 42 del 2004). Né, rispetto a quest’ultima, la questione in esame appare in alcun modo “ancillare” o connessa, e deve pertanto essere dichiarata inammissibile.

6.– È poi impugnato l’art. 6, comma 12, lettera d), della legge reg. Molise n. 7 del 2022.

Questa disposizione introduce i nuovi commi 2-bis e 2-ter nell’art. 15 della legge reg. Molise n. 8 del 2015, che disciplina la dotazione organica dell’Agenzia regionale per la ricostruzione post-sisma e per le opere strategiche e la tutela del territorio (ARPS). Le nuove previsioni riconoscono all’Agenzia la facoltà di assumere personale «al ricorrere delle condizioni previste dalla vigente normativa, previa predisposizione del piano triennale dei fabbisogni di personale e nel rispetto dei vincoli assunzionali» (così il nuovo comma 2-bis).

Al contempo, esse precisano (con il nuovo comma 2-ter) le modalità di copertura «degli ulteriori posti della dotazione organica dell’Agenzia», che dovrà avvenire «con procedura selettiva riservata a coloro che sono in possesso di specifica esperienza professionale nelle materie di cui all’articolo 11, comma 3-quater, della presente legge» (disposizione, quest’ultima, che è stata parimenti introdotta dalla legge regionale n. 7 del 2022 e che conferisce all’Agenzia ulteriori competenze, precedentemente non indicate, soprattutto in materia di prevenzione, controllo e salvaguardia del territorio regionale dal rischio idrogeologico).

A giudizio del ricorrente, tale normativa violerebbe gli artt. 97, 117, secondo comma, lettera l), e 117, terzo comma, Cost., con riferimento, quest’ultimo, alla materia concorrente «coordinamento della finanza pubblica», in relazione agli artt. 6 e 6-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, in quanto, pur nella scarsa chiarezza, consentirebbe una surrettizia stabilizzazione di personale, al di fuori dei limiti consentiti dalle richiamate norme statali interposte.

Inoltre, la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., sarebbe violata in quanto «le norme regionali in tema di stabilizzazione incidono sulla regolamentazione del rapporto precario […] e determinano, al contempo, la costituzione di altro rapporto giuridico».

6.1.– Preliminarmente deve rilevarsi che la questione sottoposta all’esame di questa Corte concerne, in realtà, la novella impugnata limitatamente all’introduzione del solo comma 2-ter, che è l’unico in relazione al quale il ricorso svolge le proprie censure.

6.2.– La questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. è fondata.

Questa Corte, anche di recente, ha ricondotto alla materia dell’ordinamento civile le norme regionali che intervengono direttamente a modificare il rapporto di lavoro già in essere del dipendente pubblico, trasformandolo da precario in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con conseguente loro declaratoria di illegittimità costituzionale (ex plurimis, tra le ultime, sentenze n. 53 e n. 61 del 2023).

La disposizione impugnata, riferendosi a posti «ulteriori» della dotazione organica, e quindi distinti e in aggiunta rispetto a quelli oggetto di copertura ai sensi del comma 2-bis, consente di completare la dotazione organica dell’Agenzia anche mediante la stabilizzazione dei rapporti di lavoro cosiddetti precari, al di fuori tuttavia dei limiti entro i quali simile operazione è consentita dalle fonti statali indicate dal ricorso. Si introduce, infatti, una evidente deroga alla previsione statale che, come condizione necessaria per la stabilizzazione del personale, attuata mediante procedure selettive riservate, richiede il necessario «rispetto della programmazione triennale del fabbisogno, nonché del limite massimo complessivo del cinquanta per cento delle risorse finanziarie disponibili ai sensi della normativa vigente in materia di assunzioni ovvero di contenimento della spesa di personale» (art. 35, comma 3-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001).

Venendo meno a tale condizione, il legislatore regionale amplia la possibilità stessa di ricorrere all’eccezionale strumento di novazione dei rapporti di lavoro, incidendo sul regime dei contratti di lavoro dei dipendenti coinvolti e, dunque, sull’ordinamento civile.

La disposizione de qua, quindi, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con assorbimento delle ulteriori censure.

7.– È impugnato ancora l’art. 6, comma 14, lettera b), della legge reg. Molise n. 7 del 2022, che sostituisce il comma 1 dell’art. 2 della legge reg. Molise n. 12 del 2020, recante la disciplina sulla valorizzazione e utilizzazione commerciale e turistica del trabucco molisano.

Il nuovo testo dell’art. 2, comma 1, della legge molisana del 2020 rimette ai comuni la redazione di piani di recupero, ripristino, conservazione e costruzione dei trabucchi, con la precisazione che ciò dovrà avvenire «nel rispetto delle prescrizioni contenute nel Piano regionale di utilizzazione degli arenili (PRUA) e nel Piano spiaggia comunale (PSC)», i quali, a loro volta, dovranno essere modificati in recepimento della disciplina dettata dalla medesima legge regionale n. 12 del 2020, nonché di quanto previsto dalla precedente legge reg. Molise n. 44 del 1999, parimenti dedicata al recupero dei trabucchi.

A giudizio del ricorrente, che richiama la sentenza di questa Corte n. 45 del 2022, la disposizione così introdotta contrasterebbe con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alle «norme interposte» di cui agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, sovvertendo sia il complessivo sistema delle competenze, sia il rapporto di gerarchia che sussiste tra gli strumenti di pianificazione territoriale, come stabilito dal codice di settore, il quale impone la prevalenza del piano paesaggistico da approvarsi previa intesa con lo Stato.

7.1.– Le questioni non sono fondate.

Occorre muovere dalla decisione di accoglimento assunta da questa Corte sul previgente testo dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Molise n. 12 del 2020. Quel testo, nella sostanza, coincideva con l’attuale, salva una differenza che tuttavia, nel giudizio sulla questione oggi all’esame di questa Corte, acquisisce decisivo rilievo. Nella nuova versione dell’art. 2 della legge molisana del 2020, invero, non è più riprodotto il preesistente comma 2, anch’esso travolto dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 45 del 2022. In base a tale comma 2, i piani sui trabucchi, redatti dai comuni, erano destinati a confluire nel piano paesaggistico.

La questione è stata accolta sulla premessa della «cogenza del piano paesaggistico regionale per gli strumenti urbanistici dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Province» e della «sua immediata prevalenza rispetto alle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici (art. 145, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004)», e nella collegata riaffermazione del principio, costante nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «è necessario salvaguardare la complessiva efficacia del piano paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali». Il trasferimento delle decisioni operative concernenti il paesaggio alla dimensione pianificatoria comunale, insito nella contestata previsione molisana, si poneva perciò «in contraddizione con il sistema di organizzazione delle competenze delineato dalla legge statale a tutela del paesaggio, che costituisce un livello uniforme di tutela, non derogabile dalla Regione, nell’ambito di una materia a legislazione esclusiva statale ex art. 117 Cost., ma anche della legislazione di principio nelle materie concorrenti del governo del territorio e della valorizzazione dei beni culturali». Ha quindi osservato questa Corte che la legge regionale «non può […] riservare alla pianificazione comunale interi contenuti del piano paesaggistico regionale, quale quello delle aree costiere su cui insistono i trabucchi. La prevalenza di quest’ultimo rispetto agli strumenti urbanistici dei Comuni, stabilita dall’art. 145, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, conduce ad escludere che, all’inverso, un piano comunale debba essere “recepito” – come impone la norma molisana impugnata – nel piano paesaggistico regionale».

La motivazione che ha sorretto l’accoglimento di cui alla richiamata sentenza n. 45 del 2022 si riferisce quindi, nel suo nucleo centrale, proprio alla previsione del “recepimento” dei piani comunali in seno al piano paesaggistico. La declaratoria di illegittimità costituzionale del comma 1 era strettamente legata a quella del comma 2, oggi tuttavia non più riprodotto nel testo della legge regionale n. 12 del 2020. L’attuale formulazione del comma 1 (pur, come detto, sostanzialmente coincidente con quella del 2020, salvi minimi aggiustamenti formali) assume allora un senso del tutto differente: i piani comunali sui trabucchi sono volti non alla tutela più propriamente paesaggistica di tali manufatti, ma semplicemente a delinearne le modalità di recupero, ripristino, conservazione e costruzione «per le finalità di cui all’articolo 1» (come lo stesso comma in esame precisa) – e cioè, solo per le finalità di valorizzazione di tali beni.

L’art. 1 della legge reg. Molise n. 12 del 2020, infatti, recita come segue: «La Regione persegue la valorizzazione del patrimonio storico-culturale della costa molisana promuovendo l’utilizzo dei trabucchi nel rispetto della loro naturale destinazione e della conformità ai valori tradizionali tipici degli stessi e secondo le modalità di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».

Secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, «tutela» e «valorizzazione» esprimono – sia per esplicito dettato costituzionale, sia per disposizione del codice dei beni culturali (artt. 3 e 6) – aree di intervento diversificate, anche se spesso tra di loro connesse. La «tutela» dei beni culturali è attribuita allo Stato, ai fini dell’«esercizio unitario delle funzioni destinate alla individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale nonché alla loro protezione e conservazione»; mentre alle Regioni, ai fini della valorizzazione, spettano «la disciplina e l’esercizio delle funzioni dirette alla migliore conoscenza, utilizzazione e fruizione di quel patrimonio (sentenza n. 194 del 2013)» (così, ex plurimis, sentenza n. 140 del 2015).

Alla luce di quanto precede, deve concludersi che la disposizione regionale impugnata si mantiene nell’ambito della valorizzazione dei trabucchi, rimessa alla competenza legislativa concorrente delle regioni, senza che emergano violazioni di principi fondamentali dettati dalla legislazione statale né, con essi, aspetti di abbassamento della tutela ambientale, in contrasto con l’art. 9 Cost.

Non è dunque conferente il parametro dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., evocato dal ricorrente, con conseguente non fondatezza della questione promossa, posto che, come da ultimo ribadito da questa Corte, «[l]’inconferenza del parametro indicato dal ricorrente rispetto al contenuto sostanziale della doglianza costituisce motivo di non fondatezza della questione (sentenze n. 132 del 2021 e n. 286 del 2019)» (sentenza n. 53 del 2023, punto 4.3. del Considerato in diritto).

8.– Da ultimo, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 8 della legge reg. Molise n. 7 del 2022, che prevede la stabilizzazione del personale “precario” della Regione, degli enti strumentali e dell’Azienda sanitaria regionale del Molise (ASREM), secondo le modalità, i tempi e i requisiti previsti dall’art. 20, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 75 del 2017.

Il ricorrente ravvisa nella disposizione impugnata la violazione degli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto, mancando di richiamare i commi 11 e 11-bis dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, essa determinerebbe un disallineamento della finestra temporale delle stabilizzazioni per il personale del Servizio sanitario regionale, fissando il termine del 31 dicembre 2023 anziché (come previsto dalla fonte statale) quello del 31 dicembre 2022.

8.1.– Va premesso che il themadecidendum, quale tracciato dal motivo di ricorso, è limitato al comma 1 dell’art. 8 della legge reg. Molise n. 7 del 2022, che disciplina nello specifico la stabilizzazione del personale precario, e, in particolare di quello dell’ASREM, che forma oggetto delle censure del ricorrente.

Esorbita, invece, dal perimetro della questione sottoposta all’esame della Corte la previsione del comma 2, che onera la Regione di trasmettere «le disposizioni di cui al comma 1» a tutti gli enti interessati, per i consequenziali adempimenti operativi.

8.2.– La questione è fondata, anzitutto per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Analogamente a quanto già si è affermato per la precedente questione riguardante la stabilizzazione del personale dell’ARPS, anche in questo caso la previsione impugnata, nel consentire la trasformazione del rapporto di lavoro precario del personale dell’ASREM, si muove al di fuori dei limiti individuati dalle fonti statali, con conseguente invasione della competenza esclusiva del legislatore statale nella materia «ordinamento civile».

La violazione di tale parametro è stata del resto rinvenuta, ad opera di questa Corte, pure a fronte di una disciplina regionale che, consentendo – come nella specie – la trasformazione del rapporto di lavoro da precario a rapporto a tempo indeterminato, stabilisca un limite temporale diverso rispetto a quello prescritto, per le procedure di stabilizzazione, dalla normativa statale di riferimento (sentenza n. 99 del 2023, punto 5.1. del Considerato in diritto, che per tali ragioni ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di altre norme regionali molisane che consentivano la stabilizzazione del personale sanitario precario, anche nella parte in cui si prevedeva un termine di maturazione, quanto al requisito dell’anzianità di servizio, diverso da quello prescritto dalla corrispondente fonte statale). La previsione, da parte del legislatore regionale, di finestre temporali diverse, entro le quali sono consentite le procedure di stabilizzazione, incide anch’essa sul regime dei contratti di lavoro dei dipendenti che sono coinvolti e, dunque, sull’ordinamento civile, posto che viene ampliata – rispetto alle parallele previsioni della legge statale – la platea dei casi per i quali è consentita la novazione del rapporto di lavoro.

Tanto è allora sufficiente per ritenere costituzionalmente illegittima la disposizione molisana impugnata, sotto il profilo della violazione del riparto di competenze (sentenza n. 195 del 2021), sia pure limitatamente alle previste stabilizzazioni del personale dell’ASREM.

Anche nel caso all’odierno esame, infatti, come correttamente ricostruito dal ricorso, tali stabilizzazioni sono previste secondo una scansione temporale che, per effetto del richiamo compiuto dalla disposizione impugnata all’art. 20, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, non coincide con quella indicata, «per il personale medico, tecnico-professionale e infermieristico, dirigenziale e no, del Servizio sanitario nazionale», dalla fonte statale di riferimento. Quest’ultima, all’art. 20, comma 11-bis del medesimo decreto legislativo, ha espressamente indicato, per tale personale, la data finale del 31 dicembre 2022. L’aver previsto una data diversa, per l’attuazione della stabilizzazione in favore delle richiamate tipologie di personale sanitario, afferente all’ASREM, determina, dunque, un vulnus rispetto alla normativa nazionale di riferimento, che non spettava al legislatore regionale introdurre con propria legge (sentenza n. 99 del 2023).

8.3.– La questione è fondata anche lungo il versante del venir meno, da parte della Regione Molise, agli obblighi che ad essa incombono quale Regione sottoposta alla procedura di rientro dal disavanzo delle spese sanitarie.

Come recentemente rilevato da questa Corte, infatti, è ancora operativo l’accordo sottoscritto il 27 marzo 2007 tra Ministro della salute, Ministro dell’economia e delle finanze e Presidente della Regione Molise, concernente, per l’appunto, il piano di rientro dal disavanzo del servizio sanitario regionale (da ultimo, sentenza n. 20 del 2023). Non essendosi concluso nei termini previsti, detto piano è proseguito con diversi programmi operativi, ultimo dei quali quello attinente al periodo 2019-2021, approvato con decreto del commissario ad acta n. 94 del 2021, mentre è attualmente in fase di elaborazione quello relativo al periodo 2022-2024 (così, ancora, sentenza n. 20 del 2023).

Nel presente giudizio il ricorrente, come argomentato nelle premesse del settimo motivo, invoca il punto ix) del mandato commissariale, che risale alla delibera di nomina del commissario ad acta del 31 marzo 2021 (sentenza n. 20 del 2023). Tale punto specifico, come riferito in giudizio dallo stesso ricorrente, attiene specificamente alla spesa per il personale sanitario e richiama i principi di corretta gestione e di efficientamento, «in coerenza con l’effettivo fabbisogno, in applicazione della normativa in materia».

In siffatto contesto, dunque, la previsione dell’attuazione automatica della stabilizzazione del personale cosiddetto precario afferente all’ASREM, senza il rispetto delle tempistiche indicate dalla norma statale di riferimento, costituisce violazione anche del preciso impegno cristallizzato nel mandato commissariale, ridondando in violazione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica che sono posti dalle norme statali regolanti il piano di rientro e i relativi vincoli. Viene in rilievo, in particolare, come da costante giurisprudenza di questa Corte, l’art. 2, commi 80 e 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», a norma dei quali sono vincolanti, per la regione che li abbia sottoscritti, i piani di rientro e i programmi operativi che – ai sensi dei commi 88 e 88-bis del medesimo art. 2 – ne costituiscono attuazione e aggiornamento (da ultimo, sentenza n. 20 del 2023). La regione è quindi obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena realizzazione dei piani di rientro (sentenze n. 14 del 2017, n. 266 del 2016 e n. 278 del 2014), con conseguente illegittimità costituzionale delle leggi regionali che – come nella specie – vadano in direzione opposta.

8.4.– Per le esposte ragioni, l’art. 8 della legge reg. Molise n. 7 del 2022 va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, al comma 1, prevede l’attuazione della stabilizzazione del personale precario a beneficio del personale dell’Azienda sanitaria regionale, e, dunque limitatamente alle parole «e nell’A.S.Re.M.».

Risulta, conseguentemente, svuotata di contenuto normativo la successiva disposizione, contenuta nel comma 2 dell’art. 8 in esame, nella parte in cui prevede che la Regione debba trasmettere «le disposizioni di cui al comma 1» anche all’ASREM stessa, per i relativi adempimenti di conseguenza. Per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale parziale del comma 1, tale adempimento, di natura strettamente esecutiva, non assolve più ad alcuna funzione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, lettera a), della legge della Regione Molise 23 maggio 2022, n. 7 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2022-2024 in materia di entrate e spese. Modificazioni e integrazioni di leggi regionali);

2) dichiaral’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, lettera b), della legge reg. Molise n. 7 del 2022;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, lettera d), numeri 1) e 2), della legge reg. Molise n. 7 del 2022;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 12, lettera d), della legge reg. Molise n. 7 del 2022, nella parte in cui introduce il comma 2-ter dell’art. 15 della legge della Regione Molise 4 maggio 2015, n. 8 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2015 in materia di entrate e spese. Modificazioni e integrazioni di leggi regionali);

5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, della legge reg. Molise n. 7 del 2022, limitatamente alle parole «e nell’A.S.Re.M.»;

6) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 11, lettera b), della legge reg. Molise n. 7 del 2022, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

7) dichiara non fondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 11, lettere b) e c), della legge reg. Molise n. 7 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 9 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

8) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, della legge reg. Molise n. 7 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

9) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 14, lettera b), della legge reg. Molise n. 7 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 aprile 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2023

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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