Corte Costituzionale, Sentenza n.168 del 27/07/2023

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SENTENZA N.168

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Silvana SCIARRA; Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 75, commi primo e secondo, e 300 del codice di procedura civile, promosso dal Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra E. P. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 10 ottobre 2022, iscritta al n. 139 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udita nell’udienza pubblica del 23 maggio 2023 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;

udite l’avvocata Patrizia Ciacci per l’INPS e l’avvocata dello Stato Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 23 maggio 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 10 ottobre 2022, iscritta al n. 139 del registro ordinanze dell’anno 2022, il Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 75, commi primo e secondo, e 300 del codice di procedura civile, nella parte in cui non consentono al giudice, qualora abbia seri e fondati dubbi che la parte persona fisica abbia conferito la procura alle liti in una condizione di incapacità naturale, di disporre l’interruzione del processo e di segnalare il caso al pubblico ministero, affinché promuova il giudizio per la nomina di un amministratore di sostegno o i procedimenti per l’interdizione o per l’inabilitazione.

Il giudice a quo ritiene che le norme censurate si pongano in contrasto con gli artt. 3, 24, 32, 111, commi primo e secondo, nonché 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e agli artt. 1 e 13 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva dallo Stato italiano con legge 3 marzo 2009, n. 18.

2.– Il rimettente riferisce che E. P. ha intrapreso un procedimento per accertamento tecnico preventivo obbligatorio ex art. 445-bis cod. proc. civ., onde far verificare la sussistenza delle condizioni sanitarie legittimanti il suo diritto all’indennità di accompagnamento, ai sensi dell’art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili).

L’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), costituitosi nel giudizio a quo, ha eccepito che il ricorrente, sulla base della documentazione medica da lui stesso prodotta, verserebbe in condizioni psico-fisiche che lo rendono incapace di provvedere ai propri interessi e dunque privo della capacità processuale.

Il ricorrente ha replicato che – secondo la costante giurisprudenza anche costituzionale – l’art. 75 cod. proc. civ. non si riferisce ai soggetti colpiti da incapacità naturale, ma esclude la capacità processuale dei soli soggetti già interdetti o inabilitati o beneficiari di amministrazione di sostegno.

Il giudice a quo riconosce che, allo stato, l’eventuale incapacità naturale della parte di un giudizio civile non comporta l’assenza di capacità processuale, né impone la sospensione o l’interruzione del processo.

Tuttavia, ritiene che tale disciplina si ponga in contrasto con i parametri costituzionali sopra indicati.

3.– In ordine alla rilevanza delle questioni, il Tribunale di Padova osserva che dalla loro decisione dipende l’alternativa tra la possibilità di interrompere o la necessità di proseguire il processo, «pur in presenza di seri e documentati dubbi circa la capacità naturale del ricorrente».

4.– Rispetto alla non manifesta infondatezza, il rimettente richiama, preliminarmente, la giurisprudenza della Corte di cassazione in ordine all’interpretazione degli artt. 75 e 78 cod. proc. civ., sottolineando come essa sia univoca nell’escludere l’incapacità processuale di coloro che non siano capaci di intendere e volere. Rammenta, inoltre, le sentenze di questa Corte, che hanno escluso l’illegittimità costituzionale della citata disciplina, come interpretata dal diritto vivente.

Nondimeno, il giudice a quo afferma che tale orientamento debba essere ripensato nelle ipotesi – come quella sottoposta al suo esame – in cui sono evidenti i possibili «effetti pregiudizievoli che l’incapace può subire per aver anche solo iniziato un processo senza essere minimamente in grado di rendersi conto di ciò che questo comporta, ad esempio in caso di soccombenza e di conseguente condanna alla rifusione delle spese giudiziali».

Ad avviso del Tribunale di Padova, consentire la prosecuzione del processo in presenza di simili rischi si porrebbe in contrasto con plurimi parametri costituzionali.

4.1.– Anzitutto, sarebbero violati gli artt. 3 e 24 Cost., posto che «il diritto di difesa esige che anche la decisione di iniziare un processo venga assunta consapevolmente».

Secondo il rimettente, l’ipotesi in esame non sarebbe diversa da quella in cui emerga una situazione di scomparsa del convenuto, fattispecie rispetto alla quale questa Corte, con la sentenza n. 220 del 1986, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 75 e 300 cod. proc. civ., per violazione dell’art. 24 Cost., nella parte in cui non prevedono l’interruzione del processo e la segnalazione del caso al pubblico ministero, affinché promuova la nomina allo scomparso di un curatore, nei cui confronti l’attore debba riassumere il giudizio.

4.2.– D’altronde, sempre ad avviso del giudice a quo, le norme censurate, nel consentire l’avvio di un procedimento da parte di un soggetto inconsapevole, contrasterebbero con il principio del giusto processo, di cui agli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU.

Non potrebbe dirsi giusto ed equo «un processo in cui una parte, priva di alcuna misura di protezione, sia incapace di intendere o di volere e quindi non si renda minimamente conto dell’esistenza del processo e delle sue conseguenze». A tale riguardo, il rimettente cita alcune sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo (19 settembre 2017, Regner contro Repubblica Ceca; 7 giugno 2001, Kress contro Francia; 27 ottobre 1993, Dombo Beheer contro Paesi Bassi), le quali avrebbero ravvisato una violazione dell’art. 6 CEDU in presenza di condizioni che collocano una delle parti in posizione di sostanziale svantaggio rispetto alla controparte.

4.3.– Infine, sotto altra prospettiva, il Tribunale di Padova dubita che la mancata considerazione dell’incapacità naturale nel processo civile sia conforme tanto all’art. 32 Cost., posto che «la tutela del diritto alla salute dovrebbe avere riflessi anche in ambito processuale», quanto all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 1 e 13 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, che ascrivono l’accesso effettivo alla giustizia al novero dei diritti spettanti a tali persone.

5.– Con atto depositato il 16 dicembre 2022, si è costituito l’INPS, parte del giudizio a quo, il quale ha anzitutto eccepito un difetto di rilevanza delle questioni sollevate, giacché «le ragioni di tutela del soggetto fragile, perché incapace naturale, avrebbero dovuto e potuto trovare composizione all’interno del procedimento per ATP [accertamento tecnico preventivo]».

L’INPS ha osservato inoltre che le medesime questioni sono state già decise da questa Corte, che le ha sempre dichiarate non fondate.

Simile circostanza, unita all’assenza di nuovi profili di presunta illegittimità costituzionale, dovrebbe condurre a una pronuncia di inammissibilità o comunque di non fondatezza, eventualmente anche manifesta.

6.– In data 19 dicembre 2022, è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o non fondate.

L’interveniente ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate, in quanto già «ripetutamente delibat[e] e ritenut[e] infondat[e] dalla giurisprudenza costituzionale».

Inoltre, dopo aver ripercorso la giurisprudenza costituzionale e di legittimità in materia, l’Avvocatura generale dello Stato ha sottolineato l’esistenza, nell’ordinamento, di rimedi più che adeguati vòlti a proteggere l’incapace, anche nel corso di un giudizio che lo riguarda. Questo renderebbe insussistente la asserita violazione sia dei parametri costituzionali relativi al processo – costituiti dagli artt. 24, 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU e agli artt. 1 e 13 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità – sia del diritto alla salute, sancito dall’art. 32 Cost.

Quanto alla denunciata violazione dell’art. 3 Cost., per la diversità di trattamento che sarebbe riservata, all’indomani della sentenza di questa Corte n. 220 del 1986, alla persona incapace rispetto alla persona scomparsa, l’interveniente ha rilevato la disomogeneità delle due situazioni, che basterebbe a giustificare il loro differente regime.

7.– Con memoria integrativa del 19 aprile 2023, l’INPS ha reiterato le proprie eccezioni di inammissibilità e di non fondatezza delle questioni sottoposte a questa Corte.

8.– Nell’udienza del 23 maggio 2023, la difesa dell’INPS e l’Avvocatura generale dello Stato hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 10 ottobre 2022, iscritta al n. 139 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 75, commi primo e secondo, e 300 cod. proc. civ., nella parte in cui non consentono al giudice, qualora abbia seri e fondati dubbi che la parte persona fisica abbia conferito la procura alle liti in una condizione di incapacità naturale, di disporre l’interruzione del processo e di segnalare il caso al pubblico ministero, affinché promuova il giudizio per la nomina di un amministratore di sostegno o i procedimenti per l’interdizione o per l’inabilitazione.

Il rimettente ritiene che le norme censurate contrastino con gli artt. 3, 24, 32, 111, commi primo e secondo, nonché 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU e agli artt. 1 e 13 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità.

2.– Il giudice a quo riferisce che in un giudizio ex art. 445-bis cod. proc. civ., introdotto da E. P. al fine di far verificare la sussistenza delle condizioni sanitarie idonee a legittimare il suo diritto all’indennità di accompagnamento, l’INPS ha eccepito l’incapacità del ricorrente a provvedere ai propri interessi e ha ritenuto che, per tale ragione, fosse privo della capacità processuale.

Il giudice rimettente riconosce che, secondo il diritto vivente, l’incapacità naturale della parte di un giudizio civile non comporta l’assenza di capacità processuale, né impone la sospensione o l’interruzione del processo.

Nondimeno, il Tribunale di Padova sostiene che tale disciplina vìoli i parametri costituzionali sopra indicati e che le questioni di legittimità costituzionale sollevate siano rilevanti e non manifestamente infondate.

2.1.– In particolare, il giudice a quo ritiene che l’omessa previsione nelle norme censurate di un meccanismo interruttivo del processo determinerebbe in danno all’incapace: una compressione del suo diritto di difesa (artt. 3 e 24 Cost.); una lesione dei principi del giusto processo e di un giudizio ad armi pari, delineati dall’art. 111, commi primo e secondo, Cost.; una violazione, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., sempre del diritto di difesa e del diritto a un giusto processo, desumibili dall’art. 6 CEDU, nonché una compromissione del diritto a un accesso effettivo alla giustizia, di cui agli artt. 1 e 13 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità; un vulnus al diritto alla salute dell’incapace di intendere o di volere (art. 32 Cost.); e, infine, una irragionevole disparità di trattamento, in contrasto con l’art. 3 Cost., rispetto alla tutela del soggetto scomparso.

3.– Sia la difesa dell’INPS, parte del giudizio a quo, sia l’Avvocatura generale dello Stato hanno chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o non fondate.

4.– In particolare, l’INPS ha eccepito il difetto di rilevanza sul presupposto che «le ragioni di tutela del soggetto fragile, perché incapace naturale, avrebbero dovuto e potuto trovare composizione all’interno del procedimento per ATP».

A tal riguardo, ha rilevato che la conseguenza dell’incapacità di intendere o di volere della parte nel rilasciare la procura è la mera annullabilità dell’atto, ove risulti anche il grave pregiudizio per l’autore. Diversamente, solo nel caso di interdizione o di inabilitazione, il contratto di mandato si estinguerebbe ai sensi dell’art. 1722 del codice civile.

5.– L’eccezione non è fondata.

In disparte la possibilità di far valere i rimedi civilistici applicabili alla procura, in quanto atto unilaterale, nonché al contratto di mandato, ai sensi dell’art. 428, commi primo e secondo, cod. civ., non sono prive di rilevanza le questioni di legittimità costituzionale con cui il rimettente si duole della mancata influenza della incapacità di intendere o di volere proprio rispetto alla capacità processuale.

In particolare, senza una pronuncia di questa Corte sugli artt. 75, commi primo e secondo, e 300 cod. proc. civ., il giudice a quo non potrebbe disporre l’interruzione del processo, che egli ritiene necessaria a tutela dell’incapace naturale.

6.– Anche l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce l’inammissibilità delle questioni sollevate dal Tribunale di Padova, sostenendo che, per pacifica interpretazione della giurisprudenza di legittimità, l’incapacità naturale non si riverbera sulla capacità processuale, e che oltretutto questa Corte ha già reputato non fondate questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento ai medesimi parametri costituzionali e con riguardo alle stesse disposizioni censurate.

7.– Anche questa eccezione non è fondata.

8.– Per costante giurisprudenza di questa Corte, la riproposizione di questioni identiche a quelle già dichiarate non fondate nel merito non comporta l’inammissibilità, ma al più può decretare la loro non fondatezza, eventualmente manifesta (tra le altre, sentenze n. 156 e n. 44 del 2020, nonché n. 160 del 2019).

9.– Nel merito, le questioni non sono fondate.

10.– In via preliminare, è opportuno richiamare i rapporti fra la disciplina civilistica in materia di incapacità di intendere o di volere (cosiddetta incapacità naturale) e le norme che regolano la capacità d’agire nel processo civile.

10.1.– Nella prospettiva sostanziale, il compimento di un atto lecito o illecito in condizioni di incapacità di intendere o di volere, per qualsiasi causa, anche di tipo transitorio, consente di attivare rimedi di tipo successivo.

Gli atti leciti sono annullabili, ove ricorrano i presupposti indicati, per gli atti unilaterali e per i contratti, dall’art. 428, commi primo e secondo, cod. civ., fatte salve le specifiche previsioni dettate per particolari tipologie di negozi (art. 120 cod. civ., per il matrimonio; art. 591, secondo comma, numero 3, cod. civ., per il testamento; art. 775 cod. civ., per la donazione).

Gli atti illeciti, compiuti da «chi non aveva la capacità d’intendere o di volere al momento in cui […] ha commesso» il fatto, risultano non imputabili, «a meno che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa» (art. 2046 cod. civ.).

I rimedi successivi sono, dunque, correlati al compimento di specifici atti; e tuttavia l’incapacità di intendere o di volere è nozione estremamente lata, che potrebbe riguardarenon solo una condizione transitoria del soggetto, presente al momento dell’atto, ma potrebbe essere anche indice di uno stato di infermità (artt. 404, 414 e 415 cod. civ.) o di una «menomazione fisica o psichica» (art. 404 cod. civ.), che necessitano di tutele preventive.

D’altro canto, i rimedi preventivi presuppongono, a loro volta, una incidenza sulla capacità legale d’agire, e dunque ricadono su un profilo importante della persona, che attiene al suo modo di essere e di agire nel mondo giuridico.

Per questo, dall’ordinamento traspaiono cautela e particolare attenzione sia rispetto al tipo di accertamento necessario per poter limitare la capacità legale sia rispetto all’esigenza di intervenire con strumenti sempre più puntuali e mirati.

Da un lato, dunque, le effettive condizioni dell’interessato devono essere attentamente vagliate nei procedimenti di interdizione o di inabilitazione ovvero di amministrazione di sostegno.

Da un altro lato, proprio con quest’ultimo istituto, si è delineato un favor verso forme di tutela preventiva che comportino la minore limitazione possibile della capacità di agire. Il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno opportunamente plasma i rimedi della rappresentanza e dell’assistenza sulle effettive e concrete condizioni in cui versa l’interessato, sicché «[i]l beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno» (art. 409, primo comma, cod. civ.).

10.2.– In termini del tutto similari rispetto alle regole di diritto sostanziale e in correlazione a esse, la normativa sulla capacità di agire nel processo è ispirata all’obiettivo di bilanciare la protezione dell’incapace con l’esigenza di non limitare a priori la sua capacità processuale, se non a séguito di adeguate verifiche sulle sue condizioni personali, e tenuto conto del complesso degli interessi implicati nel processo.

Nel solco di tale prospettiva, l’art. 75, commi primo e secondo, cod. proc. civ. prevede che «[s]ono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere. Le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità».

La regola generale sulla capacità processuale è, dunque, del tutto corrispondente alle disposizioni civilistiche che associano l’attitudine a compiere atti giuridici alla capacità legale d’agire (art. 2 cod. civ., nel suo coordinamento con le disposizioni che regolano l’incapacità legale).

Di riflesso, l’art. 75, commi primo e secondo, cod. proc. civ. viene coerentemente interpretato dal diritto vivente nel senso di escludere che la mera incapacità naturale possa riverberarsi sulla capacità processuale (Corte di cassazione, sezione terza civile, ordinanza 1° giugno 2022, n. 17914; sezione seconda civile, sentenza 20 agosto 2019, n. 21507).

Nondimeno, la periodica riproposizione dinanzi a questa Corte di questioni che prospettano possibili tutele preventive dell’incapace naturale nell’ambito del processo civile è il sintomo che i caratteri stessi del giudizio, e in particolare il suo proiettarsi nel tempo, fanno risaltare la situazione di soggetti affetti da un’incapacità non contingente, rispetto ai quali si pone l’esigenza di una tutela preventiva.

Al contempo, quel tipo di tutela inevitabilmente coinvolge una pluralità di interessi.

Oltre al diritto dell’incapace a un processo giusto e ad armi pari vengono in rilievo il diritto dello stesso incapace a non essere privato della propria capacità processuale, se non a séguito di un attento accertamento sulle sue condizioni effettive. Inoltre, si rende necessario tutelare il diritto della controparte a potersi difendere e a poter citare in giudizio l’altro, anche se incapace. E contestualmente, ambo le parti hanno interesse a una celere conclusione del processo, che rischia di essere rallentato da collaterali accertamenti. Infine, è interesse generale prevenire comportamenti processuali meramente dilatori (ordinanze n. 205 del 2010, n. 318 del 2008 e n. 67 del 2007).

Sullo sfondo della difficile composizione di tali interessi di rilevanza costituzionale sia questa Corte sia il legislatore hanno progressivamente ampliato le tutele dell’incapace naturale.

10.2.1.– Questa Corte – dopo aver dichiarato, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, la manifesta infondatezza delle questioni poste sull’art. 75 cod. proc. civ. in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, Cost. (ordinanze n. 605 e n. 41 del 1988) – nel 1992 ha pronunciato una sentenza di non fondatezza interpretativa, che ha elaborato in via ermeneutica un percorso vòlto ad attivare possibili tutele preventive (n. 468 del 1992).

La citata pronuncia ha, infatti, ricostruito un itinerario diretto a sollecitare, a partire dal processo in cui vi è l’incapace di intendere o di volere, l’avvio di un autonomo procedimento che accerti le eventuali cause di incapacità legale di tale soggetto, sì da giungere alla nomina di un tutore o di un curatore, anche provvisori, che possano intervenire nel processo che ha dato impulso all’accertamento sulle condizioni della parte.

A tal fine, questa Corte ha affermato, in primo luogo, che, in virtù dell’art. 70, terzo comma, cod. proc. civ., il pubblico ministero può «intervenire nel processo […] nel quale l’incapace, non ancora interdetto o inabilitato, sia parte».

In secondo luogo, ha precisato che il giudice deve ordinare «la comunicazione degli atti al titolare di quell’ufficio (art. 71 del codice di procedura civile) perché, nel doveroso esercizio delle sue funzioni e ricorrendone i presupposti, […] assuma le iniziative necessarie per tutelare la posizione dell’incapace nel processo già pendente, promuovendo, ove del caso, il procedimento di interdizione o di inabilitazione e chiedendo la urgente nomina di un tutore o di un curatore provvisorio» (ancora, sentenza n. 468 del 1992).

Infine, la medesima sentenza ha evidenziato che l’«ordinamento giudiziario comprende tra le attribuzioni generali del pubblico ministero la tutela dei diritti degli incapaci, anche mediante la richiesta, nei casi di urgenza, dei necessari provvedimenti cautelari (art. 73 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12)».

E invero, con riguardo ai procedimenti di interdizione e di inabilitazione, cui oggi si aggiunge quello di amministrazione di sostegno, le stesse disposizioni del codice civile prevedono la possibile nomina di un tutore o di un curatore provvisori (art. 419, terzo comma, cod. civ.) o quella di un amministratore di sostegno provvisorio (art. 405, quarto comma, cod. civ.), che possono assicurare la rappresentanza o l’assistenza dell’interessato in altri giudizi, ancor prima che i procedimenti relativi all’accertamento dell’incapacità legale risultino conclusi.

Sulla base di tali presupposti questa Corte ha dichiarato già in passato non fondate le questioni di legittimità costituzionale, talora prospettate con riguardo all’art. 75 cod. proc. civ., da solo (ordinanza n. 206 del 1995) o nel suo raccordo con l’art. 300 cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede l’interruzione del processo (così nella già citata sentenza n. 468 del 1992), talora riferite all’art. 78 cod. proc. civ., nella parte in cui non consente la nomina di un curatore speciale a difesa dell’incapace naturale (ordinanza n. 198 del 2006).

10.2.2.– Quanto al legislatore, anch’esso è intervenuto in materia e, di recente, con il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 (Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata), ha approntato, con riferimento a specifici procedimenti, una tutela immediata all’incapace naturale.

In particolare, l’art. 473-bis.14 cod. proc. civ., introdotto con il citato decreto legislativo, ha disposto che, nei procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie, con esclusione di quelli concernenti l’adozione di minori di età e l’immigrazione, nonché la protezione internazionale e la libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, il presidente del tribunale «nomina un curatore speciale quando il convenuto è malato di mente o legalmente incapace».

La disposizione ha, dunque, esteso la previsione relativa alla possibile nomina di un curatore speciale a favore di chi, pur non legalmente incapace, risulti malato di mente, previsione che già in precedenza era contemplata, ma per le sole ipotesi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 4, comma 5, secondo periodo, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, recante «Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio»).

Contestualmente all’ampliamento delle ipotesi in cui viene prevista la nomina di un curatore speciale, che rappresenti o assista l’infermo di mente non legalmente incapace, il legislatore ha, d’altro canto, confermato, con l’art. 473-bis.55, primo comma, cod. proc. civ. (unitamente a quanto dispone l’art. 473-bis.58 cod. proc. civ.), la piena capacità processuale dell’interessato proprio nei procedimenti che verificano la sussistenza dei presupposti idonei a condurre a una limitazione della sua capacità legale d’agire. L’interdicendo, l’inabilitando e il potenziale beneficiario dell’amministrazione di sostegno possono, infatti, nei relativi procedimenti, «stare in giudizio e compiere da soli tutti gli atti del procedimento, comprese le impugnazioni», anche quando siano stati nominati il tutore o il curatore provvisori previsti dall’art. 419 cod. civ. o l’amministratore provvisorio, di cui all’art. 405, quarto comma, cod. civ. In tal modo, il legislatore ha ribadito, nonché riferito anche all’amministrazione di sostegno, quanto già in passato stabiliva l’art. 716 cod. proc. civ.

In sostanza, nel delicato bilanciamento fra il diritto dell’incapace a un giusto processo e il suo stesso diritto a non essere privato della capacità processuale, se non a séguito di un procedimento che accerti le sue effettive condizioni, il legislatore ha dato prevalenza al primo diritto, ma solo nel contesto di particolari procedimenti (la maggior parte di quelli relativi alla famiglia, ai minori e allo stato delle persone). In pari tempo, ha inteso ribadire l’importanza di non spogliare della capacità processuale chi non sia stato ancora privato della capacità legale d’agire, tant’è che, proprio nei procedimenti diretti a verificare l’eventuale incapacità legale dell’interessato, il legislatore ha confermato la sua piena capacità di stare in giudizio e di compiere ogni atto processuale.

11.– A fronte del richiamato quadro normativo e giurisprudenziale, e della sua recente evoluzione, il rimettente torna ora a prospettare a questa Corte questioni di legittimità costituzionale con riguardo agli artt. 75, commi primo e secondo, e 300 cod. proc. civ., nella parte in cui non consentono al giudice, qualora abbia seri e fondati dubbi che la parte persona fisica abbia conferito la procura alle liti in una condizione di incapacità naturale, di disporre l’interruzione del processo e di segnalare il caso al pubblico ministero, affinché promuova o il giudizio per la nomina di un amministratore di sostegno o i procedimenti di interdizione o di inabilitazione.

La pronuncia additiva delineata dal rimettente si articola, dunque, su due livelli, di cui solo quello relativo alla richiesta interruzione del processo costituirebbe un quid novi rispetto alla disciplina attualmente vigente. In virtù, infatti, della soluzione ermeneutica offerta da questa Corte (supra, punto 10.2.1.), il giudice è già tenuto a segnalare il caso al pubblico ministero, affinché promuova o il giudizio per la nomina di un amministratore di sostegno o i procedimenti di interdizione o di inabilitazione.

In altri termini, il giudice rimettente non prefigura l’ipotesi di una incidenza dell’incapacità naturale sulla capacità processuale, con la conseguente nomina nel medesimo procedimento di un curatore speciale; viceversa, prospetta a questa Corte l’interruzione del processo, onde permettere l’autonomo svolgimento di uno dei procedimenti (di interdizione, di inabilitazione o di amministrazione di sostegno) con cui si accertano i presupposti per poter limitare in tutto, in parte o in maniera mirata la capacità legale d’agire e per poter, di conseguenza, nominare chi rappresenti o assista l’incapace.

12.– I termini con i quali il giudice a quo pone le questioni di legittimità costituzionale sono, dunque, particolarmente attenti a garantire il diritto della parte a «non essere privat[a] della capacità processuale, se non mediante un giudizio in cui è previsto l’esame dell’infermo di mente (ordinanza n. 41 del 1988) e nel quale lo stesso può compiere da solo tutti gli atti del procedimento» (sentenza n. 468 del 1992, e già ordinanze n. 605 e n. 41 del 1988).

Tuttavia, la prospettiva di una interruzione necessaria del processo – onde assicurare che la sua ripresa avvenga solo dopo che siano state accertate le condizioni della parte e che sia stato eventualmente nominato chi la rappresenti o la assista – rischia di riverberarsi su altri interessi di rango costituzionale.

L’interruzione, infatti, incide sull’interesse a una ragionevole durata del processo, riferibile sia al soggetto affetto da incapacità naturale sia alla controparte, così come può nuocere al diritto di difesa di quest’ultima, che ricomprende l’interesse a proporre «una domanda giudiziale […] nei confronti dell’incapace naturale, senza che l’azione possa restare paralizzata indefinitamente per effetto della interruzione del processo» (sentenza n. 468 del 1992). Infine, non può tacersi che la possibilità di interrompere il processo sulla base del sospetto dell’incapacità di una parte finirebbe per assecondare possibili iniziative meramente dilatorie.

Alla luce dei molteplici interessi implicati, la mancata previsione dell’istituto della interruzione è, dunque, il frutto di un bilanciamento che non può reputarsi irragionevole (art. 3 Cost.).

E, infatti, senza bisogno di ricorrere all’interruzione del processo, non mancano, nell’attuale assetto delineato dal legislatore, forme di tutela dell’incapace naturale, anche se affetto da una infermità o da una menomazione fisica o psichica (art. 32 Cost.), tali da garantire nel processo civile, in conformità agli artt. 24 e 111, commi primo e secondo, Cost., il diritto di difesa e quello a un processo giusto e che si svolga nel segno della parità delle armi (sentenze n. 228, n. 145 e n. 10 del 2022, n. 236 del 2021, n. 181 e n. 174 del 2019, n. 214 del 2016 e n. 186 del 2013).

12.1.– Una prima e fondamentale tutela dell’incapace naturale è assicurata, nel processo civile, dalla difesa tecnica (sentenza n. 10 del 2022), e questa è certamente presente nell’ipotesi del rilascio di una procura alle liti da parte di chi risulti incapace, che è la fattispecie astratta evocata dal rimettente nella sentenza additiva che prospetta.

In particolare, la difesa tecnica, presidiata da principi costituzionali e circondata da regole di natura anche deontologica, impone al difensore: di accertarsi che colui che gli conferisce la procura abbia consapevolezza dell’atto e dei suoi effetti; di informare l’assistito sui rischi insiti nell’avvio di un’azione giudiziaria; nonché di tutelare in ogni modo i suoi interessi.

Ove, viceversa, il difensore vìoli i doveri legali e deontologici, a partire dalla regola di correttezza, l’assistito può agire nei suoi confronti, onde conseguire il risarcimento dei danni subiti.

12.2.– In pari tempo il giudice, il quale abbia ragione di ritenere che una parte, non ancora privata della capacità legale, versi in una condizione che giustificherebbe le tutele preventive associate all’interdizione, all’inabilitazione o all’amministrazione di sostegno, è tenuto a ordinare «la comunicazione degli atti» (sentenza n. 468 del 1992) «al pubblico ministero affinché agisca o intervenga nei modi previsti dalla legge» (ordinanza n. 206 del 1995), «promuovendo, ove del caso, il procedimento di interdizione o di inabilitazione» o quello di amministrazione di sostegno e «chiedendo la urgente nomina di un tutore o di un curatore provvisorio» (ancora, sentenza n. 468 del 1992) o di un amministratore di sostegno provvisorio.

In particolare, l’istituto dell’amministrazione di sostegno consente di offrire una celere ed efficace tutela preventiva a chiunque versi «nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi», «per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica» (art. 404 cod. civ.).

Il pubblico ministero, che riceve la comunicazione da parte del giudice il quale sospetta dell’incapacità di una parte, può, dunque, prontamente avviare tale procedimento (artt. 406 e 417 cod. proc. civ.), che non solo incide in maniera mirata sulla capacità legale dell’interessato, ma che contempla anche forme di tutela immediate, in caso di urgenza.

In particolare, da un lato, «[i]l giudice tutelare provvede entro sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta alla nomina dell’amministratore di sostegno con decreto motivato immediatamente esecutivo» (art. 405, primo comma, cod. civ.). Da un altro lato, ancor prima di giungere al decreto esecutivo e, dunque, ancor prima del citato termine, il giudice tutelare «[q]ualora ne sussista la necessità, […] adotta anche d’ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per la conservazione e l’amministrazione del suo patrimonio» e può «procedere alla nomina di un amministratore di sostegno provvisorio indicando gli atti che è autorizzato a compiere» (art. 405, quarto comma, cod. civ.).

12.3.– In definitiva, considerata la gamma di tutele sostanziali e processuali (ordinanza n. 198 del 2006) che l’ordinamento appronta – cui, di recente, si aggiungono anche quelle disposte per taluni procedimenti dal d.lgs. n. 149 del 2022 (supra, punto 10.2.2.) – devono ritenersi non fondate, in riferimento agli artt. 3, 24, 32 e 111, commi primo e secondo, Cost., le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 75, commi primo e secondo, e 300 cod. proc. civ., nella parte in cui non prevedono l’interruzione del processo in attesa che si definisca l’eventuale giudizio sulla incapacità legale della parte.

13.– Alla medesima conclusione si giunge nel raffronto fra le norme censurate e l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo.

Anzitutto, va premesso che, in piena sintonia con questa Corte, anche la giurisprudenza della Corte EDU ha più volte sottolineato la necessità che la privazione della capacità legale di agire sia circondata da adeguate garanzie, trattandosi di una penetrante invasione nella sfera privata della persona (Corte EDU, sentenza 30 agosto 2013, Mikhaylenko contro Ucraina, paragrafo 33; 17 gennaio 2012, Stanev contro Bulgaria).

Pertanto, la Corte EDU, pur riconoscendo che gli Stati firmatari hanno un margine di apprezzamento nella determinazione delle modalità di privazione della capacità processuale (sentenza Mikhaylenko, paragrafo 35), nondimeno ha ravvisato una violazione dell’art. 6 CEDU nelle legislazioni che autorizzano l’interruzione o addirittura l’estinzione del processo avviato dall’incapace, senza prevedere adeguati strumenti che consentano la riassunzione del processo da parte sua o di un suo rappresentante (sentenza 3 gennaio 2020, Nikolyan contro Armenia, paragrafi 96 e 97).

Inoltre, anche secondo l’interpretazione che dell’art. 6 CEDU offre la Corte di Strasburgo, le regole del contraddittorio e della parità delle armi si atteggiano nel processo civile in termini diversi rispetto al processo penale, dove è implicata l’esigenza di consentire all’imputato di difendersi personalmente (Corte EDU, sentenza 15 giugno 2023, Roccella contro Italia; 10 febbraio 2021, Dan contro Moldavia).

Ciò premesso, le situazioni nelle quali la Corte EDU ravvisa una violazione dell’art. 6 CEDU attengono, alla luce delle sentenze che lo stesso rimettente richiama (si vedano le citate 19 settembre 2017, Regner contro Repubblica Ceca; 7 giugno 2001, Kress contro Francia; 27 ottobre 1993, Dombo Beheer contro Paesi Bassi), alla mancata o insufficiente attribuzione a una delle parti di poteri processuali, quali la possibilità di avvalersi di strumenti di impugnazione o di mezzi di prova.

Tuttavia simili situazioni di netto svantaggio processuale rispetto all’avversario non hanno alcuna attinenza con l’esigenza di proteggere chi versi in una condizione di incapacità naturale.

14.– Di seguito, non è parimenti fondata la questione sollevata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 1 e 13 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, nella parte in cui sanciscono il diritto di tali persone a un accesso effettivo alla giustizia.

Una volta che la posizione processuale del sospetto incapace sia preservata dalla difesa tecnica e che siano disponibili tanto strumenti di tutela successiva, quanto percorsi idonei a introdurre una tutela preventiva, senza alcun sacrificio del doveroso accertamento sulle condizioni di salute dell’interessato, la mancata previsione della obbligatoria e automatica interruzione del processo, sulla base del semplice sospetto nutrito dal giudice circa l’incapacità della parte, non comporta alcun irragionevole pregiudizio al diritto del disabile di poter accedere a una giustizia effettiva.

15.– Infine, non ha fondamento la pretesa violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevole disparità di trattamento tra la situazione dell’incapace di intendere o di volere e quella del soggetto scomparso, in relazione all’applicazione degli artt. 75 e 300 cod. proc. civ. In particolare, tali norme sono state dichiarate costituzionalmente illegittime dalla sentenza n. 220 del 1986, «nella parte in cui non prevedono, ove emerga una situazione di scomparsa del convenuto, la interruzione del processo e la segnalazione, ad opera del giudice, del caso al Pubblico Ministero perché promuova la nomina di un curatore, nei cui confronti debba l’attore riassumere il giudizio».

Ebbene, le situazioni poste a raffronto sono evidentemente disomogenee.

Innanzitutto, nella vicenda esaminata con la citata sentenza veniva in considerazione la fattispecie della scomparsa di una persona non costituita in giudizio, mentre la prospettiva oggetto delle odierne questioni attiene a persone costituite in giudizio che hanno conferito a un difensore una procura alle liti.

Inoltre, è innegabile la diversità del presupposto che determina l’interruzione del processo nel caso dello scomparso, rispetto a quello che dovrebbe comportare il medesimo effetto nell’ipotesi dell’incapace, così come è differente il procedimento relativo all’accertamento della scomparsa rispetto a quelli concernenti l’interdizione, l’inabilitazione o la nomina dell’amministratore di sostegno.

Tanto basta a segnare una chiara distinzione tra le due fattispecie poste a raffronto e a far ritenere insussistente l’asserita violazione dell’art. 3 Cost.

16.– Le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 75, commi primo e secondo, e 300 cod. proc. civ., nei termini prospettati dal rimettente, devono essere, pertanto, dichiarate non fondate, in riferimento agli artt. 3, 24, 32, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU e agli artt. 1 e 13 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 75, commi primo e secondo, e 300 del codice di procedura civile, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 32, 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e agli artt. 1 e 13 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva dallo Stato italiano con legge 3 marzo 2009, n. 18, dal Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Emanuela NAVARRETTA, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2023

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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