In caso di sinistro stradale, la pena di tre anni di reclusione prevista per il conducente che, dopo aver causato lesioni gravi, decide di darsi alla fuga, è ragionevolmente proporzionata.
La ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza n. 195 depositata il 27 ottobre 2023, dichiarando infondate le questioni sollevate in merito all'art. 590-ter cod. pen. per quanto concerne la sanzione imposta al conducente.
Il punto centrale che la Consulta ha voluto evidenziare è la consapevole azione del conducente: quando questi sceglie di fuggire, mostra la cosciente determinazione di non volersi assumere la responsabilità dei propri comportamenti. Ciò significa che il conducente “decide scientemente di fare prevalere su tutto la propria impunità … a scapito dell’interesse immediato delle persone coinvolte nell’incidente”.
Se da un lato è noto che pene severe possono non sembrare in linea con l'essenza del nostro sistema penale, risultando “indiziate” di illegittimità costituzionale, i giudici sottolineano che, nel caso della fuga post incidente, la pena minima di tre anni prevista dalla legge non può non essere riconosciuta ragionevolmente proporzionata, poiché tale sanzione, anche quando vengono riconosciute attenuanti, non porta a conseguenze sproporzionate rispetto alla gravità dell'azione commessa.
Inoltre, l'introduzione di una pena minima di tre anni per chi decide di fuggire dopo un incidente si inquadra perfettamente in termini sistematici all'interno dell'azione legislativa avviata con la legge n. 41 del 2016. Quest'ultima, infatti, ha come obiettivo quello di “inasprire il trattamento sanzionatorio per le condotte che, attraverso la violazione delle regole della circolazione stradale, offendono l’incolumità personale e la vita”. E senza questa soglia minima di tre anni, si potrebbe cadere in un calcolo di convenienza che, in pratica, potrebbe spingere un conducente a "scegliere" la fuga, sia per evitare di essere associato all'incidente, sia nel caso di lesioni gravi causate guidando sotto l'effetto dell'alcool o stupefacenti.
Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-ter del codice penale, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui stabilisce, per le lesioni personali stradali gravi di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., aggravate dalla fuga del conducente, "la pena minima e fissa" di tre anni di reclusione, non sono fondate.
SENTENZA N. 195
ANNO 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Silvana SCIARRA; Giudici : Daria de PRETIS, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 590-ter del codice penale, promossi dal Tribunale ordinario di Milano, undicesima sezione penale, in composizione monocratica, con ordinanza del 22 settembre 2022, e dal Tribunale ordinario di Monza, sezione penale, in composizione monocratica, con ordinanza del 28 aprile 2023, iscritte, rispettivamente, al n. 128 del registro ordinanze 2022 e al n. 73 del registro ordinanze 2023 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2022 e n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2023.
Visti l’atto di costituzione di D. F., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2023 il Giudice relatore Luca Antonini;
uditi l’avvocato Paolo Antonio Muzzi per D. F. e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 10 ottobre 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 22 settembre 2022 (reg. ord. n. 128 del 2022), il Tribunale ordinario di Milano, undicesima sezione penale, in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 590-ter del codice penale, nella parte in cui stabilirebbe, per le lesioni personali stradali gravi di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., aggravate dalla fuga del conducente, «la pena minima e fissa» di tre anni di reclusione, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione.
L’ordinanza di rimessione premette che all’imputato nel giudizio a quo sono contestati: a) il reato di cui agli artt. 590-bis, primo e sesto comma, e 590-ter cod. pen., per avere, quale conducente di un veicolo, alla cui guida si era posto con la patente sospesa, cagionato lesioni personali stradali gravi a una persona che transitava su un attraversamento pedonale e per essersi poi dato alla fuga; b) i reati, aggravati dalla recidiva specifica e infraquinquennale, di cui all’art. 189, commi 1, 6 e 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), per avere omesso di ottemperare agli obblighi di fermarsi e di prestare assistenza alla persona ferita, nelle circostanze indicate nel precedente capo d’imputazione e dopo avere causato il sinistro stradale ivi descritto.
1.1.– La rilevanza della questione di legittimità costituzionale, che la difesa dell’imputato ha chiesto di sollevare, è argomentata ritenendo che tra quelli contestati il reato «più grave» sia quello di lesioni personali, per il quale l’art. 590-ter cod. pen. imporrebbe di irrogare una pena non inferiore a tre anni di reclusione.
Ad avviso del rimettente sarebbe questa la pena da applicare, sebbene il delitto di cui all’art. 189, comma 7, cod. strada, tenendo conto dell’aumento della metà, in ragione della contestata recidiva, risulti punito fino a quattro anni e sei mesi di reclusione. Al riguardo, infatti, è richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che, «in caso di concorso di reati», non consentirebbe al giudice – quando ritenga più grave il reato punito con la pena edittale più elevata nel massimo – di «irrogare una pena inferiore nel minimo a quella prevista per il reato satellite» (è citata Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 febbraio-13 giugno 2013, n. 25939).
D’altra parte, il rimettente aggiunge che, in relazione al suddetto reato previsto dal codice della strada, sarebbe «possibile operare il giudizio di equivalenza tra eventuali circostanze attenuanti e la recidiva», con conseguente riduzione a tre anni della pena massima irrogabile, mentre per le lesioni personali stradali gravi l’art. 590-quater cod. pen. non consentirebbe il giudizio di equivalenza o di prevalenza tra le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen., e le aggravanti contestate all’imputato, ossia quelle di cui agli artt. 590-bis, sesto comma, e 590-ter cod. pen.
1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione sollevata, l’ordinanza osserva che l’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., punisce le lesioni personali stradali gravi e gravissime con la reclusione, rispettivamente, da tre mesi a un anno e da uno a tre anni.
Per effetto del successivo art. 590-ter – ai sensi del quale «[n]el caso di cui all’articolo 590-bis, se il conducente si dà alla fuga, la pena è aumentata da un terzo a due terzi e comunque non può essere inferiore a tre anni» – il giudice non potrebbe «scendere al di sotto di tale misura», né avrebbe più «un massimo al quale fare riferimento», dal momento che, anche aumentando di due terzi la pena prevista per le lesioni personali stradali gravi, si perverrebbe alla misura di un anno e otto mesi, superata, appunto, dal suddetto minimo. Egli si «trov[erebbe] quindi ad infliggere una pena “fissa” di 3 anni di reclusione».
Diversamente accadrebbe invece per le lesioni stradali gravissime, per le quali la pena minima di tre anni di reclusione risulterebbe riportata «nella cornice edittale prevista in base agli aumenti» stabiliti dalla prima parte dell’art. 590-ter cod. pen.
Pertanto, «[l]a previsione di una pena “fissa”» contrasterebbe con gli artt. 3 e 27 Cost. «poiché impedi[rebbe] al giudice di adeguare la sanzione alla concreta gravità del fatto, in violazione non solo del principio di uguaglianza, ma anche delle finalità di rieducazione del condannato e del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, che ricomprende[rebbe] la possibilità di trattamenti sanzionatori individualizzati e proporzionali».
1.3.– Inoltre, dopo aver richiamato le pronunce di questa Corte che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale «di alcuni trattamenti sanzionatori “rigidi”» (sono citate le sentenze n. 205 del 2017, n. 105 del 2014 e n. 251 del 2012), l’ordinanza ravvisa «un caso analogo» a quello in esame nel giudizio deciso con la sentenza n. 222 del 2018, avente a oggetto l’art. 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevedeva per le pene accessorie della inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità a esercitare uffici direttivi la durata «di dieci anni», anziché «fino a dieci anni».
Riportando i passaggi della citata sentenza, il Tribunale rimettente ritiene che le valutazioni lì riferite a una pena accessoria «a maggior ragione devono valere con riguardo ad una pena principale», quale quella di cui al censurato art. 590-ter cod. pen., che, nella seconda parte, è stabilita «in misura “fissa” e, peraltro, contraddittoria, quanto alle lesioni colpose gravi, rispetto alla pena ricavabile dagli aumenti stabiliti nella prima parte del medesimo articolo di legge».
2.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto di dichiarare non fondata la questione sollevata.
2.1.– La difesa statale, descritto l’ambito di operatività della previsione censurata, riconosce che per le lesioni personali gravi la forbice edittale «si annulla», rimanendo queste «punite con la pena fissa di tre anni di reclusione».
Il contrasto con i parametri evocati andrebbe tuttavia escluso perché la individuazione del trattamento sanzionatorio operata dalla norma non apparirebbe manifestamente irragionevole o in violazione dei principi di proporzionalità e gradualità della pena.
Infatti, con la riforma dei reati contro la persona con violazione delle norme sulla circolazione stradale, di cui alla legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), il legislatore avrebbe «delineato come connotate da un disvalore particolarmente pregnante alcune condotte spiccatamente pericolose alla guida di veicoli a motore», scelta «ancor più evidente laddove (come nel caso di specie) si verta in ipotesi di iniziale condotta colposa cui segue un comportamento assistito da una volontà dolosa (quale la fuga)».
In altri termini, «[l]a severità del trattamento sanzionatorio» di cui all’art. 590-ter cod. pen. esprimerebbe «proprio il giudizio di precipua riprovevolezza dell’ordinamento riguardo tale condotta di fuga, sintomatica di mancanza di resipiscenza e di insensibilità rispetto [a] ogni più elementare dovere di solidarietà sociale».
Secondo l’Avvocatura, inoltre, la «fissità del trattamento sanzionatorio» risulterebbe «ragionevolmente “proporzionata”» tenuto conto della natura dell’illecito sanzionato e della connotazione dolosa che permeerebbe di sé la fattispecie aggravata.
D’altro canto, rimarrebbe ferma la possibilità per il giudice di valutare la diversa gravità concreta dei singoli illeciti, graduando la pena mediante il riconoscimento delle attenuanti generiche, sia pure applicabili nella forma più rigida dettata dall’art. 590-quater cod. pen.
Infine, l’Avvocatura ritiene inconferenti i richiami ai trattamenti sanzionatori rigidi, caducati dalle pronunce di questa Corte, presi a riferimento dal giudice a quo.
3.– Si è costituito in giudizio D. F., imputato nel giudizio principale, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata fondata.
La difesa della parte sottolinea che la norma censurata, prevedendo una pena fissa per le lesioni personali stradali gravi, rappresenterebbe un unicum tra quelle contenute nella legge n. 41 del 2016 poiché, invece, sia per le lesioni gravissime, sia per l’omicidio stradale, la pena irrogabile, una volta operati gli aumenti per l’aggravante della fuga, sarebbe correttamente contenuta entro un minimo e un massimo edittale. Oltre a rivelarsi distonica, la previsione sembrerebbe essere «un effetto non meditato» nel corso dei lavori parlamentari di approvazione della legge.
In contrasto con i parametri costituzionali evocati dal rimettente, la norma censurata non consentirebbe al giudice di adeguare il trattamento sanzionatorio alla particolarità del caso concreto; nemmeno sarebbe sufficiente la possibilità di riconoscere le circostanze attenuanti, anche generiche, dal momento che il rigido meccanismo di cui all’art. 590-quater cod. pen. limiterebbe la discrezionalità del giudice nel caso concreto.
L’atto di costituzione rileva, inoltre, che la pena fissa in questione sanzionerebbe non soltanto il disvalore della fuga in sé, ma anche e ancor prima quello di avere procurato lesioni personali colpose, violando «regole cautelari le più diverse e con modalità potenzialmente molto differenti». Il minimo di pena di tre anni sarebbe poi lo stesso, «sia che l’autore abbia cagionato delle lesioni gravi, sia che queste siano gravissime».
Pertanto, la suddetta pena non sarebbe ragionevolmente proporzionata rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili al reato in esame.
4.– Con ordinanza del 28 aprile 2023 (reg. ord. n. 73 del 2023), il Tribunale ordinario di Monza, sezione penale, in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 590-ter cod. pen., nella parte in cui prevede, per le lesioni personali stradali gravi di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., aggravate dalla fuga del conducente, che la pena «comunque non può essere inferiore a tre anni», in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost.
4.1.– Il giudice a quo, all’esito della discussione finale e sollecitato dalla difesa dell’imputato sulla base degli argomenti della ordinanza di rimessione del Tribunale di Milano emessa in data 22 settembre 2022, motiva la rilevanza della questione di legittimità costituzionale osservando anzitutto che sarebbe «[p]acifica […] la coincidenza del fatto accertato in dibattimento con la fattispecie astratta punita dal combinato disposto degli artt. 590 bis c.p. e 590 ter c.p.».
In particolare, non vi sarebbero ragioni per ritenere «che il processo non approdi alla fase decisionale»: da un lato, sarebbe agli atti una valida querela della persona offesa; dall’altro lato, sarebbe ormai precluso l’accesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova, «unico rito tale da scongiurare l’applicazione della sanzione».
4.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale, il Tribunale rimettente rileva che, per le lesioni personali stradali di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., aggravate dalla fuga del conducente, il legislatore avrebbe sostanzialmente previsto «quale unico ‘sbocco sanzionatorio’ […] [l]a “pena fissa” di tre anni». Pertanto, «nel caso di specie l’impossibilità di adeguare la pena tra un minimo e un massimo» contrasterebbe con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e «con il principio di ragionevolezza della pena, in funzione rieducativa», declinato dall’art. 27, primo e terzo comma, Cost.
4.2.1.– Anzitutto, la pena prevista dal legislatore «puni[rebbe] in modo identico fatti di disvalore diverso», come emergerebbe dal fatto che «[l]a pena minima per le lesioni stradali aggravate dalla fuga, siano esse gravi o gravissime» – queste ultime «giocoforza ‘più gravi di quelle gravi’» – coinciderebbe con gli anni tre di reclusione.
Inoltre, solo per le lesioni gravissime ma non per quelle gravi, il legislatore avrebbe comunque previsto una cornice edittale, consentendo al giudice di differenziare la sanzione per fatti diversi.
A tale violazione del principio di uguaglianza si aggiungerebbe «l’evidente irrazionalità del trattamento sanzionatorio», dal momento che «la pena fissa […] impedi[rebbe] al giudice di parametrare la sanzione al caso concreto» – nel quale le lesioni «possono essere causate dal reo con le modalità più disparate» – e non risulterebbe dunque «proporzionata rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato» (è citata la sentenza n. 50 del 1980 di questa Corte).
4.2.2.– L’automatismo sanzionatorio determinato dalla norma censurata, impedendo di parametrare la punizione all’evento concreto e al grado di colpevolezza dell’imputato, lederebbe anche l’art. 27 Cost.: infatti, solo la possibilità di adeguare la risposta punitiva ai casi concreti contribuirebbe a rendere «quanto più possibile personale la responsabilità penale» ai sensi del primo comma dell’art. 27 Cost. e, nello stesso tempo, consentirebbe «una determinazione della pena quanto più possibile “finalizzata” agli scopi perseguiti» dal terzo comma della citata disposizione.
A sostegno degli argomenti svolti l’ordinanza richiama, da un lato, la sentenza n. 222 del 2018 di questa Corte, che, a fronte di una pena fissa, a giudizio del rimettente avrebbe «restitui[to] discrezionalità al giudice di merito»; dall’altro lato, le pronunce che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale dei «trattamenti sanzionatori ‘rigidi’».
4.2.3.– Da ultimo, il rimettente osserva che nella fattispecie sanzionatoria, per quanto «omogeneamente aggravata dall’elemento della fuga», «residu[erebbe] pur sempre un elemento di disomogeneità», costituito dalla previsione di una pena fissa «a prescindere dalle più disparate modalità di manifestazione concreta del reato».
Pertanto, alla luce del divieto di bilanciamento delle circostanze previsto dall’art. 590-quater, cod. pen., che comprende anche quella di cui al precedente art. 590-ter, la staticità della risposta sanzionatoria potrebbe essere superata soltanto dalla eventuale dichiarazione d’illegittimità costituzionale di questa disposizione, nella parte in cui prevede che, anche per le lesioni personali stradali gravi, la pena «non può essere inferiore a tre anni».
5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio chiedendo di dichiarare inammissibile (peraltro, senza indicarne le ragioni) o, in ogni caso, non fondata, la questione di legittimità costituzionale, sulla base degli stessi argomenti già illustrati nel giudizio di cui al reg. ord. n. 128 del 2022.
Considerato in diritto
1.– Con le ordinanze di rimessione indicate in epigrafe (reg. ord. n. 128 del 2022 e reg. ord. n. 73 del 2023), il Tribunale ordinario di Milano, undicesima sezione penale, in composizione monocratica, e il Tribunale ordinario di Monza, sezione penale, in composizione monocratica, hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-ter cod. pen. nella parte in cui, dopo aver stabilito «se il conducente si dà alla fuga, la pena è aumentata da un terzo a due terzi», prevede anche per le lesioni personali stradali gravi di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., che la pena «comunque non può essere inferiore a tre anni».
I rimettenti quindi rilevano che, per le lesioni gravi, il giudice non potrebbe che infliggere una pena fissa di tre anni di reclusione, quale unico sbocco sanzionatorio della disposizione oggetto di censura.
Infatti, l’applicazione del richiamato aumento proporzionale alle pene previste dal primo comma dell’art. 590-bis cod. pen. per le lesioni personali stradali gravi – la reclusione da tre mesi a un anno – individuerebbe, ma solo sul piano astratto, una cornice edittale per la condotta della fuga compresa tra il minimo di quattro mesi e il massimo di un anno e otto mesi, in realtà sempre superata dalla soglia minima stabilita dalla norma censurata.
Per i rimettenti, dunque, la previsione di una pena fissa e la conseguente impossibilità di parametrare la sanzione tra un minimo e un massimo, adeguandola alla concreta gravità del fatto, violerebbero gli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., contrastando con i principi di uguaglianza, di ragionevolezza e di proporzionalità della pena, anche in relazione alla sua finalità rieducativa.
Inoltre, il Tribunale di Monza, in riferimento alla violazione del principio di eguaglianza, deduce che l’art. 590-ter cod. pen.: a) punirebbe in modo identico fatti di disvalore diverso, dal momento che la pena coinciderebbe nella misura minima di tre anni per le lesioni personali stradali aggravate dalla fuga, siano esse gravi o gravissime; b) precluderebbe al giudice di differenziare la sanzione per fatti diversi nelle fattispecie di minore disvalore delle lesioni personali stradali gravi, mentre ciò sarebbe ammesso nel caso delle lesioni gravissime.
2.– In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano rigettate in ragione della loro non fondatezza.
Si è costituito l’imputato nel giudizio principale innanzi al Tribunale di Milano, concludendo invece per l’accoglimento delle questioni medesime.
3.– Le due ordinanze censurano la stessa disposizione in termini in larga parte coincidenti, sicché i relativi giudizi vanno riuniti ai fini della decisione.
4.– L’eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa dello Stato solo nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 73 del 2023 non può essere accolta, in quanto totalmente priva di motivazione.
Le questioni di legittimità costituzionale sollevate sono quindi ammissibili: in entrambi i giudizi a quibus è, infatti, contestata la commissione di un fatto di lesioni personali stradali gravi, aggravato dalla fuga del conducente, e le ordinanze di rimessione censurano proprio la norma che per tale condotta stabilisce il trattamento sanzionatorio minimo di tre anni di reclusione.
4.1.– Peraltro, dalle stesse ordinanze emerge che nei due giudizi a quibus la decisione nel merito delle imputazioni ivi contestate non risulta ostacolata dalla entrata in vigore, a decorrere dal 30 dicembre 2022, della disposizione di cui al nono comma dell’art. 590-bis, cod. pen. – aggiunta dall’art. 2, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari) – ai sensi della quale «[i]l delitto è punibile a querela della persona offesa se non ricorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dal presente articolo».
L’ordinanza del Tribunale di Monza, pur non citando la suddetta previsione (già vigente), fa comunque implicito riferimento al suo contenuto segnalando la presenza della valida querela della persona offesa.
Quella del Tribunale di Milano, benché anteriore alla menzionata modifica dell’art. 590-bis cod. pen., descrive tuttavia compiutamente la imputazione per cui si procede, chiarendo che questa è aggravata anche ai sensi del sesto comma della citata disposizione. Si deve perciò escludere, nella specie, ogni possibilità di incidenza del citato iussuperveniens e, quindi, che gli atti vadano restituiti al giudice rimettente perché rivaluti la rilevanza della questione sollevata (in questo senso, sentenza n. 43 del 2018).
5.– Preliminare all’esame del merito delle questioni è una sintetica ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, in cui si colloca la disposizione censurata.
5.1.– Anzitutto, il codice della strada disciplina, all’art. 189, il «[c]omportamento in caso di incidente», prescrivendo al comma 1 che «[l]’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona».
Il duplice obbligo così sancito si pone in sostanziale continuità con le previgenti disposizioni che da lungo tempo hanno governato la materia: dapprima l’art. 34 (Sanzioni per il caso di investimento) del regio decreto 8 dicembre 1933, n. 1740 (Testo unico di norme per la tutela delle strade e per la circolazione); successivamente, l’art. 133 (Obblighi del conducente in caso di investimento) del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 (Testo unico delle norme sulla circolazione stradale).
Il suddetto art. 189 si conforma, inoltre, alle puntuali disposizioni contenute nell’art. 31 (Comportamento in caso di incidente) della Convenzione sulla circolazione stradale firmata a Vienna l’8 novembre 1968, integrata dall’Accordo europeo sulla circolazione firmato a Ginevra il 1° maggio 1971; atti oggetto, rispettivamente, di ratifica, esecuzione e adesione da parte dell’Italia con legge 5 luglio 1995, n. 308 (Ratifica ed esecuzione delle convenzioni, con annessi, firmate a Vienna l’8 novembre 1968, sulla circolazione e sulla segnaletica stradale, ed adesione agli accordi europei, con annessi, firmati a Ginevra il 1 maggio 1971, sulle stesse materie ed al protocollo, con annessi, firmato a Ginevra il 1 marzo 1973, sui segnali stradali e loro esecuzione).
Nei successivi commi il menzionato art. 189 prevede alcune prescrizioni accessorie (commi 2, 3 e 4) nonché, per quanto qui rileva, le sanzioni per la violazione dei due fondamentali obblighi di cui al comma 1, così declinate:
a) sanzione amministrativa del pagamento della somma da euro 302 a euro 1.208 per «[c]hiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, non ottempera all’obbligo di fermarsi in caso di incidente, con danno alle sole cose» (comma 5);
b) reclusione da sei mesi a tre anni per «[c]hiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi» (comma 6);
c) reclusione da un anno a tre anni per «[c]hiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, non ottempera all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite» (comma 7).
L’elemento materiale del reato omissivo previsto dal comma 6 e usualmente indicato come “di fuga” «consiste nell’allontanarsi dal luogo dell’investimento così da impedire o anche solo da ostacolare l’accertamento della propria identità personale, l’individuazione del veicolo investitore e la ricostruzione delle modalità dell’incidente» (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 9 dicembre 2021-14 marzo 2022, n. 8431).
Quanto all’elemento soggettivo, il dolo richiesto «deve investire essenzialmente l’inosservanza dell’obbligo di fermarsi in relazione all’evento dell’incidente concretamente idoneo a produrre ripercussioni lesive alle persone, e non anche l’esistenza di un effettivo danno per le stesse» (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 15 febbraio-16 giugno 2023, n. 26012).
5.2.– Laddove dall’incidente derivi effettivamente un esito lesivo per l’incolumità individuale o, persino, per la vita delle persone coinvolte, vengono in rilievo anche le fattispecie di reato poste dal codice penale a tutela di tali beni.
In particolare, con riferimento alle lesioni personali, fino all’entrata in vigore della legge n. 41 del 2016 trovava applicazione la complessiva disciplina dell’art. 590 cod. pen., relativo alla condotta di chi ne cagionasse «ad altri per colpa». Il primo comma di tale disposizione, per le lesioni semplici, stabilisce la reclusione fino a tre mesi o la multa fino a euro 309; i successivi commi secondo e terzo ricomprendevano, tra l’altro, le lesioni gravi e gravissime causate «con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale», prevedendo per le prime la reclusione da tre mesi a un anno o la multa da euro 500 a euro 2.000.
5.3.– L’acuirsi del fenomeno delle “vittime della strada” ha in seguito indotto il legislatore a determinarsi, con la richiamata legge n. 41 del 2016, verso un vero e proprio «salto di livello» (sentenza n. 88 del 2019) nel trattamento sanzionatorio di una categoria di reati ritenuti di particolare allarme sociale.
Il quadro appena descritto è stato quindi modificato sotto più profili.
È stata infatti abbandonata la fattispecie del reato circostanziato, nel cui ambito avevano continuato a muoversi altri precedenti interventi di aggravamento dei trattamenti sanzionatori, e sono stati introdotti due nuovi reati speciali: l’omicidio stradale di cui all’art. 589-bis cod. pen. e, per quanto qui specificamente interessa, le lesioni personali stradali gravi e gravissime, di cui all’art. 590-bis cod. pen.
Nelle more della pubblicazione della presente sentenza si segnala, da ultimo, l’entrata in vigore della legge 26 settembre 2023, n. 138 (Introduzione del reato di omicidio nautico e del reato di lesioni personali nautiche), senza che, peraltro, le modifiche apportate, tra cui la sostituzione del citato art. 590-bis, incidano sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
Il suddetto art. 590-bis, nella versione antecedente alla modifica ora richiamata, stabiliva, nel primo comma, che «[c]hiunque cagioni per colpa ad altri una lesione personale con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da tre mesi a un anno per le lesioni gravi e da uno a tre anni per le lesioni gravissime».
Nei commi successivi, sono state altresì introdotte plurime (e parallele a quelle stabilite per il reato di omicidio stradale) circostanze aggravanti che considerano la guida in stato di ebbrezza alcolica oltre una certa soglia di tasso alcolemico o sotto l’effetto di stupefacenti (ai commi secondo e terzo), nonché la violazione di specifiche regole cautelari sintomatiche di maggiore pericolosità della condotta (ai commi quarto, quinto e sesto).
In particolare, va considerato che i commi secondo e terzo hanno stabilito, per chi causa lesioni guidando in tali condizioni, particolarmente caratterizzate dalla temeraria assunzione di «rischi irragionevoli» (sentenza n. 248 del 2020), un forte aggravamento della pena rispetto a quella prevista dalla disciplina precedente, determinandola nella reclusione da tre a cinque anni per le lesioni gravi, e da quattro a sette anni per le lesioni gravissime.
Le dette circostanze, inoltre, sono risultate «“privilegiate” in quanto presidiate dalla clausola di esclusione della comparazione con le attenuanti (art. 590-quater cod. pen.)» (sentenza n. 88 del 2019).
L’altra significativa modifica apportata dalla legge n. 41 del 2016 – e sulla quale si incentrano gli odierni giudizi – è stata la previsione di un’ulteriore circostanza aggravante di ciascun reato di nuovo conio (anch’essa “privilegiata” ai sensi del successivo art. 590-quater), tipizzata nelle due simmetriche disposizioni di cui all’art. 589-ter cod. pen. (Fuga del conducente in caso di omicidio stradale) e all’art. 590-ter cod. pen. (Fuga del conducente in caso di lesioni personali stradali).
Strutturate in maniera analoga, queste ultime stabiliscono che, «se il conducente si dà alla fuga», la pena per il reato commesso «è aumentata da un terzo a due terzi, e comunque non può essere inferiore» a cinque anni, nel caso di omicidio stradale, e a tre anni, nel caso di lesioni personali stradali gravi e gravissime.
5.3.1.– Va infine precisato che alla condotta di «fuga» oggetto delle circostanze aggravanti appena descritte la giurisprudenza ha dato un’interpretazione in continuità con l’orientamento già formatosi in relazione alla fattispecie prevista dall’art. 189, comma 6, cod. strada, conseguentemente affermando, in particolare, che quest’ultima è «assorbita nella nuova fattispecie complessa risultante dal combinato degli artt. 589-bis e 589-ter cod. pen.» (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 28 giugno-27 luglio 2023, n. 32669), «secondo il paradigma del reato complesso di cui all’art. 84 c.p.» (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 21 aprile-5 luglio 2023, n. 28785; nello stesso senso, Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 7 luglio-7 ottobre 2022, n. 38015, relativa specificamente al combinato degli artt. 590-bis e 590-ter cod. pen.).
6.– Le questioni sollevate da entrambe le ordinanze di rimessione si collocano nel descritto contesto normativo e si appuntano – sostenendone il contrasto con gli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost. – sulla disciplina sanzionatoria dell’art. 590-ter cod. pen. nella parte in cui, esigendo che la pena «comunque non può essere inferiore a tre anni», porta il giudice, in riferimento alla condotta del primo comma dell’art. 590-bis, cod. pen., a irrogare una pena invariabilmente fissa.
L’aumento proporzionale «da un terzo a due terzi», previsto dal censurato art. 590-ter, applicato alle pene per le lesioni gravi di cui al primo comma dell’art. 590-bis, che sono punite con la reclusione da tre mesi a un anno, dovrebbe condurre, infatti, in caso di fuga del conducente a una forbice edittale variabile da quattro mesi a un anno e otto mesi. Questa però risulta, in realtà, sempre inoperante, perché al di sotto della pena di tre anni che lo stesso art. 590-ter vuole sia comunque applicata.
In definitiva, per l’ipotesi delle lesioni gravi di cui al primo comma, il pur previsto incremento proporzionale si rivela tamquam non esset, risultando sempre sterilizzato dalla previsione del minimo di tre anni.
6.1.– Le questioni di legittimità costituzionale non sono fondate.
È pur vero che il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità nella quantificazione delle pene; al contempo, però, nell’esercizio di tale funzione, è tenuto a conformarsi all’indefettibile tutela di principi e diritti costituzionali.
Al riguardo questa Corte non può quindi che ribadire, innanzitutto, la propria giurisprudenza secondo cui l’individualizzazione della pena, che si ottiene con la previsione di una forbice edittale rivolta a consentire al giudice di determinarla in base alle specificità della fattispecie concreta, costituisce «naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali, tanto di ordine generale (principio d’uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale» (da ultimo, sentenza n. 40 del 2023, che richiama la sentenza n. 50 del 1980).
Da ciò discende che, in via di principio, previsioni sanzionatorie rigide non appaiono in linea con il volto costituzionale del sistema penale, risultando «“indiziate” di illegittimità costituzionale» (sentenza n. 266 del 2022).
Il relativo dubbio, pertanto, potrà «essere superato, caso per caso, solo “a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente ‘proporzionata’ rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato” (sentenza n. 222 del 2018, punto 7.1. del Considerato in diritto, e ivi riferimenti alla sentenza n. 50 del 1980)» (sentenza n. 266 del 2022).
In altre parole, occorre quindi che, a seguito di uno scrutinio di proporzionalità della «peculiare struttura della fattispecie» (sentenza n. 194 del 2023), emerga che la pena fissa viene a considerare adeguatamente una gamma di comportamenti accumunati da un contenuto di offensività e da un disvalore soggettivo sostanzialmente analoghi.
7.– Il censurato art. 590-ter cod. pen. punisce la condotta di fuga realizzata da un conducente responsabile di gravi lesioni personali seguite a un incidente stradale.
La scelta legislativa si struttura secondo il modello del reato complesso (come rilevato dalla giurisprudenza in precedenza richiamata), unendo in una stessa figura criminosa più condotte già autonomamente punite.
La combinazione di tali elementi comporta un trattamento sanzionatorio diverso rispetto a quello che sarebbe applicabile in base al cumulo delle figure componenti.
Nella specie, la differenza si manifesta anche nella previsione di un duplice meccanismo di determinazione della pena, l’uno basato sul criterio proporzionale (che aumenta da un terzo a due terzi quelle previste dal precedente art. 590-bis), l’altro, quello censurato, che ne prescinde stabilendo la soglia minima di tre anni.
Questa seconda modalità, rideterminando indefettibilmente il trattamento sanzionatorio, fa acquisire alla circostanza un significato senza dubbio peculiare, prendendo in considerazione una condotta, la fuga del conducente, che essa sanziona come di per sé connotata da un disvalore intrinseco grave, tale da meritare in ogni caso una pena minima (per un caso simile, in riferimento a «una sanzione di importo minimo», sentenza n. 212 del 2019).
In tal modo il legislatore ha configurato una nuova fattispecie astratta che descrive due condotte strettamente connesse, le lesioni gravi e la fuga, la seconda delle quali, essendo dettata unicamente dall’intento del soggetto di conseguire l’impunità per il primo comportamento, è idonea a imprimere, in realtà, uno speciale disvalore all’intera vicenda.
8.– È ben vero che la misura dell’aumento, data la soglia minima di tre anni, risulta essere pari a dodici volte il minimo edittale previsto dal primo comma dell’art. 590-bis cod. pen. per l’ipotesi base delle lesioni personali stradali (tre mesi di reclusione); ma non si può omettere di considerare che nella fattispecie di fuga si realizza, dal punto di vista soggettivo, un salto di qualità rispetto a quella delle lesioni.
È tale considerazione a risultare dirimente nella valutazione della proporzionalità: quello di lesioni personali gravi è un reato colposo, mentre la condotta di fuga è dolosa, sicché il pur elevato iato non può ritenersi sconfinare nell’ambito della manifesta irragionevolezza.
La condotta dolosa che il conducente, dandosi alla fuga, pone in essere dopo l’incidente, esprime, del resto, la cosciente determinazione di non volersi assumere la responsabilità dei propri comportamenti.
L’opzione così prescelta, in un lasso di tempo di regola breve, è dunque sintomatica del carattere di fondo della condotta di fuga, che «mostra estrema determinazione nel tentativo di sottrarsi alle conseguenze della propria azione» (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 28 dicembre 2015-13 aprile 2016, n. 15322), essendo finalizzata a evitare le «proprie responsabilità» (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 3 novembre 2011-13 agosto 2012, n. 32426).
Nel violare l’obbligo di fermarsi e trattenersi sul posto, espressamente previsto dal codice della strada a tutela della esigenza che vengano accertate le modalità di un incidente e identificati tutti i soggetti coinvolti, anche, peraltro, in vista del risarcimento del danno alle vittime, il conducente che fugge decide scientemente di fare prevalere su tutto la propria impunità (per una responsabilità ancora da accertare) a scapito dell’interesse immediato delle persone coinvolte nell’incidente.
In questo elemento si concretizza il tratto comune, in termini di offensività, rinvenibile nel darsi alla fuga: quale che sia la circostanza (ad esempio fuggire in pieno giorno, nel centro di una città, con la quasi certezza di essere identificato, o di notte, in una strada di campagna non illuminata), in ogni caso, l’allontanarsi volontariamente dal luogo del sinistro sta a significare la prevalenza del calcolo egoistico finalizzato a evitare ogni coinvolgimento personale nell’evento accaduto.
Infatti, per quanto necessariamente consapevole che la sua condotta correlata al sinistro è idonea a recare danno alle persone, chi si dà alla fuga decide di abbandonare il luogo dell’incidente, accettando di farlo, peraltro, sotto un “velo di ignoranza” quanto alle conseguenze prodotte dalla propria azione e amplificando il pericolo per l’incolumità fisica e la vita delle altre persone coinvolte. Del resto, se correttamente, da un lato, la giurisprudenza di legittimità mantiene distinti i reati di fuga, di cui al comma 6 dell’art. 189 cod. strada, e di omessa assistenza, di cui al successivo comma 7, in quanto lesivi di beni giuridici diversi, dall’altro, la stessa afferma che fra questi «ricorrono molti elementi e presupposti comuni» (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 15 gennaio-8 febbraio 2008, n. 6306; nello stesso senso, Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 12 marzo-6 maggio 2019, n. 18784, e Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 10 ottobre 2014-27 gennaio 2015, n. 3783).
8.1.– Un ulteriore elemento di omogeneità, che connota l’intera gamma dei comportamenti ai quali consegue la pena di tre anni di reclusione, è ravvisabile nella necessità che gli esiti definitivi dell’incidente sulla incolumità personale assumano almeno la consistenza di lesioni gravi, qualificazione che, ai sensi dell’art. 583 cod. pen., di regola è integrata da una malattia o da una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni della persona per più di quaranta giorni.
Il criterio che seleziona la categoria delle lesioni vale dunque a unificare le condotte punite dalla disposizione censurata all’interno di un perimetro segnato all’ingresso da un evento comunque di significativa entità, al cui definitivo assestamento non è estranea la scelta del conducente di allontanarsi dal luogo dell’incidente, essendo molto spesso unita a quella di omettere l’attivazione di un tempestivo soccorso, che sarebbe idoneo a contenere il processo causale lesivo già in atto nella persona offesa.
D’altro canto se, invece, dalla condotta colposa di guida conseguono lesioni di entità inferiore, la vicenda complessiva non sarà più disciplinata dalla disposizione censurata ma, quanto alle lesioni, dalla più mite fattispecie generale prevista dall’art. 590, primo comma, cod. pen., mentre il successivo comportamento di fuga sarà sanzionato in maniera autonoma ai sensi dell’art. 189, comma 6, cod. strada.
8.2.– Su un diverso, ma connesso piano, occorre poi ulteriormente considerare che anche nelle situazioni in cui l’art. 590-ter cod. pen. richiede di irrogare una pena sostanzialmente “fissa” nella misura di tre anni di reclusione, non è comunque preclusa al giudice – sia pure nel rispetto del regime dell’art. 590-quater cod. pen. – la possibilità di applicare l’apparato di circostanze attenuanti che possono meglio descrivere la concreta vicenda oggetto del giudizio penale. Tali sono quella comune prevista dall’art. 62, numero 6), cod. pen. per l’avvenuto integrale risarcimento del danno – nella specie, sintomo evidente della resipiscenza dell’imputato rispetto all’iniziale comportamento di disinteresse per le conseguenze della condotta che ha cagionato le lesioni – e, in ultima analisi, le attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis cod. pen., la cui applicazione discrezionale e motivata non può certo escludersi.
Va anche considerato il settimo comma dell’art. 590-bis cod. pen. (così come la simmetrica previsione contenuta nell’art. 589-bis cod. pen.) ai sensi del quale «[n]elle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà».
Questa Corte ha già avuto modo di rilevare che si tratta di «un’inedita attenuante ad effetto speciale del tutto particolare perché attiene all’efficienza causale», consapevolmente introdotta dalla legge n. 41 del 2016 «[p]er moderare il notevole maggior rigore della risposta sanzionatoria» che nel complesso connota la riforma, dando rilievo a «condotte che, seppur legate con nesso di causalità all’evento dannoso (sia morte, sia lesioni gravi o gravissime), possono in concreto avere un’efficienza causale non esclusiva» (sentenza n. 88 del 2019).
Inoltre, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha riconosciuto alla suddetta circostanza un ampio spazio di operatività, essendo questa configurabile nel caso in cui sia accertato il concorso di colpa, per quanto minimo, della vittima e, più in generale, una qualunque concorrente causa esterna, anche non costituita da condotta umana, al di fuori delle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore. L’ampia formulazione letterale della circostanza attenuante vale infatti «a ricomprendere una pluralità di situazioni nelle quali il disvalore della condotta colposa dell’autore del reato si ritiene minore per essere stato determinato l’evento» anche da concomitanti fattori (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 9 febbraio-7 marzo 2023, n. 9464 e precedenti ivi richiamati).
L’attenuante di cui al settimo comma degli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen. è ritenuta applicabile anche in caso di fuga del conducente (Corte di cassazione, sentenza n. 46668 del 2022 e sezione quarta penale, sentenza 11 settembre 2019-9 marzo 2020, n. 9205, nonché, nello stesso senso, Corte di cassazione, sentenza n. 28785 del 2023 e sezione quarta penale, sentenza 12 novembre-7 dicembre 2020, n. 34748).
Pertanto, pur considerando il peculiare meccanismo stabilito dall’art. 590-quater cod. pen., l’attenuante in discorso, come le altre ricordate, concorre all’opera, necessariamente spettante al giudice, di adeguamento della risposta sanzionatoria alle concrete manifestazioni del singolo fatto punito, in una direzione, in potenza, senz’altro mitigatrice.
In conclusione, la censurata “fissità” della pena si rivela non assoluta: infatti, il giudice è tenuto, al ricorrere dei presupposti di applicazione delle suddette circostanze attenuanti, a irrogare in concreto una pena inferiore a quella di tre anni, adeguando così la rigidità del trattamento sanzionatorio alla specifica vicenda sottoposta al suo esame, con particolare riguardo alle modalità di causazione delle lesioni non ricollegabili alla condotta del colpevole e al comportamento da questo tenuto successivamente al reato.
Anche sotto il profilo esaminato, dunque, la pena prevista dalla norma censurata si differenzia da quella fissa, richiamata da entrambi i rimettenti, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 222 del 2018 perché, tra gli altri motivi, «resta[va], altresì, insensibile all’eventuale sussistenza delle circostanze aggravanti o attenuanti» considerate dalla disposizione dalla quale essa dipendeva.
8.3.– In definitiva, alla luce delle esposte considerazioni, la pena di tre anni di reclusione che la norma censurata richiede rigidamente di applicare non può non essere riconosciuta ragionevolmente proporzionata, anche perché non suscettibile di condurre, nella prassi applicativa, a risultati sanzionatori palesemente eccessivi rispetto alla gravità dell’illecito commesso (sentenze n. 185 del 2021 e n. 112 del 2019).
9.– Sotto un ulteriore profilo occorre anche considerare che la scelta di approntare una soglia minima di tre anni da applicare alla fuga del conducente trova una giustificazione in termini sistematici nel quadro del complessivo intervento realizzato dalla legge n. 41 del 2016, volto, come detto, a inasprire il trattamento sanzionatorio per le condotte che, attraverso la violazione delle regole della circolazione stradale, offendono l’incolumità personale e la vita.
In particolare, in tale intervento il disvalore della condotta in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è stato articolato secondo una forte graduazione, con un netto divario tra le ipotesi base del primo comma dell’art. 590-bis cod. pen. e le condotte, sanzionate con la pena più elevata, rientranti nel secondo e nel terzo comma di tale disposizione. Infatti, la «pena prevista ove ricorrano tali aggravanti privilegiate è marcatamente più elevata della pena base, come risulta in particolare dal fatto che i minimi di pena delle fattispecie circostanziate sono sensibilmente incrementati» (sentenza n. 88 del 2019).
In questo contesto normativo, una volta inserito il comportamento di fuga quale elemento circostanziale della nuova fattispecie di reato, il legislatore ha pertanto ritenuto insufficiente sanzionarlo ricorrendo al solo criterio dell’aumento proporzionale da un terzo a due terzi rispetto alle pene (da tre mesi a un anno) per l’ipotesi base delle lesioni personali stradali gravi.
In mancanza della soglia minima dei tre anni, infatti, il calcolo di convenienza potrebbe indurre il conducente a scegliere la fuga, sia nella fattispecie base delle lesioni (perché a fronte del modesto aumento di pena si sarebbe evitato il coinvolgimento nella causazione dell’incidente), sia, a maggior ragione, laddove le lesioni risultino cagionate in presenza delle circostanze sintomatiche di un maggior grado di colpa.
In altre parole, la pena massima, un anno e otto mesi, irrogabile per le lesioni gravi seguite dalla fuga, risulterebbe, infatti, decisamente inferiore al minimo della pena, tre anni, che, per effetto della riforma del 2016, è stata prevista nelle ipotesi, disciplinate dai commi secondo e terzo dell’art. 590-bis, di lesioni gravi causate in caso di guida in stato di ebbrezza alcolica (oltre una certa soglia di tasso alcolemico) o sotto l’effetto di stupefacenti.
In difetto, pertanto, della punizione minima di tre anni per la fuga, per il conducente che versa in tali condizioni, in base a un mero calcolo utilitaristico, sarebbe sempre più conveniente fuggire, perché potrebbe contare sulla probabilità di essere individuato solo dopo un certo lasso di tempo, funzionale a ridurre o smaltire l’effetto dell’alcool o degli stupefacenti.
È significativo, a questo riguardo, considerare che l’inserimento della soglia minima dei tre anni è stato esplicitamente considerato nel corso dei lavori preparatori come «una clausola di chiusura» funzionale a «limitare il rischio di incentivare la fuga a causa dell’entità delle pene previste per i predetti reati» di omicidio stradale e di lesioni personali stradali gravi e gravissime (così la relatrice al progetto di legge, illustrando l’emendamento da lei presentato nella seduta del 20 ottobre 2015 delle Commissioni riunite II e IX della Camera dei deputati).
10.– Va peraltro, a margine, considerato che la valutazione di speciale disvalore della fuga del conducente, anche quando questa si riferisca alla fattispecie base delle lesioni personali stradali di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., risulta confermata dal legislatore in occasione della recente modifica alla procedibilità del suddetto reato. L’art. 1, comma 15, della legge 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari) contiene, tra gli altri, il criterio direttivo di «prevedere la procedibilità a querela della persona offesa per il reato di lesioni personali gravi o gravissime previsto dall’articolo 590-bis, primo comma, del codice penale», attuato dall’art. 2, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 150 del 2022, in precedenza richiamato (punto 4.1.).
Il legislatore ha, dunque, limitato la modifica alla sola condotta prevista dal primo comma della disposizione in esame, implicitamente considerando che laddove ricorra una circostanza aggravante (come appunto la fuga del conducente) permanga il prevalente interesse alla procedibilità d’ufficio.
D’altro canto, ove si fosse inteso prevedere la procedibilità a querela per le lesioni personali stradali di cui al primo comma dell’art. 590-bis cod. pen., aggravate dalla sola fuga del conducente, sarebbe stata necessaria una espressa deroga alla regola generale fissata dall’art. 131 cod. pen., per il quale «[n]ei casi preveduti dall’articolo 84, per il reato complesso si procede sempre di ufficio, se per taluno dei reati, che ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti, si deve procedere di ufficio» come, per l’appunto, per l’art. 189, comma 6, cod. strada.
11.– Le considerazioni fin qui svolte portano a concludere che, se è sicuramente preferibile consentire al giudice di calibrare il trattamento punitivo al caso concreto, nella specie l’indizio di illegittimità costituzionale che grava sulla norma censurata non vale a far concludere nel senso della fondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost.
12.– Le motivazioni che precedono conducono a ritenere non fondate anche le due censure formulate dal solo Tribunale di Monza con riferimento specifico all’art. 3 Cost., violato perché l’art. 590-ter cod. pen.: a) punirebbe in modo identico fatti di disvalore diverso (dal momento che la pena coinciderebbe nella misura minima di tre anni per le lesioni personali stradali aggravate dalla fuga, siano esse gravi o gravissime); b) precluderebbe al giudice di differenziare la sanzione per fatti diversi, nelle fattispecie di minor disvalore delle lesioni personali stradali gravi, mentre lo ammetterebbe per quelle gravissime.
Quanto alla prima, l’assunto del rimettente non è corretto, dal momento che il trattamento punitivo non può dirsi identico tra lesioni gravi e gravissime sol perché la pena di tre anni coinciderebbe nella misura minima.
Se è vero che, per le lesioni gravi, l’art. 590-ter cod. pen. non consente altro sbocco sanzionatorio che non quello di tre anni (ciò che fonda la diversa censura di “fissità”, già esclusa), per le lesioni gravissime la stessa previsione individua comunque una forbice di trattamento sanzionatorio che dal limite minimo di tre anni giunge al massimo nella misura di cinque anni, ottenuto dall’aumento di due terzi della pena massima (tre anni) per esse stabilita dal primo comma dell’art. 590-bis cod. pen.
In altri termini, il principio di uguaglianza non risulta leso solo perché tra le due fattispecie di diverso disvalore vi è identità (unicamente) del trattamento sanzionatorio minimo: nel loro complesso, infatti, le pene astrattamente previste per le lesioni gravissime sono più severe di quella associata alle lesioni gravi e riflettono così la maggiore entità lesiva del primo evento rispetto all’altro.
La seconda censura, invece, non considera la già richiamata esigenza, avuta di mira dal legislatore, di introdurre, per le lesioni gravi, un limite di pena minima comunque da irrogare, dato l’elevato disvalore della condotta di fuga e l’intento di disincentivare comportamenti egoistici.
Tale soglia vale ad assicurare, anche nella fattispecie base delle lesioni personali stradali gravi seguite dalla fuga del conducente, un trattamento sanzionatorio unitario di tali condotte, in una misura ritenuta adeguata al disvalore attribuito alla seconda, una volta divenuta circostanza aggravante del nuovo reato complesso.
La doglianza del rimettente si rivela dunque non fondata dovendosi escludere la lamentata irragionevolezza del trattamento differenziato tra le due categorie di lesioni.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-ter del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Milano, undicesima sezione penale, in composizione monocratica, e dal Tribunale ordinario di Monza, sezione penale, in composizione monocratica, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 ottobre 2023.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Valeria EMMA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 ottobre 2023
Il Cancelliere
F.to: Valeria EMMA
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