La Commissione Tributaria Regionale per la Toscana ha sollevato dubbi sulla legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), in quanto non prevede il contraddittorio endoprocedimentale negli accertamenti "a tavolino" effettuati dall'Agenzia delle Entrate. Secondo il rimettente ci sarebbe una disparità di trattamento tra le verifiche con accessi in loco e quelle "a tavolino" svolte presso gli uffici dell'amministrazione, in constrasto con l'art. 3 della Costituzione.
Tuttavia, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 47 del 21 marzo 2023, ha dichiarato inammissibile la questione poiché il superamento del dubbio di legittimità richiede un intervento legislativo. La Corte ha riconosciuto l'inadeguatezza dell'attuale normativa sul contraddittorio endoprocedimentale, ma ha sottolineato che estendere il principio di partecipazione procedimentale del contribuente tramite una sentenza della Corte potrebbe causare disfunzioni nel sistema tributario.
Pertanto, spetta al Parlamento intervenire tempestivamente con una nuova normativa per colmare la lacuna evidenziata e garantire l'estensione del contraddittorio nei procedimenti di imposizione tributaria, tenendo conto delle diverse soluzioni possibili per assicurare la formazione partecipata dell'atto impositivo.
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui «non estende il diritto al contraddittorio endoprocedimentale a tutte le modalità di accertamento in rettifica poste in essere dall’Agenzia delle Entrate», se effettuate tramite verifiche “a tavolino”.
SENTENZA N. 47
ANNO 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Silvana SCIARRA; Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), promosso dalla Commissione tributaria regionale per la Toscana, sezione prima, nel procedimento vertente tra Villa Lena società agricola srl e l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Firenze, con ordinanza del 12 maggio 2022, iscritta al n. 75 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2022.
Visti l’atto di costituzione di Villa Lena società agricola srl, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 febbraio 2023 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;
uditi l’avvocato Francesco Pistolesi per Villa Lena società agricola srl e l’avvocato dello Stato Eugenio De Bonis per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 7 febbraio 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 12 maggio 2022 (reg. ord. n. 75 del 2022), la Commissione tributaria regionale per la Toscana, sezione prima, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), nella parte in cui «non estende il diritto al contraddittorio endoprocedimentale a tutte le modalità di accertamento in rettifica poste in essere dall’Agenzia delle Entrate», se effettuate tramite verifiche “a tavolino”.
2.– Il giudice rimettente espone di essere investito dell’appello avverso la sentenza n. 138 del 2021, con cui la Commissione tributaria provinciale di Firenze ha rigettato il ricorso proposto dalla società agricola Villa Lena srl per l’annullamento dell’atto di accertamento dell’Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Firenze relativo al calcolo delle imposte sui redditi della società (IRES), sulle attività produttive (IRAP), sul valore aggiunto (IVA), per il periodo di imposta 2014.
A fondamento del gravame, la società ricorrente ha dedotto la violazione del contraddittorio, essendo l’avviso di accertamento «scaturito da una mera richiesta di documentazione contabile», senza previa specifica contestazione individuale delle violazioni.
Il motivo di appello avrebbe, ad avviso del rimettente, «efficacia dirimente», perché porterebbe all’annullamento dell’avviso di accertamento e all’assorbimento delle censure di merito.
Da qui, la rilevanza della questione.
3.– Con riferimento alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che, mentre per i cosiddetti “tributi armonizzati”, l’obbligo del contraddittorio deriverebbe dal diritto europeo, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia, per i tributi non armonizzati, come l’IRES e l’IRAP, esso sarebbe previsto solamente nell’ipotesi di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 (d’ora in avanti, anche: statuto contribuente), ossia all’esito di una verifica che si sia svolta presso gli uffici del contribuente.
Nel caso delle cosiddette verifiche “a tavolino” – a cui è riconducibile la fattispecie in esame, essendosi l’Agenzia delle entrate limitata ad acquisire documentazione contabile dal contribuente – invece, non sarebbe previsto alcun contraddittorio endoprocedimentale, secondo il pacifico orientamento della Corte di cassazione.
Ad avviso del giudice rimettente, infatti, l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 12, comma 7, statuto contribuente, nel senso di ritenere che «l’obbligo del contraddittorio deve precedere in ogni caso l’emissione di un avviso di accertamento all’esito di qualsiasi tipo di controllo», sarebbe impedita dal diritto vivente risalente alla sentenza 6 ottobre-9 dicembre 2015, n. 24823 delle sezioni unite della Corte di cassazione.
Tuttavia, il contraddittorio endoprocedimentale servirebbe a garantire, da un lato, il diritto di difesa del contribuente, potendo far emergere elementi idonei a contestare i presupposti dell’accertamento fiscale; dall’altro, il diritto ad una buona amministrazione, potendo deflazionare il contenzioso fiscale, in ogni ipotesi di controllo effettuato dall’amministrazione finanziaria, indipendentemente dalle relative modalità.
La norma censurata violerebbe allora l’art. 3 Cost, per «evidente disparità di trattamento», in quanto, ogniqualvolta viene svolto un accertamento fiscale, sia con verifiche presso il contribuente, sia sulla mera scorta della documentazione da questi acquisita, il contribuente stesso deve essere messo in condizione di fornire elementi utili a verificare la fondatezza della pretesa tributaria.
4.– È intervenuto in giudizio, con atto depositato il 26 luglio 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.
5.– Ad avviso della difesa dello Stato, la questione sarebbe inammissibile per omessa motivazione sulla rilevanza, in quanto, come emergerebbe dalla stessa ordinanza di rimessione, la CTP aveva rigettato il ricorso, non solo perché il contraddittorio endoprocedimentale non era obbligatorio, ma ancor prima perché, come dedotto e dimostrato dall’Agenzia delle entrate, esso «si era instaurato».
La Commissione tributaria regionale avrebbe, quindi, dovuto preliminarmente rigettare il motivo di appello avverso la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto sostanzialmente rispettato il contraddittorio con il contribuente. In caso contrario, infatti – qualora il giudice di appello avesse ritenuto infondato il suddetto motivo e, concretamente, realizzato il contraddittorio preliminare all’avviso di accertamento – la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, statuto contribuente sarebbe priva di rilevanza.
6.– La questione sarebbe inammissibile anche per assenza di soluzioni costituzionalmente obbligate, in quanto rientrerebbe nella discrezionalità legislativa, giustificata dalla natura degli interessi in gioco, tener conto delle diverse modalità con cui può atteggiarsi il rapporto tra contribuente e amministrazione finanziaria.
La previsione di un obbligo generalizzato di contraddittorio con il contribuente, in ogni ipotesi di accertamento fiscale, non sarebbe pertanto costituzionalmente vincolata.
7.– Nel merito, la questione sarebbe comunque non fondata, in quanto l’instaurazione preventiva del contraddittorio con il contribuente, quando l’amministrazione finanziaria dispone di elementi ragionevolmente certi, pregiudicherebbe la speditezza e la capacità operativa della stessa.
8.– Con atto depositato il 25 luglio 2022, si è costituita nel giudizio costituzionale la società agricola Villa Lena srl, ricorrente nel giudizio principale, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata fondata.
9.– La società ricorrente espone – in punto di rilevanza – che dall’ordinanza di rimessione emergerebbe, in maniera univoca, come non vi sia stato alcun contraddittorio preventivo, essendosi limitata l’Agenzia delle entrate ad una mera richiesta di documentazione contabile.
Sarebbe, inoltre, priva di rilievo la circostanza che l’atto impositivo abbia ad oggetto anche pretese ai fini IVA, per le quali la necessità del contraddittorio deriverebbe dalla sua natura di tributo armonizzato e, quindi, dal diritto europeo, in quanto la questione di legittimità costituzionale deve essere «circoscritta, implicitamente, ma inequivocabilmente, alle pretese erariali attinenti alle imposte dirette».
10.– La questione sollevata dal giudice a quo sarebbe fondata in riferimento all’art. 3 Cost., in quanto «la limitazione ai soli casi di verifiche presso i luoghi di esercizio dell’attività del contribuente» del contraddittorio endoprocedimentale sarebbe lesiva dei principi di uguaglianza e ragionevolezza. La ratio di detto contraddittorio, infatti, non sarebbe da ravvisare nella peculiarità delle verifiche eseguite dall’amministrazione finanziaria, bensì nell’esigenza di garantire l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa, nonché la preventiva difesa del contribuente.
La portata generale del principio del contraddittorio procedimentale, inoltre, deriverebbe dal diritto dell’Unione europea, ai cui principi, ai sensi dell’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), deve conformarsi l’amministrazione, anche finanziaria.
Peraltro, la necessità di una previa interlocuzione con il contribuente è stata estesa in ambiti sempre maggiori anche dalla legislazione nazionale, soprattutto in caso di accertamenti svolti su base presuntiva.
Nella specie, l’Agenzia delle entrate ha rettificato i dati dichiarati dal contribuente, non già in via analitica, bensì tramite il disconoscimento della verosimiglianza di essi, in ragione di presunti indici di inaffidabilità e di incongruenza (l’antieconomicità della condotta del contribuente), con conseguente ricostruzione presuntiva del reddito di impresa, ai sensi dell’art. 62-sexies del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 (Armonizzazione delle disposizioni in materia di imposte sugli oli minerali, sull’alcole, sulle bevande alcoliche, sui tabacchi lavorati e in materia di IVA con quelle recate da direttive CEE e modificazioni conseguenti a detta armonizzazione, nonché disposizioni concernenti la disciplina dei centri autorizzati di assistenza fiscale, le procedure dei rimborsi di imposta, l’esclusione dall’ILOR dei redditi di impresa fino all’ammontare corrispondente al contributo diretto lavorativo, l’istituzione per il 1993 di un’imposta erariale straordinaria su taluni beni ed altre disposizioni tributarie), convertito, con modificazioni, in legge 29 ottobre 1993, n. 427. Vi sarebbe, quindi, una ratio analoga a quella degli accertamenti fondati sugli studi di settore, per i quali è prevista una forma di interlocuzione endoprocedimentale con il contribuente.
L’art. 3 Cost., inoltre, sarebbe violato anche per un profilo che esulerebbe dall’ordinanza di rimessione, ossia per la disparità di trattamento tra “tributi armonizzati” e tributi non armonizzati, nonostante l’unicità del procedimento istruttorio che porta al loro accertamento.
11.– Sempre con riferimento alla non manifesta infondatezza della questione – ad avviso della società ricorrente – questa Corte potrebbe pervenire anche ad una pronuncia interpretativa, in quanto il presunto diritto vivente invocato dal giudice rimettente, secondo cui non esiste, per i tributi non armonizzati, un principio generale del contraddittorio endoprocedimentale, potrebbe ritenersi non consolidato, consentendo un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata.
12.– Il 16 gennaio 2023 la società agricola Villa Lena srl ha depositato una memoria, contestando le deduzioni dell’Avvocatura dello Stato e insistendo per l’ammissibilità e la fondatezza della questione di legittimità costituzionale.
Considerato in diritto
1.– La Commissione tributaria regionale per la Toscana, sezione prima, dubita, in riferimento all’art. 3 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, recante lo statuto dei diritti del contribuente (da ora in avanti, anche: statuto contribuente), nella parte in cui «non estende il diritto al contraddittorio endoprocedimentale a tutte le modalità di accertamento in rettifica poste in essere dall’Agenzia delle Entrate», se effettuate tramite verifiche “a tavolino”.
2.– L’art. 12 statuto contribuente disciplina gli accertamenti fiscali preceduti da accessi, ispezioni e verifiche «nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali» del contribuente (cosiddette verifiche in loco).
Nel prevedere i diritti e le garanzie del soggetto sottoposto a tali accertamenti, il comma 7 di tale disposizione impone all’amministrazione finanziaria la compilazione del processo verbale di chiusura delle operazioni di indagine da parte degli organi di controllo, il suo rilascio al contribuente, il decorso di un termine dilatorio di sessanta giorni prima dell’adozione dell’avviso di accertamento, durante il quale questi può presentare osservazioni, e, in caso di mancato accoglimento delle stesse, un obbligo di motivazione rafforzato.
Tuttavia, questo specifico iter procedimentale, incentrato sulla garanzia del contraddittorio, è prescritto solamente qualora l’istruttoria sia stata realizzata accedendo ai locali di pertinenza del contribuente.
Ad avviso del giudice rimettente, quindi, il sistema procedimentale tributario sarebbe caratterizzato da un’ingiustificata disparità di trattamento tra le verifiche precedute da accessi in loco, disciplinate appunto dal censurato art. 12, comma 7, e le cosiddette verifiche “a tavolino”, che si svolgono cioè presso gli uffici dell’amministrazione, ovvero con i dati di cui essa ha la disponibilità. Per queste ultime, infatti, salvo norme ad hoc relative a specifiche e tipizzate fattispecie, non è previsto un generale obbligo di contraddittorio preventivo con il contribuente.
Questi, invece, dovrebbe essere messo in condizione di fornire elementi utili a verificare la fondatezza della pretesa tributaria ogniqualvolta vengano svolte, nei suoi confronti, verifiche fiscali sia presso i locali di sua pertinenza, sia presso gli uffici dell’amministrazione.
Da qui la lesione dell’art. 3 Cost., evocato sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, in quanto la norma censurata discriminerebbe irragionevolmente la posizione dei contribuenti che subiscono accertamenti fiscali, a seconda che tali accertamenti siano preceduti o meno da verifiche in loco.
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio tramite l’Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito l’inammissibilità della questione per omessa motivazione sulla rilevanza.
Il giudice rimettente, infatti, avrebbe riferito che la Commissione tributaria provinciale aveva rigettato il ricorso proposto dalla società agricola Villa Lena srl non solo per mancanza di un obbligo generalizzato di contraddittorio nel procedimento tributario, ma anche perché, nel caso di specie, un contraddittorio con il contribuente si era comunque instaurato.
Il sostanziale rispetto del contraddittorio endoprocedimentale assorbirebbe la censura relativa alla ritenuta non necessità di esso, con la conseguenza che la questione sollevata, volta proprio ad estendere l’obbligo di detto contraddittorio in via generale al procedimento tributario, sarebbe priva di rilevanza.
3.1.– L’eccezione non è fondata.
L’ordinanza di rimessione chiarisce che la sentenza di primo grado ha rigettato il ricorso, «poiché nella legislazione nazionale non vi è un obbligo generalizzato di instaurare il contraddittorio per i tributi non armonizzati sostenendo comunque che un contraddittorio si era instaurato avendo l’amministrazione chiesto ed acquisito la documentazione del contribuente».
La violazione del contraddittorio viene lamentata proprio perché l’avviso di accertamento «è scaturito da una mera richiesta di documentazione contabile alla società senza che, prima della [sua emissione], fossero contestate le violazioni individuate in modo da consentire al contribuente di proporre le proprie difese».
La questione di legittimità costituzionale, infatti, investe l’art. 12, comma 7, statuto contribuente, laddove non estende anche ai cosiddetti accertamenti “a tavolino” lo specifico iter procedimentale da esso previsto, che non si esaurisce in una mera richiesta di documenti al contribuente, ma prevede «il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo», il potere del contribuente di «comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori», l’impossibilità di emanare, «prima della scadenza del predetto termine», l’avviso di accertamento.
Il giudice rimettente ha, quindi, motivato adeguatamente in ordine alla rilevanza della questione sollevata, ritenendo che la richiesta di documenti contabili fatta dall’Agenzia delle entrate al contribuente non sia sufficiente a colmare il vulnus costituzionale lamentato, non integrando un vero e proprio contraddittorio.
4.– L’Avvocatura generale dello Stato ha altresì eccepito l’inammissibilità della questione, in quanto l’intervento additivo sollecitato dal giudice a quo non sarebbe costituzionalmente vincolato.
In un ambito riservato alla discrezionalità del legislatore, che ha infatti introdotto distinti e variegati modelli di partecipazione del contribuente alla formazione dell’atto impositivo, non competerebbe a questa Corte estendere, in via generale, il contraddittorio endoprocedimentale specificamente delineato dal censurato art. 12, comma 7.
L’eccezione è fondata, nei termini di seguito precisati.
5.– Questa Corte ritiene opportuno premettere una breve ricostruzione del quadro normativo di riferimento, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità e da cui muove lo stesso giudice a quo per argomentare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale.
5.1.– L’ordinanza di rimessione evoca il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. per estendere il modulo procedimentale disciplinato dall’art. 12, comma 7, statuto contribuente, caratterizzato da una formazione partecipata dell’atto impositivo, oltre il suo ambito applicativo e, in particolare, agli accertamenti fiscali fondati su verifiche “a tavolino”.
Difetta infatti, nel vigente sistema tributario, una disciplina positiva che generalizzi, in capo all’amministrazione finanziaria, l’obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente, al di fuori delle fattispecie normative in cui ciò è espressamente previsto.
In particolare, il procedimento tributario costituisce una species del procedimento amministrativo, ma, a differenza di quest’ultimo, non contiene previsioni generali in ordine alla formazione partecipata dell’atto impositivo che ne costituisce l’eventuale atto conclusivo.
Anzi, l’art. 13, comma 2, della legge n. 241 del 1990, che reca la disciplina generale sul procedimento amministrativo, esclude l’applicabilità delle disposizioni del Capo III, dedicate alla «partecipazione al procedimento amministrativo», ai procedimenti tributari, per i quali «restano […] ferme le particolari norme che li regolano». Ad essi non si applicano, quindi, le norme che disciplinano l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento (art. 7), l’intervento nel procedimento (art. 9), il diritto di accesso agli atti endoprocedimentali (art. 10, comma 1, lettera a) e quello di produrre memorie e allegare documenti (art 10, lettera b), nonché l’obbligo di comunicare il cosiddetto preavviso di rigetto (art. 10-bis).
Anche la giurisprudenza della Corte di cassazione, come consolidatasi a seguito della sentenza a sezioni unite civili n. 24823 del 2015, ha interpretato «il diritto nazionale, allo stato della legislazione, nel senso che non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto». Si è escluso, pertanto, che possa attribuirsi valenza generale alla previsione dell’art. 12, comma 7, statuto contribuente, perché questa disposizione, come emerge dal suo tenore testuale, va delimitata ai soli accertamenti conseguenziali ad accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi di riferimento del contribuente, senza che possa estendersi anche alle verifiche “a tavolino” (ex multis, Corte di cassazione, sezione quinta, sentenza 13 dicembre 2022, n. 36502; analogamente, Corte di cassazione, sezione sesta, ordinanza 29 luglio 2022, n. 23729; sezione quinta, ordinanza 6 aprile 2020, n. 7690; sezione sesta, ordinanza 3 luglio 2019, n. 17897).
5.2.– Tuttavia, questa Corte deve evidenziare che, pur a fronte della mancanza, in ambito tributario, di una previsione generale sulla formazione partecipata dell’atto impositivo, si è assistito a progressive e ripetute aperture del legislatore, che hanno reso obbligatorio, in un sempre più consistente numero di ipotesi, il contraddittorio endoprocedimentale.
Si tratta di disposizioni specifiche, che prescrivono l’interlocuzione preventiva con il contribuente con modalità ed effetti differentemente declinati a seconda della dinamica istruttoria seguita dall’amministrazione e delle esigenze, di matrice tipicamente collaborativa o più prettamente difensiva, ad essa sottese.
Ad esempio, l’art. 38, settimo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), in relazione alla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche, prescrive, a pena di nullità, che l’ufficio convochi il contribuente e, poi, avvii il procedimento di accertamento previsto dall’art. 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 (Disposizioni in materia di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale).
Analogo iter è previsto per l’accertamento legato agli studi di settore, atteso che anche l’art 10, comma 3-bis, della legge 8 maggio 1998, n. 146 (Disposizioni per la semplificazione e la razionalizzazione del sistema tributario e per il funzionamento dell’Amministrazione finanziaria, nonché disposizioni varie di carattere finanziario) impone all’ufficio, prima della notifica dell’avviso di accertamento, di invitare il contribuente a comparire ai fini dell’accertamento con adesione.
Altresì nelle ipotesi di controllo automatizzato delle dichiarazioni dei redditi di cui all’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e di controllo formale di cui all’art. 36-ter del medesimo decreto, letti alla luce dell’art. 6, comma 5, statuto contribuente, l’esito, rispettivamente, della liquidazione o del controllo devono essere, a pena di nullità, comunicati al contribuente, il quale, entro il successivo termine di trenta giorni, può fornire i necessari chiarimenti. Ciò, ovviamente, ove vi sia incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione.
Tra le principali ipotesi tipizzate di contraddittorio endoprocedimentale si pone, poi, l’art. 10-bis statuto contribuente che, dopo aver introdotto la clausola generale antielusiva, impone, a pena di nullità, una preventiva richiesta di chiarimenti rivolta al contribuente, caratterizzata dalla precisa indicazione degli elementi che portano a ritenere configurabile l’abuso del diritto, cui segue la concessione di un termine dilatorio di sessanta giorni, durante il quale al contribuente stesso è data la possibilità di comunicare i chiarimenti sollecitati dall’ufficio e dei quali l’amministrazione è obbligata a tenere conto in sede di motivazione dell’atto impositivo (commi 6, 7, 8).
Come si è visto, anche la norma censurata attribuisce al contribuente un rilevante spazio partecipativo, delineando uno specifico modulo procedimentale che si attaglia alle peculiarità delle verifiche eseguite dall’amministrazione finanziaria, caratterizzate appunto dall’essere svolte tramite accessi «nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali» (art. 12, comma 1, statuto contribuente). Peraltro, nei confronti di dette verifiche opera la deroga alle garanzie di cui all’art. 14 Cost. prevista per gli «accertamenti ed ispezioni» a fini fiscali «regolati da leggi speciali».
5.3.– Alla frammentazione delle norme sul contraddittorio propria del diritto interno, si contrappone la previsione, in capo all’amministrazione tributaria, di un obbligo generale di attivarlo, ogniqualvolta adotti decisioni che rientrano nella sfera di applicazione del diritto europeo.
Nel procedimento di verifica fiscale in cui l’amministrazione attua il diritto dell’Unione europea, infatti, questa è tenuta ad osservare gli obblighi derivanti dal diritto a una buona amministrazione sancito dall’art. 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed inteso come «il diritto a che le questioni [...] siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione», tra le cui articolazioni, elencate in via esemplificativo, il paragrafo 2 prevede espressamente «il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio» (da ultimo, Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione quinta, 24 febbraio 2022, in causa C-582/20, SC Cridar Cons srl). Questo diritto «garantisce a chiunque la possibilità di manifestare, utilmente ed efficacemente, la propria opinione durante il procedimento amministrativo prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi» (ex multis, Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione sesta, 4 giugno 2020, in causa C-430/19, SC C.F. srl; Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione quinta, 16 ottobre 2019, in causa C-189/18, Glencore Agriculture Hungary Kft.; Corte di giustizia dell’Unione europea, 3 luglio 2014, in cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV).
Proprio il rispetto dei principi fondamentali del diritto europeo implica, secondo la giurisprudenza di legittimità, che, nell’accertamento dei cosiddetti “tributi armonizzati”, «avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione», vige un generale obbligo dell’amministrazione di instaurare un’interlocuzione preventiva con il contribuente, la cui inosservanza può portare all’invalidità dell’atto impositivo, ma solo se questi assolve alla “prova di resistenza”, allegando le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede procedimentale e il conseguente pregiudizio sostanziale subito (Corte di cassazione, sentenza n. 24823 del 2015; in senso conforme, ex multis, Corte di cassazione, sezione quinta, ordinanza 1° aprile 2021, n. 9076; ordinanza n. 7690 del 2020; sezione quinta, ordinanza 3 ottobre 2019 n. 24699 e ordinanza n. 17897 del 2019).
5.4.– L’esigenza di superare la disarmonia del vigente sistema tributario, per cui non sussiste un obbligo generale di attivare il contraddittorio con il contribuente al di fuori delle ipotesi espressamente previste, ha portato, di recente, a un nuovo intervento del legislatore.
L’art. 4-octies del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, in legge 28 giugno 2019, n. 58, ha infatti introdotto, nel d.lgs. n. 218 del 1997, l’art. 5-ter, in forza del quale, prima di emettere un avviso di accertamento, l’ufficio deve notificare al contribuente l’invito a comparire per avviare il procedimento di accertamento con adesione (comma 1); in caso di mancato accoglimento dei chiarimenti forniti nel corso del contraddittorio, è imposto all’amministrazione un obbligo di motivazione rinforzata (comma 3).
L’invito a comparire può essere omesso soltanto nei «casi di particolare urgenza, specificamente motivata, o nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione», potendo l’ufficio notificare direttamente l’avviso di accertamento al contribuente (comma 4).
Inoltre, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia, il comma 5 del citato art. 5-ter tipizza la cosiddetta prova di resistenza, prevedendo che «il mancato avvio del contraddittorio […] comporta l’invalidità dell’avviso di accertamento, qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato».
Sono, infine, fatte salve «le disposizioni che prevedono la partecipazione del contribuente prima dell’emissione di un avviso di accertamento» (comma 6) e le ipotesi in cui è stata «rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo» (comma 1).
Nonostante la scelta legislativa di inserire la nuova disciplina dell’«[i]nvito obbligatorio» a comparire nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione – così circoscrivendone il campo di applicazione alle sole imposte a cui si estende questa procedura ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 218 del 1997 – e di escluderne l’operatività nel caso di accertamenti e rettifiche parziali (art. 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e art. 54, commi 3 e 4, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante «Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto»), si deve evidenziare come essa denoti un’evoluzione del sistema tale per cui l’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale non costituisce più un’ipotesi residuale, ma aspira ad assurgere a principio generale.
Dall’analisi che precede emerge come il legislatore abbia introdotto – seppur con diversi limiti applicativi – un meccanismo di portata generale; tuttavia, avendo fatti salvi i moduli di partecipazione del contribuente alla formazione dell’atto impositivo previsti dalla normativa vigente, si è determinato un sistema composito del contraddittorio nel procedimento tributario.
5.5.– Sono quindi possibili risposte diversificate e complesse, rispetto alla specifica soluzione richiesta dal rimettente. Si verrebbe, altrimenti, ad incidere sulla variegata tipologia dei procedimenti impositivi, rendendo da speciale a generale il procedimento partecipativo previsto per gli accertamenti che implicano l’accesso ai locali del contribuente.
Questo è, del resto, il senso dell’esclusione disposta dal richiamato art. 13, che non va inteso come impedimento alla sottoposizione dei procedimenti tributari al principio di partecipazione enunciato, per i procedimenti amministrativi, dalla legge n. 241 del 1990, ma semplicemente come espressione dell’esigenza che ad essi sia dedicata una disciplina specifica.
5.6.– Bisogna, infine, ricordare come questa Corte abbia già riconosciuto che il contraddittorio endoprocedimentale, quale espressione del «principio del “giusto procedimento” (in virtù del quale i soggetti privati dovrebbero poter esporre le proprie ragioni, in particolare prima che vengano adottati provvedimenti limitativi dei loro diritti)», ha assunto un ruolo centrale nel nostro ordinamento (sentenza n. 71 del 2015), anche come criterio di orientamento non solo per l’interprete, ma prima ancora per il legislatore (sentenza n. 210 del 1995).
Ciò vale, ad avviso di questa Corte, anche in ambito tributario, dove il contraddittorio endoprocedimentale, da un lato, persegue lo scopo di “ottimizzare” l’azione di controllo fiscale, risultando così strumentale al buon andamento dell’amministrazione finanziaria; dall’altro, garantisce i diritti del contribuente, permettendogli di neutralizzare, sin dalla fase amministrativa, eventuali errori a lui pregiudizievoli.
6.– Alla luce delle considerazioni che precedono, la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale.
Tuttavia, dalla pluralità dei moduli procedimentali legislativamente previsti e dal loro ambito applicativo, emerge con evidenza la varietà e la frammentarietà delle norme che disciplinano l’istituto e la difficoltà di assumere una di esse a modello generale, come suggerisce il giudice a quo.
Il principio enunciato dall’art. 12, comma 7, statuto contribuente – la partecipazione procedimentale del contribuente – ancorché esprima una esigenza di carattere costituzionale, non può essere esteso in via generale tramite una sentenza di questa Corte; comunque la soluzione proposta dal rimettente potrebbe creare disfunzioni nel sistema tributario, imponendo un’unica tipologia partecipativa per tutti gli accertamenti, anche “a tavolino”.
Di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali evidenziati, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti.
La questione sollevata dal rimettente va, pertanto, dichiarata inammissibile, in quanto il superamento dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale esige un intervento di sistema del legislatore; intervento che garantisca l’estensione del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria.
Tenuto conto della pluralità di soluzioni possibili in ordine all’individuazione dei meccanismi con cui assicurare la formazione partecipata dell’atto impositivo, che ne modulino ampiezza, tempi e forme in relazione alle specifiche peculiarità dei vari procedimenti impositivi, questa Corte ritiene necessario un tempestivo intervento normativo che colmi la lacuna evidenziata. Un intervento, peraltro, che porti a più coerenti e definite soluzioni le descritte tendenze emerse nella disciplina dei procedimenti partecipativi del contribuente.
7.– Sulla base di tali motivazioni, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, statuto contribuente, va dichiarata inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale per la Toscana, sezione prima, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2023.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2023.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA