SENTENZA N. 91
ANNO 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Silvana SCIARRA; Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, promossi dal Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del riesame, con due ordinanze depositate il 23 maggio 2022, iscritte, rispettivamente, ai numeri 79 e 80 del registro ordinanze 2022 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2022, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 5 aprile 2023.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 aprile 2023 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;
deliberato nella camera di consiglio del 6 aprile 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza depositata il 23 maggio 2022 (r. o. n. 79 del 2022), il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del riesame, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità, a partecipare al giudizio di rinvio, del giudice il quale abbia concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento ovvero di rigetto della richiesta di riesame, ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., annullata dalla Corte di cassazione.
1.1.– In punto di fatto, il rimettente riferisce che N. M. è imputato, insieme ad altri soggetti, dei reati di associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta e false comunicazioni sociali e che nell’ambito di tale procedimento è stato attinto da decreto di sequestro conservativo, emesso dal giudice dell’udienza preliminare, su richiesta della parte civile, curatela del fallimento Arca srl, a seguito del rinvio a giudizio degli imputati per i predetti reati.
Il rimettente precisa che il sequestro conservativo ha avuto ad oggetto beni vari: quote di partecipazione societaria, un immobile, cinque unità immobiliari di proprietà di una società a responsabilità limitata e una porzione della proprietà di un altro immobile appartenente ad altra società a responsabilità limitata.
Ciò evidenziato, il giudice a quo riferisce di aver confermato, in sede di giudizio di riesame dell’ordinanza applicativa del sequestro conservativo, il fumus criminis con riguardo alle condotte contestate a N. M., essendo intervenuta l’emissione del decreto di rinvio a giudizio.
Quanto al periculum, ricorda di averne affermato la sussistenza, evidenziando non solo l’insufficienza delle condizioni economiche del ricorrente al fine di poter soddisfare le ingenti obbligazioni risarcitorie fatte valere dalla parte civile, ma anche il pericolo di dispersione delle garanzie patrimoniali, in considerazione delle molteplici condotte fraudolente e decettive attribuite ai sodali dell’associazione per delinquere, nonché del danno complessivamente cagionato dalla condotta associativa e dalle operazioni dolose ascritte a tutti gli imputati; danno il cui ammontare veniva stimato in un importo di «oltre dieci milioni di euro», tenuto conto dell’imponente passivo fallimentare, del nutrito comitato dei creditori e dei debiti verso l’erario.
Il rimettente evidenzia, poi, che a seguito del ricorso proposto dall’imputato, la Corte di cassazione, sezione quinta penale, con la sentenza 29 settembre-3 dicembre 2021, n. 44927, ha annullato, ai sensi dell’art. 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., l’ordinanza confermativa del sequestro conservativo, ritenendo viziata la motivazione circa la sussistenza del periculum; ciò in relazione sia alla ritenuta insufficienza del patrimonio dell’imputato, sia alla determinazione dell’entità del danno da risarcire, in rapporto ai beni cui si riferisce il sequestro, chiedendo un nuovo esame sul punto.
Il Collegio rimettente, investito della decisione in sede di rinvio, riferisce di aver rimesso gli atti al Presidente del Tribunale evidenziando che due componenti del Collegio avevano composto anche quello che aveva emesso l’ordinanza annullata dalla Corte di cassazione, ravvisando pertanto ragioni di astensione ai sensi dell’art. 36, comma 1, lettera h), cod. proc. pen., ma che il Presidente del Tribunale, richiamando l’art. 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. e l’orientamento della giurisprudenza della Corte di cassazione sul tema, ha respinto la richiesta di astensione, non rinvenendo ragioni idonee a inibire la partecipazione al processo dei due componenti del collegio che aveva emesso l’ordinanza annullata.
Alla luce di tale premessa, il Collegio medesimo ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale nei termini sopra indicati.
Sotto il profilo della rilevanza, si osserva che, nel caso di accoglimento delle questioni, la decisione dell’istanza di riesame a seguito dell’annullamento disposto dalla Corte di cassazione dovrebbe essere assunta da collegio composto da magistrati appartenenti al medesimo Tribunale di Ravenna, ma individuati in persone fisiche diverse da quelle che hanno adottato l’ordinanza annullata.
A tal riguardo, il rimettente ricorda che la Corte di cassazione ha già affermato che non ricorre incompatibilità ex art. 34 cod. proc. pen. nelle ipotesi di rinvio al medesimo giudice investito della decisione di provvedimenti de libertate, ritenendo che in tali casi il giudice del rinvio non decide nel merito della vicenda in quanto non esprime quel «giudizio» che l’art. 34 cod. proc. pen. pone a fondamento della incompatibilità.
Nella fattispecie in esame, peraltro, con norma speciale rispetto a quanto stabilito dall’art. 34 cod. proc. pen., si pone la disposizione di cui all’art. 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., della quale il rimettente sottolinea la differenza con la disposizione di cui alla lettera d) del medesimo art. 623, comma 1, cod. proc. pen. che, invece, stabilisce che, se è annullata una sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale, ma il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.
Non vi sarebbe, pertanto, alcun dubbio che in caso di annullamento di un’ordinanza i giudici del rinvio possano essere le medesime persone che hanno adottato l’ordinanza stessa. Né, nel caso di specie, sarebbe utilmente percorribile il rimedio dell’astensione di cui all’art. 36, comma 1, lettera h), cod. proc. pen., dal momento che l’istanza di astensione è già stata respinta dal Presidente del Tribunale.
Ad avviso del Collegio rimettente non potrebbe darsi luogo ad una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate.
1.2.– In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente reputa che il combinato disposto degli artt. 34 e 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., si ponga in contrasto con gli artt. 111, secondo comma, e 3 Cost.
In primo luogo, richiamando il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità circa l’insussistenza della incompatibilità a deliberare in sede di rinvio dei giudici che hanno composto il collegio che ha adottato l’ordinanza annullata, afferma come la medesima giurisprudenza abbia ritenuto che l’imparzialità del giudice non può ritenersi intaccata da qualsiasi valutazione già compiuta nello stesso o in altri procedimenti e che nel giudizio incidentale de libertate la cognizione sarebbe «limitata all’applicazione della misura cautelare che ha natura processuale e non sostanziale»; di conseguenza la disciplina della incompatibilità andrebbe circoscritta ai casi di duplicità del giudizio di merito sullo stesso oggetto, perché «solo allora è ravvisabile il ragionevole pericolo che il giudice sia condizionato dalla propria precedente decisione».
Ciò precisato, il Collegio rimettente afferma di aver già espresso valutazioni di merito sull’istanza di riesame originaria, sia pure nelle forme dell’ordinanza e non della sentenza, pronunciando sulla legittimità del provvedimento di sequestro conservativo, adottando una decisione che postula un non secondario esame dei presupposti applicativi del vincolo ablatorio e che, pertanto, non può che integrare gli estremi del «giudizio», rilevante ai fini dell’art. 34 cod. proc. pen.
Con l’adozione dell’ordinanza annullata, quindi, il Collegio avrebbe già esercitato penetranti poteri di valutazione del merito, con la conseguenza che se celebrasse il giudizio di rinvio dovrebbe per la seconda volta esercitare i medesimi penetranti poteri circa l’adeguatezza e la proporzionalità della misura cautelare reale.
Il giudice a quo richiama la giurisprudenza di questa Corte sul principio di imparzialità del giudice ed evidenzia come la disciplina sulla incompatibilità sia volta a evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla forza della prevenzione, ovvero dalla naturale propensione a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto, derivante da valutazioni che il giudice abbia precedentemente svolto in ordine alla medesima res iudicanda.
Questa Corte avrebbe chiarito, inoltre, che perché possa configurarsi una situazione di incompatibilità nel senso della esigenza costituzionale della relativa previsione è necessario che sia ravvisabile una valutazione contenutistica sulla medesima res iudicanda e che tale valutazione si collochi in una precedente e distinta fase del procedimento rispetto a quella della quale il giudice è attualmente investito (è richiamata la sentenza n. 66 del 2019).
Quanto alla relazione tra l’art. 34 cod. proc. pen. – regola generale in tema di incompatibilità – e l’art. 623 cod. proc. pen. – regola specifica riferita al giudizio di annullamento con rinvio della Corte di cassazione – il rimettente evidenzia che tale disciplina specifica prevede, alle lettere b), c), e d), i differenti casi di annullamento della sentenza impugnata, indicando il giudice competente per il giudizio del rinvio.
In particolare, evidenzia che, se è annullata una sentenza di un giudice collegiale, il giudizio è rinviato a un’altra sezione della corte di appello o del tribunale, o in mancanza alla corte o al tribunale più vicini; e, se è annullata una sentenza del giudice monocratico, il giudizio è rinviato al medesimo tribunale, ma il giudice deve essere diverso da quello che ha adottato la sentenza annullata.
Invece, con riferimento a una ordinanza annullata, la lettera a) dell’art. 623, comma 1, cod. proc. pen. detta una regola diversa, prevedendo che gli atti siano trasmessi al medesimo giudice che l’ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento, senza che sia prescritto che il giudice debba essere diverso.
Ciò sintetizzato, il rimettente osserva che l’ordinanza è il tipico provvedimento decisorio del giudice nel procedimento cautelare e, quindi, nel giudizio incidentale di riesame, il quale ha caratteristiche e peculiarità ben distinte dal giudizio di merito, ed è nell’attività di cognizione che il giudice del rinvio, in caso di annullamento pronunciato dalla Corte di cassazione, è esposto alla forza della prevenzione insita nel condizionamento per aver adottato il provvedimento impugnato.
Tuttavia, ad avviso del giudice a quo, ciò accadrebbe anche quando nel procedimento incidentale il giudice del rinvio, al pari del giudice dell’ordinanza annullata, è chiamato a una decisione non formale ma di contenuto, fondata su una valutazione in merito alla sussistenza dei presupposti applicativi del provvedimento impugnato, valutazione che dunque incide su interessi sostanziali di un soggetto, quali la libera disponibilità di un bene, nel caso della misura cautelare reale, e che attiene, nel caso di specie, alla sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora (pericolo di insufficienza delle risorse patrimoniali sulle quali soddisfare le obbligazioni nascenti dal reato e prognosi sul rischio di depauperamento del patrimonio).
In tali situazioni, non sarebbe dunque possibile negare che il provvedimento cautelare abbia un significativo contenuto decisorio, con la conseguenza che nel giudizio di rinvio successivo all’annullamento dell’ordinanza con cui il giudice si è già pronunciato sulla legittimità della misura interinale reale, egli stesso sarebbe nuovamente investito della decisione circa la legittimità della misura cautelare, dovendo a tal fine esercitare incisivi poteri di merito.
A sostegno delle censure, il rimettente osserva che la differenza tra «giudizio» e valutazione allo stato degli atti in sede cautelare sembrerebbe vacillare dopo le pronunce costituzionali e dopo gli interventi legislativi tesi ad una anticipazione delle regole di utilizzabilità e valutazione probatoria proprie della sede dibattimentale anche in sede di accertamento incidentale de libertate.
Il giudice a quo ritiene, pertanto, che è «giudizio» anche quello cautelare, con conseguente necessaria applicazione dei principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 183 del 2013, atteso che con la locuzione «giudizio» si indica ogni processo che in base ad un esame delle prove pervenga ad una decisione di merito.
La valutazione complessiva della sussistenza dei presupposti applicativi della misura cautelare presenterebbe quindi, secondo il rimettente, tutte le caratteristiche del giudizio.
In tale chiave andrebbe letta la giurisprudenza costituzionale che ha attribuito rilevanza non già alla sede procedimentale e al nomen iuris della decisione adottata, bensì al contenuto delle valutazioni cui il giudice è in quel caso chiamato, ravvisando la duplicità di giudizio sullo stesso oggetto – foriera di incompatibilità – anche in un luogo diverso dal giudizio di cognizione finalizzato all’accertamento sul merito della contestazione (sono a tal fine richiamate le sentenze n. 7 del 2022 e n. 183 del 2013).
Ne deriva, dunque, che in sede di rinvio dopo l’annullamento da parte della Corte di cassazione, il tribunale del riesame, per essere terzo ed imparziale, deve essere composto da persone fisiche diverse dai giudici che in precedenza si sono già pronunciati con l’ordinanza annullata sulla richiesta di riesame.
Anche in questo caso sussisterebbe una fattispecie di incompatibilità, in quanto tale situazione, ai sensi dell’art. 34 cod. proc. pen., ricorre tutte le volte in cui il giudice abbia già compiuto una valutazione che è all’origine di un provvedimento che chiude e definisce l’iter logico seguito alla valutazione stessa.
Ad avviso del rimettente, deve rilevarsi come il giudice che ha già adottato una decisione di merito in sede cautelare, «abbia perduto quella capacità critica che è il presupposto di ogni retto giudizio e venga inevitabilmente a trovarsi nella situazione da quell’articolo prefigurata, inverando il pericolo che [...] sia condizionato dalla propria precedente decisione».
Il predetto giudice si troverebbe a rivalutare quanto già deciso, facendo venir meno l’imparzialità, «ma anche il sistema delle impugnazioni, da individuarsi nel controllo esterno (di un terzo), unico davvero in grado di giudicare ciò che è stato deciso nel grado precedente, in ragione della giusta e misurata distanza mentale dalle valutazioni espresse e dalla decisione emessa».
Nel senso della fondatezza delle questioni sollevate, il rimettente formula ulteriori considerazioni concernenti il principio di imparzialità, ricordando che il giudice non solo deve essere imparziale, ma deve apparire tale; ciò che non accadrebbe là dove è fisiologico che un giudice «possa avere la propensione a “tenere fermo” quanto deciso in precedenza».
1.3.– Accanto alle censure in punto di violazione dell’art. 111, secondo comma, Cost., il rimettente denuncia altresì il contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento tra la fase di cognizione e la fase cautelare.
A tal riguardo, il rimettente rileva che, nell’ipotesi in cui il giudice abbia deciso con sentenza in sede di cognizione, l’annullamento con rinvio della sua decisione comporta ai sensi dell’art. 623, comma 1, lettera d), cod. proc. pen., l’impossibilità, per quel giudice persona fisica, di pronunciarsi di nuovo sulla vicenda, ed analoga norma è contenuta nell’art. 34, comma 1, cod. proc. pen. Sotto tale profilo, il rimettente richiama ancora una volta le sentenze di questa Corte n. 7 del 2022 e n. 183 del 2013.
Per contro, se l’identico giudizio è espresso, in fase cautelare, e segnatamente nel procedimento incidentale di riesame avverso il provvedimento applicativo della misura cautelare reale, e dunque mediante ordinanza, l’ulteriore pronuncia da parte del medesimo giudice non è preclusa dalla lettera a) dell’art. 623 censurato.
Di qui la violazione dell’art. 3 Cost., in quanto «laddove il “giudizio” contenutisticamente inteso – implicante penetranti valutazioni di merito – sia operato con sentenza poi annullata, il sistema processuale prevede espressamente l’incompatibilità del giudice che ha pronunciato la sentenza rispetto al giudizio di rinvio a seguito di annullamento; mentre analoga incompatibilità non è prevista laddove quella medesima valutazione sia effettuata in sede di riesame avverso misura cautelare reale con ordinanza poi annullata».
2.– Con atto del 28 luglio 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel presente giudizio di legittimità costituzionale chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate.
In particolare, la difesa dello Stato richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui non è ravvisabile alcuna incompatibilità per il collegio del riesame che si trovi nuovamente investito della decisione, in seguito all’annullamento dell’ordinanza disposto dalla Corte di cassazione. A tal riguardo sono riportati numerosi stralci tratti da plurime pronunce della Corte di cassazione.
Ciò premesso, nell’atto di intervento si evidenzia come, in realtà, il Tribunale del riesame rimettente si duole dell’orientamento giurisprudenziale formatosi a seguito delle plurime pronunce della Corte di cassazione fatte proprie dal Presidente del Tribunale medesimo, che aveva rigettato l’istanza del Collegio. Le questioni sarebbero, pertanto, inammissibili.
Inoltre, i plurimi arresti giurisprudenziali richiamati non possono esser posti in dubbio dai principi affermati nella sentenza di questa Corte n. 7 del 2022, venendo in rilievo due situazioni che non possono essere equiparate poiché il «giudizio cautelare» espresso all’esito della domanda di riesame – e ancor più ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen. – non implica alcuna valutazione sul «merito» dell’accusa risolvendosi in una ricognizione, positiva o negativa, degli elementi supportanti la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari da preservare.
In particolare, l’interveniente precisa che nella vicenda specifica, in cui si discute di riesame avverso l’ordinanza che aveva disposto il sequestro conservativo su richiesta della parte civile, all’esito dell’udienza preliminare conclusasi con il rinvio a giudizio di tutti gli imputati, è addirittura precluso al tribunale del riesame l’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti.
È richiamata in proposito la copiosa giurisprudenza di legittimità secondo cui, l’intervenuto rinvio a giudizio dell’imputato preclude al tribunale del riesame di valutare il fumus, e tale preclusione discende dal fatto che il giudice della cognizione ha già valutato l’idoneità e la sufficienza degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio.
Pertanto, ad avviso della difesa statale, se il tribunale del riesame non può revocare in dubbio il fumus, non può affermarsi che la valutazione compiuta sulla sussistenza del periculum in mora si traduca in un «giudizio di merito» nei termini che il giudice rimettente ha inteso prospettare; da qui, secondo l’Avvocatura generale, discenderebbe la manifesta infondatezza delle questioni.
3.– Con ordinanza depositata il 23 maggio 2022 (r. o. n. 80 del 2022), lo stesso Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del riesame, ha parimenti sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio del giudice il quale abbia concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento ovvero di rigetto della richiesta di riesame, ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen.
In punto di fatto, il rimettente riferisce che M. G. è indagato di plurime condotte di uccisione e maltrattamenti di animali, falso ideologico e materiale, abusivo esercizio della professione di farmacista, violazione delle prescrizioni sullo smaltimento dei rifiuti, irregolare tenuta dei registri di carico e scarico degli stupefacenti, detenzione per la vendita e cessione a terzi di alimenti ad uso umano in cattivo stato di conservazione, vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine.
Il giudice a quo evidenzia che l’indagato è stato destinatario del decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari, avente ad oggetto l’intero ambulatorio medico-veterinario, e che in sede di giudizio di riesame avverso detto decreto, il Tribunale del riesame ha confermato il fumus criminis con riferimento alle condotte delittuose contestate, evidenziando come fosse evidente la stretta connessione di tali condotte con l’attività di veterinario esercitata dall’indagato.
Inoltre, lo stesso Tribunale ha riconosciuto la sussistenza del periculum in mora, rilevando che la libera disponibilità dei beni in cautela poteva aggravare o protrarre le conseguenze dei reati contestati o agevolare la consumazione di altri reati.
Ciò precisato, il rimettente riferisce che il Collegio del riesame ha però riscontrato una sproporzione tra le riscontrate esigenze cautelari e il vincolo sull’intero ambulatorio, sostenendo che non si potesse ritenere che la struttura fosse integralmente asservita alla attività delittuosa, «non emergendo elementi tali da connotare in senso esclusivamente illecito l’operatività dell’ambulatorio veterinario».
In particolare, nell’ordinanza parzialmente modificativa del decreto di sequestro, il collegio ha rilevato che alcuni addebiti fossero episodici (come i maltrattamenti e le uccisioni degli animali), oppure riguardassero «singoli segmenti di attività che non involgono in toto l’intera attività professionale» (falsificazione dei libretti, detenzione di farmaci scaduti, abusivo esercizio della professione farmaceutica, illecito smaltimento di rifiuti sanitari, irregolarità nella tenuta del registro di carico/scarico degli stupefacenti), oppure ancora fossero estranei alla stessa attività (come l’abusivo esercizio dell’attività di apicoltore e l’abusiva detenzione per la vendita di miele e propoli).
Tali considerazioni hanno dunque determinato il collegio ad annullare la misura del sequestro dell’intero ambulatorio ritenuta «evidentemente esuberante» rispetto alle finalità preventive.
Il rimettente riferisce, poi, che l’ordinanza del Tribunale del riesame è stata impugnata con ricorso per cassazione dall’ufficio del pubblico ministero, e che la Corte di cassazione, sezione terza penale, con la sentenza 16 novembre 2021-14 gennaio 2022, n. 1345 ha annullato con rinvio l’ordinanza, ritenendola carente di motivazione relativamente al giudizio di proporzionalità del vincolo.
Il Collegio rimettente, investito della decisione in sede di rinvio, osserva di aver rimesso gli atti al Presidente del Tribunale ravvisando ragioni di astensione ai sensi dell’art. 36, comma 1, lettera h), cod. proc. pen., in quanto due componenti del collegio avevano adottato l’ordinanza annullata dalla Corte di cassazione e, a tal riguardo, precisa che, richiamando l’art. 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. e l’orientamento della giurisprudenza della Corte di cassazione sul tema, il Presidente del Tribunale ha rigettato la richiesta di astensione, non ravvisando ragioni idonee a inibire la partecipazione al processo dei due componenti del collegio che aveva emesso l’ordinanza annullata.
Alla luce di tale premessa, il giudice a quo ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale nei termini sopra indicati, sulla base di argomentazioni in punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza analoghe a quelle formulate nell’ordinanza di rimessione in precedenza illustrata (r. o. n. 79 del 2022), alle quali si fa rinvio.
4.– Con atto del 28 luglio 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale, è intervenuto nel presente giudizio di legittimità costituzionale e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate, esponendo le medesime argomentazioni svolte nell’atto di intervento depositato in relazione alla ordinanza iscritta al n. 79 del registro ordinanze 2022, alle quali si fa rinvio.
Considerato in diritto
1.– Con le ordinanze iscritte ai numeri 79 e 80 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del riesame, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio del giudice, il quale abbia concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento, ovvero di rigetto, della richiesta di riesame, ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., annullata dalla Corte di cassazione.
In relazione a ciascun giudizio principale, il giudice a quo riferisce di essere investito del giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento per difetto di motivazione, pronunciato dalla Corte di cassazione, rispettivamente, dell’ordinanza confermativa del sequestro conservativo (sezione quinta penale, sentenza n. 44927 del 2021) e dell’ordinanza parzialmente riduttiva del decreto di sequestro preventivo (sezione terza penale, sentenza n. 1345 del 2022).
In entrambi i giudizi a quibus, il Collegio rimettente, quale giudice del rinvio, ha rimesso gli atti al Presidente del Tribunale, ravvisando ragioni di astensione, ai sensi dell’art. 36, comma 1, lettera h), cod. proc. pen., in quanto due dei tre giudici erano stati componenti del Tribunale del riesame che aveva adottato le ordinanze annullate dalla Corte di cassazione.
La richiesta di astensione era stata respinta dal Presidente del Tribunale, il quale, richiamando l’art. 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, non aveva ravvisato ragioni idonee a inibire la partecipazione al procedimento di rinvio dei due giudici componenti i collegi che avevano emesso l’ordinanza annullata.
Sussisterebbe, pertanto, la rilevanza delle questioni in quanto, nel caso in cui esse fossero accolte, le istanze di riesame a seguito dell’annullamento disposto dalla Corte di cassazione dovrebbero essere decise da un collegio composto da giudici appartenenti al medesimo Tribunale di Ravenna, ma individuati in persone fisiche diverse da quelle che avevano adottato l’ordinanza annullata.
Con uguali argomentazioni in entrambe le ordinanze di rimessione, si osserva che le norme censurate - non prevedendo l’incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio del giudice il quale abbia concorso a pronunciare l’ordinanza di accoglimento ovvero di rigetto della richiesta di riesame avverso una misura cautelare reale annullata dalla Corte di cassazione – si porrebbero in contrasto con l’art. 111, secondo comma, Cost., sotto il profilo della violazione del principio di terzietà e imparzialità del giudice.
Non sarebbe, infatti, terzo e imparziale, né apparirebbe tale, il giudice che, dopo essersi pronunciato nel “giudizio cautelare” adottando una decisione di merito circa la sussistenza del fumus criminis e del periculum in mora, presupposti applicativi della misura cautelare, venisse nuovamente chiamato a decidere la medesima questione, essendo fisiologico che il giudice «possa avere la propensione a “tenere fermo” quanto deciso in precedenza». Nei giudizi a quibus, concernenti il riesame di misure cautelari reali, tale possibile prevenzione del giudice riguarderebbe, in un caso (r. o. n. 79 del 2022), la motivazione relativa all’adeguatezza e alla proporzionalità del sequestro conservativo in riferimento al rischio di insolvenza degli imputati e alla garanzia patrimoniale della parte civile, nell’altro caso (r. o. n. 80 del 2022), la motivazione in ordine all’estensione del sequestro preventivo in rapporto alle effettive esigenze di prevenzione prospettate dal pubblico ministero.
Inoltre, le norme censurate si porrebbero in contrasto con l’art. 3 Cost. sotto il profilo della disparità di trattamento tra la fase di cognizione e quella cautelare, in quanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia deciso il giudizio con sentenza in sede di cognizione, l’annullamento con rinvio di tale pronuncia comporta, ai sensi dell’art. 623, comma 1, lettera d), cod. proc. pen., l’impossibilità per quel giudice, persona fisica, di pronunciarsi di nuovo sulla vicenda; per contro, al giudice che definisce il giudizio cautelare mediante ordinanza, poi annullata dalla Corte di cassazione, non è preclusa dalla censurata lettera a) della medesima disposizione un’ulteriore pronuncia in sede di rinvio.
2.– L’Avvocatura dello Stato, intervenuta in entrambi i giudizi, ha concluso per l’inammissibilità e la non fondatezza delle questioni, richiamando soprattutto la giurisprudenza di legittimità secondo cui, in caso di cassazione di un’ordinanza del tribunale del riesame con rinvio allo stesso tribunale, non è precluso che possa far parte del collegio del rinvio un magistrato già componente del collegio che aveva emesso l’ordinanza cassata.
3.– Deve, in primo luogo, disporsi la riunione dei giudizi, che pongono questioni identiche e si fondano su argomentazioni comuni.
4.– In via preliminare, va rilevato che non può trovare accoglimento l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale sul rilievo che il Tribunale del riesame avrebbe censurato l’orientamento formatosi a seguito delle plurime pronunce della Corte di cassazione richiamate dal Presidente del Tribunale nel provvedimento di rigetto delle istanze di astensione, il quale non ha accolto l’istanza di astensione di due componenti del collegio.
Pur non errando la difesa dello Stato nel ritenere che i rimettenti censurino le richiamate disposizioni, come interpretate dalla giurisprudenza di legittimità, tuttavia tale aspetto attiene al merito delle censure, piuttosto che alla loro ammissibilità.
5.– Né vi sono dubbi sulla rilevanza delle questioni sotto il profilo del mutamento di prospettiva di entrambi i collegi rimettenti, i quali inizialmente hanno ritenuto sussistere un’ipotesi di astensione del giudice ai sensi dell’art. 36, comma 1, lettera h), cod. proc. pen. L’evenienza che nel collegio, secondo le regole tabellari, vi fossero due magistrati già componenti del collegio che aveva emesso l’ordinanza cassata, è stata inizialmente ricondotta all’ipotesi, generale e di chiusura, dell’art. 36 cod. proc. pen., ossia all’esistenza di «gravi ragioni di convenienza».
Il Presidente del Tribunale, però, non ha autorizzato l’astensione.
Il Collegio rimettente, nel sollevare le questioni di legittimità costituzionale, non contesta tale ritenuta mancanza dei presupposti dell’astensione ex art. 36 cod. proc. pen., ma rivolge le sue censure, in termini più radicali, alla disciplina dell’incompatibilità ex art. 34 cod. proc. pen., deducendo la stessa situazione di possibile prevenzione in cui verserebbero i magistrati del collegio del rinvio, e presentandola non più come causa di astensione, bensì come ragione di incompatibilità.
Sussiste non di meno la rilevanza delle questioni perché, se accolte, sarebbe possibile reiterare la richiesta di astensione ai sensi (non più della lettera h del comma 1 dell’art. 36 cod. proc. pen., ma) della precedente lettera g), che prevede l’obbligo del giudice di astenersi «se si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli articoli 34 e 35» cod. proc. pen.
6.– Deve, poi, considerarsi che i rimettenti muovono da una corretta premessa ermeneutica quando affermano che le norme censurate vanno interpretate nel senso che il giudizio di rinvio, a seguito dell’annullamento dell’ordinanza confermativa del sequestro conservativo e dell’ordinanza parzialmente modificativa del decreto di sequestro preventivo, possa essere celebrato innanzi agli stessi giudici, persone fisiche, che hanno pronunciato l’ordinanza impugnata.
A tal riguardo questa Corte, già con la sentenza n. 7 del 2022, ha affermato che «[n]ella fattispecie in esame, con norma speciale rispetto all’art. 34, comma 1, cod. proc. pen., l’art. 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., prevede che, in riferimento al giudizio di rinvio, “se è annullata un’ordinanza, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l’ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento”». E che «[p]arimenti, lo stesso art. 623, comma 1, cod. proc. pen., alla lettera d), prevede che “se è annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale”; ma aggiunge: “tuttavia, il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata”».
Nella richiamata pronuncia, è evidenziato che «[q]uest’ultima prescrizione, presente nella lettera d) e non anche nella lettera a) – quella secondo cui il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata –, conferma la correttezza del presupposto interpretativo del giudice rimettente: ove oggetto di annullamento sia un’ordinanza e non già una sentenza, non opera tale più specifica prescrizione».
Peraltro, la correttezza di tale premessa – sulla quale concorda anche l’Avvocatura dello Stato – è già stata vagliata da questa Corte, che l’ha ritenuta «oggettivamente conforme al dato normativo e comunque rispondente al corrente orientamento della giurisprudenza di legittimità, così da poter essere assunta quale “diritto vivente”» (sentenza n. 183 del 2013).
Tali affermazioni – conformi alla costante giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 14 aprile-3 maggio 2021, n. 16717) – devono essere ribadite anche in relazione alla fattispecie in esame: l’art. 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. letto congiuntamente all’art. 34, comma 1, cod. proc. pen. non preclude che possa far parte del tribunale del rinvio un magistrato già componente del tribunale del riesame che in precedenza aveva emesso l’ordinanza poi cassata, con la quale era stato confermato, in un caso, il sequestro conservativo disposto dal giudice per le indagini preliminari, e, nell’altro caso, era stata ridotta l’ampiezza del sequestro preventivo pure disposto dal GIP.
È questa situazione che i rimettenti lamentano essere in contrasto – oltre che con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) – anche, e principalmente, con il principio di imparzialità e terzietà del giudice (art. 111, secondo comma, Cost.).
7.– Con riferimento, in particolare, a quest’ultimo parametro, occorre considerare che il principio del giudice terzo e imparziale, che in passato la giurisprudenza di questa Corte aveva ricavato da altri parametri (artt. 3, 25, 101 e 108 Cost.), ha assunto autonoma rilevanza con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione), sì da costituire connotato essenziale e necessario dell’esercizio di ogni giurisdizione.
Il processo in tanto può dirsi «giusto» in quanto sia garantita l’imparzialità del giudice; «imparzialità che non è che un aspetto di quel carattere di “terzietà” che connota nell’essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la posizione del giudice, distinguendola da quella degli altri soggetti pubblici, e condiziona l’effettività del diritto di azione e difesa in giudizio» (sentenza n. 134 del 2002).
La regola dell’imparzialità del giudice è iscritta anche nelle carte europee.
L’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo stabilisce che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente e imparziale.
L’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea garantisce il diritto all’esame della causa da parte di un giudice «indipendente e imparziale, precostituito per legge».
A fronte di questo generale canone che permea l’esercizio di ogni giurisdizione, i presidi a garanzia del rispetto del principio del giudice terzo e imparziale possono essere declinati in modo uniforme – come avviene per la giurisdizione ordinaria, negli artt. 18 e 19 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), quanto all’incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con esercenti la professione forense o con magistrati o ufficiali o agenti di polizia giudiziaria – ma possono anche conformarsi in regole più specifiche secondo il tipo di giurisdizione esercitata.
8.– Si ha così che, mentre nel processo civile la garanzia è approntata dalla disciplina dell’astensione (art. 51 del codice di procedura civile) e della ricusazione (art. 52 cod. proc. civ.), articolate in un catalogo di situazioni potenzialmente pregiudicanti, che obbligano il giudice ad astenersi e facoltizzano le parti a ricusarlo (da ultimo, sentenza n. 45 del 2023), nel processo penale, invece, vi è una duplice e più estesa protezione che lo connota con carattere di specialità, in quanto «finalizzato essenzialmente all’accertamento del fatto ascritto all’imputato, la cui posizione viene costantemente assistita dal favor rei» (sentenza n. 326 del 1997).
Da una parte, infatti, il legislatore ha ribadito, in sostanziale simmetria, l’analoga disciplina dell’astensione e della ricusazione, contenuta negli artt. 36 e 37 e seguenti del codice di rito, che elencano le ipotesi “sospette”, accomunate tutte dall’esistenza di una situazione pregiudicante da verificare in concreto, secondo un procedimento predefinito.
Dall’altra parte – a maggiore garanzia della neutralità dell’esercizio della giurisdizione penale, la cui particolare rilevanza, sotto questo profilo, discende dalla possibile incidenza sulla libertà della persona incolpata – il legislatore ha approntato (negli artt. 34 e 35 cod. proc. pen.) un catalogo di situazioni pregiudicanti in astratto – tali, quindi, a prescindere dalla concreta possibile prevenzione del giudice – che comportano, in radice, l’incompatibilità. Si tratta, comunque, di situazioni che non incidono sulla capacità del giudice (art. 178, comma 1, lettera a, cod. proc. pen.) e devono essere oggetto di dichiarazione di astensione del magistrato o di istanza di ricusazione (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 1°-24 marzo 2016, n. 12550).
Nel loro complesso la disciplina dell’astensione e della ricusazione, per un verso, e quella dell’incompatibilità, per l’altro, concorrono a garantire, nel processo penale, il rispetto del principio del giudice terzo e imparziale (sentenza n. 283 del 2000).
Il rapporto tra astensione/ricusazione e incompatibilità è stato fissato dalle sentenze n. 306, n. 307 e n. 308 del 1997, concernenti il possibile pregiudizio del giudice che abbia adottato una misura cautelare personale e che sia poi chiamato a pronunciarsi in un distinto giudizio (di applicazione di una misura di prevenzione o anche di accertamento della responsabilità penale del correo in un giudizio separato). Si è affermato che le situazioni pregiudicanti, che integrano il regime dell’incompatibilità di cui all’art. 34 cod. proc. pen., operano all’interno del medesimo procedimento in cui interviene la funzione pregiudicata e sono espressamente predeterminate dal legislatore in base alla presunzione che quelle funzioni e quegli atti tipicizzati siano oggettivamente incompatibili con l’esercizio di ulteriori attività giurisdizionali svolte nel medesimo procedimento. In caso di incompatibilità, l’atto o la funzione hanno di per sé un effetto pregiudicante, a prescindere dallo specifico contenuto dell’atto stesso o dalle modalità con cui la funzione è stata esercitata.
Invece i casi di astensione o ricusazione si ricollegano a situazioni pregiudizievoli per l’imparzialità della funzione di giudizio che possono anche preesistere, e anzi normalmente preesistono, al procedimento (art. 36, comma 1, lettere a, b, d, e ed f, cod. proc. pen.), ovvero si collocano comunque al di fuori di esso (art. 36, comma 1, lettera c, cod. proc. pen.). L’effetto pregiudicante è eventuale e deve quindi essere accertato in concreto e, ove necessario, rimosso con l’obbligo, per il giudice, della dichiarazione di astensione e con la facoltà per le parti di ricusarlo ove egli non adempia a tale obbligo.
Peraltro, con due distinte pronunce, questa Corte ha ampliato l’area applicativa sia dell’obbligo di astensione sia della facoltà di ricusazione.
Dapprima, con la sentenza n. 113 del 2000 ha precisato che le gravi ragioni di convenienza di cui all’art. 36, comma 1, lettera h), cod. proc. pen. non possono non estendersi al pregiudizio che discende da attività processuali svolte in precedenza, così imponendo anche in tali situazioni l’obbligo di astensione; tale disposizione pone una «norma di chiusura a cui devono essere ricondotte tutte le ipotesi non ricadenti nelle precedenti lettere e nelle quali tuttavia l’imparzialità del giudice sia da ritenere compromessa» in concreto.
In seguito, con la sentenza n. 283 del 2000, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, primo comma, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto, così ampliando l’area della facoltà di ricusazione con una sorta di «disposizione di chiusura del sistema».
Emerge, in tal modo, un sistema integrato mirato a realizzare la necessaria tutela del principio del giusto processo in tutti i casi in cui sussista il rischio che possa risultare compromessa l’imparzialità del giudice. La tutela dell’imparzialità è appunto garantita «mediante una razionale ed esaustiva utilizzazione degli istituti volti ad assicurare il principio del “giusto processo”» (sentenza n. 308 del 1997).
Un riflesso di questa compenetrazione di distinte tutele si ha proprio nelle fattispecie in esame che, nei giudizi a quibus, hanno visto i giudici rimettenti percorrere prima la via dell’astensione e poi, più radicalmente, quella dell’incompatibilità.
9.– Rispetto a questo sistema integrato le sollevate questioni di legittimità costituzionale concernono unicamente la disciplina della «incompatibilità» di cui all’art. 34 (e segnatamente del suo comma 1), in riferimento alla fattispecie dell’annullamento con rinvio di una «ordinanza», di cui all’art. 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen.
Esse sono non fondate in riferimento all’art. 111, secondo comma, Cost.
10.– L’art. 2, comma 1, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale), con il principio numero 67), ha tracciato il perimetro dell’incompatibilità del giudice, che poi ha trovato attuazione nei tre commi dell’originario art. 34 cod. proc. pen., lungo una triplice direttrice: a) incompatibilità orizzontale (divieto di esercitare le funzioni di giudice del dibattimento per colui che ha svolto nello stesso procedimento, prima di queste, funzioni di pubblico ministero o di giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna o ha deciso sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere); b) incompatibilità verticale (divieto di esercitare le funzioni di giudice in altro grado per il magistrato che ha già preso parte allo stesso procedimento giudicando nel merito); c) incompatibilità per funzioni (divieto di esercitare le funzioni di giudice in altro grado per il magistrato che ha già preso parte allo stesso procedimento svolgendo funzioni di pubblico ministero).
L’incompatibilità orizzontale (comma 2 dell’art. 34 cod. proc. pen.) – proprio perché definita per singole fattispecie tipizzate – è stata quella più problematica perché ha inevitabilmente comportato la comparazione con le tante fattispecie non previste sì che tale disposizione è stata oggetto di numerose declaratorie di illegittimità costituzionale che, con pronunce additive, hanno aggiunto ulteriori fattispecie di incompatibilità (soprattutto negli anni 1990-1996, a partire dalla sentenza n. 496 del 1990).
Le combinazioni possibili tra le funzioni pregiudicanti e quelle pregiudicate sono innumerevoli e un contenimento si è avuto solo quando questa Corte, con le sentenze n. 306, n. 307 e n. 308 del 1997, ha tracciato la linea di confine tra incompatibilità del giudice, da una parte, e astensione e ricusazione, dall’altra, precisando che, quando la forza pregiudicante derivi da una decisione adottata in un procedimento diverso, lo strumento di tutela non possa essere individuato in ulteriori pronunce additive sull’art. 34 cod. proc. pen., ma debba essere ricercato nell’area degli istituti dell’astensione e della ricusazione, diretti anch’essi a tutelare la terzietà del giudice.
11.– Invece l’incompatibilità verticale (comma 1 dell’art. 34 cod. proc. pen.) è risultata meglio definita perché contenuta in una regola generale a carattere tassativo e non suscettibile di estensione analogica (sentenza n. 224 del 2001): il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, né partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento o al giudizio per revisione. Occorre, quindi, che ci sia una «sentenza», che è la tipica forma con cui il giudice definisce il giudizio nel merito, ossia decidendo in ordine all’incolpazione penale, e occorre, altresì, che ci sia uno sviluppo verticale del processo per «gradi», come avviene nell’ipotesi del giudizio di rinvio dopo l’annullamento in caso di accoglimento del ricorso per cassazione.
L’art. 623 cod. proc. pen., nel disciplinare, in particolare, l’annullamento con rinvio, risponde proprio a questa logica: se è annullata la «sentenza» di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale, ma il giudice persona fisica deve essere diverso da quello che ha pronunciato la decisione annullata; se è annullata una «ordinanza», la Corte di cassazione ordina che gli atti siano trasmessi al giudice che l’ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento, ma non è richiesto che il giudice persona fisica sia diverso da quello che ha pronunciato la decisione annullata.
La distinzione non è formale: con la «sentenza» il giudice si pronuncia nel merito dell’incolpazione penale; con la «ordinanza» invece decide – come avvenuto nei giudizi a quibus – su misure cautelari, nella specie reali di tipo conservativo o preventivo.
12.– Una situazione di incompatibilità del giudice può insorgere solo quando questi è chiamato a pronunciarsi sul merito dell’accusa penale. Ciò emerge proprio dalla giurisprudenza che si è pronunciata sul comma 1 dell’art. 34 cod. proc. pen.
Si è, infatti, affermato che «[n]ella disciplina dell’art. 34 dell’attuale codice di rito, così come nella corrispondente disciplina del codice abrogato (art. 61), l’incompatibilità – oltre alla ipotesi di esercizio nello stesso procedimento di funzioni diverse (ad esempio, requirenti) da quelle di giudice – ha come esclusivo termine di riferimento il “giudizio” vero e proprio, cioè l’accertamento di merito sulla responsabilità dell’imputato» (sentenza n. 124 del 1992).
È la decisione sul merito del giudizio che non può essere o apparire condizionata dalla forza della prevenzione, ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa. La sede pregiudicata dall’effetto di condizionamento è il “giudizio” contenutisticamente inteso, che implica «una valutazione sul merito dell’accusa, e non determinazioni incidenti sul semplice svolgimento del processo, ancorché adottate sulla base di un apprezzamento delle risultanze processuali» (sentenza n. 224 del 2001).
13.– Il punto di arrivo della giurisprudenza sull’incompatibilità endoprocessuale del giudice è stato recentemente sintetizzato dalla sentenza n. 64 del 2022, che ha ribadito che essa richiede il concorso di quattro condizioni, ovvero che: a) le preesistenti valutazioni cadano sulla medesima res iudicanda; b) il giudice sia stato chiamato a compiere una valutazione (e non abbia avuto semplice conoscenza) di atti anteriormente compiuti, strumentale all’assunzione di una decisione; c) quest’ultima abbia natura non “formale”, ma “di contenuto”, ovvero comporti valutazioni sul merito dell’ipotesi di accusa; d) la precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento.
Occorre quindi una decisione di merito sull’accusa penale perché possa insorgere una situazione di prevenzione che comporti l’incompatibilità del giudice; una decisione idonea a definire il giudizio principale, quello che, articolato in “gradi”, è mirato alla formazione del giudicato penale. Perché possa configurarsi una situazione di incompatibilità, nel senso della esigenza costituzionale della relativa previsione, è necessario che la valutazione contenutistica sulla medesima res iudicanda si collochi in un precedente e distinto grado del procedimento, rispetto a quella della quale il giudice è attualmente investito (sentenza n. 66 del 2019).
Invece, nelle fattispecie delle misure cautelari reali, che costituiscono una fase incidentale del giudizio principale, il giudice è chiamato a pronunciarsi non già sul merito dell’accusa, bensì sulla richiesta di tutela cautelare, nella specie, vuoi conservativa, vuoi preventiva, con formazione del ben diverso “giudicato cautelare”, che ha solo un’efficacia endoprocedimentale preclusiva della riproposizione di una stessa questione, di fatto o di diritto, anche se si adducono argomenti diversi da quelli già presi in esame, ma non impedisce una nuova richiesta di tutela cautelare sulla base di elementi diversi (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 19 dicembre 2006-10 aprile 2007, n. 14535).
Il fumus commissi delicti costituisce solo un presupposto perché la tutela cautelare reale possa avere ingresso, non preordinato a un giudizio prognostico in termini di alta probabilità di colpevolezza dell’indagato o imputato; presupposto questo che, peraltro, in entrambi i giudizi a quibus è fuori discussione, essendo invece controverso l’ambito della misura cautelare e la sua idoneità e proporzionalità a soddisfare, rispettivamente, la necessità di conservazione della garanzia patrimoniale della parte civile ovvero l’esigenza di prevenzione contenuta nella richiesta del pubblico ministero.
14.– Con riferimento ai procedimenti cautelari, questa Corte ha costantemente affermato che «[è] del tutto ragionevole [...] che, all’interno di ciascuna delle fasi – intese come sequenze ordinate di atti che possono implicare apprezzamenti incidentali, anche di merito, su quanto in esse risulti, prodromici alla decisione conclusiva – resti, in ogni caso, preservata l’esigenza di continuità e di globalità, venendosi altrimenti a determinare una assurda frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere (ex plurimis, sentenze n. 153 del 2012, n. 177 e n. 131 del 1996; ordinanze n. 76 del 2007, n. 123 e n. 90 del 2004, n. 370 del 2000, n. 232 del 1999)» (sentenza n. 18 del 2017).
In particolare, il procedimento del riesame in generale e più specificamente quello concernente le misure cautelari reali, che qui vengono in rilievo, si pone quale fase incidentale eventuale, all’interno della quale il collegio giudicante adotta, attraverso il provvedimento tipico dell’ordinanza, decisioni rebus sic stantibus, perché fondate su valutazioni circoscritte alla situazione di fatto e di diritto prospettata attraverso il mezzo di gravame.
Tale situazione è, infatti, suscettibile di cambiamenti per il naturale evolversi degli esiti delle indagini preliminari (soprattutto in caso di sequestro preventivo) e della fase del giudizio (in particolare, quando si tratta di sequestro conservativo) e di essere nuovamente valutata in via incidentale in caso di sopravvenienze, nei limiti del “giudicato cautelare”.
Con specifico riferimento al procedimento del riesame cautelare reale, la valutazione che il giudice deve effettuare in relazione ai presupposti applicativi delle misure cautelari del sequestro preventivo e del sequestro conservativo ha ad oggetto la verifica della sussistenza del fumus criminis e del periculum in mora; accertamento che non attiene al «merito dell’ipotesi accusatoria», non concretizzandosi in una valutazione di colpevolezza dell’imputato.
Per l’ipotesi in cui vi sia stato il rinvio a giudizio del soggetto interessato, peraltro, il controllo del giudice del riesame è limitato al requisito del periculum in mora, non venendo in rilievo la necessità della valutazione del fumus criminis, stante la già avvenuta preventiva verifica giurisdizionale sulla consistenza del fondamento dell’accusa (in tal senso, Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 17 settembre-14 dicembre 2020, n. 35715, in riferimento alla misura cautelare del sequestro preventivo; ed analogo principio è stato affermato con riferimento al riesame del provvedimento che dispone il sequestro conservativo, Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 20 settembre-7 novembre 2018, n. 50521 e sezione seconda penale, sentenza 28 ottobre-7 dicembre 2016, n. 52255).
In ogni caso, poi, nel valutare il fumus criminis il giudice del riesame deve arrestarsi a considerare l’oggettiva esistenza di indizi di reato, cioè di elementi concreti che facciano apparire verosimile che un reato sia stato commesso, senza estendere la propria valutazione alla fondatezza dell’ipotesi accusatoria; non si richiedono «gravi indizi di colpevolezza, cioè dimostrativi di una elevata probabilità di responsabilità, ma obiettivi indizi di reato» (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 8 ottobre 2020-19 gennaio 2021, n. 2181).
Del resto questa Corte, nella sentenza n. 48 del 1994, ha affermato che le misure cautelari reali, pur raccordandosi necessariamente ad un reato, possono prescindere totalmente da qualsiasi profilo di colpevolezza, proprio perché la funzione preventiva «non si proietta necessariamente sull’autore del fatto criminoso ma su cose che, postulando un vincolo di pertinenzialità col reato, vengono riguardate dall’ordinamento come strumenti la cui libera disponibilità può costituire situazione di pericolo». E si è, altresì, precisato che, se si introducesse in sede di gravame un potere di controllo sul merito della res iudicanda, «si assisterebbe ad una sorta di “processo nel processo” che sposterebbe, allargandolo, il tema del decidere da quello suo proprio (verifica del pericolo che la libera disponibilità di taluni beni “qualificati” possa determinare le conseguenze descritte dalla norma) fino a coinvolgere l’oggetto stesso del procedimento principale».
15.– È, quindi, nell’assenza di valutazioni sul merito dell’ipotesi di accusa la determinante differenza rispetto alle fattispecie esaminate da questa Corte nelle sentenze n. 183 del 2013 e n. 7 del 2022, richiamate dai rimettenti per aver esse introdotto, con pronunce additive rese sulle medesime disposizioni attualmente censurate, ipotesi di incompatibilità del giudice anche ove oggetto dell’annullamento con rinvio sia stata una «ordinanza» (nella specie, del giudice dell’esecuzione) e non già una «sentenza».
Nella prima decisione indicata, che ha riguardato l’annullamento con rinvio delle ordinanze attinenti a richieste di applicazione della continuazione e del concorso formale in executivis, questa Corte ha affermato che «il giudice dell’esecuzione si vede investito di un accertamento che non attiene affatto all’esecuzione (sia pure lato sensu intesa) delle pronunce di condanna delle quali si discute, quanto piuttosto al merito delle imputazioni», qual è l’accertamento che l’interessato, prima di dare inizio alla serie criminosa, abbia avuto una rappresentazione, almeno sommaria, dei reati che si accingeva a commettere e che detti reati siano stati ispirati ad una finalità unitaria. In particolare, si è aggiunto che «[l]’apprezzamento demandato al giudice dell’esecuzione presenta, dunque, tutte le caratteristiche del “giudizio”, quali delineate dalla giurisprudenza di questa Corte ai fini dell’identificazione del secondo termine della relazione di incompatibilità costituzionalmente rilevante, espressivo della sede “pregiudicata” dall’effetto di “condizionamento” scaturente dall’avvenuta adozione di una precedente decisione sulla medesima res iudicanda» (sentenza n. 183 del 2013).
Nella seconda indicata pronuncia (sentenza n. 7 del 2022) è venuta in rilievo la fattispecie della incompatibilità derivante dall’adozione, da parte del giudice dell’esecuzione, dell’ordinanza di rigetto di una richiesta di rideterminazione del trattamento sanzionatorio a seguito della pronuncia di illegittimità costituzionale del minimo edittale per il reato di cui all’art. 73, comma 1, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), per effetto della sentenza n. 40 del 2019. La decisione era stata annullata con rinvio dalla Corte di cassazione e questa Corte, dopo aver evidenziato che è nell’attività della cognizione che il giudice del rinvio, in caso di annullamento pronunciato dalla Corte di cassazione, è esposto alla forza della prevenzione insita nel condizionamento per aver egli adottato il provvedimento impugnato, ha affermato che «ciò accade anche quando nel procedimento di esecuzione il giudice del rinvio, al pari del giudice dell’ordinanza annullata, è chiamato a una valutazione che travalica la stretta esecuzione del giudicato e attinge, in via eccezionale, il livello della cognizione; ossia quando al giudice dell’esecuzione è demandato un “frammento di cognizione inserito nella fase di esecuzione penale” (sentenza n. 183 del 2013)», qual è quello che si delinea quando il giudice «è nuovamente investito della decisione circa la “misura” della responsabilità del condannato, dovendo a tal fine esercitare incisivi poteri di merito, volti alla rivalutazione sanzionatoria del fatto illecito, alla luce del nuovo e più favorevole minimo edittale».
Diversamente, nella fattispecie in esame, la valutazione demandata al giudice del riesame reale, a seguito dell’annullamento disposto dalla Corte di cassazione, per le evidenziate peculiarità del giudizio cautelare reale, non riveste le caratteristiche del «giudizio» contenutisticamente inteso, ossia di un giudizio volto ad adottare una valutazione sul merito dell’accusa, venendo piuttosto in rilievo una vicenda che si sviluppa unicamente nella medesima fase cautelare, in senso verticale.
16.– In conclusione, la decisione adottata dai giudici del riesame in materia cautelare reale non riveste capacità pregiudicante della successiva decisione cautelare in sede di rinvio, nella quale i componenti del collegio debbono uniformarsi alle regole prescritte dalla Corte di cassazione.
Deve, pertanto, escludersi il denunciato contrasto delle norme censurate con l’art. 111, secondo comma, Cost.
17.– Per le stesse ragioni finora esposte, le censure prospettate in riferimento all’art. 3 Cost., quanto alla denunciata violazione del principio di uguaglianza, risultano non fondate.
Come già evidenziato, il giudizio cautelare reale, definito con «ordinanza», ha caratteristiche significativamente diverse rispetto al giudizio di cognizione, definito con «sentenza».
Il giudice cautelare e il giudice della cognizione sono chiamati a operare valutazioni di tipo decisorio nettamente differenti, in quanto soltanto nel secondo caso viene in rilievo l’adozione di una decisione circa la colpevolezza sulla base della valutazione del materiale probatorio, destinata a confluire nella pronuncia di condanna o di assoluzione, con i conseguenti riflessi sulle misure cautelari reali, ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 317, comma 4, cod. proc. pen., in relazione al sequestro conservativo e all’art. 323, comma 1, del medesimo codice, in riferimento al sequestro preventivo.
Il giudice della cautela reale non decide sull’incolpazione penale; non definisce il «giudizio»; può essere chiamato a pronunciarsi più volte in riferimento a mutevoli circostanze di fatto acquisite al processo. Il rigido regime dell’incompatibilità ai sensi dell’art. 34, comma 1, cod. proc. pen., auspicato dai giudici rimettenti, rischierebbe di avere effetti disfunzionali ove dovesse costituirsi un collegio diverso per decidere in ordine ad ogni singola misura cautelare reale.
È vero che la giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 30 maggio-31 ottobre 2006, n. 36267) ha affermato che il «giusto processo cautelare è l’epilogo di un cammino che, attraverso varie tappe segnate da interventi del legislatore, di questa Suprema Corte e del Giudice delle leggi, ha visto progressivamente sfumare le tradizionali differenze evidenziate tra decisione cautelare e giudizio di merito». Ma ciò ha riguardato le misure cautelari personali che vedono il giudice della cautela pronunciarsi sui gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273, comma 1, cod. proc. pen., e del resto, questa Corte ha affermato da tempo che «le valutazioni compiute dal giudice in relazione all’adozione di una misura cautelare personale comportano un pregiudizio sul merito dell’accusa» (sentenza n. 131 del 1996); ossia un pregiudizio sulla valutazione dell’incolpazione penale.
Invece – come già rilevato – il fumus commissi delicti costituisce solo un presupposto perché la tutela cautelare reale possa avere ingresso, ma non implica una valutazione sul merito dell’accusa.
Coerente è allora la regola declinata specificamente dall’art. 623 cod. proc. pen. che, con riferimento alla pronuncia di annullamento con rinvio a seguito del giudizio di cassazione, prevede – alle lettere b), c) e d) – i vari casi di annullamento della «sentenza» impugnata, indicando il giudice competente per il giudizio di rinvio.
In particolare, se è annullata una sentenza di un giudice monocratico (tribunale in composizione monocratica o giudice per le indagini preliminari) il giudizio è rinviato al medesimo tribunale, ma il giudice persona fisica deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.
Ove, invece, sia annullata una «ordinanza», il medesimo art. 623, comma 1, cod. proc. pen., alla lettera a), detta una regola diversa, secondo cui la Corte di cassazione dispone la trasmissione degli atti al giudice che l’ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento, senza che sia prescritto – come nella successiva lettera d) con riferimento alla sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari – che il giudice, se monocratico, debba essere persona fisica diversa da quella che ha pronunciato l’ordinanza annullata.
In definitiva, la mancata previsione della fattispecie di incompatibilità auspicata dai rimettenti non determina la denunciata disparità di trattamento tra la fase di cognizione e la fase cautelare.
18.– In conclusione, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Ravenna, in funzione del giudice del riesame, sono dichiarate non fondate con riferimento ad entrambi i parametri costituzionali sopra richiamati.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del riesame, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 aprile 2023.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2023.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA