È incostituzionale l’inclusione delle accise nel contributo straordinario di solidarietà del 2022 a carico delle imprese energetiche.
È quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 111 depositata il 27 giugno 2024.
La questione è stata portata all'attenzione della Corte dalle Corti di giustizia tributaria di Milano e di Roma, che hanno sollevato dubbi sulla legittimità dell'imposizione fiscale prevista dall'art. 37 del decreto-legge n. 21 del 2022, specificamente per quanto riguarda l'inclusione delle accise nella base imponibile del contributo.
La Consulta ha precisato che, pur in presenza di "straordinarie e preminenti esigenze della collettività", legate all'eccezionale situazione congiunturale derivante dall’invasione russa dell’Ucraina, è essenziale che il legislatore rispetti il principio di non manifesta irragionevolezza. L'inclusione delle accise, infatti, è stata giudicata un'estensione della base imponibile che non riflette un'effettiva maggior ricchezza delle imprese, ma si risolve in una mera "soggezione al potere statale".
L'analisi ha evidenziato che l'adozione di regole applicative simili a quelle di un'imposta indiretta come l’IVA non ha garantito adeguatamente l'identificazione della maggiore ricchezza delle imprese energetiche, nonostante il significativo aumento dei prezzi dei prodotti energetici. Di conseguenza, la sentenza ha chiarito che sarebbe stato più corretto fare riferimento ai dati dichiarati ai fini dell’imposta sui redditi delle società (IRES), che rappresentano un indice più affidabile di surplus di utili.
Nonostante la straordinarietà delle circostanze e la necessità di un intervento rapido per evitare effetti negativi sull'inflazione e sulla liquidità del mercato, la Corte ha stabilito che la temporaneità dell’imposizione non può giustificare l'introduzione di una forma di tassazione che non rispetti i criteri di equità e ragionevolezza.
In definitiva, la sentenza stabilisce che l’inclusione delle accise nella base imponibile del contributo straordinario di solidarietà, che ha portato a un aumento sostanziale e non rappresentativo della base imponibile per alcune imprese, compromette la ragionevolezza della disposizione contestata, delineando un quadro di incostituzionalità che necessita di revisione legislativa.
CORTE COSTITUZIONALE
(Presidente: BARBERA - Redattore: ANTONINI)
SENTENZA N. 111
ANNO 2024
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 37 del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 (Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio 2022, n. 51, come modificato dall’art. 55 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50 (Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2022, n. 91, promossi con cinque ordinanze del 27 giugno 2023 dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, sezione 27, iscritte ai numeri 142, 144, 145, 146 e147 del registro ordinanze 2023, nonché dell’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito, modificato dall’art. 55 del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, e successivamente dall’art. 1, comma 120, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), promossi con tre ordinanze del 4 dicembre 2023 dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, sezione 12, iscritte ai numeri 3, 4 e 5 del registro ordinanze 2024, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, dell’anno 2023, numeri 44, 45 e 46, le prime cinque, e dell’anno 2024, n. 5, le altre tre.
Visti gli atti di costituzione di Engycalor Energia Calore srl, Kuwait Petroleum Italia spa, Eni spa, Eni Global Energy Markets spa, Esso Italiana srl, Meltemi Energia srl, San Gregorio Wind srl ed Engie Italia spa, nonché gli atti di intervento di Assorisorse – Risorse naturali ed energie sostenibili e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 aprile 2024 il Giudice relatore Luca Antonini;
uditi gli avvocati Massimo Luciani per Assorisorse – Risorse naturali ed energie sostenibili, Livia Salvini e Davide De Girolamo per Engycalor Energia Calore srl, Kuwait Petroleum Italia spa, Eni spa, Eni Global Energy Markets spa, Esso Italiana srl, Meltemi Energia srl, San Gregorio Wind srl, Engie Italia spa, nonché gli avvocati dello Stato Salvatore Faraci, Roberta Guizzi e Mattia Cherubini per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 4 giugno 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con cinque ordinanze del 27 giugno 2023 (rispettivamente iscritte ai numeri 142, 144, 145, 146 e 147 del registro ordinanze 2023), in parte di identico tenore, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, sezione 27 (di seguito: CGT di Roma), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 41, 42, 53 e 117 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37 del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 (Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio 2022, n. 51, come modificato dall’art. 55 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50 (Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2022, n. 91.
1.1.– In ciascuna delle ordinanze di rimessione la CGT di Roma espone preliminarmente che le questioni sono sorte nel corso dei giudizi tributari instaurati con i ricorsi proposti da cinque società operanti nel settore energetico (rispettivamente: Engycalor Energia Calore srl nel giudizio di cui al n. 142 reg. ord. 2023; Kuwait Petroleum Italia spa nel giudizio di cui al n. 144 reg. ord. 2023; Eni spa nel giudizio di cui al n. 145 reg. ord. 2023; Eni Global Energy Markets spa nel giudizio di cui al n. 146 reg. ord. 2023; Esso Italiana srl nel giudizio di cui al n. 147 reg. ord. 2023) avverso il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle entrate sulle richieste di rimborso degli importi corrisposti da ciascuna società «a titolo di “contributo straordinario contro il caro bollette” a carico delle imprese operanti nel settore energetico».
Dopo avere evidenziato che «[l]a ricorrente ha dedotto, sia nell’istanza di rimborso che nel ricorso, l’illegittimità costituzionale dell’art. 37 D.L. 21/2022 sotto molteplici profili», la CGT di Roma si limita a illustrare le argomentazioni delle parti a sostegno della prospettata illegittimità costituzionale della disposizione censurata, concludendo che «[l]a Corte concorda con le suddette considerazioni e ritiene rilevante, posto che la presenza dell’art. 37 D.L. 21/2022 nell’ordinamento giuridico osta al richiesto rimborso, e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della predetta norma secondo i profili dedotti dalla ricorrente».
1.2.– In particolare, evidenzia, innanzitutto, che le società ricorrenti hanno sostenuto l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata per violazione degli artt. 3, 23 e 53 Cost., in quanto il presupposto del contributo straordinario sarebbe stato individuato dal legislatore in modo indeterminato e generico, posto che «i soli elementi essenziali del contributo che il legislatore si è premurato di individuare sono i soggetti passivi e i criteri di determinazione (base imponibile e aliquota)».
Infatti, sebbene dai lavori preparatori tale contributo sembrerebbe volto a «intercettare asseriti “extraprofitti” di cui le imprese del comparto dell’energia avrebbero beneficiato», tuttavia nella disposizione censurata non vi si farebbe mai riferimento, lasciando indeterminato il presupposto del tributo, in violazione dell’art. 23 Cost.
In secondo luogo, risulterebbero violati gli artt. 3 e 53 Cost., in quanto il legislatore avrebbe arbitrariamente determinato i fatti espressivi della capacità contributiva, anche perché i soggetti incisi sarebbero stati individuati «sulla base di un criterio puramente qualitativo», ovvero per il solo fatto di appartenere al mercato energetico.
Inoltre, anche qualora si volesse ritenere che il contributo straordinario abbia avuto la finalità di tassare gli “extraprofitti” maturati dalle imprese energetiche, tuttavia la sua concreta articolazione tecnica si dimostrerebbe del tutto inidonea allo scopo.
Il riferimento all’incremento differenziale tra i saldi IVA, infatti, individuerebbe una materia imponibile non idonea, di per sé, a intercettare margini di “sovraprofitto”, perché non consentirebbe di tenere conto di elementi di costo che incidono in maniera significativa sui profitti, come gli oneri di gestione, gli ammortamenti, i differenziali realizzati sui contratti derivati.
Peraltro, poiché il contributo straordinario verrebbe applicato sull’intero fatturato, concorrerebbero alla determinazione della base imponibile anche operazioni estranee all’ambito energetico (come, in particolare, le operazioni straordinarie).
Così come vi concorrerebbero anche le accise, ancorché «non poss[a]no rappresentare in alcun modo un incremento rilevante di “ricchezza” tassabile».
1.3.– Le ordinanze di rimessione evidenziano che anche il periodo temporale preso a riferimento dalla disposizione censurata (1° ottobre 2021-30 aprile 2022) non sarebbe idoneo a intercettare eventuali “extraprofitti” realizzati dalle imprese energetiche.
Intanto, poiché sarebbe un lasso di tempo troppo breve e svincolato dall’anno di esercizio dell’attività, ma soprattutto perché il periodo 2020-2021 era stato condizionato dall’emergenza epidemiologica da COVID-19: le società erano quindi in perdita a causa del calo dei consumi dei prodotti energetici. Nel successivo periodo 2021-2022, vi sarebbe stato, pertanto, solo un incremento della quantità venduta conseguente al ripristino della situazione ordinaria e non lo sfruttamento di una situazione di vantaggio da parte delle imprese energetiche derivante dall’aumento dei prezzi.
1.4.- Viene, inoltre, censurata la disposizione anche per contrasto con l’art. 3 Cost. per violazione del principio di uguaglianza, sia esterna che interna al mercato energetico.
Con riferimento, in particolare, al profilo dell’uguaglianza esterna, sussisterebbe una discriminazione ingiustificata tra le imprese del settore energetico e gli operatori appartenenti agli altri settori merceologici, ad esempio quello bancario-finanziario e farmaceutico, che, pur avendo realizzato consistenti “extraprofitti” durante e dopo la crisi pandemica, non sarebbero colpiti dall’imposta.
Vi sarebbe, inoltre, una discriminazione interna al mercato energetico, perché il contributo graverebbe solo su alcune imprese che operano nel settore energetico, dal momento che, secondo quanto disposto dall’art. 37, comma 2, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, sono esenti da imposta gli operatori che hanno realizzato “extraprofitti” per importi inferiori a 5 milioni di euro o in una percentuale inferiore al 10 per cento.
1.5.- Quanto poi al contrasto con gli artt. 42 e 53 Cost., viene evidenziato che il contributo straordinario dovuto dalle società ricorrenti eroderebbe sensibilmente il loro patrimonio, con effetti espropriativi e sacrificando in modo ingiustificato il loro diritto di proprietà.
1.6.– Infine, sarebbe violato anche l’art. 117 Cost. e, in via mediata, l’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo; si richiama, a tal proposito, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per concludere che l’imposizione non potrebbe alterare in maniera radicale l’equilibrio tra interesse fiscale e diritto alla tutela proprietaria erodendo in misura eccessiva il patrimonio netto delle società, come sarebbe avvenuto nel caso di specie.
1.7.- Le ordinanze di cui ai numeri 144, 145 e 147 reg. ord. 2023, oltre che riprodurre, in modo identico, gli argomenti posti a fondamento dei dubbi di costituzionalità già illustrati, introducono ulteriori ragioni di censura.
In particolare, le ordinanze di cui ai numeri 144 e 147 reg. ord. 2023, nell’ambito del profilo relativo al contrasto con il principio di uguaglianza, introducono l’ulteriore considerazione che il contributo straordinario si risolverebbe in un aiuto di Stato in favore dei soggetti che operano a monte della catena produttiva, non essendo gli stessi assoggettati al divieto di traslazione; solo, quindi, chi opera «a valle» resterebbe ingiustificatamente inciso dall’onere impositivo.
Inoltre, pongono in evidenza il fatto che, essendo le parti (rispettivamente: Kuwait Petroleum Italia spa nel giudizio di cui al n. 144 reg. ord. 2023; Esso Italiana srl nel giudizio di cui al n. 147 reg. ord. 2023) degli «operatori verticalmente integrati», attivi sia nella raffinazione dei prodotti petroliferi che nella successiva immissione in consumo, la base imponibile sarebbe ingiustificatamente aumentata in quanto ricomprenderebbe anche gli importi riscossi a titolo di accise, con effetto discriminatorio rispetto ai diretti concorrenti che, «quando esportano il prodotto, senza dunque immetterlo in consumo, non riscuotono accise in qualità di sostituto di imposta, sicché potranno calcolare il contributo su una base imponibile notevolmente inferiore».
1.8.– Infine, le ordinanze iscritte ai numeri 144, 145 e 147 reg. ord. 2023 censurano anche l’art. 37, comma 8, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, per violazione degli artt. 3, 53, 41 e 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Evidenziano, in primo luogo, che la disposizione censurata, nel prevedere il divieto di traslazione del contributo sui prezzi al consumo, sarebbe priva di ragionevolezza, in quanto non riuscirebbe a delineare concretamente un meccanismo che renda effettivo tale divieto, con conseguente rischio che l’imposta sia sopportata, in definitiva, dai consumatori sotto forma di maggiorazione dei prezzi. In secondo luogo, sostengono che il divieto riguarderebbe solo i «prezzi al consumo» e, pertanto, l’ambito soggettivo di applicazione sarebbe quello delle imprese energetiche che operano nei diretti confronti dei consumatori, mentre resterebbero estranee le imprese collocate a monte del processo e aventi per clienti altre imprese, non i consumatori: vi sarebbe, quindi, una violazione delle norme costituzionali poste a tutela della concorrenza.
2.– In tutti i giudizi si sono costituite le parti private con atti di costituzione aventi sostanzialmente un identico contenuto.
Le società, in modo diffuso e articolato, hanno esposto le ragioni in base alle quali sarebbero fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla CGT di Roma.
2.1.– Riepilogando in sintesi le argomentazioni esposte, va innanzitutto evidenziato che le difese di parte si soffermano sul contesto economico nel quale è intervenuta la disposizione censurata, lamentando che l’intervento di tipo congiunturale introdotto dal legislatore, in astratto finalizzato a una politica redistributiva e solidaristica, nelle modalità concrete con cui è stata strutturata l’imposizione, non sarebbe rispettoso dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza.
2.2.– Quanto alla «genericità, indeterminatezza e irragionevolezza del presupposto» dell’imposta ribadiscono che «a ben vedere, di “extraprofitti” nella norma non si parla mai», cosicché «resta indeterminata quale maggiore capacità contributiva il tributo sia volto a colpire».
Se, peraltro, aggiungono le parti, si volesse ritenere che la finalità della norma sia proprio quella di «colpire» gli “extraprofitti” delle imprese energetiche, «allora la sua articolazione tecnica» sarebbe del tutto inidonea allo scopo.
Sotto il profilo oggettivo, in particolare, «l’incremento tra saldi IVA non può misurare alcun presupposto espressivo di capacità contributiva», essendo in sostanza basato unicamente sul mero dato dell’aumento del volume di affari che, tuttavia, «nulla dice sui maggiori “profitti” ritratti da una società», in quanto gli stessi sono misurabili da altri indicatori, «primo tra tutti – nel mercato qui di interesse – dal margine commerciale, e cioè da quel valore che esprime la redditività/profittabilità di un certo settore commerciale».
D’altro canto, il differenziale assoggettato a imposizione non sarebbe comunque idoneo a tassare “sovraprofitti”, anche perché i maggiori profitti realizzati nel 2021-2022, rispetto al corrispondente periodo 2020-2021, sarebbero dipesi dalla circostanza che, durante la pandemia, le società erano in gravissima perdita a causa del perdurare dell’emergenza sanitaria. Sotto tale profilo, il differenziale che confluisce nella base imponibile si rivelerebbe incrementale solo perché posto in relazione alla situazione di perdita economica derivante dalla situazione pandemica e, pertanto, non potrebbe costituire un risultato positivamente straordinario, ma solo un ripristino della situazione ordinaria.
2.3.– Il sistema di determinazione della base imponibile sarebbe, inoltre, irragionevole per avere attinto alla disciplina dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), e ciò per una duplice ragione.
In primo luogo, la scelta di avvalersi delle comunicazioni dei dati delle liquidazioni periodiche IVA (LIPE) sarebbe irragionevole in quanto le stesse sarebbero espressive solo di un quadro provvisorio delle operazioni realizzate che, invece, sarebbero pienamente rappresentate solo nella dichiarazione annuale IVA.
In secondo luogo, l’IVA non terrebbe conto di altre operazioni, sia passive che attive, rilevanti invece ai fini della determinazione del “sovraprofitto” che si intenderebbe tassare.
Così, sul fronte delle operazioni passive, non sarebbero presi in considerazione, ai fini della determinazione della base imponibile, gli oneri di gestione o il costo del personale, le imposte e le tasse, i canoni demaniali, gli ammortamenti e gli accantonamenti, i differenziali sui contratti derivati. Sul fronte delle operazioni attive, concorrerebbero alla base imponibile elementi estranei all’attività caratteristica dell’impresa, quali le operazioni straordinarie, e al concetto di “sovraprofitto”, quali gli importi riferiti alle accise.
Quest’ultimo argomento, che fa leva sull’incidenza delle accise nella determinazione della base imponibile, è posto in particolare evidenza nei giudizi di cui ai numeri 144 e 147 reg. ord. 2023 dalle società Kuwait Petroleum Italia spa e Esso Italiana srl.
Le società evidenziano di essere tra le primarie società italiane operanti nel mercato della distribuzione dei carburanti e, più in generale, della produzione, distribuzione e commercio dei prodotti petroliferi e che, pertanto, i prodotti oggetto dell’attività caratteristica sono soggetti ad accisa al momento dell’immissione in consumo. Il che, secondo le parti, comporterebbe un’evidente criticità ai fini della determinazione del contributo, in quanto, se, da un lato, gli acquisti riguardano in massima parte prodotti per i quali l’obbligazione tributaria ai fini delle accise è sorta, ma non è ancora esigibile, lo stesso non potrebbe dirsi per le cessioni effettuate che sono, invece, gravate dall’accisa.
2.4.– Sotto il profilo soggettivo, inoltre, tutte le parti evidenziano che la lievitazione dei profitti del mercato energetico si sarebbe, eventualmente, registrata «a monte», nel versante estrattivo e produttivo del mercato petrolifero e del gas, e non «a valle», cioè nel settore della commercializzazione, per il quale, «a fronte di un incremento eccezionale di prezzo nell’anno 2022, la marginalità per i soggetti operanti nel settore della distribuzione [sarebbe] rimasta pressoché immutata».
2.5.– Richiamando la pertinente giurisprudenza costituzionale e convenzionale, vengono poi esposte le ragioni per le quali la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. nonché con gli artt. 42, 53 e 117 Cost. e, in via mediata, con l’art. 1 del Prot. addiz. CEDU.
3.– In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con atti di intervento di contenuto identico.
3.1.– In via preliminare, la difesa statale eccepisce l’inammissibilità delle questioni per avere i giudici rimettenti motivato per relationem agli atti di parte senza avere compiuto una propria autonoma valutazione sulle ragioni di contrasto della disposizione censurata con i parametri costituzionali evocati.
3.2.– Inoltre, eccepisce l’inammissibilità delle questioni per mancata o insufficiente descrizione della fattispecie oggetto dei giudizi ai fini della valutazione della rilevanza, in quanto non sarebbe stata compiuta una specifica descrizione del «processo presupposto», omettendo, quindi, di illustrare compiutamente i «dati fattuali essenziali per cogliere la rilevanza della questione».
3.3.– Un’ulteriore eccezione di inammissibilità viene proposta in considerazione del fatto che le ordinanze di rimessione avrebbero omesso di ricostruire il quadro normativo, in quanto non avrebbero tenuto conto delle modifiche apportate all’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, dall’art. 1, comma 120, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025).
La difesa statale, in particolare, pone attenzione al fatto che la modifica normativa, da un lato, avrebbe circoscritto il contributo «a quei soli operatori economici che abbiano ottenuto almeno il 75% del volume d’affari realizzato nel corso dell’anno 2021 dalle attività individuate dallo stesso art. 37, comma 1, come generatrici di quella forza economica che si è inteso tassare»; d’altro lato, nel prevedere che non concorrono alla determinazione dei totali delle operazioni attive e passive le operazioni di cessione e di acquisto di azioni, obbligazioni o di altri titoli non rappresentativi di merci e quote sociali, avrebbe «espunt[o] dalla base imponibile le operazioni di natura strettamente finanziaria, le quali potrebbero alterare e falsare il risultato al quale il legislatore ha inteso guardare».
Viene quindi evidenziato che «[l]’ordinanza di rimessione non si confronta in alcun modo con queste sopravvenienze normative, antecedenti al promovimento delle questioni di legittimità costituzionale».
3.4.– Ancora, sempre in termini di inammissibilità, la difesa statale evidenzia che la questione relativa all’inclusione nella base imponibile del valore delle accise corrisposte sui prodotti finali rivenduti sarebbe stata prospettata in modo generico ed incerto, non essendo possibile comprendere in che modo si realizzerebbe la suddetta inclusione, posto che i giudici rimettenti non avrebbero chiarito quale sia il regime delle accise e quello dell’IVA che risulterebbero applicabili nel caso di specie. Non sarebbe stato specificato, in particolare, se le società avevano effettivamente riversato nei confronti dei clienti finali il peso economico sostenuto a fronte dell’obbligo di versamento delle accise.
3.5.– Analoga eccezione di inammissibilità per genericità viene prospettata con riferimento al profilo relativo all’inclusione dei costi relativi ai «derivati di copertura», in quanto i giudici rimettenti avrebbero omesso di indicare «quale sarebbe l’ammontare complessivo dei costi sostenuti dalla specifica ricorrente in forza degli strumenti finanziari in discorso e, soprattutto, quale sarebbe l’incidenza di detti costi rispetto al valore della materia imponibile e del contributo su di essa conseguentemente applicato».
La medesima eccezione di inammissibilità è formulata in relazione al profilo dell’esistenza di una situazione di discriminazione interna al settore energetico, posto che «essa appare quantomai aspecifica, atteso che non si indicano quali imprese o, meglio, quali categorie di imprese, sarebbero rimaste estranee al prelievo».
Infine, circa la questione relativa alla natura «confiscatoria» del contributo, ne viene eccepita l’inammissibilità, in quanto i giudici rimettenti avrebbero omesso di specificare la «complessiva situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa stessa».
3.6.– La difesa statale argomenta anche sulle ragioni per cui le questioni sollevate sarebbero manifestamente infondate.
Non vi sarebbe, in primo luogo, alcuna incertezza del presupposto impositivo.
Viene posto in rilievo il fatto che la disposizione censurata debba essere valutata «nel contesto della particolare congiuntura economica scaturita dalla crisi energetica aggravata dalla guerra in Ucraina» che avrebbe reso necessario intervenire imponendo un contributo di carattere straordinario, con finalità solidaristiche e redistributive a favore delle imprese e dei consumatori.
Diversamente da quanto postulato dai giudici rimettenti, con il contributo straordinario introdotto dalla disposizione censurata «[n]on si va […] a tassare propriamente un “profitto” o un “extra-profitto”, ma la variazione in aumento del “delta” tra le anzidette operazioni attive e passive, variazione indicativa, nella prospettiva del legislatore, di un aumento dei prezzi di commercializzazione, nei confronti dei consumatori e delle imprese, dei prodotti energetici, rispetto ai corrispondenti costi di approvvigionamento».
In sostanza, secondo la difesa statale, il legislatore avrebbe basato la disposizione sulla «presunzione legale» secondo cui «l’incremento del “delta” tra valore delle operazioni attive e operazioni passive emergente dalle LIPE nel periodo 1° ottobre 2021 – 30 aprile 2022, rispetto al corrispondente periodo di un anno prima […] sia dovuta all’abnorme incremento del costo dell’energia e dei prodotti energetici registrato nei mercati nazionale, europeo e internazionale».
Il presupposto dell’imposta, dunque, sarebbe da individuarsi nella maggiore «forza economica» manifestata dall’incremento differenziale dei saldi IVA, oltre una certa soglia di valore, dovendosi presumere che i prezzi di rivendita dei beni commercializzati siano aumentati in misura più che proporzionale rispetto ai correlati costi di approvvigionamento e delle materie prime.
Questa stessa «forza economica», peraltro, sarebbe idonea a distinguere i soggetti specificamente tassati dalla generalità degli altri contribuenti, ancorché eventualmente esercenti attività d’impresa, giustificando così l’assoggettamento al contributo straordinario.
3.7.– In ordine al profilo relativo all’assenza di correlazione tra le operazioni IVA rilevate in base alle LIPE, la difesa statale evidenzia che il differenziale tra queste operazioni lascerebbe «presumere che i prezzi di rivendita dei beni commercializzati sia[no] aumentat[i] in misura più che proporzionale rispetto ai correlati costi di approvvigionamento e delle materie prime».
Né, in questo contesto, avrebbe rilievo il profilo relativo alla mancata considerazione dei costi legati ai «derivati di copertura», posto che il presupposto del contributo straordinario non è un “extraprofitto”, ma solo il «delta» tra il valore delle operazioni IVA attive e passive.
3.8.– Non sarebbe, peraltro, irragionevole la perimetrazione del periodo temporale preso in considerazione ai fini dell’emersione della materia imponibile tassata (1° ottobre 2021-30 aprile 2022) nonché il suo raffronto con il periodo precedente (1° ottobre 2020-30 aprile 2021).
Secondo la difesa statale, circa il riferimento al periodo 1° ottobre 2021 - 30 aprile 2022, sarebbe significativo che «al periodo in questione possa associarsi, secondo una valutazione di non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà, l’emergere di una “forza economica” suscettibile di distinguere il singolo contribuente dalla generalità degli altri e di giustificare l’applicazione di un determinato prelievo», tanto più che, nel caso di specie, il contributo è stato previsto come straordinario, in quanto volto a fronteggiare una situazione congiunturale di emergenza.
Circa il riferimento al periodo 1° ottobre 2020 – 30 aprile 2021, sarebbe «evidente che, a fronte della ripresa economica e del riavvio delle attività produttive, conseguente all’allentarsi delle restrizioni legate all’emergenza pandemica, anche i costi per le materie prime e i costi di approvvigionamento avrebbero dovuto aumentare in misura proporzionale. L’aumento del valore differenziale tra operazioni Iva attive e passive segnala, piuttosto, […] un diverso andamento e un progressivo scostamento dei prezzi di rivendita dei beni finali rispetto ai predetti costi».
3.9.– In relazione, poi, al profilo di censura riguardante l’effetto discriminatorio esterno del contributo, la difesa statale evidenzia che la misura mirerebbe a colpire specificamente le imprese che si sono avvantaggiate della particolare congiuntura economica presa in considerazione dal legislatore e che avrebbe determinato un anomalo e ingiustificato aumento del prezzo dell’energia elettrica e dei prodotti energetici a fronte dell’aumento del prezzo del gas naturale.
Né sussisterebbe una discriminazione interna al settore energetico, in quanto l’individuazione di una soglia di «franchigia» entro la quale il contributo non è dovuto avrebbe avuto proprio la finalità di «“depurare” l’incremento del saldo differenziale tra operazioni Iva attive e passive emergenti dalle LIPE da quelle componenti che avrebbero potuto riflettere gli effetti della ripresa delle attività economiche piuttosto che il suddetto “beneficio anticiclico” legato a un aumento del prezzo di rivendita dei beni finiti più che proporzionale rispetto all’aumento dei costi di approvvigionamento delle materie prime e dei beni strumentali».
3.10.– Con riferimento, inoltre, alla natura «confiscatoria» ed «espropriativa» del contributo straordinario censurato, la difesa statale espone che sarebbe «metodologicamente errato riferire l’ammontare del prelievo che qui occupa al solo anno fiscale 2022 e raffrontarlo, quindi, al reddito e al risultato netto di tale anno. Ciò poiché il “contributo straordinario” che qui viene in rilievo si riferisce alle operazioni Iva registrate in un intervallo di tempo (1° ottobre 2021 – 30 aprile 2022) che, per l’appunto, include ben tre mesi su sette riferibili a una differente annualità (il 2021)».
In ogni caso, non sarebbero applicabili al caso di specie i principi ricavabili dalla giurisprudenza delle Corte EDU, posto che i casi decisi, cui fanno riferimento le ordinanze di rimessione, «riguardavano tutti imposte che superavano il 90% della materia imponibile specificamente tassata».
3.11.– La difesa statale, infine, con riferimento alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 8, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito, sollevate con le ordinanze iscritte ai numeri 144, 145 e 147 reg. ord. 2023, per violazione degli artt. 3, 53, 41 e 117, secondo comma, lettera e), Cost., ritiene che le stesse siano inammissibili o non fondate.
Evidenzia al riguardo che, a differenza della disposizione sulla quale si era pronunciata questa Corte con la sentenza n. 10 del 2015, il legislatore: a) ha affidato il controllo all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, dotata di conoscenze, esperienze e dati informativi necessari per riscontrare un eventuale andamento anomalo dei prezzi; b) ha definito la periodicità e l’estensione soggettiva dei controlli e individuato l’estensione temporale dei controlli stessi; c) ha determinato le conseguenze derivanti dall’eventuale rilievo delle anomalie.
4.– Nei giudizi sono state depositate opinioni scritte, ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, a titolo di amicus curiae, che sono state ammesse con decreto presidenziale del 26 febbraio 2024.
In particolare, hanno deposito opinioni scritte: nel giudizio di cui al n. 142 reg. ord. 2023, l’Unione energie per la mobilità (UNEM), l’Utilitalia, l’Associazione italiana di grossisti di energia e trader (AIGET), l’Associazione elettricità futura – Unione delle imprese elettriche italiane e l’Associazione energia libera; nel giudizio di cui al n. 144 reg. ord. 2023, l’UNEM, l’Utilitalia, l’Associazione elettricità futura – Unione delle imprese elettriche italiane e l’Associazione energia libera; nel giudizio di cui al n. 145 reg. ord. 2023, l’UNEM, la Proxigas – Associazione nazionale industriali gas, l’Utilitalia, l’Associazione elettricità futura – Unione delle imprese elettriche italiane e l’Associazione energia libera; nel giudizio di cui al n. 146 reg. ord. 2023, l’UNEM e l’Utilitalia; nel giudizio di cui al n. 147 reg. ord. 2023, l’UNEM e l’Utilitalia.
Le opinioni scritte sviluppano argomentazioni adesive alle censure di costituzionalità prospettate dai giudici rimettenti.
4.1.– L’UNEM, in particolare, si sofferma sull’utilizzo delle LIPE ai fini della individuazione del saldo finale da porre a base dell’imposizione ed evidenzia che solo i soggetti che acquistano e vendono esclusivamente carburanti che hanno già assolto l’accisa (i grossisti), avrebbero la possibilità di «neutralizzare» l’imposta mediante le fatture passive dagli stessi ricevute.
Utilitalia auspica una pronuncia di illegittimità costituzionale della disposizione censurata con effetto ex tunc, in quanto «il contenimento degli effetti temporali di siffatta pronuncia risulterebbe lesivo dei diritti dei contribuenti sottoposti ad imposizione […] i quali non troverebbero soddisfazione, nemmeno parziale, trattandosi di contributo previsto per un’unica annualità d’imposta (ancorché poi riproposto, sia pur con delle differenti modulazioni, per l’anno successivo)».
L’AIGET, l’Associazione energia libera e l’Associazione elettricità futura – Unione delle imprese elettriche italiane, pongono, fra l’altro, attenzione al fatto che le modifiche introdotte all’art. 37 dall’art. 1, comma 120, della legge n. 197 del 2022, non avrebbero risolto i profili di censura in riferimento agli artt. 3, 23 e 53 Cost., rimanendo comunque indeterminato o irragionevole il presupposto di imposta.
Infine, la Proxigas – Associazione nazionale industriali gas, evidenzia che il contributo equipara ingiustificatamente il produttore di materie prime al venditore, posto che, nel settore del gas, l’aumento dei prezzi si registrerebbe soprattutto «a monte», poiché per i venditori l’aumento del costo delle materie prime non concreterebbe un’occasione di guadagno, ma un aggravio del prezzo di acquisto del prodotto poi commercializzato.
5.– Nel giudizio di cui al n. 145 reg. ord. 2023 è altresì intervenuta, con atto depositato il 28 novembre 2023, Assorisorse – Risorse naturali ed energie sostenibili, che, in primo luogo, ha evidenziato di essere portatrice di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio, atteso che la società Eni spa, ricorrente nel giudizio a quo, è sua socia effettiva e, pertanto, il dovere statutario di rappresentanza e assistenza nei confronti degli associati la impegnerebbe – e legittimerebbe – a intervenire nel presente giudizio; in secondo luogo, argomenta in senso adesivo ai diversi profili di censura prospettati nell’ordinanza di rimessione.
6.– Con tre ordinanze del 4 dicembre 2023 (rispettivamente iscritte ai numeri 3, 4 e 5 reg. ord. 2024), di identico contenuto, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, sezione 12 (di seguito: CGT di Milano), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 42, 53 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Prot. addiz. CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, convertito, con modificazioni, nella legge n. 51 del 2022, come modificato dall’art. 55 del d.l. n. 50 del 2022, convertito nella legge n. 91 del 2022 e successivamente modificato dall’art. 1, comma 120, della legge n. 197 del 2022.
6.1.– In ciascuna delle ordinanze di rimessione la CGT di Milano espone che le questioni sono sorte nel corso dei giudizi tributari instaurati con i ricorsi proposti dalle società (rispettivamente: Meltemi Energia srl, nel giudizio di cui al n. 3 reg. ord. 2024; San Gregorio Wind srl, nel giudizio di cui al n. 4 reg. ord. 2024; Engie Italia spa, nel giudizio di cui al n. 5 reg. ord. 2024) avverso «il provvedimento tacito di rigetto formatosi, ai sensi dell’art. 22, secondo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, sulla sua istanza di rimborso delle somme versate a titolo di “contributo straordinario contro il caro bollette”».
6.2.– Anche la CGT di Milano evidenzia che sussisterebbe una «genericità, indeterminatezza e irragionevolezza del presupposto» in quanto la disposizione censurata si sarebbe limitata a individuare i soggetti passivi e i criteri di calcolo del tributo (base imponibile e aliquota), senza, tuttavia, specificare quale sia il suo presupposto, con conseguente impossibilità di identificare con certezza la manifestazione di capacità contributiva che l’imposta intende colpire.
Tale incertezza comporterebbe una violazione dell’art. 23 Cost. per mancata individuazione degli «elementi essenziali identificativi della prestazione tributaria», nonché degli artt. 3 e 53 Cost. poiché, «pur rientrando nella discrezionalità del legislatore la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacità contributiva, che può essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza, tale discrezionalità incontra il limite della non arbitrarietà».
6.3.– Ad avviso dei rimettenti, inoltre, anche qualora si voglia ritenere che la ratio del tributo sia quello di colpire gli “extraprofitti”, «la sua struttura sembrerebbe inidonea allo scopo, con conseguente ulteriore profilo di contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.».
Infatti, l’incremento differenziale del saldo IVA tra le operazioni attive e quelle passive nei periodi presi in comparazione dal legislatore ai fini della determinazione della base imponibile, non sarebbe «in grado di incidere sugli extraprofitti», essendo solo il risultato di una somma algebrica delle poste attive e passive per determinate operazioni realizzate in una dato periodo temporale, e, quindi, non sarebbe idoneo a mettere in evidenza un incremento di utili di tipo congiunturale dovuto ad attività speculativa.
Il riferimento, infatti, alla struttura dell’IVA non potrebbe consentire di correlare le componenti attive con corrispondenti componenti passive, perché «[n]nel sistema dell’IVA, l’imposta grava sulle singole operazioni e si disinteressa di eventuali collegamenti tra le masse di operazioni attive e passive, non essendo strutturalmente demandata ad intercettare la formazione di un utile».
Ciò sarebbe evidente, in particolare, per i costi di acquisto di beni strumentali, per i quali, ai fini IVA, non si applica l’ammortamento, venendo tali costi contabilizzati per intero al momento dell’acquisto. Sotto tale profilo, il costo di acquisto di beni strumentali potrebbe incidere, o no, in modo del tutto casuale a seconda che l’acquisto sia stato effettuato o meno nei periodi indicati dalla norma censurata.
In ogni caso, non verrebbero presi in considerazione i costi comunque sostenuti dall’impresa, quali i costi del personale o quelli relativi ai «differenziali realizzati sui contratti derivati», che, tuttavia, incidono in maniera significativa sui profitti.
Inoltre, poiché il contributo straordinario grava sul fatturato IVA, verrebbe a incidere su elementi radicalmente estranei alla definizione di profitto in senso economico e fiscale, come tipicamente accade con gli importi riferiti alle accise traslate sui clienti che «non possono rappresentare in alcun modo un incremento rilevante di “ricchezza” tassabile».
I rimettenti, inoltre, evidenziano che, poiché il contributo «si applica sull’interezza del fatturato ritratto da tutte le attività esercitate, anche nel caso di soggetti operanti anche al di fuori dell’ambito energetico, l’imposizione fiscale può estendersi a redditi maturati in settori di attività totalmente diversi da quello di interesse, che in nessun modo si presuppongono beneficiati dall’andamento del prezzo dei prodotti energetici».
6.4.– Un’ulteriore ragione di censura viene prospettata in relazione ai periodi temporali presi a riferimento dal legislatore ai fini della determinazione della base imponibile.
Secondo i rimettenti, tali periodi temporali sarebbero, in primo luogo, eccessivamente brevi, posto che sarebbe possibile che le società realizzino negli altri periodi dell’anno non indicati dal legislatore, perdite o guadagni «rilevantissimi».
D’altro lato, il periodo iniziale, cioè il 2020-2021, era stato segnato dagli effetti della pandemia e, di conseguenza, le società energetiche avevano subito rilevanti contrazioni delle vendite dovute al calo dei consumi.
6.5.– I rimettenti censurano poi la disposizione per contrasto con l’art. 3 Cost. sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, sia interna che esterna al settore energetico.
Evidenziano, in particolare, che la disposizione indubbiata esenta da imposta gli operatori che hanno realizzato “extraprofitti” per importi inferiori a 5 milioni di euro o in una percentuale inferiore al 10 per cento: in tal modo, secondo i rimettenti, sarebbe stato introdotto «un regime fiscale differenziato pur a fronte di situazioni del tutto comparabili».
Inoltre, vi sarebbe anche una disparità di trattamento in quanto il contributo «non colpi[rebbe] soggetti che operano in altri settori (bancario e farmaceutico) che ugualmente [avrebbero potuto beneficiare] della situazione congiunturale».
6.6.– Altra ragione di censura è prospettata in riferimento agli artt. 42, 53 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Prot. addiz. CEDU.
I rimettenti argomentano che la struttura della base imponibile non sarebbe idonea a «mettere in evidenza il reale andamento economico dell’impresa» e ciò potrebbe comportare che, per far fronte all’imposta, il soggetto passivo debba attingere in maniera rilevante alle proprie risorse patrimoniali, come nel caso di specie, con conseguente effetto espropriativo e non legittima produzione di «effetti ablativi anche integrali della capacità economica del soggetto inciso».
6.7.– Infine, la CGT di Milano censura la previsione contenuta nell’art. 37, comma 3-ter, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito, per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza.
La disposizione censurata prevede che non concorrono alla determinazione della base imponibile del tributo «le operazioni attive non soggette a IVA per carenza del presupposto territoriale […] se e nella misura in cui gli acquisti ad essa afferenti siano territorialmente non rilevanti ai fini dell’IVA».
Secondo i rimettenti la disposizione sarebbe priva di ragionevolezza, in quanto la struttura dell’IVA non consentirebbe di correlare le componenti attive con corrispondenti componenti passive, «essendo la sua base imponibile calcolata con riferimento al differenziale di due masse non collegate che non riflettono perciò l’andamento dell’impresa».
Inoltre, «[s]e gli acquisti afferenti sono effettuati in periodi diversi da quelli presi in considerazione dalla norma, l’entrata derivante dalla vendita extraterritoriale ad essi correlata dovrebbe quindi comunque computarsi ai fini della determinazione della base imponibile»; sotto tale profilo, la rilevanza delle operazioni di vendita extraterritoriale ai fini della determinazione della base imponibile verrebbe a essere individuata sulla base di una circostanza del tutto causale, cioè la data di acquisto del bene afferente.
7.– In tutti i giudizi si sono costituite le parti private con atti di costituzione aventi argomentazioni difensive sostanzialmente corrispondenti a quelle già illustrate con riferimento alle ordinanze iscritte ai numeri 142, 144, 145, 146 e 147 reg. ord. 2023.
7.1.– Nei giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
La difesa statale ha eccepito l’inammissibilità delle questioni in quanto: a) mancherebbe nel dispositivo la specifica indicazione delle norme censurate; b) l’ordinanza sarebbe motivata per relationem all’atto difensivo della parte; c) sarebbe stata omessa la descrizione della fattispecie del processo presupposto; d) non sarebbero state considerate le modifiche normative intervenute.
Inoltre, insiste sulle ragioni per le quali le questioni sollevate sarebbero manifestamente infondate, secondo argomentazioni analoghe a quelle già svolte negli altri giudizi già illustrati.
8.– In tutti i giudizi di cui ai numeri 142, 144, 145, 146 e 147 reg. ord. 2023 nonché di cui ai numeri 3, 4 e 5 reg. ord. 2024 le parti, nell’imminenza dell’udienza pubblica, hanno depositato memorie di contenuto sostanzialmente identico.
8.1.– Le stesse, oltre che richiamare quanto già dedotto nei rispettivi atti di costituzione, muovono repliche alle eccezioni in rito e alle argomentazioni contenute negli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
In particolare, circa la questione relativa all’inidoneità del contributo a incidere su un effettivo indice di capacità contributiva, le parti sostengono che l’incremento differenziale tra le operazioni attive e passive ai fini IVA non sarebbe indicativo di un aumento dei prezzi di commercializzazione, poiché sarebbe «un dato che nulla dice su un supposto vantaggio economico derivante dai prezzi del settore, in quanto tale incremento può ben derivare da un aumento delle quantità vendute, a parità di prezzo, o finanche da un aumento delle quantità vendute con correlativa diminuzione del prezzo di vendita».
8.2.– Inoltre, le parti contestano la tesi della difesa statale secondo cui l’indice di capacità contributiva assunto dal legislatore non sarebbero gli “extraprofitti”, ma un valore patrimoniale e contabile «marginale» che già di per sé, a prescindere dalla commisurazione di un futuro guadagno, dimostrerebbe una sua «forza economica».
Più precisamente, evidenziano che non sarebbe stato identificato, in concreto, quale sia il suddetto valore patrimoniale e quale ricchezza lo stesso esprima, essendo «ben difficile reinterpretare il Contributo come imposta che colpisce una ricchezza incrementale atipica diversa dagli incrementi dei prezzi dell’energia».
9.– Anche la difesa statale ha depositato in tutti i giudizi memorie di contenuto identico, in cui ha replicato alle opinioni presentate quali amici curiae nonché alle memorie di costituzione delle parti, precisando anche che talune opinioni prospettano argomentazioni non evocate dai rimettenti o, comunque, involgenti profili di censura non dedotti come contrastanti con i parametri invocati.
9.1.– In particolare, secondo la difesa statale, «[l]’unico presupposto che sembra potersi ricavare da una piana e retta interpretazione, letterale e sistematica, dell’art. 37, commi 1 e 2, del d.l. n. 21/2022 finisce […] per coincidere con la base imponibile e, quindi, con l’incremento del saldo tra operazioni attive e operazioni passive Iva registrate nei periodi temporali presi a riferimenti e come tali indicate all’interno delle cc.dd. LIPE, predisposte e presentate a norma dell’art. 21-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, che ecceda la soglia assoluta e percentuale sopra identificate».
Sotto tale profilo, prosegue la difesa statale, il legislatore avrebbe basato l’imposizione sulla «presunzione legale» secondo cui «il segnalato incremento del saldo evidenzierebbe un aumento più che proporzionale dei prezzi di vendita dei beni finiti rispetto ai costi di approvvigionamento delle materie prime e dei beni strumentali e intermedi, come tale espressivo di una “forza economica” e, dunque, di una “capacità contributiva” suscettibile di essere “tassata”».
Ponendosi, quindi, nella prospettiva secondo cui il contributo non mirerebbe a sottoporre a tassazione un “extraprofitto” congiunturale, la difesa statale ne fa derivare che non sarebbe corretto ragionare in termini di correlazione tra costi e ricavi, posto che la stessa «ha senso per le imposte dirette gravanti su redditi, utili, profitti o extraprofitti, ma non per una forma di prelievo, quale quella introdotta dalla norma scrutinata, di natura reale e, dunque, gravante su uno specifico valore economico e contabile, ritenuto in sé espressione di una specifica “forza economica” e “capacità contributiva”».
9.2.– Seguendo la stessa linea interpretativa, infine, la difesa statale ritiene non fondato anche il profilo concernente l’indebita inclusione del valore delle accise nella base imponibile del contributo, precisando, che, in ogni caso, «la ricomprensione nel valore imponibile dell’importo delle accise non produce conseguenze molto diverse dall’applicazione di una aliquota più alta, rispetto all’aliquota del venticinque per cento indicata dall’art. 37, comma 2, del D.l. n. 21 del 2022, a un importo depurato dalle medesime accise».
Considerato in diritto
1.- Con cinque ordinanze del 27 giugno 2023 (rispettivamente iscritte ai numeri 142, 144, 145, 146 e 147 del registro ordinanze 2023), sostanzialmente di identico tenore, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, sezione 27 (di seguito: CGT di Roma), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 41, 42, 53 e 117 Cost. questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito, modificato dall’art. 55 del d.l. n. 50 del 2022, come convertito.
La CGT di Roma, dopo avere ricostruito la fattispecie concreta oggetto del giudizio, ha poi riportato nelle rispettive ordinanze di rimessione le censure di illegittimità costituzionale mosse nei giudizi a quibus dalle parti del giudizio e, infine, ha espressamente dichiarato di ritenere «rilevante, posto che la presenza dell’art. 37 D.L. 21/2022 nell’ordinamento giuridico, osta al richiesto rimborso, e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della predetta norma secondo i profili dedotti dalla ricorrente».
1.1.- In particolare, ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, per violazione degli artt. 3, 23 e 53 Cost.
Le ordinanze lamentano, anzitutto, che il legislatore si sarebbe limitato a individuare solo i soggetti passivi e i criteri di determinazione (base imponibile e aliquota), omettendo di definire il presupposto del tributo, in contrasto con l’obbligo costituzionale di individuare almeno gli elementi essenziali identificativi della prestazione tributaria.
Secondo la CGT di Roma, inoltre, anche qualora si volesse ritenere che il contributo straordinario abbia avuto la finalità di tassare gli “extraprofitti” maturati dalle imprese energetiche, la sua concreta articolazione tecnica si dimostrerebbe del tutto inidonea allo scopo.
L’incremento differenziale tra i saldi IVA, infatti, individuerebbe una materia imponibile non idonea, di per sé, a intercettare margini di “sovraprofitto”, perché non consentirebbe di tenere conto di elementi di costo che incidono in maniera significativa sui profitti, come gli oneri di gestione, gli ammortamenti, i differenziali realizzati sui contratti derivati.
Peraltro, poiché il contributo straordinario verrebbe applicato sull’intero fatturato, concorrerebbero alla determinazione della base imponibile anche operazioni estranee all’ambito energetico (come, in particolare, le operazioni straordinarie). Vi concorrerebbero, inoltre, anche le accise, pur essendo estranee alla nozione di profitto in senso economico o fiscale.
Anche il periodo temporale preso a riferimento per calcolare il saldo incrementale, che costituisce la base imponibile del contributo IVA, sarebbe inidoneo a rappresentare eventuali “sovraprofitti” realizzati dalle imprese, sia perché troppo breve, sia in quanto nel periodo 2020-2021 le società erano in perdita a causa della restrizioni dovute all’emergenza epidemiologica da COVID-19 e, pertanto, il differenziale che confluisce nella base imponibile del contributo non rappresenterebbe un “sovraprofitto” se posto in relazione con un «ordinario» profitto realizzato nel periodo precedente.
La disposizione censurata si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 3 Cost. per violazione del principio di uguaglianza, attesa la portata discriminatoria del contributo, sia esterna (per disparità di trattamento tra le imprese del settore energetico e la restante platea dei contribuenti operanti in altri settori merceologici) che interna (in quanto il contributo graverebbe solo su alcune delle imprese che operano nel settore energetico).
Le ordinanze prospettano, infine, il contrasto della disposizione censurata con gli artt. 42 e 53 Cost., nonché con l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Prot. addiz. CEDU, in quanto il contributo straordinario dovuto dalle società ricorrenti eroderebbe sensibilmente il loro patrimonio, con effetti espropriativi, sacrificando in modo ingiustificato il loro diritto di proprietà; richiamano, a tal proposito, la giurisprudenza della CEDU, per concludere che l’imposizione non potrebbe comprimere in misura eccessiva il patrimonio netto delle società.
1.2.- Le ordinanze iscritte ai numeri 144, 145 e 147 reg. ord. 2023, censurano, altresì, l’art. 37, comma 8, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, per violazione degli artt. 3, 53, 41 e 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto, da un lato, la disposizione, nel prevedere il divieto di traslazione del contributo sui prezzi al consumo, sarebbe priva di ragionevolezza, non avendo delineato un meccanismo che renda effettivo tale divieto; dall’altro, poiché questo riguarderebbe solo i «prezzi al consumo», per cui rimarrebbero estranee a tale divieto, con distorsione della concorrenza, le imprese collocate a monte del processo produttivo e aventi per clienti altre imprese.
1.3.- In tutti i giudizi si sono costituite le parti private (rispettivamente: Engycalor Energia Calore srl, nel giudizio di cui al n. 142 reg. ord. 2023; Kuwait Petroleum Italia spa, nel giudizio di cui al n. 144 reg. ord. 2023; Eni spa, nel giudizio di cui al n. 145 reg. ord. 2023; Eni Global Energy Markets spa, nel giudizio di cui al n. 146 reg. ord. 2023; Esso Italiana srl, nel giudizio di cui al n. 147 reg. ord. 2023), con atti di costituzione aventi sostanzialmente identico contenuto.
1.4.- In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con atti di contenuto identico, argomentando avverso le questioni prospettate dai rimettenti.
1.5.- Nei giudizi hanno depositato memoria sia le società parti del giudizio a quo che la difesa statale; sono state altresì depositate opinioni scritte, ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, a titolo di amici curiae.
1.6.- Nel giudizio di cui al n. 145 reg. ord. 2023 è altresì intervenuta, con atto depositato il 28 novembre 2023, Assorisorse – Risorse naturali ed energie sostenibili.
2.- Con tre ordinanze del 4 dicembre 2023 (rispettivamente iscritte ai numeri 3, 4 e 5 reg. ord. 2024), di identico contenuto, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, sezione 12 (di seguito: CGT di Milano), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 42, 53 e 117 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito, modificato dall’art. 55 del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, successivamente modificato dall’art. 1, comma 120, della legge n. 197 del 2022.
2.1.- Anche i rimettenti, analogamente alle ordinanze della CGT di Roma, si dolgono del fatto che il legislatore non avrebbe identificato il presupposto del contributo straordinario, con conseguente violazione dell’art. 23 Cost., nonché degli artt. 3 e 53 Cost. per mancata individuazione di un indice idoneo di capacità contributiva.
Inoltre, precisano che, anche ove si volesse ritenere che la finalità del tributo risieda nella scelta di intercettare ingiustificati “extraprofitti”, la struttura dell’imposizione, basata sugli incrementi differenziali dei saldi delle LIPE dei due periodi temporali messi a confronto, non consentirebbe di raggiugere tale scopo, con conseguente ulteriore profilo di contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., perché la risultanza di questi saldi non potrebbe mettere in evidenza un incremento di utili di tipo congiunturale dovuto ad attività speculativa.
Il riferimento, infatti, alla struttura dell’IVA non consentirebbe di correlare le componenti attive con le corrispondenti componenti passive, per cui non verrebbero presi in considerazione i costi di acquisto di beni strumentali, quelli del personale o quelli relativi ai «differenziali realizzati sui contratti derivati».
Peraltro, poiché il contributo straordinario grava sul fatturato IVA, il suo ammontare verrebbe a dipendere da elementi come le accise che «non possono rappresentare in alcun modo un incremento rilevante di “ricchezza” tassabile».
Anche i periodi temporali presi a riferimento non sarebbero idonei al perseguimento della finalità seguita dal legislatore, da un lato perché troppo brevi e dall’altro perché non significativi: in particolare viene rimarcato che il periodo iniziale era stato caratterizzato da una forte contrazione delle vendite a causa delle disposizioni emergenziali dovute alla diffusione del COVID-19, sicché si era trattato di una situazione anomala di mercato non suscettibile di essere messa a confronto con il periodo successivo, nel quale si era ristabilita la condizione di normalità.
Vi sarebbe anche la violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., sia sotto il profilo della disparità di trattamento all’interno dello stesso mercato energetico che all’esterno del medesimo.
Inoltre, si prospetta la violazione degli artt. 42, 53 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Prot. addiz. CEDU, in quanto il contributo straordinario avrebbe effetti confiscatori ed espropriativi del patrimonio delle società.
Infine, la CGT di Milano censura la disposizione contenuta nel comma 3-ter dell’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e più volte modificato, per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza, in quanto la stessa si porrebbe in contrasto con la struttura dell’IVA che non consentirebbe di correlare le componenti attive con corrispondenti componenti passive; la suddetta esclusione, inoltre, opererebbe solo se, in modo del tutto casuale, i correlati «acquisti afferenti» siano stati compiuti entro i periodi temporali presi a riferimento dalla disposizione censurata.
3.- In via preliminare deve essere disposta la riunione dei giudizi, che hanno a oggetto la medesima disposizione e si fondano su argomentazioni e parametri sostanzialmente coincidenti (ex plurimis, sentenze n. 128 e n. 91 del 2023, n. 246 del 2022, n. 256 del 2010; ordinanza n. 153 del 2023).
3.1.- Deve, poi, essere ribadita l’inammissibilità dell’intervento di Assorisorse – Risorse naturali ed energie sostenibili, per le ragioni esposte nell’ordinanza letta all’udienza del 10 aprile 2024, allegata alla presente sentenza.
4.- In tutti i giudizi, la difesa statale ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per omessa ricostruzione del quadro normativo di riferimento, in quanto i giudici rimettenti, sia di Roma sia di Milano, non avrebbero tenuto conto delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 120, della legge n. 197 del 2022 all’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e modificato.
4.1.- L’eccezione deve essere accolta solo in relazione alle cinque ordinanze di rimessione della CGT di Roma.
Questa Corte ha più volte precisato che l’ordinanza di rimessione deve confrontarsi con l’evoluzione della normativa statale, sicché il mancato confronto con la stessa comporta un’insufficiente motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza, con conseguente inammissibilità della questione sollevata (ex multis, sentenze n. 256, n. 225 e n. 36 del 2022).
Nel caso di specie, le cinque ordinanze di rimessione della CGT di Roma, emesse in data 27 giugno 2023, non hanno dato alcun conto delle significative modifiche apportate all’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022 dall’art. 1, comma 120, della legge n. 197 del 2022, entrata in vigore il 1° gennaio 2023, quindi in data antecedente rispetto a quella di emissione delle ordinanze di rimessione.
In particolare, al comma 1, dopo il secondo periodo, è stata inserita la previsione che il «contributo è dovuto se almeno il 75 per cento del volume d’affari dell’anno 2021 deriva dalle attività indicate nei periodi precedenti». Al comma 2, secondo periodo, le parole: «31 marzo 2021» sono state sostituite dalle seguenti: «30 aprile 2021». Dopo il comma 3, sono stati inseriti i seguenti: «3-bis. Non concorrono alla determinazione dei totali delle operazioni attive e passive, di cui al comma 3, le operazioni di cessione e di acquisto di azioni, obbligazioni o altri titoli non rappresentativi di merci e quote sociali che intercorrono tra i soggetti di cui al comma 1. 3-ter. Non concorrono alla determinazione dei totali delle operazioni attive, di cui al comma 3, le operazioni attive non soggette a IVA per carenza del presupposto territoriale, ai sensi degli articoli da 7 a 7-septies del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, se e nella misura in cui gli acquisti ad esse afferenti siano territorialmente non rilevanti ai fini dell’IVA».
Si tratta di modifiche che, determinando una rivisitazione della soggettività passiva e della base imponibile del contributo straordinario, risultano, in sostanza, trasversali a tutte le censure sollevate dalle ordinanze della CGT di Roma.
Pertanto, con esse i giudici rimettenti avrebbero dovuto confrontarsi al fine di valutare se e in che misura avessero inciso sulla motivazione dei diversi profili di censura prospettati; motivazione che rimane invece incentrata, smarrendo così il suo pieno significato, su una ricostruzione solo parziale della normativa indubbiata.
Ne consegue l’inammissibilità delle questioni sollevate dalle cinque ordinanze di rimessione della CGT di Roma iscritte ai numeri 142, 144, 145, 146 e 147 reg. ord. 2023.
4.2.- Con riferimento alle tre ordinanze delle CGT di Milano, invece, non può pervenirsi alla medesima conclusione e l’eccezione non può essere accolta.
Il contenuto delle ordinanze mostra che i giudici rimettenti, nella ricostruzione del quadro normativo di riferimento, hanno ben tenuto in considerazione anche le modifiche successivamente intervenute alla norma censurata e su tale completa ricostruzione hanno esplicitato le ragioni di non manifesta infondatezza delle questioni.
Le tre ordinanze della CGT di Milano, infatti, oltre ad avere specificamente censurato il comma 3-ter dell’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, introdotto proprio dall’art. 1, comma 120, della legge n. 197 del 2022, mostrano di avere preso in considerazione il quadro normativo di riferimento relativo anche alle altre modifiche sopravvenute, ad esso rapportando l’ambito delle censure.
4.3.- L’attenzione, pertanto, deve essere rivolta unicamente alle questioni prospettate dalle tre ordinanze della CGT di Milano e, in questa prospettiva, devono essere esaminate le ulteriori eccezioni di inammissibilità che sono state proposte dalla difesa statale.
4.3.1.- In primo luogo, quest’ultima ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione, in quanto il giudice rimettente avrebbe fatto rinvio per relationem al contenuto dell’atto difensivo delle parti.
L’eccezione non può essere accolta.
Le ordinanze della CGT di Milano, pur ripercorrendo le argomentazioni difensive delle parti, procedono a un’articolata specificazione dei motivi di non manifesta infondatezza facendoli propri; ciò che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte è sufficiente ai fini dell’ammissibilità delle questioni sollevate (ex plurimis, sentenze n. 214 e n. 121 del 2019, n. 88 del 2018 e n. 35 del 2017).
4.3.2.- Un’ulteriore eccezione di inammissibilità è stata proposta dalla difesa statale evidenziando che nelle ordinanze di rimessione mancherebbe il dispositivo e, quindi, l’indicazione delle disposizioni sottoposte al giudizio di legittimità costituzionale e delle specifiche norme costituzionali che si assumono violate.
L’eccezione non può trovare accoglimento.
Questa Corte ha chiarito che «l’ordinanza di rimessione delle questioni di legittimità costituzionale non necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante altresì un petitum, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della motivazione emerga[no] con chiarezza il contenuto ed il verso delle censure» (sentenza n. 136 del 2022).
Nella specie, l’esame del contenuto della motivazione delle ordinanze in oggetto consente chiaramente di individuare le disposizioni censurate, i parametri costituzionali e il verso delle censure, consentendo a questa Corte di apprezzare e valutare i termini delle questioni sollevate.
4.3.3.- La difesa statale ha, inoltre, eccepito l’inammissibilità delle questioni in quanto sarebbero stati omessi gli elementi rilevanti del «processo presupposto», «di cui s’ignora ogni aspetto».
L’eccezione non può trovare accoglimento: in tutte le ordinanze di rimessione è stato precisato che i giudizi dinanzi al giudice tributario erano stati promossi dalle società che hanno proposto ricorso avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulle istanze di rimborso delle somme versate a titolo di contributo straordinario.
Il fatto rilevante, dunque, è stato sufficientemente delineato dai giudici rimettenti, ciò che rende plausibile la loro prospettazione in ordine alla riconducibilità delle società al mercato energetico e, quindi, al loro assoggettamento al contributo straordinario di cui hanno chiesto il rimborso (ex plurimis, sentenze n. 249, n. 197 e n. 109 del 2022).
5.– All’esame del merito occorre premettere che il d.l. n. 21 del 2022, sede delle disposizioni indubbiate, è stato emanato nell’ambito di una situazione eccezionale, caratterizzata dal manifestarsi della grave crisi internazionale, causata dall’invasione russa dell’Ucraina, in conseguenza della quale la Russia ha diminuito, in modo progressivo, le forniture di gas naturale all’Unione europea.
Il contesto è stato efficacemente descritto nella relazione annuale della Banca d’Italia, evidenziando che «[l’] invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha costituito un punto di svolta nelle relazioni internazionali e ha condizionato pesantemente crescita, inflazione e scambi commerciali mondiali […] i prezzi dell’energia hanno subito straordinari rialzi, contribuendo a un netto e diffuso aumento dell’inflazione, cui ha corrisposto un rapido irrigidimento delle politiche monetarie in quasi tutte le maggiori economie avanzate; la crescita globale è rallentata in uno scenario di forte incertezza economica e politica. Le autorità di governo, specialmente quelle dei paesi avanzati, sono intervenute in sostegno di famiglie e imprese per attenuare l’impatto della crisi energetica […]. Dall’agosto 2021 allo stesso mese del 2022 i prezzi del gas sono saliti di oltre sette volte in Europa, che dipende fortemente dalle forniture dalla Russia» (Banca d’Italia, Relazione annuale, anno 2022, Roma, 31 maggio 2023).
In effetti, tutti gli Stati membri dell’Unione europea hanno registrato un’impennata dei prezzi dell’energia elettrica legata al rincaro del gas, «il quale ha superato il carbone diventando il combustibile di determinazione del prezzo marginale»; in questa situazione non solo «le imprese produttrici di energia elettrica», ma «anche il settore dei combustibili fossili» ha beneficiato «degli aumenti estremi dei prezzi dovuti all’attuale situazione di mercato, con profitti che vanno al di là dei risultati delle normali attività commerciali» (Commissione europea, proposta di regolamento del Consiglio, relativa a un intervento di emergenza per far fronte al rincaro dei prezzi dell’energia, 14 settembre 2022, cui ha fatto seguito il regolamento UE 2022/1854 del Consiglio del 6 ottobre 2022, relativo a un intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati dell’energia).
La perturbazione del mercato dell’energia ha quindi determinato una grave situazione di crisi che ha reso necessario adottare misure urgenti per far fronte agli «effetti insostenibili sui consumatori e sulle imprese» (considerando n. 8 del regolamento n. 1854/2022/UE).
5.1.– È, quindi, in questo contesto che il d.l. n. 21 del 2022 ha introdotto un’articolata serie di misure urgenti per contrastare sul piano interno gli effetti economici e sociali della crisi, che si sono sviluppate in più direzioni: dal sostegno alle attività produttive, al contenimento dei prezzi dell’energia sul mercato italiano, agli aiuti alle famiglie. Tra queste, si possono ricordare: la riduzione delle aliquote di accisa sulla benzina e sul gasolio impiegato come carburante (art. 1); il bonus carburante (art. 2); il contributo, sotto forma di credito d’imposta, a favore delle imprese per l’acquisto di energia elettrica e di gas naturale (artt. 3 e 4); l’incremento del credito d’imposta in favore delle imprese energivore e gasivore (art. 5); il bonus sociale elettricità e gas (art. 6); la rateizzazione delle bollette per i consumi energetici (art. 8).
5.2.– Il «contributo a titolo di prelievo solidaristico straordinario» per l’anno 2022, di cui all’art. 37, comma 1, è stato istituito per finanziare questi interventi d’urgenza, finalizzati a «contenere per le imprese e i consumatori gli effetti dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico».
Nel successivo art. 38, comma 2, lettera a), si è precisato, infatti, che agli oneri derivanti dall’applicazione delle previsioni normative sopra citate si provvede, «quanto a 3.977.525.207 euro per l’anno 2022, mediante utilizzo delle maggiori entrate derivanti dall’art. 37».
6.– Ricostruita in questi termini la situazione che è all’origine della disposizione censurata, occorre chiarirne la portata normativa.
L’art. 37, comma 1, ha posto l’onere di pagamento del «contributo a titolo di prelievo solidaristico straordinario» a carico, rispettivamente, «dei soggetti che esercitano nel territorio dello Stato, per la successiva vendita dei beni, l’attività di produzione di energia elettrica, dei soggetti che esercitano l’attività di produzione di gas metano o di estrazione di gas naturale, dei soggetti rivenditori di energia elettrica, di gas metano e di gas naturale e dei soggetti che esercitano l’attività di produzione, distribuzione e commercio di prodotti petroliferi». Ha poi precisato che il «contributo è dovuto, altresì, dai soggetti che, per la successiva rivendita, importano a titolo definitivo energia elettrica, gas naturale o gas metano, prodotti petroliferi o che introducono nel territorio dello Stato detti beni provenienti da altri Stati dell’Unione europea».
In sostanza, rientrano quindi tra i soggetti passivi sia coloro che producono, sia coloro che acquistano, per rivenderli, i prodotti energetici; questi ultimi, a loro volta, sono stati individuati nell’energia elettrica, nel gas metano o naturale e nei prodotti petroliferi.
La platea dei soggetti tenuti al pagamento del contributo è stata poi ridimensionata con l’art. 1, comma 120, lettera a), della legge n. 197 del 2022, stabilendo che «[i]l contributo è dovuto se almeno il 75 per cento del volume d’affari dell’anno 2021 deriva dalle attività indicate nei periodi precedenti».
La base imponibile è stata precisata dall’art. 37, comma 2, individuandola nell’«incremento del saldo tra le operazioni attive e le operazioni passive, riferito al periodo dal 1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022, rispetto al saldo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021 […]» – ciò in quanto il termine inizialmente previsto nel 31 marzo è stato così posticipato dall’art. 55 del d.l. n. 50 del 2022, come convertito.
L’aliquota del contributo, inizialmente fissata al 10 per cento, è stata elevata al 25 per cento dal suddetto art. 55; si è previsto, inoltre, che il contributo stesso sia dovuto solo nei casi di incremento superiore a euro 5.000.000 e non lo sia se inferiore al 10 per cento.
Il successivo comma 3 dell’art. 37 censurato ha precisato che: «[a]i fini del calcolo del saldo di cui al comma 2, si assume il totale delle operazioni attive, al netto dell’IVA, e il totale delle operazioni passive, al netto dell’IVA, indicato nelle Comunicazioni dei dati delle liquidazioni periodiche IVA, presentate, ai sensi dell’articolo 21-bis del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per i periodi indicati al comma 2».
L’art. 1, comma 120, lettera c), della legge n. 197 del 2022, inoltre, introducendo il comma 3-bis all’art. 37 censurato, ha escluso dalla determinazione dei totali delle operazioni attive e passive le operazioni di cessione e di acquisto di azioni, obbligazioni o altri titoli non rappresentativi di merci e quote sociali che intercorrono tra i soggetti di cui al comma 1 del medesimo art. 37.
In tal modo il legislatore ha stabilito che non concorrono alla formazione della base imponibile operazioni attive e passive che non hanno alcuna afferenza con gli incrementi di prezzo delle commodities e che in quanto tali rappresentano, evidentemente, movimentazioni del tutto irrilevanti ai fini della forza economica derivante dall’incremento dei prezzi dell’energia.
Il citato art. 1, comma 120, lettera c), della legge n. 197 del 2022 ha anche previsto: «3-ter. Non concorrono alla determinazione dei totali delle operazioni attive, di cui al comma 3, le operazioni attive non soggette a IVA per carenza del presupposto territoriale, ai sensi degli articoli da 7 a 7-septies del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, se e nella misura in cui gli acquisti ad esse afferenti siano territorialmente non rilevanti ai fini dell’IVA».
6.1.– Dall’esame della normativa è possibile individuare, innanzitutto, la natura del contributo solidaristico straordinario.
Va ricordato che la costante giurisprudenza di questa Corte considera irrilevante il nomen iuris usato dal legislatore, «occorrendo riscontrare in concreto e caso per caso se si sia o no in presenza di un tributo» (ex plurimis, sentenze n. 149 del 2021, n. 58 del 2015 e n. 141 del 2009).
Nonostante la formale qualificazione, il prelievo istituito dall’art. 37 ha, nella sostanza, natura tributaria – ciò che peraltro non è messo in discussione né dai rimettenti, né dalle parti costituite e dalla difesa erariale –, in quanto si concretizza in un prelievo coattivo che determina una definitiva decurtazione patrimoniale a carico dei soggetti passivi, non integra la modifica di un rapporto sinallagmatico e le relative risorse, connesse a uno specifico indice di capacità contributiva, sul piano teleologico, sono finalizzate, come si è descritto, al concorso alle pubbliche spese (in questi termini, ex plurimis sentenze n. 64 del 2024, n. 108 del 2023 e n. 128 del 2022).
7.– Tanto premesso, è possibile entrare nel merito della prima questione, che censura l’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e più volte modificato, perché il legislatore non avrebbe identificato il presupposto del contributo straordinario, con conseguente violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., nonché degli artt. 3 e 53 Cost. per mancata individuazione di un indice idoneo di capacità contributiva.
7.1.– Quanto alla dedotta violazione dell’art. 23 Cost., la questione non è fondata.
7.1.1.– A differenza di quanto sostenuto dai rimettenti, il presupposto di tale tributo non si identifica nei cosiddetti “extraprofitti” o windfall profits, cui né le disposizioni censurate, né la rubrica dell’art. 37 fanno mai riferimento.
Sporadici accenni a tale nozione sono sì presenti nei lavori preparatori e nelle relazioni di accompagnamento del decreto-legge e del susseguente disegno di legge di conversione, ma sono svolti in senso del tutto atecnico, semplicemente per significare che, come notato dall’Avvocatura generale dello Stato, la ratio storica dell’intervento normativo risiede nell’intento di colpire con un prelievo straordinario gli scambi di prodotti energetici di quegli operatori economici che, rispetto alla generalità delle altre imprese operanti nel mercato, stavano – in base all’id quod plerumque accidit – beneficiando di un andamento «anticiclico».
E infatti dalla disciplina si evince che il presupposto del tributo si identifica – in ragione del comma 1 che seleziona i soggetti passivi, del comma 2 che definisce la base imponibile e del comma 3 che stabilisce il metodo di calcolo – con l’incremento di un saldo differenziale conseguente la vendita, a determinate condizioni, di prodotti energetici da parte di taluni soggetti operanti nel settore energetico in un particolare contesto temporale.
L’elemento materiale di tale presupposto, ossia la base imponibile, viene del resto concretamente apprezzato attraverso l’incremento, eccedente la soglia assoluta e la percentuale fissate, del saldo tra operazioni attive e operazioni passive, al netto dell’IVA, registrate nei periodi temporali presi a riferimento e come tali indicate all’interno delle Comunicazioni dei dati delle cosiddette LIPE, predisposte e presentate a norma dell’art. 21-bis del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122.
Deve quindi ritenersi non fondata la questione inerente alla prospettata violazione della riserva di legge relativa stabilita dall’art. 23 Cost.
7.1.2.– Prima di entrare nel merito delle censure attinenti all’arbitrarietà dell’indice di capacità contributiva, occorre ribadire che, secondo questa Corte, «in un contesto complesso come quello contemporaneo, dove si sviluppano nuove e multiformi creazioni di valore, il concetto di capacità contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e più evolute forme di capacità, che ben possono denotare una forza o una potenzialità economica» (sentenza n. 288 del 2019).
Tale conclusione della giurisprudenza costituzionale non contraddice il significato del principio di capacità contributiva; al contrario lo conferma nel suo significato originario e altresì lo adegua, nella prospettiva dell’uguaglianza e della solidarietà insite nel dovere inderogabile di concorrere alle pubbliche spese, alla moderna evoluzione dei dinamismi economici in un contesto in cui la ricchezza può sfuggire agli inquadramenti più tradizionali.
Infatti, il principio di capacità contributiva, così inteso, è stato in grado di intercettare nuove forme di ricchezza: ha condotto, ad esempio, a ritenere non «implausibile che il legislatore, nell’ambito di un periodo di crisi e nella comparazione con il mercato industriale, abbia desunto dall’appartenenza al mercato finanziario» uno specifico e autonomo indice di capacità contributiva, rilevante ai fini di un temporaneo intervento fiscale anticongiunturale, dati i «connotati di tipo oligopolistico» di tale mercato, da cui consegue «che le imprese in esso operanti dispongono di un significativo potere di mercato, derivante anche da un certo grado (variabile in relazione ai servizi e ai settori) di anelasticità della domanda» (sentenza n. 288 del 2019).
Nello stesso senso, nella sentenza n. 10 del 2015 si è ritenuto di per sé non illegittimo che un tributo – risultato poi costituzionalmente illegittimo per un altro profilo – potesse perseguire lo scopo di colpire un indice di capacità contributiva ravvisato nella «eccezionale redditività dell’attività economica per gli operatori del petrolio» registrata in una «complessa congiuntura economica».
7.1.3.– Alla luce di quanto chiarito, la valutazione della sussistenza di un adeguato indice di capacità contributiva in riferimento alla imposta censurata non può essere compiuta sulla base – come vorrebbero i rimettenti – di una considerazione solo atomistica del saldo incrementale, di cui all’art. 37, comma 3, scelto dal legislatore al fine della determinazione della base imponibile.
Occorre invece considerare anche gli altri fattori che, valutati complessivamente e unitariamente, hanno concorso alla selezione della concreta forza economica che risiede alla base del contributo straordinario: da un lato, la situazione congiunturale del momento, caratterizzata da una estrema impennata dei prezzi dell’energia nel periodo preso a riferimento dell’imposta; dall’altro, la particolarità del mercato dei prodotti energetici, dai tratti oligopolistici e caratterizzato da una domanda «del tutto anelastica» (sentenza n. 10 del 2015).
In questa prospettiva è innegabile che una particolare forza economica, ulteriore a quella registrabile in circostanze normali, sia divenuta potenzialmente ascrivibile alle imprese energetiche che hanno beneficiato di questa situazione.
Proprio tale maggiore forza economica è, del resto, stata posta alla base, pur se in una diversa logica impositiva, della necessità dell’introduzione di un’imposta sugli “extraprofitti” delle imprese energetiche, diretta a colpire i cosiddetti windfall profits realizzati negli anni 2022 e/o 2023, da parte del già citato regolamento del Consiglio europeo emanato dopo pochi mesi dell’entrata in vigore dell’art. 37 qui censurato.
Inoltre, l’Ufficio parlamentare di bilancio ha messo in evidenza che l’andamento dei dati aggregati della fatturazione elettronica relativa agli operatori attivi nel settore energetico, lato sensu inteso, risulta, a partire dal mese di ottobre 2021 e fino ad aprile 2022 – quindi proprio nel periodo di applicazione dell’imposta qui in considerazione – di gran lunga superiore all’andamento medio registrato in tutti gli altri settori economici. Più precisamente, a fronte di un aumento del 383,4 per cento nel settore dell’energia (il più alto in termini assoluti), l’incremento è stato del 77,7 per cento nell’industria alimentare e dell’11,9 per cento nell’agricoltura, mentre si è registrato un decremento del -1,7 per cento nel settore dei trasporti (come si ricava dall’audizione della Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio nell’ambito dell’esame del disegno di legge C. 3614, di conversione in legge del d.l. n. 50 del 2022, svolta presso le Commissioni riunite V, Bilancio, e VI, Finanze, della Camera dei deputati, del 30 maggio 2022).
In conclusione, in questo contesto, non appare arbitrario che il fortissimo aumento dei prezzi dei prodotti energetici nell’eccezionale situazione congiunturale e lo specifico mercato in cui le imprese energetiche operano siano stati identificati dal legislatore – al verificarsi di una serie di condizioni – come un indice rivelatore di ricchezza (ex plurimis sentenza n. 108 del 2023).
D’altronde, al legislatore «spetta un’ampia discrezionalità in relazione alle varie finalità cui si ispira l’attività di imposizione fiscale, essendogli consentito, “sia pure con il limite della non arbitrarietà, di determinare i singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all’obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza” (ex plurimis, sentenza n. 111 del 1997)» (ex plurimis, sentenza n. 201 del 2020).
Dal che discende la non fondatezza, sotto questo aspetto, della questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. per arbitrarietà dell’indice di capacità contributiva individuato dal legislatore.
8.– Se lo scopo perseguito dal legislatore appare legittimo, il sindacato di questa Corte si deve ora spingere a valutare se i mezzi approntati siano ad esso proporzionati, come richiesto dall’ulteriore questione che i rimettenti, con riguardo alla struttura dell’imposta, sollevano in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. Si tratta quindi di valutare, una volta appurato che l’indice di capacità contributiva non è arbitrario, se il tributo che a esso si ricollega sia concretamente strutturato in modo tale da giustificare, anche su questo piano, «l’idoneità soggettiva alla obbligazione d’imposta» (ex plurimis, sentenza n. 155 del 2001). Ciò che implica la verifica della sussistenza di un rapporto di connessione razionale e di proporzionalità tra il mezzo predisposto dal legislatore e il fine che lo stesso ha inteso perseguire.
8.1.– Da questa prospettiva le censure che i rimettenti muovono alla mancata previsione della deduzione dei costi, come quelli del personale o quelli relativi ai «differenziali realizzati sui contratti derivati», non appaiono fondate nella misura in cui assumono – fallacemente – che il presupposto del contributo di solidarietà siano gli utili realizzati.
Residuano però quelle censure sviluppate, sempre in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., anche a prescindere dall’affermazione di tale presupposto dell’imposta e che si appuntano sul modo con cui il legislatore ha ritenuto di individuare la maggiore ricchezza da sottoporre a tassazione.
In effetti, l’imposta si struttura assumendo, come rilevato dall’Avvocatura generale dello Stato, quale base imponibile una grandezza contabile marginale, data dall’incremento registrato nel periodo di riferimento, rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, del saldo IVA tra il valore complessivo delle operazioni attive e passive dichiarate con le LIPE.
Nella prospettiva del legislatore è quindi la variazione in aumento del “delta” tra le suddette operazioni attive e passive a essere indicativa di un incremento “speculativo” dei prezzi di vendita dei prodotti energetici e quindi di una maggiore forza economica delle imprese operanti in quel determinato settore.
Questa Corte è chiamata, pertanto, a verificare se la scelta di fare riferimento ai dati contenuti nelle LIPE risponda a una connessione razionale, risultando idonea a intercettare la maggiore forza economica individuata dal legislatore come indice di capacità contributiva.
Infatti, affinché «il sacrificio recato ai principi di eguaglianza e di capacità contributiva non sia sproporzionato e la differenziazione dell’imposta non degradi in arbitraria discriminazione», la struttura dell’imposta «deve coerentemente raccordarsi con la relativa ratio giustificatrice» (sentenza n. 10 del 2015).
8.2.– Al riguardo va innanzitutto precisato che, in via generale, per imposte finalizzate ad intercettare windfall profits, sarebbe certamente fisiologico fare riferimento ai dati dichiarati ai fini dell’imposta sui redditi delle società (IRES), dal momento che la maggiore ricchezza è facilmente riscontrabile in termini di surplus di utili conseguiti.
È significativo che lo stesso legislatore per il contributo straordinario di solidarietà successivo a quello qui censurato, previsto dall’art. 1, comma 115, della legge n. 197 del 2022, abbia strutturato la base imponibile, al comma 116, facendo riferimento all’incremento del reddito IRES del 2022 rispetto alla media realizzata nel quadriennio precedente: «[i]l contributo di solidarietà è determinato applicando un’aliquota pari al 50 per cento sull’ammontare della quota del reddito complessivo determinato ai fini dell’imposta sul reddito delle società relativo al periodo di imposta antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2023, che eccede per almeno il 10 per cento la media dei redditi complessivi determinati ai sensi dell'imposta sul reddito delle società conseguiti nei quattro periodi di imposta antecedenti a quello in corso al 1° gennaio 2022».
Al contrario, l’aver mutuato, per il tributo censurato in questa sede, le regole applicative di un’imposta indiretta come l’IVA non garantisce con altrettanta sicurezza il risultato di intercettare la maggiore ricchezza: l’incremento del volume di affari, come ipotizzato dalle difese di parte, potrebbe derivare da un mero aumento delle quantità vendute, senza costituire un dato significativo in ordine all’avere beneficiato del vantaggio economico derivante dall’aumento dei prezzi del settore.
In termini economici, in altre parole, anche quando la percentuale del margine commerciale non fosse aumentata nel confronto tra i due periodi presi in considerazione dalla norma, ma addirittura fosse diminuita, l’aumento delle quantità vendute avrebbe potuto generare, in un’imposta strutturata solo sui meccanismi applicativi dell’IVA, un saldo incrementale tale da determinare una significativa applicazione del tributo.
È pur vero che il legislatore ha previsto una soglia assoluta (5 milioni di euro) e percentuale (il 10 per cento) al di sotto della quale non trova applicazione l’imposta.
Tuttavia, tale soglia di esclusione – che differentemente da quanto adombrato dalla Avvocatura generale dello Stato non è strutturata come una franchigia – non impedisce che il fenomeno descritto si verifichi in presenza di un’alta differenza della quantità di prodotti venduti nel secondo periodo rispetto al primo.
8.3.– Si tratta di elementi della struttura dell’imposta che, in un tempo ordinario, non consentirebbero, di per sé – nemmeno in forza della più moderna concezione del principio di capacità contributiva in precedenza ricordata (punto 7.1.2.) –, di superare il test della connessione razionale e della proporzionalità.
Tuttavia, vengono qui in rilievo circostanze straordinarie che qualificano in termini del tutto sui generis l’intervento normativo.
Da un lato, la situazione di crisi, che, se non fosse stata «affrontata rapidamente», avrebbe potuto «avere gravi effetti negativi sull’inflazione, sulla liquidità degli operatori di mercato e sull’economia nel suo complesso» (così il già citato regolamento n. 1854/2022/UE).
D’altro lato, la circostanza che, in quel particolare contesto, i dati desumibili dai saldi IVA ricavabili dalle LIPE erano gli unici disponibili e, quindi, i soli che avrebbero potuto essere considerati dal legislatore per intervenire tempestivamente a finanziare, con una nuova e temporanea imposta, l’insieme di interventi urgenti, a sostegno di famiglie e imprese, previsti dal d.l. n. 21 del 2022, come convertito e più volte modificato.
Proprio per l’urgenza di intervenire, il legislatore ha infatti previsto, all’art. 37, comma 5, che «[i]l contributo è liquidato e versato […] per un importo pari al 40 per cento, a titolo di acconto, entro il 30 giugno 2022 e per la restante parte, a saldo, entro il 30 novembre 2022», quindi entro pochi mesi dall’entrata in vigore della norma.
Per rispettare tale tempistica non vi era, pertanto, la possibilità di riferirsi ai più adeguati dati rilevanti ai fini dell’IRES, perché sarebbe stato necessario, per intercettare la maggiore forza economica dell’anno 2022 (in cui si è verificata la prima impennata dei prezzi), attendere che le imprese provvedessero a chiudere i bilanci societari: l’ammontare degli utili, pertanto, avrebbe potuto essere contabilizzato solo dopo la conclusione dell’anno di imposta in quel momento in corso, e quindi nel 2023.
Significativamente, il diverso contributo di solidarietà stabilito dalla legge di bilancio 2023, che è rapportato agli utili conseguiti nel 2022, ne prevede il relativo pagamento entro giugno 2023.
Pertanto, quando a marzo 2022 è stata valutata la necessità di introdurre una misura straordinaria per finanziare interventi a favore di famiglie e imprese, le LIPE sono state considerate l’unico strumento disponibile e idoneo a individuare l’incremento congiunturale di ricchezza realizzato dalle imprese del settore energetico da sottoporre a base di un contributo di solidarietà.
È solo tenendo conto del carattere del tutto sui generis del contesto in cui è stato calato il temporaneo intervento impositivo che, quindi, può eccezionalmente ritenersi non irragionevole lo strumento utilizzato dal legislatore, ovvero il riferimento ai dati relativi alla determinazione dell’imponibile dell’IVA, nonostante il loro oggettivo grado di approssimazione nell’intercettare la maggiore forza economica delle imprese energetiche.
8.4.– Tanto chiarito, va al contempo precisato che la straordinarietà del momento e la temporaneità della imposizione non possono essere ritenute un passe partout per l’introduzione di qualsiasi forma di imposizione fiscale.
8.4.1.– Questa Corte non può che ribadire, che «[d]i per sé [...] “la temporaneità dell’imposizione non costituisce un argomento sufficiente a fornire giustificazione a un’imposta, che potrebbe comunque risultare disarticolata dai principi costituzionali” (sentenza n. 288 del 2019)» (ordinanza n. 165 del 2021).
Va ora precisato che il «necessario bilanciamento di interessi fra esigenze finanziarie della collettività e tutela delle ragioni del contribuente» (sentenza n. 73 del 1996), cui, soprattutto in passato, si è fatto spesso riferimento, non può sistematicamente risolversi a favore delle prime, perché anche nella materia tributaria e persino quando, in momenti particolari, siano implicate straordinarie e preminenti esigenze della collettività, questa Corte è chiamata comunque ad assicurare, nella valutazione del bilanciamento operato dal legislatore, quanto meno il rispetto di una soglia essenziale di non manifesta irragionevolezza, oltre la quale lo stesso dovere tributario finirebbe per smarrire la propria giustificazione in termini di solidarietà, risolvendosi invece nella prospettiva della mera soggezione al potere statale.
8.4.2.– In questa prospettiva, la previsione dell’inclusione, nella base imponibile del contributo straordinario, delle accise versate allo Stato e indicate nelle fatture attive, supera questa soglia di ragionevolezza ed è quindi fondata la relativa questione, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., nei termini precisati di seguito.
8.4.3.– L’espresso riferimento (art. 37, comma 3), ai fini del calcolo incrementale che costituisce la base imponibile dell’imposta, al totale delle operazioni attive e a quello delle operazioni passive «al netto [solo] dell’IVA» comporta, infatti, che vi possa concorrere anche l’ammontare delle accise versate allo Stato.
Riguardo a quest’ultima forma di imposizione indiretta, va premesso che l’art. 2 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative) ne individua il presupposto nella fabbricazione o importazione di specifici prodotti, fra i quali rientrano, per quanto di interesse, i prodotti energetici, ovvero gli oli minerali (benzina, benzina senza piombo, oli combustibili) come previsto nei successivi articoli da 21 a 26, e l’energia elettrica, la cui specifica disciplina è contenuta negli articoli da 52 a 60.
Il medesimo articolo distingue tra il fatto generatore, cioè la fabbricazione o l’importazione ovvero l’ingresso irregolare nel territorio dello Stato, e la sua esigibilità, che si realizza solo al momento dell’immissione in consumo.
La tassazione presuppone quindi, in linea di principio, il collocamento del prodotto sul mercato, con atti (in particolare, l’estrazione del prodotto dal deposito fiscale) che comportano la possibilità di traslazione del tributo sui rivenditori o sui consumatori.
Fino al momento dell’immissione in consumo, infatti, le merci soggette ad accisa circolano da un deposito fiscale all’altro, verso o un destinatario registrato o un luogo dal quale lasciare l’Unione europea o un destinatario esente da accisa (art. 6), in regime fiscale di sospensione di imposta, e quindi senza obbligo di versamento allo Stato.
Quando i prodotti circolano in regime di sospensione, l’imposta non è dovuta, poiché il relativo versamento allo Stato avverrà al momento dell’immissione in consumo, a seguito dallo svincolo dal suddetto regime.
8.4.4.– La particolarità del regime di imposizione dell’accisa – tributo che ha quindi natura monofase – si riflette, compromettendola radicalmente, sulla ragionevolezza della disposizione censurata.
Infatti, i soggetti che acquistano prodotti energetici per i quali non sono ancora state assolte le accise, perché soggette a una circolazione in regime di sospensione, e che poi procedono alla immissione in consumo, normalmente si rivalgono nei confronti dei successivi acquirenti comprendendo nel prezzo di vendita indicato in fattura anche l’importo delle accise da essi versate allo Stato.
Per questi soggetti, tuttavia, le accise incidono sulla determinazione della base imponibile del contributo straordinario, in quanto anch’esse sono state incluse nelle fatture attive rilevanti ai fini delle LIPE, ancorché non risultino in quelle passive di acquisto, perché tali soggetti hanno acquistato in regime di sospensione di imposta.
In altre parole, per questi soggetti le accise, che essi stessi hanno versato allo Stato, vanno ad aumentare, anche in misura considerevole, la base imponibile del contributo straordinario di solidarietà, senza che tale aumento possa in alcun modo dirsi rappresentativo di una maggiore ricchezza.
Peraltro, ai sensi dell’art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 504 del 1995, le accise vengono liquidate «applicando alla quantità di prodotto l’aliquota d’imposta», per cui prescindono del tutto dal prezzo di vendita. Pertanto, anche quando il soggetto passivo del contributo straordinario di solidarietà, pur aumentando le vendite, avesse diminuito il prezzo dei prodotti, l’impatto delle accise avrebbe contribuito a innalzare la base imponibile del contributo stesso, ancorché in assenza di qualsiasi manovra speculativa.
Inoltre, la complessa dinamica applicativa delle accise determina anche una discriminazione orizzontale tra i soggetti passivi del contributo: perché solo per alcuni di questi, ovvero quelli che versano allo Stato l’accisa e la “caricano” nelle fatture attive, si verifica il descritto effetto distorsivo, ma non per quelli che, all’interno della filiera, possono cedere i prodotti energetici in sospensione di imposta, per i quali l’accisa non rileva, e neppure per quelli che commercializzano dopo l’immissione al consumo, per i quali il suddetto effetto non si verifica, in quanto le accise – verosimilmente – incrementeranno, con un sostanziale bilanciamento, il prezzo sia nelle fatture attive che passive.
Infine, va considerato che la dinamica impositiva del contributo straordinario di solidarietà ha anche inciso retroattivamente sul calcolo economico delle imprese, determinando ora per allora conseguenze fiscali.
In presenza di tali effetti distorsivi, non può dunque in alcun modo essere condivisa l’argomentazione dell’Avvocatura per cui l’inclusione delle accise ai fini della quantificazione del saldo incrementale sarebbe corrisposta semplicemente a un legittimo aumento della base imponibile dell’imposta, funzionale a incrementarne il gettito così come sarebbe potuto avvenire, più direttamente, innalzando l’aliquota della imposta stessa.
Deve quindi essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 3, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e più volte modificato, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., nella parte in cui prevede che «[a]i fini del calcolo del saldo di cui al comma 2, si assume il totale delle operazioni attive, al netto dell’IVA,», anziché «[a]i fini del calcolo del saldo di cui al comma 2, si assume il totale delle operazioni attive, al netto dell’IVA e delle accise versate allo Stato e indicate nelle fatture attive,».
9.– Non fondata è invece la questione relativa alla discriminazione tra imprese del mercato energetico e quelle operanti in altri settori merceologici, quali quello bancario o farmaceutico, che pure, secondo i rimettenti, avrebbero realizzato “extraprofitti” consistenti durante e dopo la crisi pandemica.
È affermazione costante di questa Corte che «ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni» (ex plurimis, sentenza n. 49 del 2024).
Nel descritto contesto congiunturale un’idonea giustificazione sussiste, perché il mercato energetico, come si è visto, ha fatto registrare, in assoluto, incrementi di fatturato tali da risultare chiaramente senza paragoni nel periodo considerato dalla norma censurata.
Nella sentenza n. 288 del 2019 questa Corte ha escluso che realizzasse un’illegittima discriminazione qualitativa dei redditi assumere «come presupposto dell’imposizione l’appartenenza dei soggetti passivi della nuova imposta al mercato finanziario» e del resto, già in altre occasioni, «ha giudicato infondate, in presenza di oggettive giustificazioni, censure riferite a tributi istituiti solo per alcuni soggetti passivi all’interno di una determinata categoria: nella sentenza n. 201 del 2014 ha ritenuto, infatti, che non fosse ingiustificata la limitazione al solo “settore finanziario” della platea dei soggetti passivi sottoposti al prelievo “addizionale” sulle remunerazioni in forma di bonus e stock options».
10.– Nemmeno fondata è la questione sollevata in riferimento alla discriminazione interna al mercato energetico.
In particolare, i rimettenti evidenziano che la previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e più volte modificato, nella parte in cui esclude l’applicazione dell’imposta ove il saldo incrementale sia inferiore a 5 milioni di euro o al 10 per cento, sarebbe discriminatoria in quanto introdurrebbe «un regime fiscale differenziato pur a fronte di situazioni del tutto comparabili».
Tale argomento è privo di pregio. La previsione, anziché rappresentare un fattore di discriminazione, ha una funzione di completamento del regime impositivo introdotto dal legislatore, che ha configurato una soglia di tolleranza al di sotto della quale gli incrementi del saldo sono stati stimati non indicativi di una maggiore forza economica, perché ritenuti riconducibili alla normale attività di impresa.
Questa Corte, in una fattispecie per certi versi analoga, ha precisato che neppure «irragionevole è la scelta di riferirsi ad una determinata dimensione del fatturato (50 milioni di euro) per delimitare la platea degli imprenditori assoggettati al contributo. […] Nell’esercizio di tale ampia facoltà di scelta, il legislatore ha ritenuto di dover assoggettare alla contribuzione obbligatoria i soli soggetti economici il cui fatturato supera una determinata soglia: non è irragionevole che le spese di funzionamento dell’autorità preposta al corretto funzionamento del mercato gravino sulle imprese caratterizzate da una presenza significativa nei mercati di riferimento e dotate di considerevole capacità di incidenza sui movimenti delle relative attività economiche» (sentenza n. 269 del 2017).
11.– Non fondata è anche la questione, avente ad oggetto l’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e più volte modificato, censurato in riferimento agli artt. 42 e 53 Cost., nonché all’art. 117 Cost. e, in via mediata, dell’art. 1 del Prot. addiz. CEDU.
Secondo i giudici rimettenti il tributo in esame, per come configurato, determinerebbe l’erosione di una parte rilevante del patrimonio netto sociale, ponendosi in contrasto con gli artt. 42 e 53 Cost. e con l’art. 1 del Prot. addiz. CEDU.
Al riguardo va precisato che questa Corte, già da tempi risalenti, ha chiarito che una «legge tributaria, anche retroattiva, non dà luogo a un’espropriazione di proprietà privata, ma solo ad una obbligazione pecuniaria verso lo Stato o altro ente pubblico» (sentenza n. 9 del 1959; nello stesso senso, sentenza n. 22 del 1965).
Anche in tempi più recenti ha poi ribadito che «l’estraneità della materia espropriativa all’ambito dell’art. 53 della Costituzione (sentenze nn. 283 del 1993, 22 del 1965 e 9 del 1959), induce, dall’altro, a constatare come sia proprio l’art. 53 la corretta prospettiva nella quale va ricondotto il giudizio sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell’entità dell’imposizione» (sentenza n. 111 del 1997).
Nel nostro ordinamento costituzionale, infatti, la previsione nell’art. 53 Cost. di un esplicito principio di capacità contributiva al quale rapportare la legittimità degli interventi impositivi (a differenza di altri ordinamenti come quello tedesco dove il Grundgesetz non contempla espressamente tale principio) preclude la possibilità di evocare, in qualche modo forzandone, dal punto di vista concettuale, l’area di applicazione, la garanzia costituzionale del diritto di proprietà.
All’esclusione del contrasto con l’art. 42 Cost. si deve aggiungere quella con l’art. 1 del Prot. addiz. CEDU e la sua autonoma nozione di bene.
Innanzitutto, quando si tratta di definire e attuare politiche in materia fiscale la Corte EDU è solita riconoscere un ampio margine di apprezzamento agli Stati: le autorità nazionali sono infatti ritenute «in linea di massima in una posizione migliore del giudice internazionale» per decidere che cosa rientri nell’interesse della giustizia sociale (ex plurimis, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 24 giugno 2014, Azienda Agricola Silverfunghi sas e altri contro Italia; principio peraltro ribadito anche in Corte EDU, sentenza 7 dicembre 2023, Waldner contro Francia).
Inoltre, anche nella particolarissima situazione considerata in Corte EDU, sentenza 14 maggio 2013, N.K.M. contro Ungheria (così come in quella, analoga, Corte EDU, sentenza 2 luglio 2013, R.Sz. contro Ungheria), citata dalla difesa di parte, la medesima Corte, pur ritenendo violata, sotto il profilo del difetto di proporzionalità, l’autonoma nozione di beni considerata nell’art. 1 del Prot. addiz. CEDU, ha comunque ribadito che il semplice fatto che l’aliquota fiscale sia molto elevata non dà luogo di per sé a una violazione di tale disposizione.
Nello specifico, la ricorrente aveva dovuto subire un incremento impositivo per cui, a circa dieci settimane prima della cessazione del rapporto di servizio, veniva triplicata l’aliquota media, portando al 98 per cento quella marginale, sulle buonuscite dei dipendenti pubblici, determinando così una sostanziale privazione di reddito in un periodo, per la stessa, di presumibile notevole difficoltà personale – in R.Sz. contro Ungheria la ricorrente era stata assoggettata alla stessa imposta, ma questa era stata applicata dopo che aveva lasciato il suo lavoro.
Si trattava, all’evidenza, di situazioni estreme non assimilabili a quelle prefigurate dai rimettenti con riferimento al contributo straordinario introdotto con l’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e più volte modificato, che, peraltro, appaiono, da un lato, solo astrattamente ipotizzate, dall’altro, non utilmente dedotte: nel giudizio di cui all’ ordinanza iscritta al n. 3 reg. ord. 2024, promosso dalla CGT di Milano, per sostenere l’effetto espropriativo le parti costituite indicano l’utile dell’anno precedente a quello eventualmente rilevante in coerenza con le predette argomentazioni.
12.– Non fondata è, infine, la questione relativa all’art. 37, comma 3-ter, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e più volte modificato, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.
I rimettenti, in particolare, censurano la previsione secondo cui: «[n]on concorrono alla determinazione dei totali delle operazioni attive, di cui al comma 3, le operazioni attive non soggette a IVA per carenza del presupposto territoriale, ai sensi degli articoli da 7 a 7-septies del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, se e nella misura in cui gli acquisti ad esse afferenti siano territorialmente non rilevanti ai fini dell’IVA».
In forza di tale previsione l’esclusione dalla base imponibile delle cessioni extraterritoriali è condizionata alla non territorialità delle corrispondenti operazioni passive.
Secondo i giudici a quibus la norma sarebbe irragionevole in quanto, da un lato, la struttura dell’IVA (e di conseguenza quella del contributo in esame) non consentirebbe di correlare le componenti attive con le corrispondenti componenti passive; dall’altro perché le operazioni di vendita extraterritoriale correlate ad acquisti effettuati in periodi diversi da quelli considerati dalla norma censurata non potrebbero computarsi ai fini della determinazione della base imponibile.
Entrambi i profili di censura non possono trovare accoglimento.
Quanto al primo, va osservato che non è corretta l’affermazione secondo cui al sistema dell’IVA sarebbe estranea la nozione di “afferenza” e, quindi, la possibilità di una correlazione tra le operazioni poste in essere.
L’art. 19, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972 prevede che: «[n]on è detraibile l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all’imposta, salvo il disposto dell’articolo 19-bis2».
L’individuazione di un rapporto di afferenza tra le diverse operazioni non è quindi estraneo alla struttura dell’IVA, e la giurisprudenza di legittimità ne ha precisato la portata, con specifico riferimento alla questione dei limiti di detraibilità, ragionando in termini di sussistenza di un rapporto di strumentalità tra diverse operazioni (Corte di cassazione, sentenza quinta civile, ordinanza 17 novembre 2021, n. 34957).
Non manca quindi di ragionevolezza la scelta del legislatore di fare riferimento, al fine di definire entro quali limiti le operazioni attive prive del presupposto della territorialità possano non essere considerate nella base imponibile, al rapporto di afferenza con le correlative operazioni di acquisto.
Ciò vale anche con riguardo al secondo profilo, relativo alla possibilità che l’acquisto afferente territorialmente non sia stato effettuato nell’ambito dei periodi temporali presi a riferimento dal legislatore, dal momento che al più, qualora dalla norma fosse possibile trarre la conseguenza ipotizzata dal rimettente, si tratterebbe di un mero inconveniente di fatto.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 3, del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 (Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio 2022, n. 51, come modificato dall’art. 55 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50 (Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2022, n. 91, e dall’art. 1, comma 120, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), nella parte in cui prevede che «[a]i fini del calcolo del saldo di cui al comma 2, si assume il totale delle operazioni attive, al netto dell’IVA,», anziché «[a]i fini del calcolo del saldo di cui al comma 2, si assume il totale delle operazioni attive, al netto dell’IVA e delle accise versate allo Stato e indicate nelle fatture attive,»;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito, e come modificato dall’art. 55 del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 41, 42, 53 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, sezione 27, con le ordinanze indicate in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito, modificato dall’art. 55 del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, e successivamente dall’art. 1, comma 120, della legge n. 197 del 2022, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 42, 53 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Prot. addiz. CEDU, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, sezione 12, con le ordinanze indicate in epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 3-ter, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito, modificato dall’art. 55 del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, e successivamente dall’art. 1, comma 120, della legge n. 197 del 2022, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, sezione 12, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 2024.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2024
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA