SENTENZA N. 12
ANNO 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 55 e 61 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), promosso dal Giudice dell’esecuzione mobiliare del Tribunale ordinario di Palermo, sezione sesta civile, nel procedimento vertente tra R.G.L. L. srl e S. srl in liquidazione e altro, con ordinanza del 24 febbraio 2023, iscritta al n. 68 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2023, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 9 gennaio 2024.
Udito nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2024 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;
deliberato nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 24 febbraio 2023, iscritta al n. 68 del relativo registro dell’anno 2023, il Giudice dell’esecuzione mobiliare del Tribunale ordinario di Palermo, sezione sesta civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 55 e 61 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), in riferimento agli artt. 24 e 102 della Costituzione.
Il giudice rimettente premette che, nell’ambito di un’espropriazione forzata presso terzi, la debitrice aveva proposto opposizione all’esecuzione deducendo, tra l’altro, l’impignorabilità dei beni ai sensi dell’art. 55 cod. antimafia, in base al quale a seguito del sequestro non possono essere iniziate azioni esecutive sui beni oggetto dello stesso, sottolineando che, peraltro, l’esecuzione era iniziata dopo la confisca definitiva. Sicché si era evidenziato, nell’opposizione proposta, che, in forza della disciplina dettata dall’art. 52 e seguenti del predetto codice, i creditori, in luogo dell’azione esecutiva ordinaria, avrebbero dovuto proporre domanda di accertamento delle loro pretese dinanzi al giudice della prevenzione, senza che le relative regole potessero ritenersi derogabili in presenza di crediti – come quelli azionati nella procedura esecutiva presupposta – di carattere prededucibile perché sorti dopo l’emanazione del sequestro di prevenzione, alla medesima stregua di quanto avviene nelle procedure concorsuali originate dalla crisi dell’impresa.
Ciò posto, il giudice a quo osserva, in via preliminare, che l’art. 55 cod. antimafia, piuttosto che un’ipotesi di impignorabilità dei beni, prevede l’improcedibilità dell’esecuzione che può essere, in quanto tale, rilevata anche d’ufficio.
Considera, tuttavia, il Tribunale di Palermo che, in effetti, a fronte del divieto di agire in executivis, i creditori possono soddisfarsi nell’ambito del procedimento di pagamento dei crediti disciplinato dagli artt. 60 e 61 del predetto codice, che individuano l’organo preposto al pagamento dei creditori, dopo che il provvedimento di confisca è divenuto definitivo, nell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (in seguito, anche: Agenzia).
Assume, peraltro, il giudice rimettente che sotto tali aspetti, il combinato disposto degli artt. 55, 60 e 61 cod. antimafia potrebbe violare gli artt. 24 e 102 Cost., poiché tali disposizioni assicurerebbero una tutela giurisdizionale incompleta e, dunque, non effettiva ai creditori, i quali potrebbero adire l’autorità giudiziaria solo per contestare il piano di pagamento predisposto dall’Agenzia. In particolare, il vulnus si determinerebbe perché i creditori non avrebbero alcuna tutela giurisdizionale, tanto nella fase antecedente di predisposizione del progetto di graduazione dei crediti, quanto in quella successiva di esecuzione materiale del piano, in una situazione vieppiù pregiudizievole per i titolari di crediti prededucibili – come il creditore procedente nell’esecuzione pendente dinanzi al medesimo giudice - il cui accertamento è compiuto al di fuori della procedura concorsuale.
Il giudice rimettente sottolinea ulteriormente che il pregiudizio arrecato si disvela con evidenza ancora maggiore avendo riguardo alla differente disciplina prevista per il fallimento (ora, liquidazione giudiziale), nel quale nelle fasi di accertamento e graduazione dei crediti l’attività del curatore è assoggettata a un controllo continuativo da parte dell’autorità giurisdizionale.
Il giudice a quo osserva, infine, che, pur nell’ambito dell’ampia discrezionalità del legislatore processuale, l’intervento richiesto a questa Corte sarebbe a “rime obbligate”; domanda infatti, conclusivamente, la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate «nella parte in cui l’art. 61 non prevede che i creditori inseriti nello stato passivo e i titolari di crediti prededucibili che non lo sono, possono ricorrere all’Autorità Giudiziaria individuata nel co. 7^ con ricorso ex art. 702 bis cpc, per ottenere l’inserimento nel progetto di pagamento e l’effettivo adempimento del piano».
2.– Nessuna delle parti del giudizio principale si è costituita; né è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 24 febbraio 2023 (reg. ord. n. 68 del 2023), il Giudice dell’esecuzione mobiliare del Tribunale di Palermo, sezione sesta civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 55 e 61 cod. antimafia, in riferimento agli artt. 24 e 102 Cost.
Il giudice rimettente premette che, nell’ambito di una procedura di espropriazione forzata presso terzi, promossa in danno di una società nei confronti della quale era stato emesso un provvedimento di confisca divenuto irrevocabile prima dell’inizio della procedura esecutiva, la debitrice aveva proposto opposizione all’esecuzione, adducendo l’impignorabilità dei beni ai sensi dell’art. 55 cod. antimafia che, già dopo il sequestro di prevenzione, vieta la proposizione di azioni esecutive sui beni oggetto del provvedimento.
Nella specie, l’espropriazione forzata era stata promossa dal creditore successivamente alla confisca definitiva per un credito sorto dopo il sequestro di prevenzione per servizi resi in favore della società assoggettata al sequestro stesso; credito quindi da ritenersi prededucibile nella fase liquidatoria del procedimento di prevenzione.
Il Tribunale rimettente – dopo aver premesso che il divieto di cui all’art. 55 cod. antimafia incide sulla procedibilità dell’esecuzione forzata e non già sulla pignorabilità dei beni – osserva che, in effetti, a fronte del divieto di agire in executivis, i creditori possono soddisfarsi nell’ambito del procedimento di pagamento dei crediti, disciplinato, dopo la confisca definitiva, dall’art. 60 del predetto codice, che individua l’organo preposto al pagamento dei creditori nell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Tale assetto normativo, e in particolare gli artt. 55 e 61 cod. antimafia, si porrebbe tuttavia in contrasto con gli artt. 24 e 102 Cost., poiché sarebbe assicurata ai creditori una tutela giurisdizionale incompleta, atteso che gli stessi hanno la possibilità di adire l’autorità giudiziaria solo per contestare il piano di pagamento predisposto dall’Agenzia, mentre sono privi di tutela giurisdizionale, anche rispetto all’eventuale inerzia dell’Agenzia stessa, nello svolgimento delle attività ad essa demandate, tanto nella fase antecedente di predisposizione del progetto di pagamento, quanto in quella successiva di esecuzione materiale del piano.
Questo sistema normativo, nel suo complesso, sarebbe pregiudizievole per i titolari di crediti prededucibili, il cui accertamento è compiuto al di fuori della procedura di prevenzione, specie ove si abbia riguardo alla differente disciplina prevista per il fallimento (ora, liquidazione giudiziale), nella quale, nelle fasi di accertamento e graduazione dei crediti, l’attività del curatore è assoggettata a un controllo costante dell’autorità giudiziaria.
Secondo lo stesso Tribunale rimettente la reductioad legitimitatemdel sistema richiederebbe un intervento a “rime obbligate” di questa Corte, dovendo riconoscersi ai creditori inseriti nello stato passivo e ai titolari di crediti prededucibili la possibilità di adire l’autorità giudiziaria individuata, dall’art. 61, comma 7, cod. antimafia, con ricorso proposto ai sensi dell’art. 702-bis del codice di procedura civile.
2.– In via preliminare, deve essere dichiarata l’inammissibilità della questione in riferimento all’evocato parametro dell’art. 102 Cost., poiché lo stesso non è pertinente rispetto alle censure che si ritraggono dall’ordinanza di rimessione, la quale vuole denunciare un vulnus all’effettività della tutela giurisdizionale dei creditori contemplata, a fronte del divieto di introdurre e proseguire azioni esecutive individuali, dall’art. 55 cod. antimafia dopo il sequestro di prevenzione.
Difatti, l’art. 102 Cost. prevede, per un verso, che in linea di principio la giurisdizione è esercitata da magistrati ordinari e, per un altro, che non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali.
Di qui, non essendo posta in dubbio, neppure dalla stessa ordinanza di rimessione, la giurisdizione del giudice ordinario per tutte le fasi nelle quali è contemplato l’intervento dell’autorità giurisdizionale, l’evocazione di tale parametro risulta essere inconferente con conseguente inammissibilità della censura (ex plurimis, sentenze n. 225, n. 209 e n. 108 del 2023). Infatti – ha affermato recentemente questa Corte – quando l’evocato parametro risulta inconferente, e comunque di esso non è indicata la pertinenza, la questione è in parte qua inammissibile (ancora sentenza n. 108 del 2023).
3.– Anche con riguardo al parametro dell’art. 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale è inammissibile, sia nella parte in cui ha ad oggetto l’art. 55 cod. antimafia, sia in quella concernente il successivo art. 61.
4.– Il giudice rimettente – lamentando un’insufficiente tutela giurisdizionale in executivisdi un credito sorto, dopo il sequestro di prevenzione, a carico di un soggetto raggiunto da tale misura, credito già accertato in via definitiva in sede di cognizione – denuncia un vulnus complessivo e, come presupposto interpretativo della questione, muove dalla considerazione che la possibilità di ottenere il soddisfacimento del credito sarebbe, per un verso, preclusa nella sede ordinaria dell’espropriazione forzata, stante il disposto dell’art. 55 cod. antimafia, in base al quale a seguito del sequestro (e a maggior ragione dopo la successiva confisca) non possono essere iniziate o proseguite azioni esecutive e, per l’altro, sarebbe invece riconosciuta – ma in termini ritenuti inadeguati – nel procedimento speciale di liquidazione previsto dall’art. 61 cod. antimafia a seguito della definitività della confisca di prevenzione.
5.– In realtà, sotto quest’ultimo profilo, si ha che per i crediti prededucibili – quali, in generale, quelli sorti in occasione o in funzione del procedimento di prevenzione, quindi non prima del provvedimento di sequestro – il codice delle leggi antimafia contempla (art. 54) una più rapida tutela, distinta e separata, rispetto a quella degli altri crediti, anteriori al sequestro. Ciò innanzi tutto escludendo che i primi, a differenza dei secondi, debbano essere verificati secondo le modalità e la procedura di accertamento previste dagli artt. 57, 58 e 59 cod. antimafia. Quando sono liquidi, esigibili e non contestati, ovvero accertati in via definitiva in sede di cognizione, tali crediti (quelli prededucibili) possono essere soddisfatti, in tutto o in parte, al di fuori del piano di riparto in cui confluiscono i crediti non prededucibili, assoggettati alla procedura di accertamento, e, quindi, anche prima della redazione dello stesso piano, sempre che l’attivo sia sufficiente e che il pagamento non comprometta la gestione e comunque previa autorizzazione del giudice delegato alla procedura di prevenzione, chiamato a verificare che si tratti effettivamente di un credito prededucibile e che sussistano le condizioni per il pagamento immediato. Se, però – prosegue l’art. 54, al comma 2 – la confisca ha ad oggetto beni organizzati in azienda e il tribunale ha autorizzato la prosecuzione dell’attività, la distribuzione avviene mediante prelievo delle somme disponibili secondo criteri di graduazione e proporzionalità, conformemente all’ordine assegnato dalla legge.
D’altra parte, dopo l’irrevocabilità del provvedimento di confisca, tali crediti, se non già soddisfatti prima, precedono tutti gli altri nel progetto (e nel successivo piano) di pagamento redatto dall’Agenzia (art. 61 cod. antimafia).
Nell’una e nell’altra evenienza il creditore di un credito prededucibile, il cui pagamento immediato non sia stato autorizzato dal giudice delegato alla procedura di prevenzione o che non sia stato inserito, con la dovuta priorità, nel piano di pagamento dei crediti, può dolersi di ciò proponendo opposizione al giudice.
In un caso, già dopo il sequestro di prevenzione, è possibile il ricorso al tribunale che ha applicato la misura di prevenzione, mediante l’opposizione prevista in generale dall’art. 59, comma 6, in favore dei «creditori esclusi» e tale deve considerarsi anche il creditore in prededuzione non ammesso al pagamento anticipato (in tal senso, già Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 23 gennaio-26 febbraio 2019, n. 8441); nell’altro caso, dopo la definitività della confisca e la comunicazione del piano di pagamento redatto dall’Agenzia, è possibile il ricorso alla sezione civile della Corte di appello del distretto della sezione specializzata o del giudice penale competente ad adottare il provvedimento di confisca (ai sensi dell’art. 61, comma 7).
La giurisdizionalizzazione di questa fase risulta ormai dalla giurisprudenza (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 22 aprile 2022, n. 12871), che ha chiarito che l’Agenzia opera, nelle fasi di liquidazione dei beni e di pagamento delle somme in favore dei creditori, nella veste di ausiliario dell’autorità giudiziaria e quindi sotto il controllo di quest’ultima.
Però, nella fattispecie in esame, è determinante la considerazione che questa articolata tutela concerne la liquidazione dei crediti nella procedura di prevenzione e, quale che sia la sua intensità, non si proietta sul giudizio di opposizione all’esecuzione, nel senso che il giudice di questo giudizio non è chiamato ad applicare la disciplina della procedura di prevenzione, né tanto meno l’art. 61. Consegue che tale disposizione non viene in rilievo nel giudizio a quo, promosso dal rimettente, proprio quale giudice dell’opposizione all’esecuzione in un’ordinaria procedura di espropriazione presso terzi.
Pertanto, il dubbio di legittimità costituzionale, espresso dal giudice rimettente nella parte in cui censura l’art. 61 citato, non è rilevante e la relativa questione è inammissibile.
6.– Parimenti inammissibile – ma per insufficiente motivazione dell’ordinanza di rimessione quanto alla non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale – è la questione nella parte in cui ha ad oggetto l’art. 55.
7.– Invero, sussiste il presupposto della rilevanza perché nel giudizio di opposizione all’esecuzione si controverte proprio in ordine all’applicazione dell’art. 55, che – come già detto – prevede che, a seguito del sequestro di prevenzione, non possano essere iniziate o proseguite azioni esecutive.
Il debitore opponente invoca tale disposizione per sostenere la non pignorabilità del suo credito presso il terzo (nella specie, un’azienda di credito), il quale ha già riconosciuto il suo debito in ragione di un rapporto di conto corrente intrattenuto con il prevenuto.
Il giudice rimettente correttamente considera che non di impignorabilità si tratta, bensì di improcedibilità dell’azione esecutiva, che non può essere iniziata, né proseguita, dopo il sequestro di prevenzione.
Una preclusione analoga è prevista dall’art. 150 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155), il quale prescrive che, dal giorno della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante la liquidazione giudiziale, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nella procedura. La stessa disposizione, con riferimento al fallimento, era contenuta, in precedenza, nell’art. 51 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa).
Si tratta di disposizioni simmetriche, alle quali, in realtà, è sottesa una diversa ratio e anche un distinto fondamento, rilevante al fine di valutare la giustificatezza, rispetto alla garanzia riconosciuta dall’art. 24 Cost., della temporanea preclusione della ordinaria tutela giurisdizionale in executivis.
L’impossibilità di iniziare (o proseguire) un’azione esecutiva ordinaria dopo la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale o di fallimento risponde all’evidente esigenza di preservare la par condicio creditorumin una situazione di insolvenza che rende incerto il soddisfacimento di tutti i crediti.
Invece, il procedimento di prevenzione non presuppone alcuna situazione di insolvenza del prevenuto, bensì la sua pericolosità, sicché vi è la diversa esigenza di verificare se, per i crediti coinvolti nella procedura di prevenzione (essenzialmente quelli anteriori al sequestro), sussistano le condizioni di cui all’art. 52 cod. antimafia perché la confisca non li pregiudichi e, quindi, possano essere soddisfatti. In particolare, deve trattarsi di crediti non strumentali all’attività illecita e connotati da buona fede e inconsapevole affidamento dei creditori stessi.
In tal caso, il carattere concorsuale della liquidazione di tali crediti, assoggettati a procedimento di verifica, attrae anche i crediti prededucibili, sorti dopo il sequestro di prevenzione, il cui pagamento deve avvenire, non di meno, nel contesto della liquidazione dei crediti nella procedura di prevenzione, sia immediatamente al di fuori del piano di riparto (art. 54), sia dopo la definitività della confisca mediante l’inserimento nel piano di pagamento (art. 61).
Per effetto di ciò, il censurato art. 55 pone la prescrizione in esame, che esclude che possano essere iniziate o proseguite azioni esecutive dopo il sequestro di prevenzione; disposizione questa che è quindi applicabile nel giudizio a quo, a differenza del (parimenti censurato) art. 61, sussistendo, pertanto, l’ammissibilità della questione sotto tale profilo.
8.– La questione, nella parte in cui ha ad oggetto l’art. 55, è non di meno inammissibile per insufficiente motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale.
Il giudice rimettente, da una parte, si limita a richiamare il principio, più volte enunciato da questa Corte, secondo cui la garanzia della tutela giurisdizionale, posta dall’art. 24 Cost., non si esaurisce con la cognizione da parte del giudice, ma include anche l’esecuzione forzata (ex plurimis, sentenza n. 140 del 2022).
Altresì recentemente (sentenza n. 159 del 2023) si è ribadito che «la garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti assicurata dall’art. 24 Cost. comprende anche la fase dell’esecuzione forzata, in quanto necessaria a rendere effettiva l’attuazione del provvedimento giudiziale (sentenze n. 140 del 2022, n. 128 del 2021, n. 522 del 2002 e n. 321 del 1998); e ciò è tanto più vero quando leso è un diritto fondamentale (art. 2 Cost.)».
D’altra parte, il rimettente indirizza la sua censura domandando, come petitum, una pronuncia additiva di questa Corte sull’art. 61, che concerne la liquidazione dei crediti nel procedimento di prevenzione, ritenendo che la reductio ad legitimitatem possa avvenire intervenendo sulla disciplina della procedura di liquidazione nel procedimento di prevenzione e non già su quella della procedura di espropriazione forzata in corso. Infatti, il rimettente – come già ricordato – domanda, conclusivamente, la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate «nella parte in cui l’art. 61 non prevede che i creditori inseriti nello stato passivo e i titolari di crediti prededucibili che non lo sono, possono ricorrere all’Autorità Giudiziaria individuata nel co. 7^ con ricorso ex art. 702 bis cpc, per ottenere l’inserimento nel progetto di pagamento e l’effettivo adempimento del piano».
È vero che – come affermato da questa Corte (da ultimo, sentenza n. 221 del 2023) – «[n]el giudizio incidentale di legittimità costituzionale, il petitum dell’ordinanza di rimessione ha la funzione di chiarire il contenuto e il verso delle censure mosse dal giudice rimettente», sicché la Corte «rimane libera di individuare la pronuncia più idonea alla reductio adlegitimitatem della disposizione censurata, non essendo vincolata alla formulazione del petitum dell’ordinanza di rimessione nel rispetto dei parametri evocati».
Il rimettente, tuttavia, non sviluppa la sua censura focalizzandola sul procedimento di espropriazione forzata in corso, che è quello oggetto della sua cognizione dell’azione di opposizione all’esecuzione, ma devia verso il procedimento di liquidazione nella confisca di prevenzione, il quale non è rilevante nel giudizio principale, quale che sia, in quest’ultimo, la specificità della tutela dei crediti prededucibili.
Ciò ridonda in motivazione, insufficiente e perplessa, dell’ordinanza di rimessione quanto al presupposto della non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale. Ed invero, questa Corte ha ritenuto l’inammissibilità delle questioni sollevate con ordinanze le cui modalità argomentative tradiscano un’incertezza e contraddittorietà del petitum che non consente di enucleare con chiarezza il contenuto delle censure (sentenze n. 248 e n. 118 del 2022; n. 123 del 2021).
9.– In definitiva, anche le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 55 e 61 cod. antimafia, sollevate in riferimento all’art. 24 Cost., devono essere dichiarate inammissibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 55 e 61 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136) sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 102 della Costituzione, dal Giudice dell’esecuzione mobiliare del Tribunale ordinario di Palermo, sezione sesta civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 gennaio 2024.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Valeria EMMA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l’8 febbraio 2024
Il Cancelliere
F.to: Valeria EMMA
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