Pubblicato il

Alloggio pubblico, incostituzionale il requisito della residenza nella Regione

Corte Costituzionale, Sentenza n.147 del 25/07/2024

È incostituzionale prevedere il requisito della residenza o dell’attività lavorativa pregressa e protratta nel territorio regionale per ottenere un’abitazione di edilizia pubblica.

Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 147 depositata il 25 luglio 2024, dichiarando l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost., dell’art. 3, comma 1, lettera b), della legge della Regione Piemonte 17 febbraio 2010, n. 3.

La Corte ha precisato che non c’è alcuna ragionevole correlazione tra l’esigenza di accedere al bene casa, quando si è in condizioni economiche di fragilità, e la pregressa e protratta residenza o attività lavorativa nel territorio regionale.

Il requisito della pregressa e protratta residenza sul territorio regionale, così come quello della pregressa e protratta attività lavorativa, infatti, pone un ostacolo al soddisfacimento del diritto all’abitazione. Questo diritto deve invece basarsi sulla situazione di bisogno o disagio, rispetto alla quale la durata della permanenza pregressa nel territorio regionale non presenta alcun collegamento logico.

Questi requisiti, proprio perché sganciati da ogni valutazione sullo stato di bisogno, sono incompatibili con il concetto stesso di servizio sociale, inteso come servizio destinato prioritariamente ai soggetti economicamente deboli. Né tali requisiti valgono a indicare una prospettiva di radicamento sul territorio regionale.

La Consulta ha pertanto riscontrato che la disposizione piemontese viola l’art. 3 della Costituzione sotto tre profili:

  1. per intrinseca irragionevolezza, perché prevede requisiti del tutto non correlati con la funzione propria dell’edilizia sociale;
  2. perché determina una ingiustificata diversità di trattamento tra persone che si trovano nelle medesime condizioni di fragilità;
  3. perché tradisce il dovere della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

SENTENZA N. 147

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera b), della legge della Regione Piemonte 17 febbraio 2010, n. 3 (Norme in materia di edilizia sociale), promosso dal Tribunale ordinario di Torino, prima sezione civile, nel procedimento vertente tra Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) aps, Regione Piemonte e Comune di Torino, con ordinanza del 10 novembre 2023, iscritta al n. 162 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visti gli atti di costituzione della Regione Piemonte e, fuori termine, dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) aps;

udito nell’udienza pubblica del 2 luglio 2024 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

udito l’avvocato Massimo Scisciot per la Regione Piemonte;

deliberato nella camera di consiglio del 2 luglio 2024.

Ritenuto in fatto

1.− Il Tribunale ordinario di Torino, prima sezione civile, con l’ordinanza del 10 novembre 2023 (reg. ord. n. 162 del 2023), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 3, comma 1, lettera b), della legge della Regione Piemonte 17 febbraio 2010, n. 3 (Norme in materia di edilizia sociale), il quale prevede, come requisito per conseguire l’assegnazione di un alloggio di edilizia sociale, «avere la residenza anagrafica o l’attività lavorativa esclusiva o principale da almeno cinque anni nel territorio regionale, con almeno tre anni, anche non continuativi all’interno dell’ambito di competenza degli enti gestori delle politiche socio-assistenziali o essere iscritti all’AIRE».

1.2.− Il giudice rimettente riferisce di essere chiamato a pronunciarsi, ex art. 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69) e artt. 281-decies e seguenti del codice di procedura civile, sulla richiesta dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) aps che si accerti il carattere discriminatorio del regolamento della Regione Piemonte 4 ottobre 2011, n. 9/R, recante «Regolamento del bando di concorso e della graduatoria, in attuazione dell’articolo 5, comma 9, della legge regionale 17 febbraio 2010, n. 3 (Norme in materia di edilizia sociale») e del “bando ERP 2023” del Comune di Torino, i quali richiamano i requisiti di cui all’art. 3, comma 1, lettere b) e c), della legge reg. Piemonte n. 3 del 2010; conseguentemente, si chiede in particolare la rimozione delle relative clausole del bando e la riapertura delle graduatorie per un tempo consono. ASGI sostiene, infatti, che siano costituzionalmente illegittimi tanto il requisito quinquennale di residenza o lavoro (lettera b), quanto quello della impossidenza per i titolari di protezione internazionale (lettera c).

1.2.1.− Il Tribunale di Torino ha ritenuto manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale avanzati da ASGI in relazione al requisito di cui all’art. 3, comma 1, lettera c), della legge reg. Piemonte n. 3 del 2010 e ha deciso sulla relativa domanda con altro provvedimento.

1.3.− Per contro, il giudice a quo ritiene rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale dei requisiti di cui all’art. 3, comma 1, lettera b), della medesima legge regionale.

1.3.1.− In punto di rilevanza, il Tribunale di Torino – ritenuta la legittimazione attiva di ASGI, del resto non contestata dai convenuti Comune di Torino e Regione Piemonte – osserva che tanto l’art. 3 del regolamento reg. n. 9/R del 2011, quanto l’art. 2 del bando del Comune di Torino richiamano i requisiti di cui alla disposizione censurata, sicché si ha «una piena corrispondenza tra la previsione della legge regionale e la discriminazione fatta valere dall’attrice, anche sotto il profilo della “discriminazione indiretta”, in quanto “i requisiti di residenza prolungata costituisc[o]no particolare svantaggio in danno degli stranieri”». Ne consegue che l’art. 3, comma 1, lettera b), della legge reg. Piemonte n. 3 del 2010 «costituisce l’indefettibile presupposto degli atti amministrativi di cui si è chiesto l’accertamento del carattere discriminatorio, con le conseguenti statuizioni ordinatorie e risarcitorie».

1.3.2.− A supporto della non manifesta infondatezza, il giudice rimettente richiama la sentenza n. 44 del 2020 di questa Corte (seguìta dalle sentenze n. 145 e n. 77 del 2023), la quale – nel dichiarare l’illegittimità costituzionale di analogo requisito – ha rilevato che, essendo l’edilizia residenziale pubblica volta a soddisfare un bisogno abitativo, «la condizione di previa residenza protratta dei suoi destinatari non presenta con esso alcuna ragionevole connessione», in quanto non è indice di «alcuna condizione rilevante in funzione del bisogno che il servizio tende a soddisfare»; analogamente, non presenta alcuna connessione «nemmeno la condizione di previa occupazione». Requisiti del genere, si è dunque concluso, si presentano in contrasto con l’art. 3 Cost., sia perché determinano una disparità di trattamento a danno di chi non ne sia in possesso, sia perché contraddicono la funzione sociale propria dell’edilizia residenziale pubblica.

La disposizione censurata, peraltro, sarebbe costituzionalmente illegittima anche sotto altro profilo, in quanto esclude dalla necessità di possedere il requisito residenziale o lavorativo chi è iscritto all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), con ciò introducendo «una distinzione priva di giustificazione rispetto alla funzione del servizio».

2.− La Regione Piemonte si è costituita in giudizio con atto depositato il 21 gennaio 2024, al quale è allegata una relazione della Direzione welfare espressamente richiamata, chiedendo il rigetto della questione di legittimità costituzionale.

2.1.− La difesa regionale sostiene che «l’interpretazione sistematica della normativa piemontese in materia di requisiti per l’accesso all’edilizia sociale evidenzia una sua specificità e unicità che vale a differenziarla “strutturalmente” rispetto a quella di altre regioni».

La normativa regionale, infatti, verrebbe ad ogni modo a garantire la «“prevalenza” delle situazioni di documentata “emergenza abitativa” su ogni altro criterio di selezione, compreso quello di residenza in loco piuttosto che lo svolgimento di attività lavorativa esclusiva in ambito regionale». E ciò in virtù dell’art. 10, comma 5, della legge reg. Piemonte n. 3 del 2010, il quale prevederebbe che il requisito di cui alla disposizione censurata «venga derogato in presenza di situazioni di “emergenza abitativa”» e renderebbe, pertanto, «ontologicamente» ragionevole l’impianto normativo regionale. Secondo la difesa della Regione, la disposizione censurata svolgerebbe anzi «la funzione di “rafforzare”» il principio secondo cui, a fronte di un’emergenza abitativa, non possono essere presi in considerazione eventuali parametri di collegamento con il territorio locale, «atteso che l’unico parametro rilevante e assorbente è costituito da “un algoritmo” di criteri che valorizza la funzione sociale del servizio edilizio pubblico».

Alla luce di quanto rilevato, la Regione Piemonte ritiene possibile una sentenza interpretativa di rigetto che chiarisca «che la mancanza del requisito della residenza quinquennale o lavorativa “in loco” non osta all’accesso della fruizione del servizio di edilizia sociale nella fattispecie in cui l’istante versi in una situazione di c.d. “emergenza abitativa”».

3.− ASGI si è costituita in giudizio, fuori termine, il 27 maggio 2024, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

4.− In prossimità dell’udienza, la Regione Piemonte ha depositato una memoria con la quale ha insistito nel chiedere una «sentenza interpretativa di rigetto o altro dispositivo “manipolativo”».

La difesa regionale ha ribadito, infatti, che nei casi di emergenza abitativa di cui all’art. 10 della legge reg. Piemonte n. 3 del 2010 sono derogabili i requisiti previsti dalla disposizione censurata. Da ciò deriverebbe che il criterio della residenza non costituirebbe «un requisito di accesso all’edilizia residenziale pubblica, bensì un semplice parametro valutativo nell’ambito delle graduatorie che ciascun Comune piemontese svolgerà nell’ambito dei procedimenti ex lege previsti».

Nell’insistere all’udienza pubblica sulle proprie argomentazioni, la difesa regionale ha altresì sottolineato il rilevante «impatto sull’ordine pubblico» della disciplina in questione.

Considerato in diritto

1.− Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Torino, prima sezione civile, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera b), della legge reg. Piemonte n. 3 del 2010, il quale prevede, come requisito per conseguire l’assegnazione di un alloggio di edilizia sociale, «avere la residenza anagrafica o l’attività lavorativa esclusiva o principale da almeno cinque anni nel territorio regionale, con almeno tre anni, anche non continuativi[,] all’interno dell’ambito di competenza degli enti gestori delle politiche socio-assistenziali o essere iscritti all’AIRE».

1.1.− Secondo il giudice rimettente, la disposizione censurata sarebbe analoga ad altre già dichiarate costituzionalmente illegittime da questa Corte con le sentenze n. 145 e n. 77 del 2023 e n. 44 del 2020. Con tale ultima decisione, in particolare, si è affermato che, essendo l’edilizia residenziale pubblica volta a soddisfare un bisogno abitativo, «la condizione di previa residenza protratta dei suoi destinatari non presenta con esso alcuna ragionevole connessione», in quanto non è indice di «alcuna condizione rilevante in funzione del bisogno che il servizio tende a soddisfare»; analogamente, non presenta alcuna connessione «[n]emmeno la condizione di previa occupazione»: di qui il riscontrato contrasto con l’art. 3 Cost.

La disposizione censurata, aggiunge il giudice a quo, sarebbe costituzionalmente illegittima anche sotto altro profilo, in quanto esclude chi è iscritto all’AIRE dalla necessità di possedere il requisito de quo, con ciò introducendo «una distinzione priva di giustificazione rispetto alla funzione del servizio».

2.− In via preliminare, va dato conto che, successivamente all’ordinanza di rimessione, al censurato art. 3, comma 1, lettera b), della legge reg. Piemonte n. 3 del 2010 – la cui formulazione oggetto di censura è frutto della sostituzione operata dall’art. 106, comma 2, della legge della Regione Piemonte 17 dicembre 2018, n. 19 (Legge annuale di riordino dell’ordinamento regionale. Anno 2018) – è stato aggiunto il seguente periodo da parte dell’art. 2, comma 2, della legge della Regione Piemonte 27 febbraio 2024, n. 2, recante «Modifiche alla legge regionale 17 febbraio 2010, n. 3 (Norme in materia di edilizia sociale) e ulteriori disposizioni»: «. Il richiedente deve, comunque, essere residente o prestare attività lavorativa in uno dei comuni dell’ambito territoriale alla data di pubblicazione del bando».

Si tratta, tuttavia, di ius superveniens inidoneo a incidere sul presente giudizio e, in particolare, insuscettibile di determinare la restituzione degli atti al giudice a quo: la nuova disposizione, infatti, non muta in alcun modo il significato normativo della disposizione censurata, che è rimasta inalterata, sicché essa non incide sulle valutazioni in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Torino.

3.− Nel merito, la questione è fondata.

3.1.− La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato che il diritto all’abitazione rientra «fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione», chiamato dunque a garantire un fondamentale diritto sociale che contribuisce «a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana» (sentenze n. 43 del 2022 e n. 217 del 1988; più di recente, nello stesso senso, sentenza n. 28 del 2024).

L’edilizia residenziale pubblica (ERP) costituisce adempimento di questo dovere che la Costituzione pone in capo alla Repubblica, in quanto «è diretta ad assicurare in concreto il soddisfacimento di questo bisogno primario, perché serve a «“garantire un’abitazione a soggetti economicamente deboli nel luogo ove è la sede dei loro interessi” (sentenza n. 176 del 2000), al fine di assicurare un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti (art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), mediante un servizio pubblico deputato alla “provvista di alloggi per i lavoratori e le famiglie meno abbienti” (sentenza n. 168 del 2014)» (sentenza n. 44 del 2020).

3.2.− Nell’esercizio delle proprie competenze in materia, in più occasioni, è avvenuto che taluni legislatori regionali abbiano variamente previsto, per l’accesso all’ERP, requisiti analoghi a quelli censurati dall’ordinanza di rimessione del Tribunale di Torino.

Ogni qualvolta requisiti siffatti sono stati sottoposti al giudizio di legittimità costituzionale di questa Corte, si è ripetutamente e costantemente affermato che «non si ravvisa alcuna ragionevole correlazione fra l’esigenza di accedere al bene casa, ove si versi in condizioni economiche di fragilità, e la pregressa e protratta residenza – comunque la si declini […] – nel territorio regionale» (così, da ultimo, la sentenza n. 67 del 2024). Il requisito della prolungata residenza, infatti, impedisce il soddisfacimento del diritto all’abitazione indipendentemente da ogni valutazione attinente alla situazione di bisogno o di disagio, che non è inciso dalla durata della permanenza nel territorio regionale; non considera che proprio chi versa in stato di bisogno si trasferisce di frequente da un luogo all’altro in cerca di opportunità di lavoro; non è indice di una prospettiva di radicamento (sentenze n. 67 del 2024, n. 145 e n. 77 del 2023, n. 44 del 2020 e n. 166 del 2018). Esso, dunque, proprio perché del tutto sganciato da ogni valutazione sullo stato di bisogno, è «incompatibile con il concetto stesso di servizio sociale, come servizio destinato prioritariamente ai soggetti economicamente deboli» (sentenze n. 9 del 2021 e n. 44 del 2020) ed è perciò costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 3 Cost. sotto un triplice profilo: per intrinseca irragionevolezza, proprio perché trattasi di requisito del tutto non correlato con la funzione propria dell’edilizia sociale; perché determina una ingiustificata diversità di trattamento tra persone che si trovano nelle medesime condizioni di fragilità; e perché tradisce il dovere della Repubblica di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (sentenza n. 67 del 2024).

Costituzionalmente illegittimo, del pari, è stato ritenuto il requisito della previa occupazione protratta, talora previsto in alternativa a quello della residenza prolungata. Neppure tale condizione, infatti, presenta alcuna ragionevole connessione con la ratio dell’ERP, in quanto allo stesso modo configura una soglia rigida di accesso e, pertanto, nega qualsiasi rilievo al bisogno nella concessione del beneficio, comportandone anzi la negazione «proprio ai soggetti economicamente più deboli, in contraddizione con la funzione sociale del servizio» (sentenza n. 44 del 2020). D’altro canto, non si può non riconoscere che è proprio chi versa in stato in bisogno che è portato a trasferirsi da un luogo a un altro, in cerca di un’occupazione che possa garantire a sé e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa (sentenze n. 67 e n. 53 del 2024).

3.2.1.− Né, in senso contrario, è valso rilevare che requisiti del genere sono volti a modulare l’assegnazione degli alloggi sulla base della prospettiva di radicamento nel territorio regionale delle persone che intendono accedere all’ERP, in quanto non è dalla pregressa permanenza in regione che è possibile «inferire una simile prospettiva di radicamento» (sentenza n. 67 del 2024).

La «prognosi di stanzialità» (sentenza n. 44 del 2020), semmai, può essere compiuta in sede di formazione delle graduatorie facendo leva su indici idonei a fondarla, quale potrebbe essere l’anzianità di presenza del richiedente nelle graduatorie stesse, «in quanto circostanza che documenta l’acuirsi della sofferenza sociale dovuta alla mancata realizzazione dell’istanza abitativa» (sentenza n. 67 del 2024). Ciò, peraltro, sempre che le prospettive di stabilità conservino «un carattere meno rilevante rispetto alla necessaria centralità dei fattori significativi della situazione di bisogno alla quale risponde il servizio, quali sono quelli che indicano condizioni soggettive e oggettive dei richiedenti» (sentenza n. 9 del 2021).

3.3.− Alla luce dei princìpi ora richiamati, anche l’odierna disposizione censurata deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima, prevedendo essa, quali requisiti alternativi per conseguire un alloggio sociale, la residenza o l’attività lavorativa pregressa e protratta per almeno cinque anni nel territorio regionale.

Il censurato art. 3, comma 1, lettera b), peraltro, dispone che di tali cinque anni almeno tre, pur non continuativi, siano stati spesi «all’interno dell’ambito di competenza degli enti gestori delle politiche socio-assistenziali». In tal modo, la disposizione qui scrutinata determina una rigidità nell’accesso all’ERP ancora più severa, in quanto restringe ulteriormente la platea delle persone che possono ottenere il soddisfacimento del proprio diritto all’abitazione (sentenza n. 77 del 2023). A venire trattati in maniera ingiustificatamente indifferenziata, infatti, finiscono per essere anche soggetti già radicati sul territorio regionale, ma che tuttavia siano residenti o svolgano attività lavorativa in un ambito territoriale diverso da quello in cui sono avviate le procedure per l’assegnazione dell’alloggio sociale, così comprimendosi addirittura all’interno della stessa Regione, e in maniera del tutto casuale, la libertà di circolazione di persone in stato di bisogno.

4.− Non consente di arrivare a conclusioni diverse quanto sostenuto dalla Regione Piemonte. La difesa regionale afferma che «l’interpretazione sistematica della normativa piemontese in materia di requisiti per l’accesso all’edilizia sociale evidenzia una sua specificità e unicità che vale a differenziarla “strutturalmente” rispetto a quella di altre regioni». L’art. 10, comma 5, della legge reg. Piemonte n. 3 del 2010, infatti, consentirebbe ai comuni di derogare ai requisiti censurati dal Tribunale di Torino «[i]n presenza di situazioni di emergenza abitativa», sicché in tali circostanze l’istante potrebbe ottenere un alloggio sociale pur in mancanza di «parametri di collegamento con il territorio locale»: di qui la richiesta di una «sentenza interpretativa di rigetto».

4.1.− Mostra la fallacia dell’argomento difensivo già la circostanza, precedentemente sottolineata, che l’ERP ontologicamente risponde al compito della Repubblica di garantire il diritto all’abitazione a chi non ha la capacità economica di accedere al mercato, così soddisfacendo un bisogno primario d’ogni persona. Il fatto che la pluralità delle situazioni concrete determini un quadro variegato delle condizioni di disagio, talune eventualmente declinabili in senso di “emergenza abitativa”, non toglie che i potenziali assegnatari degli alloggi sociali siano tutte persone che versano in stato di bisogno, alle quali deve essere assicurata un’esistenza dignitosa.

4.2.− A escludere la praticabilità dell’opzione ermeneutica proposta dalla Regione Piemonte, ad ogni modo, è la circostanza che la supposta deroga ai requisiti in esame abbia un’operatività assai più circoscritta, e soprattutto di ben diversa applicazione, di quanto sostenga la difesa regionale.

Ai sensi dell’art. 10, commi 1 e 2, della legge reg. Piemonte n. 3 del 2010, infatti, l’istituto della “emergenza abitativa” consente sì ai comuni di soddisfare il diritto all’abitazione «al di fuori delle graduatorie» (comma 1), ma sempre che sussistano «i requisiti prescritti dall’articolo 3» (comma 2). Anche nei casi di “emergenza abitativa”, pertanto, il richiedente deve essere in possesso dei requisiti di cui alla disposizione censurata.

La deroga a questi ultimi, cui si riferisce la difesa regionale, invece, opera soltanto quando «sussistono condizioni di particolare urgenza accertate dal comune»; ma “particolare urgenza” e “emergenza abitativa” non sono concetti giuridicamente sovrapponibili, tanto che, e significativamente, la prima abilita l’amministrazione ad effettuare soltanto «sistemazioni provvisorie che non possono eccedere la durata di due anni, non prorogabili o rinnovabili» (art. 10, comma 5). A ben vedere, dunque, non si versa in ipotesi di assegnazione di alloggi in deroga ai contestati requisiti, bensì di semplici sistemazioni provvisorie, effettuate sì a prescindere dalla sussistenza dei predetti requisiti ma per un periodo di tempo contenuto e delimitato.

A ulteriore riprova di ciò, si consideri che le ipotesi di “emergenza abitativa” sono indicate dall’art. 6 del regolamento regionale 4 ottobre 2011, n. 12/R, recante «Regolamento delle procedure di assegnazione degli alloggi di edilizia sociale, in attuazione dell’articolo 2, comma 5, della legge regionale 17 febbraio 2010, n. 3 (Norme in materia di edilizia sociale)», ed esse denotano ancor più quanto limitato sia l’ambito di applicazione della pretesa deroga su cui fa leva la Regione Piemonte: è infatti soltanto in presenza di una di queste tassative situazioni – la valutazione della cui sussistenza, così come della «particolare urgenza», è rimessa in concreto al comune – che può procedersi alla “sistemazione” in un alloggio sociale, provvisoria e non prorogabile né rinnovabile, a persone che non abbiano i requisiti di cui alla disposizione censurata.

5.− L’art. 3, comma 1, lettera b), della legge reg. Piemonte n. 3 del 2010 – come sostituito dall’art. 106, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 19 del 2018 – va dichiarato pertanto costituzionalmente illegittimo limitatamente alle parole «da almeno cinque anni» e «con almeno tre anni, anche non continuativi all’interno dell’ambito di competenza degli enti gestori delle politiche socio-assistenziali».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera b), della legge della Regione Piemonte 17 febbraio 2010, n. 3 (Norme in materia di edilizia sociale) – come sostituito dall’art. 106, comma 2, della legge della Regione Piemonte 17 dicembre 2018, n. 19 (Legge annuale di riordino dell’ordinamento regionale. Anno 2018) – limitatamente alle parole «da almeno cinque anni» e «con almeno tre anni, anche non continuativi all’interno dell’ambito di competenza degli enti gestori delle politiche socio-assistenziali».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472