SENTENZA N. 26
ANNO 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 5 maggio 2023, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di assistenza primaria), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 28 giugno 2023, depositato in cancelleria il 3 luglio 2023, iscritto al n. 22 del registro ricorsi 2023 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2023.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma della Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 23 gennaio 2024 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;
uditi l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Sonia Sau per la Regione autonoma della Sardegna;
deliberato nella camera di consiglio del 23 gennaio 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 28 giugno 2023 e depositato il successivo 3 luglio 2023 (reg. ric. n. 22 del 2023), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 5 maggio 2023, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di assistenza primaria) per lesione delle competenze statutarie di cui agli artt. 3, 4 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), della competenza statale esclusiva nella materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, nonché del principio di uguaglianza posto dall’art. 3 Cost.
1.1.– La disposizione regionale impugnata stabilisce: «[è] autorizzato, nelle more dell’approvazione dell’accordo integrativo regionale di categoria, l’innalzamento del massimale fino al limite massimo di 1.800 scelte, su base volontaria, per i medici del ruolo unico dell’assistenza primaria che operano in aree disagiate individuate dalla Regione nelle quali tale innalzamento si rende necessario per garantire l’assistenza».
1.2.– Il ricorrente premette che la disciplina del massimale di assistiti per ciascun medico del ruolo unico dell’assistenza primaria su cui interviene la disposizione regionale impugnata è dettata dall’art. 38 dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni ed integrazioni – Triennio 2016-2018, del 28 aprile 2022 (da ora: ACN), che, ai commi 1 e 2, stabilisce: «1. I medici del ruolo unico di assistenza primaria iscritti negli elenchi possono acquisire un numero massimo di scelte pari a 1.500 unità. Eventuali deroghe al massimale possono essere autorizzate in relazione a particolari situazioni locali, ai sensi dell’articolo 48, comma 3, punto 5, della Legge 833/78, per un tempo determinato, non superiore comunque a sei mesi. 2. In attuazione della programmazione regionale, l’AIR [Accordo integrativo regionale] può prevedere l’innalzamento del massimale di cui al comma 1 fino al limite massimo di 1.800 scelte esclusivamente per i medici che operano nell’ambito delle forme organizzative multiprofessionali del ruolo unico di assistenza primaria, con personale di segreteria e infermieri ed eventualmente altro personale sanitario, per assicurare la continuità dell’assistenza, come previsto dall’articolo 35, comma 5, e/o in aree disagiate individuate dalla Regione nelle quali tale innalzamento si rende necessario per garantire l’assistenza».
1.3.– Allo scopo di comprendere le censure promosse nei confronti della disposizione regionale impugnata, la difesa statale procede a una ricognizione della disciplina che regola il rapporto in convenzione tra il Servizio sanitario nazionale e i medici di medicina generale.
In proposito, rappresenta che già l’art. 48 (Personale a rapporto convenzionale) della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) ha stabilito, al primo comma, che «[l]’uniformità del trattamento economico e normativo del personale sanitario a rapporto convenzionale è garantita sull’intero territorio nazionale da convenzioni, aventi durata triennale, del tutto conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati tra il Governo, le regioni e l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in campo nazionale di ciascuna categoria».
La difesa statale evidenzia, altresì, che la delineata struttura di regolazione del rapporto convenzionale in oggetto è stata confermata dall’art. 8, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e dall’art. 2-nonies del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 26 maggio 2004, n. 138.
Il ricorrente rileva che, alla stregua delle illustrate disposizioni statali, «la disciplina del rapporto di lavoro del personale medico di medicina generale in regime di convenzione, sebbene sia di natura professionale, risulta demandata all’intervento della negoziazione collettiva, il cui procedimento è stato modellato dal legislatore con espresso richiamo a quello previsto per la contrattazione collettiva dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”) per il personale della pubblica amministrazione il cui rapporto è stato privatizzato. In materia di rapporto tra i diversi livelli di negoziazione collettiva (nazionale, regionale e aziendale) assume particolare rilievo il richiamo, ad opera dall’articolo 4 della legge n. 412 del 1991, all’articolo 40 (“Contratti collettivi nazionali e integrativi”) del d.lgs. n. 165 del 2001».
L’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce che la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, e dispone, a garanzia del rispetto di tali stringenti vincoli, la nullità e l’inapplicabilità di clausole dei contratti collettivi integrativi difformi dalle previsioni del livello nazionale.
L’Avvocatura generale dello Stato rappresenta che in attuazione delle ricordate disposizioni statali, i rapporti di lavoro dei medici di medicina generale sono stati quindi disciplinati dall’ACN che, a sua volta, individua gli specifici aspetti rimessi alla definizione della negoziazione regionale.
1.4.– Secondo il ricorrente, dal delineato quadro normativo emerge con chiarezza «come alle Regioni sia preclusa l’adozione di una normativa che incida su un rapporto di lavoro già sorto e, nel regolarne il trattamento giuridico ed economico, di sostituirsi alla contrattazione collettiva, fonte imprescindibile di disciplina (cfr. Corte Costituzionale, sentenze n. 20 del 2021; n. 157/2019; n. 153/2021)». In particolare, viene menzionato quanto affermato nella sentenza n. 157 del 2019 in ordine alla natura del rapporto in convenzione dei medici di medicina generale e alla riconducibilità della relativa disciplina all’ordinamento civile in base alle disposizioni statali richiamate e al rinvio da esse disposto come fonte regolatrice all’autonomia collettiva.
Pertanto, la difesa statale sostiene che la disposizione impugnata costituisce esercizio di una competenza che esula da quelle riconosciute al legislatore regionale dalla legislazione statale di riferimento, in quanto «autorizza una deroga in aumento al numero massimo di assisiti, sostituendosi alle previsioni della contrattazione integrativa e, al contempo, discostandosi da quelle della contrattazione collettiva nazionale» di cui all’art. 38 ACN, in quanto il comma 2 riserva all’AIR la possibilità di innalzare a 1.800 assistiti il massimale fissato in 1.500 dal comma 1 del medesimo articolo.
Risulterebbe evidente, quindi, che la norma regionale impugnata, nel disporre l’innalzamento del massimale in questione, avrebbe violato le norme della contrattazione collettiva nazionale sostituendosi alla contrattazione integrativa.
1.5.– In definitiva, ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata innanzitutto eccederebbe le competenze statutarie attribuite alla Regione autonoma dagli artt. 3, 4 e 5 dello statuto; sarebbe quindi lesiva dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto la determinazione del massimale di assistiti per ciascun medico di assistenza primaria, quale aspetto del relativo rapporto di lavoro riconducibile alla materia «ordinamento civile» è rimessa alla contrattazione collettiva dalle menzionate disposizioni statali evocate come parametri interposti; infine, comporterebbe la «violazione dell’esigenza connessa al precetto costituzionale di eguaglianza (articolo 3, Cost.), di garantire l’uniformità, sul territorio nazionale, delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti in questione».
2.– La Regione autonoma della Sardegna si è costituita in giudizio con atto depositato il 2 agosto 2023, chiedendo di dichiarare il ricorso inammissibile o, comunque, non fondato.
A sostegno, la Regione resistente premette alcune considerazioni.
Innanzitutto, evidenzia che «già per la sua conformazione territoriale, caratterizzata da pochi grandi centri urbani e molteplici paesi sparsi in un vasto territorio, lontani e mal collegati, situati anche su isole minori e in montagna, ha strutturalmente difficoltà a garantire l’assistenza primaria nelle aree disagiate».
Rileva poi che il decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, nell’introdurre disposizioni per accedere alla pensione anticipata, ha «ridotto drammaticamente il numero di medici in servizio, aggravando ulteriormente la situazione, e il Covid ha ulteriormente reso poco attrattiva la scelta, da parte dei medici, della formazione in medicina generale e, comunque, di tale tipologia di incarico».
In tale contesto, la difesa della resistente rappresenta che «[l]a Regione, pertanto, nelle more dell’adozione del nuovo AIR, i cui tavoli sono stati già avviati – nel quale verrà inserita la disciplina strutturale di cui al comma 2 dell’art. 38 dell’ACN – ha esercitato la facoltà concessa dal comma 1 del predetto articolo, ai sensi dell’art. 48 della L. 833 del 1978, e in conformità all’art. 32 della Costituzione», prevedendo, per tale periodo di tempo, che i medici che operano nelle aree disagiate possano chiedere di essere autorizzati a superare il massimale di 1.500.
Secondo la difesa regionale sarebbe evidente l’autonomia dei due commi della predetta disposizione dell’ACN «dal momento che il primo consente alle regioni di far fronte a situazioni contingenti, per un periodo limitato, mediante l’innalzamento del massimale che venga ritenuto più confacente alla situazione. Nel caso de quo la Regione Sardegna, valutata la situazione delle zone carenti, ha discrezionalmente ritenuto di adottare il massimale di 1.800. Il secondo comma, invece, prevede che sulla base della programmazione regionale possa essere previsto nell’AIR, in via strutturale quindi senza limiti di tempo, il massimale di 1.800 assistiti per le sole “categorie” di medici ivi indicate».
Sulla scorta della prospettata esegesi delle disposizioni contrattuali in oggetto, la difesa regionale assume che «[e]rra quindi la ricorrente laddove eccepisce l’illegittimità della disposizione regionale impugnata sulla base del combinato disposto di tali autonomi commi dell’art. 38 dell’ACN, posto che il secondo non è una specificazione del primo ma contiene un’autonoma disciplina». Ne conseguirebbe che il legislatore regionale non si sarebbe appropriato di una disciplina rimessa alla contrattazione collettiva, «dal momento che ha esercitato la facoltà di cui all’art. 38 dell’ACN, che consente alle regioni di prevedere una deroga temporanea ai massimali di assistiti con strumenti diversi dall’AIR, al quale è invece riservata la deroga, di entità prestabilita e senza limiti di tempo, di cui al comma 2».
2.1.– La resistente conclude, pertanto, per la declaratoria di inammissibilità e/o non fondatezza del ricorso, assumendo che «nella sostanza, è incentrato sulla violazione dell’art. 38, comma 2 dell’ACN, che disciplina le deroghe al massimale rimesse all’AIR, mentre nulla dice sul corretto utilizzo, da parte della Regione, della deroga temporanea di cui al comma 1».
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 22 del 2023), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 5 del 2023, per lesione delle competenze statutarie attribuite alla Regione autonoma dagli artt. 3, 4 e 5 dello statuto, della competenza legislativa statale esclusiva nella materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., nonché del principio di uguaglianza posto dall’art. 3 Cost.
L’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 5 del 2023 stabilisce: «[è] autorizzato, nelle more dell’approvazione dell’accordo integrativo regionale di categoria, l’innalzamento del massimale fino al limite massimo di 1.800 scelte, su base volontaria, per i medici del ruolo unico dell’assistenza primaria che operano in aree disagiate individuate dalla Regione nelle quali tale innalzamento si rende necessario per garantire l’assistenza».
Ad avviso del ricorrente la predetta disposizione incide su un aspetto, quale quello costituito dalla determinazione del massimale di assistiti di ciascun medico del ruolo unico dell’assistenza primaria, che fa parte della disciplina del trattamento economico e normativo del predetto personale sanitario, demandata dalla legislazione statale alla fonte negoziale collettiva.
Nella fattispecie l’art. 38, commi 1 e 2, ACN dei medici di medicina generale del 28 aprile 2022 stabilisce, a livello nazionale, il massimale in 1.500 assistiti per ciascun medico e demanda alla fonte negoziale di secondo livello, ovvero agli AIR, la possibilità di incrementare tale massimale fino a 1.800 assistiti, ove ricorrano determinate condizioni.
1.1.– Nel richiamare la giurisprudenza costituzionale che ha ricondotto la disciplina del rapporto convenzionale in oggetto alla materia «ordinamento civile» (sono citate le sentenze n. 153 e n. 20 del 2021, e n. 157 del 2019), il ricorrente deduce la illegittimità costituzionale della disposizione impugnata sotto plurimi profili.
Innanzitutto, sarebbero violate le competenze statutarie della Regione autonoma Sardegna di cui agli artt. 3, 4 e 5, poiché la disposizione impugnata interviene sulla disciplina del rapporto di lavoro dei medici del ruolo unico di assistenza primaria che esula dalle predette competenze.
Sarebbe leso, quindi, l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto la determinazione del massimale di assistiti per ciascun medico di assistenza primaria, quale aspetto del relativo rapporto di lavoro riconducibile alla materia «ordinamento civile» riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, è rimessa alla contrattazione collettiva dalle disposizioni statali evocate come parametri interposti (art. 48 della legge n. 833 del 1978; art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992; art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001; art. 2-nonies del d.l. n. 81 del 2004, come convertito; art. 38, commi 1 e 2, del menzionato ACN).
Infine verrebbe altresì violato l’art. 3 Cost., poiché la disposizione impugnata determinerebbe una violazione del principio di uguaglianza che si realizza attraverso la garanzia dell’uniformità sul territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano il rapporto convenzionale dei medici del ruolo unico dell’assistenza primaria.
1.2.– La Regione autonoma Sardegna – premesse brevemente le ragioni dell’intervento normativo, individuate nella strutturale difficoltà che essa incontra nell’assicurare l’assistenza primaria a causa delle caratteristiche del territorio regionale e della riduzione del personale medico disponibile – nel merito prospetta una esegesi dei commi 1 e 2 dell’art. 38 ACN, che consentirebbe comunque alla Regione di intervenire in via legislativa nei termini di cui al censurato intervento regionale che risulterebbe, pertanto, legittimo.
2.– Le questioni non sono fondate.
3.– Il problema dell’individuazione della materia di competenza cui ricondurre la disposizione impugnata va esaminato e risolto alla luce dei più recenti approdi della giurisprudenza di questa Corte.
La sentenza n. 124 del 2023 ha affermato che «per individuare la materia cui ricondurre la norma impugnata occorre tener conto della sua ratio, della finalità che persegue e del suo contenuto, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, in modo da identificare precisamente l’interesse tutelato, secondo il cosiddetto criterio di prevalenza».
In applicazione di tale criterio la predetta pronuncia, e già prima la sentenza n. 112 del 2023, hanno escluso che le disposizioni regionali, impugnate nei rispettivi giudizi in via principale, comportassero la dedotta violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile in quanto afferenti a profili del rapporto in convenzione dei medici di medicina generale, poiché hanno ritenuto che fossero invece dettate in via prioritaria da esigenze organizzative producenti «effetti secondari sull’andamento dei rapporti convenzionali».
Nello specifico, con la sentenza n. 124 del 2023, relativa a un intervento normativo della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, che ha previsto un criterio preferenziale ai fini del trasferimento dei medici convenzionati ulteriore rispetto a quelli fissati dalla contrattazione collettiva, questa Corte ha affermato che «la disposizione regionale ha anzitutto una ratio organizzativa, in funzione di tutela della salute, che persegue cercando di assicurare la medicina di prossimità anche agli abitanti delle zone carenti».
In termini analoghi si è espressa la citata sentenza n. 112 del 2023, concernente una disposizione della Regione Veneto che incideva su modalità di impiego di medici specializzandi presso le strutture ospedaliere di emergenza-urgenza. In tale decisione si è difatti affermato che «[i]n questo modo, il legislatore regionale appronta un rimedio organizzativo straordinario finalizzato a garantire la continuità assistenziale in un settore nevralgico, come quello della medicina di emergenza, altrimenti pregiudicato dalla carenza di personale sanitario», e che la disposizione impugnata «investe, quindi, un ambito strettamente inerente all’organizzazione sanitaria, la quale, come ripetutamente affermato […] costituisce componente fondamentale della tutela della salute (ex aliis, sentenze n. 113 e n. 9 del 2022, n. 192 del 2017)».
4.– Venendo alla fattispecie in esame, questa Corte rileva che il limite del massimale è un profilo fortemente condizionato da esigenze correlate alla organizzazione del servizio sanitario funzionale alla tutela della salute.
Pertanto, a fronte di un accordo collettivo nazionale che consente all’AIR di derogare al massimale, incrementandolo sino a 1.800 assistiti, al fine di assicurare l’assistenza primaria a chi vive in aree disagiate, l’intervento regionale si limita a integrare nelle more dell’approvazione dell’AIR, dunque con un regime temporaneo, la disciplina convenzionale, nel rispetto della cornice di principio fissata dall’ACN.
La negoziazione collettiva relativa alla disciplina del rapporto in convenzione dei medici dell’assistenza primaria deve, dunque, necessariamente confrontarsi con gli effetti che essa produce nei confronti del diritto dei cittadini alla tutela della salute, in attuazione dell’art. 32 Cost.
In tale prospettiva, la disposizione impugnata persegue la prioritaria finalità di contribuire, attraverso l’incremento del massimale, ad assicurare l’assistenza sanitaria di base ai cittadini di aree disagiate della Regione autonoma Sardegna, così sopperendo, in attesa della definizione dell’AIR, alle maggiori criticità che si sono presentate a livello locale, attestate dai lavori preparatori dell’iniziativa legislativa ed enunciate nell’atto di costituzione in giudizio della stessa Regione.
La circostanza che l’intervento normativo in esame disponga, nelle more dell’approvazione dell’AIR di categoria, l’innalzamento del massimale fino al limite di 1.800 – scelte che l’AIR stesso può prevedere ai sensi dell’art. 38, comma 2, ACN –, ne attesta il carattere contingente e temporaneo in funzione di raccordo con l’assetto che verrà definito in via strutturale dalla negoziazione collettiva di secondo livello.
Ciò anche tenendo conto dei tempi necessari per la definizione dell’AIR, posto che l’art. 3, comma 4, ACN prevede che «[l]e Regioni e le organizzazioni sindacali firmatarie del presente Accordo si impegnano a definire gli Accordi Integrativi Regionali entro il termine di cui al successivo art. 8, comma 3» ovvero entro dodici mesi decorrenti dagli atti di programmazione di cui al comma 2 del medesimo art. 8, che a loro volta vanno definiti dalle regioni entro sei mesi dall’entrata in vigore dell’ACN.
La fisiologica, consistente durata del predetto percorso negoziale – e, in ipotesi, il suo prolungarsi – potrebbero invero comportare il rischio di lasciare senza assistenza primaria la platea di cittadini di aree disagiate della Regione autonoma Sardegna per un considerevole lasso di tempo.
Né, a tal fine, risulta adeguata la ricordata possibilità, prevista dall’art. 38, comma 1, secondo periodo, ACN, di operare un incremento del massimale definito a livello nazionale, a motivo sia del limitato ambito temporale (non superiore comunque a sei mesi) da esso consentito per la deroga, sia perché l’intervento normativo assume, come è evidente, una dimensione ben più ampia e generalizzata.
5.– In definitiva la ratio, la finalità e i contenuti della disposizione impugnata conducono a identificare l’interesse da essa tutelato in via prioritaria nell’esigenza di organizzare il servizio sanitario regionale in modo da non lasciare i cittadini sprovvisti di assistenza medica di base.
Con l’intervento in esame, la Regione autonoma Sardegna appresta, difatti, una soluzione di tipo organizzativo che trova la sua radice nel diritto tutelato dall’art. 32 Cost., in attesa della definizione dell’AIR di cui, comunque, non pregiudica gli esiti, laddove gli effetti prodotti sull’andamento dei rapporti in convenzione dalla disposizione impugnata possono essere considerati circoscritti, tenuto anche conto che il possibile incremento del massimale per ciascun medico convenzionato avviene «su base volontaria».
Si è, dunque, in presenza di un’esigenza analoga a quella già posta da questa Corte a fondamento delle ricordate sentenze n. 124 e n. 112 del 2023.
Per tali ragioni, la disposizione impugnata, per la sua finalità e i suoi intrinseci contenuti, va considerata esercizio della competenza legislativa concorrente della Regione autonoma Sardegna nella materia «tutela della salute», in riferimento ai profili organizzativi dell’assistenza primaria.
Non è pertanto fondata la censura relativa alla lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile».
6.– La riscontrata non fondatezza della predetta censura comporta anche quella delle ulteriori e correlate questioni riferite agli artt. 3 Cost. e 5 dello statuto.
Invero la dedotta violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. non assume una propria autonoma funzione, rappresentando il mero riflesso della denuncia di lesione della competenza legislativa esclusiva statale (ex plurimis, sentenze n. 124 e n. 112 del 2023, e n. 6 del 2022), così come, parimenti, la censura riferita all’art. 5 dello statuto difetta di una motivazione indipendente da quella relativa alla violazione degli artt. 3 e 4 dello statuto stesso.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 5 maggio 2023, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di assistenza primaria), promosse, in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, nonché agli artt. 3, 4 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2024.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2024
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA