Corte Costituzionale, Sentenza n.28 del 27/02/2024

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SENTENZA N. 28

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 633 del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, nel procedimento a carico di E.P. L. e altri, con ordinanza del 17 aprile 2023, iscritta al n. 74 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 febbraio 2024 il Giudice relatore Stefano Petitti;

deliberato nella camera di consiglio del 6 febbraio 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, con ordinanza del 17 aprile 2023, iscritta al n. 74 del registro ordinanze 2023, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 42 e 47 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 633 del codice penale, «nella parte in cui si applica anche all’invasione a scopo abitativo di edifici in stato di abbandono da più anni».

2.– Il giudice a quo riferisce che il processo pendente riguarda la posizione di quattro imputati citati a giudizio per rispondere del reato di invasione di edifici. L’istruttoria dibattimentale avrebbe dimostrato la commissione del fatto quanto meno per tre degli imputati. Un testimone aveva esposto che l’immobile occupato era un edificio «enorme in stato di abbandono, con un grande terreno circostante», al cui interno erano state «rinvenute numerose persone, tra cui gli attuali imputati, oltre a masserizie varie».

Nell’ordinanza di rimessione è riassunta la deposizione di un teste, secondo cui gli occupanti avevano ricavato nell’immobile dei «veri e propri spazi abitativi, divisi per famiglie» ed erano presenti, in particolare, sette nuclei familiari, comprensivi di bambini in tenera età. Al momento dell’intervento operato dalle forze dell’ordine, le persone rinvenute nell’edificio si erano mostrate tranquille e collaboranti, ed avevano unicamente dichiarato «di non avere altro posto in cui potersi recare». Lo sgombero era stato effettuato spontaneamente dagli occupanti a distanza di qualche giorno dall’accertamento dei fatti.

Il rimettente ha posto in evidenza che l’edificio era destinato ad uso abitativo, che lo stesso versava in stato di abbandono all’incirca dal 2000, che il liquidatore della società immobiliare proprietaria del bene non aveva nemmeno visionato lo stabile, né sapeva della sua occupazione prima di esserne informato dalla Polizia di Stato.

Tuttavia, ad avviso del giudice a quo, doveva escludersi che gli imputati versassero in stato di necessità, avendo la giurisprudenza di legittimità ritenuto, con riguardo ad analoghe fattispecie, che difetti il connotato di attualità del pericolo, di per sé incompatibile con «tutte quelle situazioni di pericolo non contingenti caratterizzate da una sorta di cronicità essendo datate e destinate a protrarsi nel tempo». Si sarebbe, quindi, in presenza di un pericolo non attuale, ma «permanente proprio perché l’esigenza abitativa – ove non sia transeunte […] – necessariamente è destinata a prolungarsi nel tempo».

In sostanza, osserva il rimettente, gli imputati avevano inteso risolvere con l’occupazione dell’immobile altrui non una situazione eccezionale e transitoria, quanto un duraturo bisogno di abitazione.

Il Tribunale precisa che nella fattispecie in esame ricorrerebbe anche l’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 633 cod. pen., come delineato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione proprio in ipotesi di occupazione di immobili altrui in stato di abbandono (non essendo configurabile una dismissione del diritto di proprietà).

Sussistendo, pertanto, gli estremi del reato di invasione di edifici, il Tribunale di Firenze si è interrogato sulla legittimità costituzionale dell’art. 633 cod. pen. in riferimento agli artt. 2, 3, 42 e 47 Cost.

3.– In punto di non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente, ricollegandosi all’elaborazione risultante dalla giurisprudenza di questa Corte che include il diritto all’abitazione nel catalogo dei diritti inviolabili e tra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione, così considera il suo oggetto un bene di primaria importanza.

Il Tribunale di Firenze ha, quindi, richiamato il diritto di proprietà privata, tutelato dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, traendo spunto dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di limitazioni del diritto di proprietà del locatore consentite per esigenze di interesse generale della comunità e per la salvaguardia dei diritti del conduttore e, tuttavia, dubita dell’applicabilità di tali principi in favore di proprietari di immobili che siano lasciati per un lungo periodo di tempo in condizioni di abbandono.

L’asserto del rimettente è che «[n]el caso di immobili per tanto tempo inutilizzati, lasciati in totale stato di abbandono», la funzione sociale della proprietà «scompare», e anzi gli immobili stessi divengono «fonte di rischi e pregiudizi per l’ambiente circostante», nonché possibili cause di «alterazione dell’assetto urbanistico del territorio programmato dalle autorità».

L’ordinanza di rimessione sostiene, inoltre, che lo stato di abbandono degli immobili «appare tanto più irrispettoso della prevista funzione sociale della proprietà privata ove si consideri la persistente emergenza abitativa che connota la realtà italiana».

La «carenza di soluzioni abitative dignitose per le fasce meno abbienti della popolazione» riceverebbe significativa conferma dai plurimi interventi legislativi volti a fronteggiare il disagio nella reperibilità di alloggi.

Il Tribunale di Firenze osserva, così, che «[i]n tale contesto, se è forse legittimo accordare comunque una tutela sul piano civilistico ai proprietari di immobili lasciati in stato di abbandono contro eventuali occupazioni abusive, appare irragionevole perseguire queste ultime anche penalmente».

Sembra al rimettente irragionevole «incriminare la condotta di chi – per soddisfare un bisogno fondamentale, oggetto di un diritto inviolabile che il nostro Stato democratico dovrebbe garantire – occupi un immobile (eventualmente anche a destinazione teorica abitativa, come nel caso di specie), ma concretamente lasciato dal proprietario da anni in stato di abbandono».

Né, infine, sarebbe possibile pervenire ad una interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 633 cod. pen., emergendo dalla costante applicazione giurisprudenziale l’attribuzione di rilevanza penale alla condotta di chi occupi, anche se per finalità abitative, edifici in stato di abbandono.

4.– Ha depositato atto di intervento nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

L’Avvocatura generale sottolinea che la disposizione censurata è posta a salvaguardia dell’inviolabilità del patrimonio immobiliare, pubblico o privato, nei confronti di atti diretti a turbare il rapporto di fatto sui beni, instaurato sia dal proprietario che da terzi.

Con il termine «altrui» viene ampliato l’oggetto della tutela, costituito non solo dal diritto di proprietà, ma da ogni altro rapporto con l’immobile, instaurato anche da soggetto diverso dal proprietario, comunque interessato allo stesso modo alla libertà e alla integrità del bene.

Inoltre, la fattispecie incriminatrice persegue condotte che necessariamente evocano un quid pluris rispetto al semplice ingresso arbitrario nell’immobile, denotando una turbativa riconducibile ad una sorta di “spoglio funzionale”, idoneo a comprimere, in tutto o in parte, le facoltà di godimento o la destinazione del bene.

Quanto ai parametri evocati dal rimettente, la difesa statale rileva che l’art. 47 Cost. favorisce l’accesso alla «proprietà» della casa e non all’abitazione in quanto tale, ottenuta attraverso un’illecita occupazione. Né l’art. 2 Cost. offrirebbe tutela ad un diritto all’abitazione in qualsiasi forma procurato. Inoltre, l’art. 42 Cost. non consentirebbe di dare risposta al disagio abitativo, trasformando la proprietà privata in un servizio pubblico.

L’Avvocatura sostiene che gli imputati non potrebbero neanche lamentare alcuna irragionevole limitazione di un diritto riconosciuto dal legislatore, né invocare una pretesa di conservazione dell’alloggio (che non viene messa in discussione dalla norma penale, ma semmai dalle regole civilistiche volte a tutelare in via restitutoria e risarcitoria i diritti di proprietà).

L’ordinanza di rimessione mirerebbe, dunque, ad una pronuncia additiva che escluda la punibilità di un reato a tutela del patrimonio individuale, attribuendo all’occupante un inedito diritto all’accesso all’abitazione.

La ricostruzione operata dal giudice a quo, secondo l’Avvocatura, non sarebbe nemmeno in linea con l’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo offerta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: la nozione europea di diritto alla casa si risolve in una pretesa di conservazione di un alloggio che è già nella disponibilità dell’interessato e non nel garantire – o, come nel caso di specie, nel giustificare – l’accesso indiscriminato (o addirittura penalmente rilevante) ad una abitazione.

La difesa statale confuta anche l’invocazione della funzione sociale della proprietà come giustificazione della disapplicazione di una norma penale. Sarebbe inadeguato altresì il riferimento all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, in quanto con le sollevate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 633 cod. pen., non verrebbe in gioco il conflitto civilistico tra interessi dominicali ed esigenze abitative, quanto la punibilità di una condotta, perseguita per esigenze di interesse pubblico ulteriori rispetto a quelle del proprietario privato.

Il petitumdell’ordinanza di rimessione, avverte ancora l’Avvocatura, postulerebbe una irragionevole e indeterminata estensione del perimetro di non punibilità della condotta, in maniera da abbracciare tutte le ipotesi di «invasione a scopo abitativo di edifici in stato di abbandono da più anni», introducendo due elementi negativi nella fattispecie, id est «lo stato di abbandono da più anni» e lo «scopo abitativo».

Da ultimo, la difesa statale osserva che il Tribunale di Firenze non riconduce – e, anzi, positivamente esclude una simile soluzione nel caso sottoposto alla sua cognizione – la questione nell’alveo delle cause di giustificazione, in maniera da scriminare eventualmente la condotta in base allo stato di necessità ex art. 54 cod. pen.; né opera un giudizio di proporzionalità in concreto tra l’abbandono dell’immobile, che potrebbe deporre per una attenuazione dell’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, e la finalità abitativa, che potrebbe aver motivato in via esclusiva il reo.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 42 e 47 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 633 cod. pen., «nella parte in cui si applica anche all’invasione a scopo abitativo di edifici in stato di abbandono da più anni».

2.– Il giudice a quo riferisce che il processo pendente riguarda la posizione di quattro imputati citati a giudizio per rispondere del reato di invasione di edifici. L’istruttoria dibattimentale avrebbe dimostrato che: l’edificio occupato era destinato ad uso abitativo; lo stesso versava in stato di abbandono all’incirca dal 2000; il liquidatore della società immobiliare proprietaria non aveva nemmeno visionato lo stabile, né sapeva della sua occupazione prima di esserne informato dalla Polizia di Stato; all’interno del medesimo fabbricato erano state rinvenute numerose persone, tra cui gli imputati, i quali avevano ricavato nell’immobile spazi abitativi; al momento dell’accertamento, erano presenti sette nuclei familiari, comprensivi di bambini in tenera età.

Escluso che gli imputati versassero in stato di necessità, essendosi in presenza di un pericolo non attuale, ovvero imminente, quanto «permanente», giacché correlato ad un’esigenza abitativa destinata a prolungarsi nel tempo, il Tribunale di Firenze, ritenuti altresì sussistenti gli elementi soggettivo e oggettivo del reato di invasione di edifici, si è quindi interrogato sulla legittimità costituzionale dell’art. 633 cod. pen. in riferimento agli indicati parametri.

3.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente premette che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il diritto all’abitazione costituisce un diritto fondamentale della persona. Dubita, quindi, che la funzione sociale della proprietà sia rispettata nel caso in cui il titolare lasci il proprio immobile per un lungo periodo di tempo in condizioni di abbandono, considerandosi altresì la persistente emergenza abitativa che connota la realtà italiana.

Il Tribunale ha così osservato che, ove pure sia legittimo riconoscere la tutela civilistica al proprietario di un immobile lasciato in stato di abbandono, contro una eventuale occupazione abusiva, sarebbe irragionevole perseguire quest’ultima anche penalmente, vieppiù ove tale condotta sia attribuibile a chi abbia agito per soddisfare un bisogno fondamentale, quale quello abitativo. Sarebbero, quindi, violati gli artt. 2, 3, 42 e 47 Cost.

Da ultimo, il rimettente esclude la praticabilità di una interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 633 cod. pen., emergendo dalla costante applicazione giurisprudenziale l’attribuzione di rilevanza penale alla condotta di chi occupi edifici in stato di abbandono.

4.– Le questioni non sono fondate.

5.– L’art. 633 cod. pen. punisce, a querela della persona offesa, la condotta di «[c]hiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto». Nel secondo comma, l’art. 633 cod. pen. prevede una ipotesi aggravata, per la quale si procede d’ufficio, nel caso in cui il fatto sia commesso da più di cinque persone o da persona palesemente armata.

Secondo un consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, la nozione di «invasione», elemento tipico della fattispecie in questione, postula non modalità esecutive violente o l’uso di una forza soverchiante, quanto un accesso arbitrario, senza autorizzazione del titolare, e perciò solo illecito, nella proprietà altrui. La conseguente «occupazione» costituisce, poi, l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione; sicché, ove essa si protragga nel tempo, il delitto rivela natura permanente (tra le tante, Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenze 27 marzo-8 luglio 2019, n. 29657 e 11 novembre-14 dicembre 2016, n. 53005).

Il reato di cui all’art. 633 cod. pen. viene quindi inteso come volto a perseguire una condotta di “spoglio funzionale”, che sia idonea a comprimere, in tutto o in parte, le facoltà di godimento e destinazione del bene spettanti al titolare dello iusexcludendialios.

6.– L’ordinanza di rimessione, pur senza specificare quando avesse avuto inizio l’occupazione dell’edificio, conclude che le condotte sono state perpetrate «in assenza di uno stato di necessità ex art. 54 c.p.», facendo difetto il connotato di attualità del pericolo; pericolo da intendersi, piuttosto, «permanente proprio perché l’esigenza abitativa – ove non sia transeunte […] – necessariamente è destinata a prolungarsi nel tempo».

Il profilo cronologico delle condotte contestate potrebbe rivestire un rilievo decisivo, giacché la stessa Corte di cassazione - ispirandosi alla giurisprudenza di questa Corte che colloca il diritto all’abitazione «fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione» (ex multis, sentenze n. 145 del 2023, n. 87 e n. 43 del 2022, n. 128 e n. 112 del 2021), e riconosciuto così al medesimo diritto all’abitazione il rango di diritto fondamentale riferibile alla sfera dei beni primari collegati alla personalità - afferma costantemente che l’invasione di edifici può essere scriminata dallo stato di necessità conseguente anche alla compromissione di tale diritto, purché l’inevitabilità della condotta e l’attualità del pericolo perdurino per tutto il tempo in cui l’occupazione prosegue (ad esempio, Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenze 16 aprile-3 maggio 2013, n. 19147, 11 febbraio-4 marzo 2011, n. 8724, 27 giugno-26 settembre 2007, n. 35580 e 19 marzo-4 giugno 2003, n. 24290, nonché, sezione sesta penale, sentenza 5-13 luglio 2012, n. 28115). Queste interpretazioni non trasmodano in una anomala forma di definitiva ablazione reale del bene, ma sono soltanto volte a privare di antigiuridicità, agli effetti della norma incriminatrice di cui all’art. 633 cod. pen., la condotta dell’occupante finché l’esigenza di occupare l’alloggio mantiene quei requisiti di assoluta necessità per il soddisfacimento di un bisogno primario della persona.

7.– Non può condividersi l’assunto del rimettente per cui, esclusa nella specie la sussistenza della causa di giustificazione di cui all’art. 54 cod. pen., sarebbe comunque irragionevole munire di tutela penale la proprietà di immobili lasciati dal titolare per un lungo periodo di tempo in condizioni di abbandono.

7.1.– Il Tribunale di Firenze sollecita un intervento manipolativo, che escluda la punibilità della condotta ex art. 633 cod. pen. allorché si tratti di invasione a scopo abitativo di edifici in stato di abbandono da più anni, sostenendo che solo ove l’agente non sia animato da tale scopo e l’immobile non versi in tali condizioni potrebbero ravvisarsi gli elementi idonei a garantire la reale offensività del fatto.

Non sarebbe, infatti, ragionevole che la condotta tipica del reato di invasione di terreni o edifici abbracci situazioni di fatto in cui l’immobile sia stato per lungo tempo abbandonato e sia stato successivamente occupato a fini abitativi: ciò che ne assicurerebbe, piuttosto, un adeguato sfruttamento economico.

Le questioni sono dunque state sollevate nella prospettiva secondo cui, in vista del soddisfacimento del diritto all’abitazione, da garantire in un sistema ispirato alla solidarietà economica e sociale e al pieno sviluppo della persona, l’espandersi della funzione sociale della proprietà determinerebbe una limitazione della rilevanza penale della condotta di occupazione.

7.2.– Tali argomentazioni del rimettente, pur evocative della esigenza di tutelare il fondamentale diritto all’abitazione, non possono essere condivise.

Si è già evidenziato che l’art. 633 cod. pen. sanziona la condotta di «invasione» individuata come comportamento di colui che, al fine di occuparlo o di trarne altrimenti profitto, si introduce in un edificio o in un terreno arbitrariamente, in quanto privo del diritto d’accesso (tra le altre, Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenze 27 marzo-8 luglio 2019, n. 29657 e 21 maggio-1° ottobre 2013, n. 40571). La ratio della disposizione sanzionatoria è volta a punire lo spoglio funzionale che comprime le facoltà di godimento e destinazione del bene spettanti a chi sia ad esso collegato da una relazione di attribuzione tutelata dall’ordinamento giuridico.

Posto che scopo della incriminazione ai sensi dell’art. 633 cod. pen. è la tutela del diritto di godere pacificamente o di disporre dell’immobile, spettante al proprietario, al possessore o al detentore qualificato, oggetto dell’azione delittuosa non possono che essere terreni o edifici altrui, senza alcuna distinzione, e quindi anche terreni incolti, o non produttivi, nonché edifici disabitati o abbandonati.

La disposizione censurata, nella parte in cui si applica anche all’invasione a scopo abitativo di edifici in stato di abbandono da più anni, si appalesa quindi non irragionevole e non lesiva dell’art. 42 Cost., non discendendo dallo stato di abbandono un automatico effetto estintivo dello iusexcludendialios riservato al titolare della situazione di attribuzione del bene, né, pertanto, della pretesa punitiva rivolta alla tutela di quel diritto.

7.3.– L’incriminazione della condotta di invasione di edifici in stato di abbandono nemmeno appare in contrasto con la «funzione sociale» del diritto di proprietà, sia pure posta in stretta relazione all’art. 2 Cost., in quanto il dovere del proprietario di partecipare alla soddisfazione di interessi generali e all’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale non significa affatto che la proprietà, anche se in stato di abbandono, debba soffrire menomazioni da parte di chiunque voglia limitarne la fruizione; né vi può essere interferenza tra il diritto all’abitazione dell’agente, quale diritto fondamentale riferibile alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, e l’interesse tutelato dall’art. 633 cod. pen., giacché l’esercizio del diritto di abitazione non comporta come mezzo indispensabile l’occupazione dell’edificio altrui (sentenza n. 220 del 1975).

7.4.– Quanto all’evocazione dell’art. 47 Cost., peraltro generica e priva di motivazione, va considerato che lo stesso, nel disporre al secondo comma che la Repubblica «[f]avorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione», individua una forma di garanzia privilegiata dell’interesse primario ad avere un’abitazione e contiene un principio al quale il legislatore è tenuto ad ispirarsi, ma non rende con ciò legittima l’occupazione di un edificio altrui da parte di chiunque intenda destinarlo a proprio alloggio.

7.5.– Il giudice a quo sembra, in realtà, mosso dall’esigenza di far emergere nel singolo caso concreto, per confinarlo entro l’argine della sussidiarietà dello strumento penale, il bisogno ineludibile dell’agente di reperire un alloggio per sé e per il proprio nucleo familiare.

Ove, tuttavia, sia questo lo scopo essenziale ed esclusivo della condotta dell’agente e ove l’invasione riguardi terreni o immobili abbandonati o fatiscenti, è compito dell’interprete esaminare e valutare se sussistano gli estremi dello stato di necessità dettato dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, nonché di verificare l’offensività “in concreto” della condotta, alla luce della ratio della disposizione incriminatrice, compito che esula dallo scrutinio di legittimità costituzionale.

7.6.– La qualificazione come illecito penale della condotta evoca modalità esecutive in concreto lesive del bene giuridico, restandosi altrimenti al di fuori dell’area descritta dal fatto normativamente tipizzato. Delimitata nel suo ambito applicativo, la disposizione censurata, dunque, non solo non si appalesa manifestamente irragionevole, ma non lede neanche il principio di offensività, inteso come precetto rivolto al legislatore affinché limiti la repressione penale a fatti che esprimano un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione (sentenze n. 207 e n. 139 del 2023, n. 211 del 2022, n. 278 e n. 141 del 2019).

In proposito, è utile ricordare che la configurazione come illecito penale della condotta di cui all’art. 633 cod. pen. assume rilievo in una duplice prospettiva: da un lato, il proprietario dell’immobile o del terreno oggetto di occupazione o il soggetto comunque tutelato dalla medesima disposizione ben possono reagire legittimamente alla condotta di invasione arbitrariamente posta in essere da un terzo; dall’altro, risulta legittimato l’intervento delle forze dell’ordine al fine di far cessare la condotta di occupazione attraverso lo sgombero degli occupanti.

Peraltro, come affermato dalle richiamate decisioni di questa Corte, il principio di offensività opera anche come criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice affinché, nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, eviti di ricondurre a quest’ultimo comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva.

7.7.– Allo stesso obiettivo di consentire una valutazione complessiva e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta di invasione di edifici si presta pure la possibile operatività dell’esimente della particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen., alla cui applicazione il giudice può procedere, quando la permanenza della condotta delittuosa sia cessata, tenendo conto delle modalità esecutive, delle finalità della stessa e delle conseguenze che ne sono derivate.

8.– Le questioni di legittimità costituzionale sollevate con l’ordinanza indicata in epigrafe devono quindi essere dichiarate non fondate.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 633 del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 42 e 47 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Stefano PETITTI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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