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IMU non va pagata se è stata denunciata l'occupazione abusiva

Corte Costituzionale, Sentenza n.60 del 18/04/2024

Gli immobili occupati abusivamente sono esonerati dal pagamento dell’IMU se il titolare ha presentato tempestivamente una denuncia penale. L’esenzione, prevista espressamente dalla Legge di bilancio 2023 a partire dal 1 gennaio 2023, si applica quindi anche al passato.

Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza n 60 depositata il 19 aprile 2024, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del Dlgs 23 del 2011, “nella parte in cui non prevede che non sia dovuta l’IMU per gli immobili occupati abusivamente relativamente ai quali sia stata presentata una tempestiva denuncia in sede penale”.

Per la Consulta, in caso di occupazione abusiva dell’immobile manca il presupposto per l’applicazione del tributo e “si finirebbe per tassare una ricchezza inesistente laddove, invece, ogni prelievo tributario deve avere una causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza” (sentenze n. 10 del 2023 e 120 del 2020).

La questione è stata sollevata dalla sezione tributaria Corte di cassazione per violazione degli artt. 3, primo comma, 53, primo comma, 42, secondo comma, Cost. e 1 Prot. addiz. CEDU, per contrasto con i principi di capacità contributiva, uguaglianza tributaria, ragionevolezza e di tutela della proprietà privata in quanto per gli immobili abusivamente occupati e di cui sia precluso lo sgombero per cause indipendenti dalla volontà del contribuente verrebbe a mancare il presupposto dell’imposta, ossia l’effettivo e concreto esercizio dei poteri di disposizione e godimento del bene.

La Corte costituzionale, con la presente sentenza, è come se avesse esteso retroattivamente la portata della norma prevista dalla Legge di bilancio 2023 sull’esenzione IMU per gli immobili abusivamente occupati.

IMU, occupazione abusiva dell'immobile, presentazione della denuncia penale, mancata esclusione dell'imposta, incostituzionalità

L’art. 9, comma 1, del Dlgs n. 23 del 2011 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), nel testo applicabile ratione temporis, è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che non siano soggetti all’imposta municipale propria, per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte, gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all’autorità giudiziaria in relazione ai reati di cui agli artt. 614, secondo comma, o 633 del codice penale o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale.

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SENTENZA N. 60

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), promossi dalla Corte di cassazione, sezione tributaria, con ordinanze del 13 aprile 2023, iscritte ai numeri 84 e 85 del registro ordinanze 2023 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Visti gli atti di costituzione di casa di cura Valle Fiorita srl;

udito nell’udienza pubblica del 5 marzo 2024 il Giudice relatore Angelo Buscema;

udito l’avvocato Rosamaria Nicastro per casa di cura Valle Fiorita srl;

deliberato nella camera di consiglio del 5 marzo 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con due ordinanze di identico tenore, iscritte ai numeri 84 e 85 del registro ordinanze 2023, la Corte di cassazione, sezione tributaria, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), nella sua formulazione originaria applicabile ratione temporis, nella parte in cui non prevede l’esenzione dal pagamento dell’imposta municipale unica (IMU) nell’ipotesi di occupazione abusiva dell’immobile che non possa essere liberato pur in presenza di denuncia agli organi istituzionali preposti, per violazione degli artt. 3, primo comma, 53, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione e dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

2.– Riferisce il rimettente che la controversia nasce a seguito di due ricorsi della casa di cura Valle Fiorita srl avverso il silenzio rifiuto opposto da Roma Capitale sull’istanza di rimborso del versamento IMU, rispettivamente per le annualità 2013 e 2014, relativo a un immobile di proprietà della suddetta società, occupato abusivamente da terzi a partire dal dicembre 2012. Tale società aveva dimostrato che erano state attivate tutte le necessarie iniziative per prevenire l’occupazione dell’immobile («dalla predisposizione della chiusura a mezzo blocchetti di cemento delle aperture [...] alla attivazione di un servizio di sorveglianza privata ancorché non armata sin dal mese di marzo 2012») e che aveva altresì provveduto a denunciare immediatamente all’autorità preposta l’avvenuta sua occupazione abusiva e tuttavia, benché fosse stato disposto un sequestro preventivo dell’immobile da parte del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Roma nell’agosto 2013, lo stesso non aveva avuto esecuzione per motivi di ordine pubblico.

Secondo il giudice a quo, dunque, casa di cura Valle Fiorita srl era proprietaria dell’immobile, ma al contempo ne aveva perduto il possesso, sicché non sussisterebbe il presupposto per l’applicazione dell’imposta di cui era stato chiesto il rimborso, atteso che la predetta società – pur avendo ottenuto un decreto di sequestro preventivo dall’autorità giudiziaria che aveva ipotizzato il reato di occupazione abusiva di immobile sanzionato dall’art. 633 del codice penale – non era riuscita a ripristinare il «contatto materiale con il bene». Dalle indagini giudiziarie risultava infatti che gli occupanti avevano modificato i locali occupati, installando tra l’altro cancellate volte a limitare l’accesso all’immobile.

Stante la mancata esecuzione del provvedimento di sequestro, casa di cura Valle Fiorita srl ha proposto, in data 21 ottobre 2013, ricorso innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo ai sensi dell’art. 34 CEDU; con la sentenza 13 dicembre 2018, Casa di cura Valle Fiorita srl contro Italia, la Corte EDU ha accolto le istanze della società e condannato lo Stato italiano al risarcimento del danno, affermando che la mancata esecuzione del provvedimento di sequestro preventivo era riconducibile alla previsione di cui al primo capoverso del primo comma dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, secondo cui, l’esercizio reale ed effettivo del diritto alla protezione della proprietà, può «esigere delle misure positive di tutela, in particolare laddove sussista un legame diretto tra le misure che un ricorrente potrebbe legittimamente attendersi dalle autorità e il godimento effettivo da parte di quest’ultimo dei suoi beni», rilevando che tale assunto, combinato con il principio della preminenza del diritto, giustifica l’irrogazione di una sanzione a danno dello Stato che non abbia dato esecuzione ovvero che abbia impedito l’esecuzione di una decisione giudiziaria.

Secondo il giudice rimettente, casa di cura Valle Fiorita srl avrebbe pertanto potuto trasferire la proprietà dell’immobile ma non il possesso, almeno fino a quando lo sgombero degli occupanti abusivi non fosse stato eseguito.

3.– Ritiene il giudice a quo che non assumerebbe rilevanza l’entrata in vigore, nelle more, dell’art. 1, comma 81, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), che, a decorrere dal 1° gennaio 2023, modificando l’art. 1, comma 759, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), concernente i casi di esenzione dall’imposta municipale propria, ha previsto che «[s]ono esenti dall’imposta, per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte: [...] g-bis) gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all’autorità giudiziaria in relazione ai reati di cui agli articoli 614, secondo comma, o 633 del codice penale o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale».

Ciò in quanto tale disposizione non potrebbe considerarsi retroattiva, ai sensi dell’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, in mancanza di indicazioni espresse in tal senso, né potrebbe qualificarsi come interpretativa, perché il contenuto precettivo di essa non si ricollegherebbe ad altra norma preesistente da chiarire o da precisare.

Il dato normativo su cui si baserebbe l’ente impositore per il diniego dell’istanza di rimborso della società sarebbe dunque costituito dai previgenti artt. 13, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214 – secondo cui «[l]’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504» – e 9, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, i quali prevedono che «[s]oggetti passivi dell’imposta municipale propria sono il proprietario di immobili, inclusi i terreni e le aree edificabili, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali alla cui produzione o scambio è diretta l’attività di impresa, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi [...]. Per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria, soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto», applicabili ratione temporis.

Da ciò conseguirebbe che, ai fini impositivi, sarebbe rilevante non già il possesso del bene, bensì solo l’esistenza di un titolo.

4.– Il rimettente sostiene che la questione sia rilevante ai fini della decisione dei giudizi a quibus, giacché l’eventuale declaratoria d’illegittimità costituzionale della disposizione censurata inciderebbe sul diritto vivente (favorevole all’ente impositore) ormai consolidatosi. Sussisterebbe, difatti, un effettivo e concreto rapporto di strumentalità tra la definizione del giudizio principale e la risoluzione della questione di legittimità costituzionale in quanto il rimettente, ai fini della decisione dei giudizi a quibus, dovrebbe fare applicazione della disposizione censurata.

5.– Quanto alla non manifesta infondatezza il giudice a quo dubita, anzitutto, della compatibilità della disposizione in esame con gli artt. 53 e 3 Cost.

In primo luogo, il rimettente ritiene sussistano elementi di contrasto con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. e con il principio di uguaglianza tributaria, in base al quale a situazioni uguali dovrebbero corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse dovrebbe corrispondere un trattamento tributario diseguale.

Ritiene il rimettente che, per le annualità d’imposta in cui permane l’occupazione abusiva per scelte degli organi amministrativi preposti allo sgombero degli immobili, il prelievo tributario si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali evocati. Difatti, il possesso legittimante il sorgere della soggettività passiva ai fini IMU, per essere effettivo, presupporrebbe che la cosa rientri materialmente nella disponibilità individuale del possessore, di talché quest’ultimo possa esercitare le prerogative discendenti dal diritto ricadente sul bene.

Nella fattispecie in esame, in cui casa di cura Valle Fiorita srl, proprietaria dell’immobile, è stata privata della possibilità di esercitare qualsivoglia diritto sulla cosa, secondo il rimettente l’originaria ricorrente non avrebbe dovuto essere considerata soggetto passivo ai fini IMU, stante l’assenza dei requisiti minimi affinché possa configurarsi una situazione possessoria e, conseguentemente, una capacità contributiva.

Ai fini del verificarsi o meno del presupposto impositivo dell’IMU, nei casi come quello in esame, assumerebbe precipuo rilievo la perdita del possesso in relazione alle dichiarazioni degli organi di polizia che attestino l’impossibilità di sgomberare l’immobile. Se infatti gli organi istituzionali preposti non fossero in grado di difendere il diritto di proprietà costituzionalmente sancito, il proprietario, di riflesso, rimarrebbe senza tutela e quindi senza possesso.

Innanzi a una condizione «patologica» come quella relativa ai giudizi a quibus, ove un soggetto si trovi nell’impossibilità di recuperare il possesso del proprio immobile per scelta degli organi dello Stato preposti a sgomberare gli immobili occupati abusivamente (e non a causa di comportamento illegittimo del proprietario o per sua inerzia), risulterebbe in contrasto con i principi costituzionali imporre il pagamento dell’imposta per gli esercizi in cui permanga l’occupazione abusiva, difettando la capacità contributiva del proprietario.

In secondo luogo, la disposizione censurata sarebbe in conflitto con l’art. 3 Cost. perché sarebbe irragionevole che al proprietario di un immobile inagibile o inabitabile (eventualmente, a causa della sua inerzia) sia riconosciuta, ai sensi dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, una riduzione della base imponibile IMU, mentre, per il proprietario di un immobile occupato abusivamente per causa non dipendente dalla sua volontà e privo di strumenti di tutela giuridica per recuperarne il possesso sia invece prevista una tassazione integrale.

5.1.– La tassazione degli immobili occupati abusivamente, e non «sgomberabili», susciterebbe dubbi di compatibilità costituzionale anche con gli artt. 42, secondo comma, Cost. e 1 Prot. addiz. CEDU, i quali garantiscono e tutelano la proprietà privata.

Un’occupazione abusiva dovrebbe permettere, difatti, l’esercizio di azioni a tutela della proprietà o del possesso, cui si accompagni l’intervento della pubblica amministrazione volto allo «sgombero» dell’immobile. Tuttavia, se l’intervento dell’autorità non sia risolutivo, con conseguente permanenza dello stato di illiceità, e il diritto di proprietà non riceva tutela da parte dell’amministrazione pubblica, quest’ultima ne trarrebbe un vantaggio, consistente nella riscossione del tributo pur in presenza di una situazione illecita da essa «tollerata» a detrimento del diritto di proprietà del proprietario dell’immobile.

Ciò contrasterebbe con quanto affermato più volte dalla Corte EDU, secondo la quale non è consentito alla pubblica amministrazione trarre vantaggio da propri comportamenti illeciti e, più in generale, da una situazione di illegalità dalla stessa determinata (sono richiamate Corte EDU, sentenze 13 ottobre 2015 [recte: 2005], La Rosa e Alba contro Italia e 6 marzo 2007, Scordino contro Italia). Questo principio avrebbe trovato ingresso anche nella giurisprudenza costituzionale (sono citate le sentenze n. 71 del 2015 e n. 293 del 2010).

5.2.– In definitiva, il rimettente ritiene non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 42, secondo comma, e 53, primo comma, Cost., anche in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011 (nel testo applicabile ratione temporis), nella parte in cui non prevede l’esenzione d’imposta nell’ipotesi di occupazione abusiva dell’immobile che non possa essere liberato pur in presenza di denuncia agli organi istituzionali preposti.

6.– Si è costituita in giudizio casa di cura Valle Fiorita srl.

Sostiene la difesa di parte che l’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011 violerebbe l’art. 53 Cost., poiché, nell’ipotesi in cui un soggetto sia sprovvisto sia della disponibilità materiale del bene, in quanto abusivamente occupato, sia della possibilità di esercitare qualsivoglia diritto sullo stesso e di ricevere dall’ordinamento una adeguata tutela nella fase dell’esercizio del proprio diritto possessorio, difetterebbe l’effettività, la certezza e l’attualità del presupposto d’imposta e, conseguentemente, difetterebbe la capacità contributiva, che quel presupposto dovrebbe esprimere.

Una pretesa impositiva potrebbe considerarsi conforme all’art. 53 Cost. soltanto se collegata a fatti espressivi di capacità contributiva.

In particolare, in base all’art. 8 del d.lgs. n. 23 del 2011, il presupposto dell’IMU dovrebbe individuarsi nel «possesso di immobili diversi dall’abitazione principale». Tuttavia, il possesso legittimante il sorgere della soggettività passiva ai fini IMU, ex art. 9 del medesimo d.lgs. n. 23 del 2011, per essere effettivo, concreto e attuale, presupporrebbe che il bene da sottoporre a tassazione sia nella disponibilità del possessore di talché quest’ultimo possa esercitare le prerogative discendenti dal diritto ricadente sul bene. Nell’ipotesi in cui il proprietario sia sprovvisto della disponibilità materiale del bene e della possibilità di ripristinare tale disponibilità verrebbe a mancare il presupposto dell’imposta, che si concretizzerebbe nell’effettiva, concreta e attuale possibilità di esercizio dei poteri di disposizione e godimento del bene, in quanto manifestazioni di capacità contributiva.

Dunque, non sarebbe configurabile in capo al titolare di un immobile occupato abusivamente, che abbia esperito infruttuosamente tutti i mezzi a tutela del proprio diritto, una situazione possessoria espressiva di capacità contributiva. Pertanto, per gli esercizi in cui permanga l’occupazione abusiva per cause indipendenti dalla volontà del proprietario del bene che abbia esperito i mezzi di tutela approntati dall’ordinamento, mancherebbe il presupposto d’imposta, cosicché l’imposizione si porrebbe in contrasto con il principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.

L’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011 violerebbe anche l’art. 3 Cost., in quanto determinerebbe una ingiustificata lesione del principio di uguaglianza, e si porrebbe in contrasto anche con il criterio di ragionevolezza.

Sostiene la difesa di parte che in virtù del principio secondo cui a situazioni uguali debbono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, situazioni diverse, per propria natura sia giuridica che fattuale, devono avere un diverso trattamento tributario, sarebbe evidente che non potrebbero essere sovrapposte e trattate in modo eguale due situazioni giuridiche strutturalmente diverse che esprimerebbero una diversa capacità contributiva: da un lato, quella del proprietario che abbia il possesso della res e, dall’altro, quella del proprietario che non abbia tale possesso.

Inoltre, la disposizione censurata sarebbe in contrasto con il parametro di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in quanto le scelte legislative sarebbero incoerenti e contraddittorie. In particolare, sarebbe irragionevole che al proprietario di un immobile inagibile o inabitabile sia riconosciuta una riduzione della base imponibile IMU, ex art. 13, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, mentre, al proprietario di un immobile occupato abusivamente, e al quale l’ordinamento non offra strumenti di tutela efficaci, sia applicata una tassazione integrale.

L’art. 9, comma l, del d.lgs. n. 23 del 2011 (nel testo applicabile ratione temporis) violerebbe altresì l’art. 42, secondo comma, Cost., che sancisce il diritto fondamentale – tutelato erga omnes – della proprietà privata, e l’art. 1 Prot. addiz. CEDU.

Sostiene la difesa di parte che, in ipotesi di occupazione abusiva di un immobile, laddove il proprietario abbia posto in essere inutilmente le azioni a tutela della proprietà e del possesso volte al ripristino della legittima situazione possessoria, il diritto di proprietà, pur costituzionalmente garantito, non riceverebbe una tutela effettiva da parte dell’ordinamento. In tali ipotesi, alla luce della disposizione censurata ratione temporis vigente, la pubblica amministrazione avrebbe addirittura un vantaggio, consistente nella riscossione di un tributo, pur in presenza di una situazione illegale in relazione alla quale si è astenuta dall’esercizio dei propri poteri coercitivi.

Non sarebbe ammissibile, in uno stato di diritto, che l’ordinamento contempli gli strumenti necessari alla tutela della posizione giuridica soggettiva del privato, imponendo a costui di avvalersene per poter realizzare il proprio interesse secundum ius e poi non faccia in modo che l’interesse del singolo sia soddisfatto in sede esecutiva con la forza che solo lo Stato è autorizzato a dispiegare, ma ritenga, comunque, che quel soggetto venga ritenuto centro di imputazione di obblighi tributari indefettibilmente connessi alla possibilità di esercizio dei titoli possessori.

La disposizione censurata sarebbe in contrasto altresì con l’art. l Prot. addiz. CEDU che tutela la proprietà privata, cosicché una restrizione della tutela proprietaria dovrebbe rispondere a un giusto equilibrio tra esigenze pubbliche ed esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’individuo e non potrebbe essere determinata dall’inerzia totale e prolungata della competente autorità, la quale non potrebbe «trarre vantaggio da propri comportamenti illeciti e, più in generale, da una situazione di illegalità dalla stessa determinata» (sono richiamate le sentenze della Corte EDU, La Rosa e Alba e Scordino).

Ritiene dunque la difesa della parte che la disposizione censurata, consentendo alla pubblica amministrazione di riscuotere un tributo sulla base di una situazione di illegalità (occupazione abusiva di un immobile) da essa tollerata e non opposta, a detrimento del diritto di proprietà, sia in contrasto con gli artt. 42, secondo comma, Cost. e l Prot. addiz. CEDU.

Considerato in diritto

1.– Con le ordinanze indicate in epigrafe, la Corte di cassazione, sezione tributaria, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, nella sua formulazione originaria applicabile ratione temporis, nella parte in cui non prevede l’esenzione dal pagamento dell’IMU nell’ipotesi di immobile occupato abusivamente nonostante la denuncia agli organi istituzionali preposti, per violazione degli artt. 3, primo comma, 53, primo comma, 42, secondo comma, Cost. e 1 Prot. addiz. CEDU.

2.– Riferisce il giudice a quo che nel dicembre 2012 era stato occupato abusivamente un edificio della casa di cura Valle Fiorita srl e che questa aveva proposto due ricorsi avverso il silenzio rifiuto opposto da Roma Capitale sull’istanza di rimborso del versamento IMU, rispettivamente per le annualità 2013 e 2014. Nei ricorsi venivano evidenziate la perdita del possesso dell’immobile nonché la denuncia immediata del fatto in sede penale, e la mancata esecuzione del sequestro preventivo dell’immobile disposto dall’autorità giudiziaria.

Il rimettente afferma che la suddetta società, pur essendo proprietaria dell’immobile, ne aveva al contempo perduto il possesso, sicché non sussisterebbe il presupposto impositivo dell’IMU.

Ritiene dunque il giudice a quo che, in virtù della disciplina censurata e del relativo diritto vivente, ai fini impositivi sarebbe rilevante solo l’esistenza di un titolo che attesti un diritto reale sull’immobile o un contratto di leasing, non anche il relativo possesso del bene.

La questione sarebbe non manifestamente infondata con riguardo agli artt. 53, primo comma, e 3, primo comma, Cost., perché l’immobile occupato abusivamente non costituirebbe un valido indice di capacità contributiva e si determinerebbe così un trattamento uguale di situazioni diseguali, in quanto verrebbero sottoposti alla stessa imposizione sia gli immobili occupati abusivamente sia quelli che non lo siano.

La perdita del possesso assumerebbe un particolare significato alla luce, da un lato, della denuncia agli organi istituzionali da parte del proprietario dell’immobile occupato abusivamente e, dall’altro, dell’inerzia delle autorità preposte al suo sgombero, cosicché sarebbe irragionevole riconoscere al proprietario di un immobile inagibile o inabitabile (eventualmente, a causa della sua inerzia) una riduzione della base imponibile IMU e prevedere, invece, la tassazione integrale a carico del proprietario di un immobile occupato abusivamente per causa non dipendente dalla sua volontà e privo di strumenti di tutela giuridica per recuperarne il possesso.

La disposizione censurata sarebbe in contrasto anche con l’art. 42, secondo comma, Cost. e con l’art. 1 Prot. addiz. CEDU, i quali garantiscono e tutelano la proprietà privata, perché quest’ultima dovrebbe attribuire l’esercizio di azioni a tutela della proprietà o del possesso, ivi incluso l’intervento della forza pubblica per lo «sgombero» dell’immobile e per di più non sarebbe consentito alla pubblica amministrazione trarre vantaggio da propri comportamenti illeciti.

3.– I giudizi hanno ad oggetto la stessa disposizione che è censurata con riferimento agli stessi parametri e con le medesime argomentazioni; ponendo, pertanto, identiche questioni, vanno riuniti e decisi con un’unica pronuncia.

4.– La questione è rilevante in quanto la disposizione censurata – pur successivamente abrogata dall’art. 1, comma 780, della legge n. 160 del 2019 a decorrere dal 1° gennaio 2020 – trova effettiva applicazione nei giudizi a quibus, ove, di fronte alla Corte di cassazione, si discute circa la debenza o meno dell’IMU per le annualità d’imposta relative al 2013 e al 2014.

5.– Preliminarmente, è necessaria una breve premessa normativa e giurisprudenziale relativa ai presupposti impositivi dell’IMU.

5.1.– L’IMU è un’imposta che grava sugli immobili, introdotta sulla base degli artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 23 del 2011 (disposizioni modificate molte volte nel corso degli anni) e 13 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito (disposizione anch’essa più volte modificata), in sostituzione dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), quest’ultima, istituita con il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), può essere considerato il tributo precursore dell’IMU.

A decorrere dal 2014 e fino al 2019, poi, l’IMU è stata disciplinata dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)» quale imposta facente parte, insieme al tributo per i servizi indivisibili (TASI) e alla tassa sui rifiuti (TARI), dell’imposta unica comunale (IUC).

La legge n. 160 del 2019 ha successivamente abolito, a decorrere dall’anno 2020, la IUC e – tra i tributi che ne facevano parte – la TASI. Sono, invece, rimasti in vigore tra quelli che componevano la medesima IUC, la TARI e l’IMU, quest’ultima come disciplinata dalla stessa legge n. 160 del 2019.

Secondo l’art. 9 del d.lgs. n. 23 del 2011, nel testo applicabile ratione temporis, e in particolare con riferimento alle annualità d’imposta 2013 e 2014 oggetto delle due ordinanze di rimessione: «1. [s]oggetti passivi dell’imposta municipale propria sono il proprietario di immobili, inclusi i terreni e le aree edificabili, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi. Nel caso di concessione di aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario. Per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria, soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto. 2. L’imposta è dovuta per anni solari proporzionalmente alla quota ed ai mesi dell’anno nei quali si è protratto il possesso; a tal fine il mese durante il quale il possesso si è protratto per almeno quindici giorni è computato per intero. A ciascuno degli anni solari corrisponde un’autonoma obbligazione tributaria».

Inoltre, secondo il precedente art. 8, comma 2, «[l]’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili»; negli stessi identici termini si esprime l’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, nel testo applicabile ratione temporis.

Da ultimo, l’art. 1, comma 81, della legge n. 197 del 2022 ha modificato l’art. 1, comma 759, della legge n. 160 del 2019, il quale, nel testo attualmente in vigore, prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2023, «[s]ono esenti dall’imposta per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte […] g-bis) gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all’autorità giudiziaria in relazione ai reati di cui agli articoli 614, secondo comma, o 633 del codice penale o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale».

6.– Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, nel testo applicabile ratione temporis, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, Cost. è fondata, nei termini che seguono.

Indipendentemente dalla nozione di possesso cui debba farsi riferimento a proposito dell’IMU, è irragionevole affermare che sussista la capacità contributiva del proprietario che abbia subito l’occupazione abusiva di un immobile che lo renda inutilizzabile e indisponibile e si sia prontamente attivato per denunciarne penalmente l’accaduto, tanto che il legislatore, come già rilevato, è intervenuto con la legge n. 197 del 2022 per dichiarare non dovuta l’imposta in questione.

Emblematico è il caso oggetto dei giudizi quibus in cui la società proprietaria aveva assunto tutte le necessarie iniziative per prevenire l’occupazione dell’immobile e aveva tempestivamente provveduto a denunciare all’autorità giudiziaria penale l’avvenuta occupazione contro la sua volontà. Benché nell’agosto 2013 fosse stato disposto un sequestro preventivo dell’immobile ex art. 321 del codice di procedura penale da parte del giudice per le indagini preliminari, lo stesso sequestro non aveva avuto esecuzione per ragioni di ordine pubblico. Pertanto, la società proprietaria non era riuscita a tornare nel possesso dell’immobile nonostante l’uso di una diligenza adeguata.

Questa Corte ha costantemente affermato che «ogni prelievo tributario deve avere una causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza (ex plurimis, sentenze n. 156 del 2001, n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995, n. 179 del 1985 e n. 200 del 1976)» (sentenza n. 10 del 2023) e ha sottolineato che «la sottrazione all’imposizione (o la sua riduzione) è resa necessaria […] dal rilievo di una minore o assente capacità contributiva (che il legislatore può riscontrare in relazione ad alcune circostanze di fatto)» (sentenza n. 120 del 2020).

È dunque irragionevole e contrario al principio della capacità contributiva che il proprietario di un immobile occupato abusivamente, il quale abbia sporto tempestiva denuncia all’autorità giudiziaria penale sia, ciò nonostante, tenuto a versare l’IMU per il periodo decorrente dal momento della denuncia a quello in cui l’immobile venga liberato, perché la proprietà di tale immobile non costituisce, per il periodo in cui è abusivamente occupato, un valido indice rivelatore di ricchezza per il proprietario spogliato del possesso.

Del resto, questa impostazione è coerente con una ipotesi impositiva per certi versi simile in cui, in caso di perdita della disponibilità del bene per fatto di terzo, l’ordinamento giuridico stabilisce il venir meno dell’obbligo del pagamento dell’imposta. È questo il caso della tassa automobilistica: l’art. 5 del decreto-legge 30 dicembre 1982, n. 953 (Misure in materia tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 28 febbraio 1983, n. 53, stabilisce infatti, ai commi trentasettesimo e trentottesimo, che, nonostante il soggetto passivo sia il proprietario del bene, «[l]a perdita del possesso del veicolo o dell’autoscafo per forza maggiore o per fatto di terzo o la indisponibilità conseguente a provvedimento dell’autorità giudiziaria o della pubblica amministrazione, annotate nei registri indicati nel trentaduesimo comma, fanno venir meno l’obbligo del pagamento del tributo per i periodi d’imposta successivi a quello in cui è stata effettuata l’annotazione. L’obbligo del pagamento ricomincia a decorrere dal mese in cui avviene il riacquisto del possesso o la disponibilità del veicolo o dell’autoscafo».

7.– Deve pertanto affermarsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, nel testo applicabile ratione temporis, per violazione degli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, Cost., nella parte in cui non prevede che – sul modello dell’art. 1, comma 81, della legge n. 197 del 2022 citato dal rimettente – non sono soggetti all’imposta municipale propria, per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte, gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all’autorità giudiziaria in relazione ai reati di cui agli artt. 614, secondo comma, o 633 cod. pen. o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale.

8.– L’accoglimento della questione in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, Cost. permette di ritenere assorbite le ulteriori censure.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), nel testo applicabile ratione temporis, nella parte in cui non prevede che non siano soggetti all’imposta municipale propria, per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte, gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all’autorità giudiziaria in relazione ai reati di cui agli artt. 614, secondo comma, o 633 del codice penale o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 marzo 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Angelo BUSCEMA, Redattore

Valeria EMMA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2024

Il Cancelliere

F.to: Valeria EMMA

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