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Immigrazione clandestina, legittima l’omessa depenalizzazione del reato

Corte Costituzionale, Sentenza n.88 del 14/05/2024

L’articolo 1, comma 4, del decreto legislativo n. 8 del 2016, che esclude dalla depenalizzazione il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato previsto dal testo unico immigrazione, non si pone in contrasto con il principio direttivo della legge delega attinente alla cosiddetta depenalizzazione “cieca”, rivolto a depenalizzare i reati puniti con la sola pena pecuniaria.

Lo ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza n. 88 depositata il 14 maggio 2024.

La Corte ha rigettato la questione sollevata dal Tribunale di Firenze, secondo cui la disposizione censurata violerebbe l’articolo 76 Cost. perché la legge n. 67 del 2014, delegando in tal senso il Governo a depenalizzare i suddetti reati, avrebbe incluso tra essi anche quello di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, in quanto anch’esso punito con la sola pena pecuniaria dell’ammenda.

La Corte ha precisato che la legge delega, al fine di selezionare i reati che avrebbero dovuto essere depenalizzati, ha utilizzato due criteri:

  • quello della depenalizzazione “cieca”, che prevede la trasformazione in illeciti amministrativi dei reati puniti con la pena pecuniaria, a eccezione di quelli riconducibili ad alcune materie,
  • e quello della depenalizzazione nominativa, che prevede la medesima trasformazione per taluni reati specificamente individuati.

Il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato è compreso tra questi ultimi, con la conseguenza che, il censurato articolo 1, comma 4, deld.lgs. n. 8 del 2016, laddove stabilisce che la “disposizione del comma 1 non si applica ai reati di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”, non si pone in contrasto con il principio direttivo attinente alla depenalizzazione “cieca”, evocato dal rimettente come norma interposta.

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SENTENZA N. 88

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), e, in via subordinata, dell’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67), promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, nel procedimento penale a carico di S. H., con ordinanza del 17 luglio 2023, iscritta al n. 125 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 16 aprile 2024 il Giudice relatore Luca Antonini;

deliberato nella camera di consiglio del 16 aprile 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 17 luglio 2023 (reg. ord. n. 125 del 2023), il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), nella parte in cui stabilisce che il precedente comma 1 non si applichi ai reati di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero).

In via subordinata, il giudice a quo ha sollevato, sempre in riferimento all’art. 76 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67), «nella parte in cui non prevede l’abrogazione, trasformandolo in illecito amministrativo», del reato di cui all’art. 10-bis del citato d.lgs. n. 286 del 1998.

1.1.– L’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 8 del 2016 esclude l’applicabilità della depenalizzazione disposta dal comma 1 – secondo cui «[n]on costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda» –, tra l’altro, ai reati contemplati dal d.lgs. n. 286 del 1998.

L’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016 abroga alcune norme incriminatrici contenute nel codice penale.

2.– Riferisce il giudice a quo di essere investito dell’appello avverso la sentenza che ha condannato S. H. per il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998.

Di qui la rilevanza di entrambe le questioni, giacché dal loro accoglimento conseguirebbero la depenalizzazione del suddetto reato e l’assoluzione dell’imputato.

3.– In ordine alla non manifesta infondatezza, il rimettente espone che l’art. 2, comma 1, della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi «per la riforma della disciplina sanzionatoria dei reati e per la contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili».

A tal fine, per quanto qui interessa, il successivo comma 2, lettera a), ha dettato il criterio direttivo della trasformazione in illeciti amministrativi di «tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda, ad eccezione» di quelli rientranti in alcune materie.

Il comma 3, lettera b), del medesimo art. 2 ha posto il criterio direttivo dell’abrogazione e della trasformazione in illecito amministrativo del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998.

A parere del Tribunale fiorentino, le suddette disposizioni avrebbero conferito al Governo la delega a depenalizzare il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato: la prima, poiché questo reato è punito con la sola pena dell’ammenda e rientrerebbe, quindi, non essendo ascrivibile a una delle materie espressamente escluse dalla depenalizzazione, nel suo ambito applicativo; la seconda, disponendolo esplicitamente.

Il legislatore delegato, tuttavia, avrebbe violato tali criteri direttivi – così ledendo l’art. 76 Cost. – «in entrambi i decreti legislativi»: «nel d.lgs. 8/2016 con riguardo» all’art. 2, comma 2, lettera a), della legge n. 67 del 2014 e «nel d.lgs. 7/2016 con riguardo» all’art. 2, comma 3, lettera b), della medesima legge delega.

3.1.– Nello specifico, il giudice a quo osserva che, in attuazione della delega recata dall’art. 2, comma 2, lettera a), della legge n. 67 del 2014, l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 8 del 2016 ha stabilito che le violazioni punite con la sola pena della multa o dell’ammenda non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro.

Il denunciato art. 1, comma 4, del medesimo decreto legislativo, tuttavia, precludendo l’applicabilità di tale depenalizzazione a tutti i reati di cui al d.lgs. n. 286 del 1998, avrebbe violato la suddetta norma interposta, che invece non ha espressamente escluso dalla depenalizzazione stessa la materia dell’immigrazione e, quindi, il reato oggetto del processo principale.

D’altro canto, aggiunge il rimettente, la materia dell’immigrazione, se in origine era prevista nel disegno di legge A.S. n. 110, nel corso dei lavori parlamentari è stata poi espunta dal novero di quelle eccettuate dalla depenalizzazione in parola.

Pertanto, non si potrebbe ritenere, come invece sostenuto nella relazione di accompagnamento allo schema di decreto delegato che sarebbe poi divenuto il d.lgs. n. 8 del 2016, che nella specie il Governo si sia limitato a una parziale inattuazione della delega ricevuta: al contrario, il censurato art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 8 del 2016 si sarebbe risolto nella violazione, in sostanza, del criterio direttivo volto a imporre tale depenalizzazione, così violando l’art. 76 Cost.

3.2.– Ove questa Corte non ritenesse di accogliere la questione così prospettata in via principale, il rimettente solleva, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016.

Precisa al riguardo che, «benché la materia della depenalizzazione del reato ex art. 10-bis d.lgs. 286/1998 sia più affine al contenuto del d.lgs. 8/2016 (il d.lgs. 7/2016 si occupa invece di abrogare talune norme incriminatrici e di prevedere per i fatti ivi già previsti delle sanzioni pecuniarie civili), si reputa più corretto individuare il provvedimento da censurare nel d.lgs. 7/2016 ed in particolare nel relativo articolo 1, che ha previsto l’abrogazione di alcune norme incriminatrici».

Questa disposizione, evidenzia il giudice a quo, nell’abrogare diverse norme incriminatrici recate dal codice penale, non prevede alcunché con riguardo al reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, che, invece, l’art. 2, comma 3, lettera b), della legge n. 67 del 2014 ha specificamente delegato il Governo ad abrogare e trasformare in illecito amministrativo.

Di qui la dedotta violazione dell’art. 76 Cost. anche ad opera del citato art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016.

3.2.1.– Nell’ipotesi in cui venisse accolta tale questione, il rimettente sollecita, infine, questa Corte a dichiarare, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale anche dello stesso art. 10-bis, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, «nella parte in cui prevede la pena dell’ammenda da 5.000 a 10.000 euro anziché la sanzione amministrativa da 5.000 a 10.000 euro».

4.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate non fondate.

4.1.– In merito alla censura che investe l’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 8 del 2016, la difesa statale premette che sarebbe «del tutto fisiologica» un’attività «normativa di completamento e sviluppo delle scelte del delegante» (è citata la sentenza n. 212 del 2018 di questa Corte), per la cui attuazione il Governo fruirebbe dunque di «un margine di discrezionalità», tanto più in presenza di principi e criteri direttivi dal significato oggettivamente incerto.

Quindi, sottolinea innanzitutto che, nonostante la mancata inclusione dell’immigrazione tra le materie sottratte alla depenalizzazione ai sensi dell’art. 2, comma 2, lettera a), della legge n. 67 del 2014, questa norma annovera tuttavia, tra tali materie escluse, quella della «sicurezza pubblica», rispetto alla quale i reati di cui al d.lgs. n. 286 del 1998 presenterebbero una «indubbia connessione».

Inoltre, evidenzia che il legislatore delegante avrebbe sì previsto – però con una norma interposta diversa da quella evocata in relazione alla questione in esame – la depenalizzazione del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, ma «non certo di tutti i reati contemplati dal predetto corpus normativo»: di qui la legittimità costituzionale della scelta adottata dal Governo con la disposizione sospettata in via principale.

4.2.– A giudizio dell’Avvocatura generale, anche la questione, sollevata in via subordinata, avente a oggetto l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016 sarebbe priva di pregio.

Il Governo, infatti, avrebbe soltanto omesso in parte di esercitare la delega conferitagli, ciò che potrebbe sì determinare la sua responsabilità politica verso il Parlamento, «ma non una violazione dell’art. 76 Cost., a meno che il mancato parziale esercizio della delega stessa non comporti uno stravolgimento della legge di delegazione» (è citata la sentenza n. 223 del 2019 di questa Corte).

Stravolgimento che, d’altra parte, non sarebbe ravvisabile nella specie, poiché l’omessa attuazione della delega riguarderebbe «un particolare punto, che comunque è del tutto autonomo rispetto alle altre ipotesi di depenalizzazione previste», come affermato nel parere espresso dalle «Commissioni parlamentari, chiamate a pronunciarsi proprio sui decreti legislativi nn. 7 e 8 del 2016». Tale parere costituirebbe quindi un «elemento che, come in generale i lavori preparatori, può contribuire alla corretta esegesi della» legge delega, sicché «proprio dalla mancata censura in sede parlamentare questa Corte ha già potuto argomentare come non si fosse in presenza di una violazione della legge» stessa (è citata la sentenza n. 127 del 2017 di questa Corte).

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 17 luglio 2023 (reg. ord. n. 125 del 2023), il Tribunale di Firenze, sezione prima penale, in via principale dubita, in riferimento all’art. 76 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 8 del 2016, nella parte in cui stabilisce che il precedente comma 1 non si applichi ai reati di cui al d.lgs. n. 286 del 1998, e, in via subordinata, dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016, «nella parte in cui non prevede l’abrogazione, trasformandolo in illecito amministrativo», del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato di cui all’art. 10-bis del citato d.lgs. n. 286 del 1998.

2.– L’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 8 del 2016, denunciato quindi in via principale, esclude dalla depenalizzazione disposta dal comma 1 – secondo cui «[n]on costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni» punite con la sola pena della multa o dell’ammenda –, tra l’altro, i reati contemplati dal d.lgs. n. 286 del 1998.

Ad avviso del rimettente, questa disposizione violerebbe l’art. 76 Cost. perché si porrebbe in contrasto con l’art. 2, comma 2, lettera a), della legge n. 67 del 2014, che ha conferito al Governo la delega a trasformare in illeciti amministrativi i reati puniti con sola pena pecuniaria e non ha annoverato tra le materie eccettuate da tale depenalizzazione quella dell’immigrazione: il reato previsto dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 (ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato), sottoposto alla sua cognizione e punito con la pena dell’ammenda, avrebbe dovuto, pertanto, essere depenalizzato in forza del criterio direttivo dettato dalla norma interposta evocata.

2.1.– L’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016, denunciato in subordine, abroga alcune norme incriminatrici recate dal codice penale.

Questa disposizione lederebbe l’art. 76 Cost. poiché, omettendo di abrogare e trasformare in illecito amministrativo il reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, confliggerebbe con l’art. 2, comma 3, lettera b), della legge n. 67 del 2014, che tale abrogazione e contestuale trasformazione ha specificamente previsto.

3.– Preliminarmente, occorre precisare la reale portata del petitum della questione sollevata in via principale.

Nonostante l’indistinto riferimento del dispositivo dell’ordinanza di rimessione ai reati previsti dal d.lgs. n. 286 del 1998, dal complessivo tenore dell’ordinanza medesima (ex plurimis, sentenza n. 161 del 2023) si evince con chiarezza che in realtà il giudice quo si duole dell’esclusione dalla depenalizzazione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.

In molteplici passaggi dell’ordinanza, infatti, il Tribunale fiorentino argomenta con specifico riferimento a tale reato, che, d’altro canto, è l’unico che viene in rilievo nel processo principale.

In considerazione delle argomentazioni del rimettente e della fattispecie concreta oggetto del giudizio a quo (ex plurimis, sentenze n. 54 del 2024, n. 66 del 2022 e n. 68 del 2021), deve, pertanto, ritenersi che l’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 8 del 2016 sia censurato nella sola parte in cui esclude l’applicabilità al suddetto reato della depenalizzazione disciplinata dal precedente comma 1.

4.– La questione non è fondata.

La legge n. 67 del 2014 persegue – come si desume dall’esame dei lavori parlamentari e come evidenziato nelle relazioni governative di accompagnamento agli schemi dei decreti legislativi che vi hanno dato attuazione – l’obiettivo di deflazionare il sistema penale, sostanziale e processuale, in ossequio ai principi di frammentarietà, offensività e sussidiarietà della sanzione criminale.

La chiara finalità politico-criminale delle deleghe recate dalla suddetta legge è quindi rinvenibile nell’esigenza di un alleggerimento del sistema penale coerente con il principio della extrema ratio del ricorso alla pena.

4.1.– In quest’ottica, l’art. 2 della legge in esame, al comma 1, ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi «per la riforma della disciplina sanzionatoria dei reati e per la contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili».

Nel prevedere la trasformazione in illeciti amministrativi di un insieme di reati, il legislatore delegante ha fatto ricorso, al fine della loro individuazione, a due criteri selettivi.

Il primo, previsto dalla lettera a) del comma 2 del medesimo art. 2, consiste nella cosiddetta depenalizzazione “cieca”, in quanto dispone, in virtù di una clausola generale, la trasformazione in illeciti amministrativi di «tutti i reati» puniti con la «sola pena della multa o dell’ammenda», a eccezione di quelli riconducibili ad alcune materie (edilizia e urbanistica; ambiente, territorio e paesaggio; alimenti e bevande; salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; sicurezza pubblica; giochi d’azzardo e scommesse; armi ed esplosivi; elezioni e finanziamento ai partiti; proprietà intellettuale e industriale).

Il secondo è quello di cui alle lettere da b) a d) della stessa disposizione, che hanno indicato nominatim numerose fattispecie di reato contemplate sia dal codice penale che dalla legislazione speciale.

4.2.– Durante i lavori parlamentari, come notato anche dal giudice rimettente, la materia dell’immigrazione, inizialmente compresa nell’elenco di quelle sottratte alla depenalizzazione “cieca” (disegno di legge A.S. n. 110), è stata in seguito soppressa (in forza del subemendamento n. 1.0.100/5 approvato dalla Commissione giustizia del Senato della Repubblica), con il contestuale inserimento (in quello che sarebbe poi divenuto il comma 3, lettera b, dell’art. 2 della legge n. 67 del 2014) della previsione dell’abrogazione del reato di cui all’art. 10-bis del citato d.lgs. n. 286 del 1998.

Tuttavia, nel successivo svolgimento dei lavori, il Governo, con altro emendamento, ha introdotto la previsione, accanto alla suddetta abrogazione, della trasformazione in illecito amministrativo del reato in parola, nonché quella secondo cui sarebbe invece dovuta rimanere ferma la rilevanza penale di altre violazioni in materia di immigrazione.

Si è così giunti alla formulazione dell’attuale art. 2, comma 3, lettera b), della legge n. 67 del 2014, che dispone: «abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo, il reato previsto dall’articolo 10-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, conservando rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia».

4.3.– Tale evoluzione rende evidente che, dal punto di vista normativo, la sedes materiae in cui deve essere considerato, al fine di valutare il possibile contrasto con l’art. 76 Cost., il problema della mancata abrogazione e trasformazione in illecito amministrativo del reato di cui al citato art. 10-bis non è più la cosiddetta depenalizzazione “cieca”, bensì quella nominativa.

La presenza di una esplicita previsione che individua ad nomen il reato in questione, accompagnata dalla previsione di mantenere «rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia», rende infatti palese che, a seguito dello svolgimento dei lavori parlamentari, il principio direttivo della legge delega non attiene più all’ambito della suddetta depenalizzazione “cieca”; questa infatti, per definizione, opera una generica individuazione tramite il trattamento sanzionatorio e non tramite la specifica selezione di singoli reati.

Il censurato art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 8 del 2016, laddove stabilisce che la «disposizione del comma 1 non si applica ai reati di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286», non si pone, quindi, in contrasto con il principio direttivo attinente alla depenalizzazione “cieca”, evocato dal rimettente come norma interposta.

Peraltro, tale conclusione non sembra sfuggire allo stesso rimettente che, formulando la questione in via subordinata, precisa – anche se impropriamente, come si vedrà di seguito – di reputare «più corretto individuare il provvedimento da censurare nel d.lgs. 7/2016 ed in particolare nel relativo articolo 1, che ha previsto l’abrogazione di alcune norme incriminatrici».

5.– La questione formulata in via subordinata è tuttavia inammissibile per una evidente aberratio ictus in cui il giudice a quo incorre nel censurare l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016, anziché l’art. 3 del d.lgs. n. 8 del 2016, che disciplina la depenalizzazione nominativa dei reati contemplati dalla legislazione speciale (quale è quello qui in considerazione).

L’indubbiato art. 1, comma 1, dispone, infatti, l’abrogazione dei reati di cui agli artt. 485, 486, 594, 627 e 647 cod. pen. (sono i reati di «[f]alsità in scrittura privata», «[f]alsità in foglio firmato in bianco. Atto privato», «[i]ngiuria», «[s]ottrazione di cose comuni», «[a]ppropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito»).

Si tratta di reati che nulla hanno a che fare con quello di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, perché la disposizione in esame attua il criterio direttivo stabilito dall’art. 2, comma 3, lettera a), della legge n. 67 del 2014 e non certo quello previsto dall’art. 2, comma 3, lettera b).

Il primo criterio direttivo, a differenza del secondo, attiene a uno specifico e innovativo strumento previsto dalla legge delega, riguardante l’«abrogazione di alcuni reati, con contemporanea sottoposizione dei corrispondenti fatti a sanzioni pecuniarie civili a carattere punitivo, che si aggiungono all’obbligo delle restituzioni e del risarcimento del danno secondo le leggi civili» (sentenza n. 102 del 2018).

Il censurato art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016, del resto, va letto unitamente al successivo art. 4 del medesimo decreto legislativo, con cui, parallelamente alla menzionata abolitio criminis, il legislatore delegato ha introdotto l’innovativa figura degli illeciti civili corredati da una sanzione pecuniaria aggiuntiva al risarcimento del danno: tale disposizione, infatti, descrive le condotte oggetto delle norme incriminatrici abrogate che soggiacciono a tale sanzione, stabilendo i relativi importi entro una determinata forbice edittale.

Ciò in attuazione delle lettere da c) ad e) dello stesso art. 2, comma 3, della legge n. 67 del 2014, le quali, in correlazione con la precedente lettera a), recano appunto i criteri e i principi direttivi relativi all’introduzione, contestualmente all’abrogazione dei detti reati, per i fatti corrispondenti, di sanzioni pecuniarie civili aggiuntive rispetto al risarcimento del danno.

5.1.– Questa Corte, peraltro, ha già avuto occasione di precisare che il denunciato art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016 costituisce «attuazione della delega recata dall’art. 2, comma 3, lettera a), della legge n. 67 del 2014», «non già [del]la depenalizzazione, oggetto [invece] del parallelo d.lgs. n. 8 del 2016» (sentenza n. 216 del 2018).

Di conseguenza, ha ritenuto inammissibile, per aberratio ictus, la questione avente a oggetto la mancata depenalizzazione del reato di minaccia non grave, in asserita violazione dell’art. 2, comma 2, lettere a) e g), della legge n. 67 del 2014, in quanto il rimettente aveva censurato, appunto, l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016, anziché la pertinente norma del d.lgs. n. 8 del 2016.

5.2.– In conclusione il giudice a quo, nel dolersi della (asserita) violazione del criterio direttivo di cui all’art. 2, comma 3, lettera b), della legge n. 67 del 2014, per avere il Governo omesso di trasformare in illecito amministrativo il citato reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, erroneamente indirizza le sue censure sull’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016 che si occupa, invece, dell’abrogazione di fattispecie incriminatrici poi sottoposte dal successivo art. 4 a sanzioni pecuniarie civili.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67), sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), sollevata, in riferimento all’art. 76 Cost., dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 14 maggio 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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