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Amministratori di società partecipate, incostituzionale il divieto di incarichi consecutivi

Corte Costituzionale, Sentenza n.98 del 05/06/2024

È incostituzionale il divieto di conferimento di nuovi incarichi di amministratore di società partecipate per chi abbia già ricoperto nell’anno precedente analoghi incarichi.

Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza n. 98 del 4 giugno 2024, accogliendo la questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Lazio.

Il caso di specie riguardava un manager che, avendo già ricoperto il ruolo di amministratore delegato in una società di proprietà comunale, si è visto negare la possibilità di ricoprire lo stesso ruolo in un'altra società partecipata nell'anno successivo.

La Corte ha ritenuto incostituzionali le norme del decreto legislativo n. 39 del 2013 nella parte in cui stabiliscono il divieto di conferire incarichi di amministratore di enti privati, sottoposti a controllo pubblico da parte degli enti locali (province o comuni), a coloro i quali nell’anno precedente abbiano svolto analoghi incarichi presso altri enti della stessa natura.

Tale divieto, infatti, si pone in contrasto con le previsioni della legge di delega (la n. 190 del 2012) e, quindi, con l'art. 76 della Costituzione, che non consente al Governo, nell’esercizio della delega conferitagli dal Parlamento, di introdurre ipotesi limitative che non siano state previste dal legislatore delegante.

La legge di delega limitava la non conferibilità degli incarichi a situazioni in cui l'individuo provenga da un contesto politico, senza includere gli incarichi amministrativi non politici di enti di diritto privato sotto controllo pubblico. La Corte ha chiarito che estendere questa restrizione oltre il mandato della legge di delega rappresenta un errore normativo.

La sentenza pone l'accento sulla distinzione tra l'imparzialità necessaria nell'amministrazione pubblica e l'accesso equo alle opportunità di lavoro per i professionisti. L'obiettivo originale della legge era di preservare la neutrale imparzialità dell'azione amministrativa, ma estendere questa precauzione a situazioni non contemplate dal legislatore delegante è stato giudicato eccessivo.

Con questo chiarimento, la Corte costituzionale elimina una barriera all'accesso a incarichi amministrativi per gli ex amministratori, a condizione che non siano di provenienza politica.

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SENTENZA N. 98

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettera f), e 7, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 (Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima-quater, con una ordinanza del 26 gennaio 2023 e con tre ordinanze del 27 gennaio 2023, iscritte rispettivamente ai numeri 58, 59, 60 e 61 del registro ordinanze 2023 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Visti gli atti di costituzione di Azienda multiservizi e d’igiene urbana Genova spa, di AMIU Bonifiche spa e di P. M.;

udita nell’udienza pubblica e nella camera di consiglio del 5 marzo 2024 la Giudice relatrice Maria Rosaria San Giorgio;

uditi gli avvocati Massimo Luciani per l’Azienda multiservizi e d’igiene urbana Genova spa e per AMIU Bonifiche spa e Luca Leonardi per P. M.;

deliberato nella camera di consiglio del 5 marzo 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con quattro ordinanze di identico tenore del 26 e 27 gennaio 2023, iscritte ai numeri 58, 59, 60 e 61 del registro ordinanze 2023, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima quater, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 5, 51, 76, 97, 114 e 118 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettera f), e 7, comma 2, del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 (Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190).

In particolare, le ordinanze di rimessione censurano, in via prioritaria, l’art. 1, comma 2, lettera f), e l’art. 7, comma 2, lettera d), del d.lgs. n. 39 del 2013 «nella parte in cui prevedono che “a coloro che … nell’anno precedente … siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione, non possono essere conferiti … incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione”, ovvero nella parte in cui assimilano gli incarichi di “presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico” alla precedente partecipazione a organi di indirizzo politico ai sensi dell’art. 1, comma 50, lett. c, l. n. 190/2012, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 51, 76, 97, 114 e 118 Cost.».

In via subordinata, il TAR censura il comma 2 dell’art. 7, «nella parte in cui non limita l’ipotesi di inconferibilità prevista per “coloro che … nell’anno precedente … siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione” ai soli casi in cui l’ente controllante della società di provenienza abbia popolazione superiore a 15.000 abitanti, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 51, 97, 114 e 118 Cost.».

1.1.− Nelle quattro ordinanze di rimessione, il TAR Lazio riferisce di essere chiamato a decidere su altrettante impugnazioni proposte avverso la delibera dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) 3 marzo 2021, n. 207 con la quale, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lettera d), del d.lgs. n. 39 del 2013: a) è stata dichiarata l’inconferibilità a P. M. dell’incarico di amministratore delegato della società Azienda multiservizi e d’igiene urbana Genova spa (d’ora innanzi: AMIU Genova spa), in quanto, in quel momento, egli ricopriva la carica di amministratore delegato della SATER spa, società partecipata, al 51 per cento, dal Comune di Cogoleto; b) è stata accertata l’inconferibilità, e dichiarata la relativa nullità, degli incarichi, a lui già assegnati e ancora ricoperti, di amministratore unico della GEAM - Gestioni ambientali spa e della AMIU Bonifiche spa (società, entrambe, appartenenti al medesimo gruppo, avente quale capogruppo la AMIU Genova spa), in ragione dell’incarico precedentemente ricoperto di amministratore delegato della ARAL in house srl, partecipata al 60 per cento dal Comune di Arenzano.

Nei giudizi principali ricorrono, quanto all’ordinanza iscritta al n. 58 reg. ord. 2023, la AMIU Genova spa, che opera nel settore ambientale e della gestione dei rifiuti e la cui maggioranza assoluta, per quanto riguarda la partecipazione azionaria, è detenuta dal Comune di Genova; quanto alle ordinanze iscritte ai numeri 60 e 61 reg. ord. 2023, rispettivamente, la GEAM - Gestioni ambientali spa e la AMIU Bonifiche spa (società, queste ultime, come detto, controllate dalla prima); quanto all’ordinanza iscritta al n. 59 reg. ord. 2023 P. M., amministratore unico dal 2018 di tali due ultime compagini societarie.

In tutti i ricorsi è lamentata l’illegittimità del provvedimento dell’ANAC, segnatamente per violazione degli artt. 1 e 7 del d.lgs. n. 39 del 2013: a giudizio dei ricorrenti, tali norme sarebbero state interpretate dalla stessa ANAC in modo distonico rispetto al significato costituzionalmente conforme e rispondente all’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile. In particolare, secondo le parti ricorrenti, il combinato disposto delle due norme comporterebbe l’inconferibilità solo per precedenti incarichi politici e, ancora, l’art. 7, comma 2, escluderebbe l’inconferibilità nell’ipotesi in cui la società di provenienza sia controllata (come nella specie) da un ente locale con popolazione inferiore a quindicimila abitanti. In subordine, tutte le parti ricorrenti hanno domandato al TAR di sollevare questione di legittimità costituzionale delle predette disposizioni ove interpretate letteralmente.

1.2.– Quanto alla rilevanza, il giudice rimettente evidenzia che il provvedimento è stato adottato sulla base delle disposizioni gravate ed è stato impugnato per violazione delle stesse, essendo contestata dai ricorrenti l’interpretazione letterale fatta propria dall’ANAC.

D’altronde, sarebbe da escludersi la praticabilità della lettura costituzionalmente orientata invocata dai ricorrenti, in virtù dell’univoco tenore delle disposizioni.

In ultimo, il TAR esclude la fondatezza delle ulteriori censure che consentirebbero la decisione dei ricorsi a prescindere dal promovimento delle questioni di legittimità costituzionale.

1.2.1.– Il TAR osserva, in via logicamente preliminare, che la questione di legittimità costituzionale proposta in via prioritaria risulterebbe assorbente rispetto a quella formulata in via subordinata e che l’accoglimento della prima comporterebbe l’irrilevanza sopravvenuta della seconda; pur tuttavia, il rimettente giustifica la necessità del contestuale promovimento delle due questioni in ragione dei principi di ragionevole durata del processo e di buon andamento del servizio giustizia.

1.3.– All’illustrazione delle ragioni di non manifesta infondatezza, il TAR antepone talune premesse ricostruttive del quadro normativo.

Le disposizioni censurate sono state emanate in esercizio della delega legislativa contenuta nell’art. 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione).

Con il comma 49 – osserva il rimettente – il legislatore delegante, ai dichiarati fini di prevenzione e contrasto della corruzione e di prevenzione dei conflitti di interessi, ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi diretti a modificare la disciplina vigente in materia di attribuzione di incarichi dirigenziali e di responsabilità amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni e «negli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico esercitanti funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici […] che comportano funzioni di amministrazione e gestione». Ancora, il Governo è stato delegato a modificare la disciplina vigente in materia di incompatibilità tra i detti incarichi e lo svolgimento di incarichi pubblici elettivi o la titolarità di interessi privati che possano porsi in conflitto con l’esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate.

Con il comma 50 – ricorda ancora il giudice a quo – sono stati dettati i principi e criteri cui il legislatore delegato si sarebbe dovuto attenere, fissandosi, tra gli altri, alla lettera c), quello di disciplinare i criteri di conferimento nonché i casi di inconferibilità di incarichi dirigenziali ai soggetti estranei alle amministrazioni «che, per un congruo periodo di tempo, non inferiore ad un anno, antecedente al conferimento abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive».

A giudizio del rimettente, la ratio del divieto di accesso ad incarichi gestionali e/o amministrativi a soggetti che appaiono politicamente schierati sarebbe da rinvenire, da un lato, nella tutela dell’imparzialità dell’azione amministrativa e, dall’altro, nella promozione del principio meritocratico nella selezione dei vertici amministrativi.

Proprio in attuazione della specifica previsione dell’art. 1, comma 50, lettera c), della legge n. 190 del 2012, sono state dettate le norme del Capo IV del d.lgs. n. 39 del 2013, intitolato «Inconferibilità di incarichi a componenti di organi di indirizzo politico», in cui si colloca il censurato art. 7, rubricato «Inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale e locale».

Tale disposizione – riferisce il rimettente –, nel disciplinare le ipotesi di inconferibilità, seleziona, nella seconda parte del comma 2, gli «incarichi di destinazione», vale a dire gli incarichi da assegnare per i quali va garantita l’imparzialità e il possesso di determinate competenze. Questi sono individuati nei seguenti: «a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione»; «b) gli incarichi dirigenziali nelle medesime amministrazioni di cui alla lettera a)»; «c) gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale o comunale»; «d) gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione».

Inoltre, il comma 2 dell’art. 7 individua, nella sua prima parte, gli «incarichi di provenienza» che risultano impeditivi del conferimento delle predette nomine, enucleando le seguenti tre ipotesi: coloro che, nei due anni precedenti, siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l’incarico; coloro che, nell’anno precedente, abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai quindicimila abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella stessa regione dell’amministrazione locale che conferisce l’incarico; infine, coloro che abbiano ricoperto la carica di presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione.

Nello stesso senso, l’art. 1, comma 2, lettera f), del d.lgs. n. 39 del 2013 include espressamente, nella definizione dei «componenti di organi di indirizzo politico», ai sensi anche della disciplina sull’inconferibilità, tra le altre, le persone che partecipano, in via elettiva o di nomina, «a organi di indirizzo di enti pubblici, o di enti di diritto privato in controllo pubblico, nazionali, regionali e locali».

Gli atti di promovimento rammentano che, a seguito dell’approvazione del d.lgs. n. 39 del 2013, la stessa ANAC, con atto di segnalazione del 10 gennaio 2015, n. 4, rivolto al Parlamento e al Governo, aveva evidenziato la necessità di eliminare, tra le cause di inconferibilità per provenienza «da cariche politiche», quelle che si riferiscono alla provenienza da cariche in enti di diritto privato in controllo pubblico.

Analoga esigenza di modifica era stata espressa dalla Commissione di studio per la revisione della disciplina vigente in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza, istituita dall’ANAC, la quale, con relazione pubblicata nel mese di luglio 2015, aveva posto l’accento sul rilievo che le cariche di presidente e amministratore di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico non comporterebbero – nel senso stretto di cui alla delega contenuta nell’art. 1, comma 50, della legge n. 190 del 2012 – la titolarità di funzioni di indirizzo politico, ma presupporrebbero, piuttosto, l’esercizio di funzioni di indirizzo politico-amministrativo (per gli enti pubblici) e di indirizzo politico “aziendale” (per gli enti di diritto privato in controllo pubblico), ma pur sempre in attuazione dell’indirizzo politico ricevuto. Tali cariche, inoltre, non sarebbero attribuite attraverso elezioni.

1.4.– Alla luce del delineato quadro normativo, le quattro ordinanze di rimessione motivano sulla non manifesta infondatezza anzitutto delle questioni sollevate in via prioritaria.

1.4.1.– In primo luogo, secondo il giudice a quo, gli artt. 1, comma 2, lettera f), e 7, comma 2, lettera d), del d.lgs. n. 39 del 2013 contrasterebbero con gli artt. 3 e 76 Cost. per incoerenza con la legge delega.

L’art. 1, comma 50, lettera c), della legge n. 190 del 2012 aveva rimesso al legislatore delegato la disciplina dell’inconferibilità solo nei riguardi di coloro che «abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive». In quest’ultima categoria non potrebbero includersi coloro che (a norma delle disposizioni censurate) abbiano ricoperto la carica di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico», i quali, invece, eserciterebbero solo ruoli di gestione o di indirizzo politico-aziendale.

Il rimettente, in proposito, si fa carico delle pronunce del giudice amministrativo in cui si è ritenuto di non sollevare la questione di legittimità costituzionale per eccesso di delega, e ciò in virtù dell’ulteriore previsione, contenuta nell’art. 1, comma 50, lettera d), numero 3), della legge n. 190 del 2012, che ha indicato al legislatore delegato di ricomprendere, tra gli incarichi da regolare, quelli di «amministratore di enti pubblici e di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico» (sono citate: Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 11 gennaio 2018, n. 126, e 27 marzo 2020, n. 2149; Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, sezione prima, sentenza 19 luglio 2018, n. 578); tuttavia aggiunge di essere di contrario avviso, in quanto la citata disposizione si riferirebbe solo agli incarichi di destinazione e non a quelli di provenienza.

1.4.2.– In secondo luogo, ad avviso del TAR Lazio, l’inconferibilità prevista dalle disposizioni censurate violerebbe gli artt. 3, 4 e 51 Cost., in quanto comporterebbe, a danno degli interessati alla nomina, una limitazione al diritto al lavoro (art. 4 Cost.) e alla possibilità di accesso agli uffici pubblici (art. 51 Cost.): limitazione che sarebbe sproporzionata e irragionevole rispetto alla finalità perseguita. Per un verso, la preclusione della nomina di soggetti che non ingenerano dubbi di parzialità contrasterebbe con il fine di tutela dell’imparzialità della pubblica amministrazione; per altro verso, l’impedimento alla circolazione, all’interno delle amministrazioni, di amministratori competenti ed estranei alla logica di appartenenza politica contrasterebbe con l’ulteriore finalità meritocratica.

1.4.3.– Le disposizioni censurate violerebbero, ancora, gli artt. 3 e 97 Cost.

Il divieto per le amministrazioni locali di conferimento degli incarichi manageriali a chi sul campo ha dimostrato la propria competenza nello svolgimento del medesimo ruolo presso altra «società pubblica» lederebbe il principio di buon andamento della pubblica amministrazione.

Ancora una volta, poi, si tratterebbe di una misura sproporzionata rispetto alle finalità normative di tutela dell’imparzialità e del merito.

1.4.4.– Il TAR rimettente lamenta, infine, la lesione anche degli artt. 3, 5, 97, 114 e 118 Cost.

La prevista inconferibilità disincentiverebbe i migliori manager ad accettare gli incarichi da parte di enti di diritto privato controllati da amministrazioni locali di ridotte dimensioni, per il timore di vedersi precluse successive nomine più prestigiose, così frustrandosi l’autonomia dei piccoli comuni e il loro compito di erogare servizi adeguati.

1.5.– Il giudice a quo passa poi a illustrare la non manifesta infondatezza delle questioni sollevate in via subordinata.

1.5.1.– Nel censurare l’art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 39 del 2013, nella parte in cui non limita l’inconferibilità ai soli casi in cui l’ente locale controllante «della società» di provenienza abbia popolazione superiore a quindicimila abitanti, il TAR osserva che la disposizione denunciata, nella sua completa enunciazione, conferisce espresso rilievo al dato dimensionale dell’ente locale in due diverse prospettive: da un lato, in relazione agli incarichi di provenienza, precludendo le nomine di chi abbia fatto parte della giunta o del consiglio di comuni o associazioni di comuni qualora si tratti di enti con popolazione superiore a quindicimila abitanti; dall’altro lato, in relazione agli incarichi di destinazione riguardanti (per quanto in questa sede interessa) gli organi di amministrazione degli enti privati in controllo pubblico, impediti (dalla lettera d) solo nel caso in cui il controllo sia esercitato da comuni o loro associazioni con più di quindicimila abitanti. Al contrario, la disposizione non dà rilievo alla dimensione dell’ente locale controllante ove l’incarico di provenienza sia quello di presidente o amministratore delegato di ente privato in controllo pubblico.

1.5.2.– L’art. 7, comma 2, darebbe, allora, anzitutto luogo ad una intollerabile disparità di trattamento, riguardante l’efficacia ostativa degli incarichi di provenienza. Risulta, infatti, che vi sia inconferibilità di nuovi incarichi se quello di provenienza è stato svolto in enti di diritto privato controllati da enti locali di piccole dimensioni (art. 7, comma 2, prima parte, ultima ipotesi contemplata); è, invece, possibile conferire nuovi incarichi qualora quello di provenienza sia stato svolto negli organi politici (giunta o consiglio) dei medesimi enti locali di piccole dimensioni (art. 7, comma 2, prima parte, seconda ipotesi contemplata). Solo per questo secondo caso, infatti, la piccola dimensione dell’ente locale controllante è normativamente assunta a fattore di attenuazione del rischio di parzialità.

1.5.3.– L’art. 3 Cost. sarebbe violato anche sotto il diverso profilo della irragionevolezza, in quanto la mancata limitazione della inconferibilità in relazione all’incarico di provenienza ostacolerebbe il passaggio (ascensionale) dei manager meritevoli da società controllate da enti territoriali di piccole dimensioni a società controllate da enti più grandi, mentre le disposizioni consentirebbero il flusso inverso. Infatti, per effetto della previsione della lettera d) del comma 2 in esame, il divieto di conferimento di un nuovo incarico manageriale sussiste solo se l’ente conferente è controllato da un ente locale di grandi dimensioni; viceversa, simile divieto non è previsto se l’ente locale controllante è un piccolo comune, in tal caso quindi consentendosi il passaggio (discensionale) del manager da un incarico presso ente controllato da un grande comune ad un incarico presso ente controllato da un piccolo comune.

1.5.4.– La mancata limitazione, appena descritta, della causa di inconferibilità lederebbe al contempo gli artt. 3, 4 e 51 Cost. e gli artt. 3 e 97 Cost.: la norma ostacolerebbe il normale flusso dei professionisti più meritevoli da società controllate da enti locali di piccole dimensioni a società pubbliche di maggiore rilievo, comprimendo irragionevolmente, per un verso, il diritto al lavoro e la possibilità di accesso alle cariche pubbliche dei professionisti e, per altro verso, il buon andamento dell’amministrazione.

1.5.5.– Analogamente, vi sarebbe un vulnus agli artt. 3, 5, 97, 114 e 118 Cost., in quanto risulterebbero disincentivati i manager migliori nell’accettazione di incarichi presso enti di diritto privato controllati da amministrazioni locali di ridotte dimensioni, per il timore di vedersi precluse successive nomine in società pubbliche di maggior rilievo.

2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in nessuno dei giudizi innanzi alla Corte.

3.– Nei giudizi relativi alle ordinanze iscritte ai numeri 58 e 60 reg. ord del 2023 si sono costituite, con atti identici, la AMIU Genova spa e la AMIU Bonifiche spa, ricorrenti nei rispettivi giudizi quibus, le quali hanno chiesto l’accoglimento delle questioni promosse negli stessi termini auspicati dal rimettente.

In via preliminare, le difese hanno evidenziato la sussistenza dei requisiti di ammissibilità delle questioni sollevate dal TAR Lazio, avuto riguardo alla loro esatta formulazione nonché alla puntuale motivazione, resa dal rimettente, in ordine ai presupposti per sollevarle.

Nel merito, le parti hanno illustrato e condiviso le argomentazioni spese dalle ordinanze di rimessione.

Le società in controllo pubblico si sono limitate ad aggiungere i seguenti, sintetici rilievi. Il lamentato vizio di eccesso di delega si risolverebbe in danno di coloro che non ricoprono ruoli di indirizzo politico. Inoltre, il divieto di nuovi incarichi per quei professionisti scevri da dubbi di parzialità darebbe luogo ad una rilevante compressione dei diritti tutelati dagli artt. 4 e 51 Cost., tale da non superare il cosiddetto test di proporzionalità, che misura l’appropriatezza della misura adottata dal legislatore rispetto al fine perseguito. Ancora, la mancata limitazione del divieto, quanto agli incarichi di provenienza, in ragione del dato dimensionale dell’ente locale controllante darebbe luogo a un trattamento addirittura deteriore per coloro che abbiano ricoperto la carica di presidente o amministratore di enti privati in controllo pubblico rispetto a chi sia stato componente di organi politici, proprio perché, conformemente al dettato dell’art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 39 del 2013, la piccola dimensione dell’ente locale di riferimento finisce per escludere il divieto di nomina solo in quest’ultima ipotesi, ancorché più delicata dell’altra.

4.– Nel giudizio riferito all’ordinanza iscritta al n. 59 reg. ord. 2023 si è costituito P. M., ricorrente nel relativo processo principale dinnanzi al TAR, concludendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.

La parte privata premette di avere maturato una lunghissima esperienza nella gestione di società specializzate nel settore della tutela ambientale, per aver ricoperto incarichi apicali ottenuti solo grazie alle proprie dimostrate capacità, e non certo per ruoli o appartenenze politiche di sorta; in tale contesto, evidenzia altresì la gravità e l’ingiustizia del danno che le deriverebbe dall’impugnato provvedimento dell’ANAC.

Il ricorrente del giudizio a quo ripercorre e sostiene, poi, le ragioni poste dal TAR a fondamento della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni, sottolineando la portata discriminatoria e sproporzionata delle disposizioni censurate rispetto alle legittime aspettative dei professionisti, in uno con l’ulteriore pregiudizio per l’azione della pubblica amministrazione, impedita nell’affidare incarichi a chi abbia dimostrato le proprie capacità in precedenti esperienze.

In tale contesto, viene svolta una considerazione aggiuntiva a sostegno della prospettata illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate. In particolare, il lamentato contrasto con l’art. 76 Cost. sarebbe ulteriormente rafforzato dal fatto che la legge delega n. 190 del 2012 aveva considerato, come ragione di pregiudizio per l’affidamento di nuovi incarichi, le precedenti cariche assunte in enti privati ma solo se «sottoposti a controllo o finanziati» da parte della medesima amministrazione che procede alla nuova nomina (art. 1, comma 50, lettera b, della legge n. 190 del 2012). Tale specifica previsione della legge delega avrebbe, dunque, impedito al legislatore delegato di stabilire un divieto assoluto di inconferibilità, dovendo quest’ultima essere limitata alle sole fattispecie considerate espressamente dal legislatore delegante. Al più, il Governo, nel perseguire il fine della prevenzione e del contrasto della corruzione, avrebbe potuto stabilire una disciplina tesa a valutare le incompatibilità caso per caso, pur sempre sotto la guida dei principi costituzionali di proporzionalità e di ragionevolezza.

Con memoria depositata il 12 febbraio 2024, P. M. ha ribadito le proprie argomentazioni difensive, per lo più riportando, in senso adesivo, ampi stralci delle ordinanze di rimessione, e quindi insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.

Considerato in diritto

1.– Nel corso di quattro giudizi aventi ad oggetto il medesimo provvedimento assunto da ANAC, relativo alla inconferibilità di incarichi di amministratore di società di diritto privato controllate dal Comune di Genova, il TAR Lazio, sezione prima quater, con distinte ordinanze di identico tenore, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettera f), e 7, comma 2, del d.lgs. n. 39 del 2013, per contrasto con gli artt. 3, 4, 5, 51, 76, 97, 114 e 118 Cost.

In via prioritaria, in riferimento agli indicati parametri, il TAR censura il predetto art. 7, comma 2, lettera d), nella parte in cui non consente di conferire l’incarico di amministratore di ente di diritto privato – che si trovi sottoposto a controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a quindicimila abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione – in favore di coloro che, nell’anno precedente, siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato controllati da amministrazioni locali (provincia, comune o loro forme associative in ambito regionale).

Viene censurata, altresì, sulla base dei medesimi parametri, la norma definitoria di cui all’art. 1, comma 2, lettera f), nella parte in cui, come rileva il ricorrente, ricomprende, tra i «componenti di organi di indirizzo politico» di cui all’art. 1, comma 50, della legge delega n. 190 del 2012, le persone che partecipano a organi di indirizzo di enti di diritto privato in controllo pubblico nazionali, regionali e locali.

In via subordinata, e «[f]erma l’assorbente questione di legittimità costituzionale sopra evidenziata», il TAR censura, per contrasto con gli artt. 3, 4, 5, 51, 97, 114 e 118 Cost., il comma 2 dell’art. 7 citato nella parte in cui non limita l’ipotesi di inconferibilità – prevista per coloro che, nell’anno precedente, abbiano ricoperto la carica di presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di enti locali (province, comuni o loro forme associative in ambito regionale) – ai soli casi in cui l’ente controllante della società di provenienza abbia popolazione superiore a quindicimila abitanti.

2.– Preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei giudizi, aventi ad oggetto le medesime disposizioni di legge, che sono censurate sulla base di parametri e di argomentazioni coincidenti (ex plurimis, sentenze n. 21 del 2024 e n. 205 del 2023).

3.– È opportuno premettere all’esame delle questioni una sintetica illustrazione del quadro normativo di riferimento in cui calare le censure mosse dal giudice rimettente.

3.1.– Con l’art. 1, comma 49, della legge n. 190 del 2012 il Governo è stato delegato a modificare la disciplina vigente in materia di attribuzione di incarichi dirigenziali e di responsabilità amministrativa di vertice nelle amministrazioni pubbliche. L’attenzione del legislatore delegante è stata rivolta agli incarichi «che comportano funzioni di amministrazione e gestione», con l’esplicito obiettivo «della prevenzione e del contrasto della corruzione, nonché della prevenzione dei conflitti di interessi». In tale contesto, tra gli incarichi oggetto di disciplina sono stati inclusi anche quelli presso gli «enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico esercitanti funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici». In tal modo, con approccio sostanziale, il legislatore delegante ha inteso coinvolgere tutti gli enti che sono chiamati a svolgere una funzione pubblica, a prescindere dalla natura giuridica (pubblica o privata) e, nel caso degli enti privati, dalla tipologia societaria prescelta. Allo stesso tempo, si è fatto leva su una nozione ampia di funzionario pubblico, tale da ricomprendere, nel solco dell’art. 54, secondo comma, Cost., tutti coloro cui sono affidate «funzioni pubbliche» di rilievo amministrativo, a prescindere dalla natura, pubblica o privata, dell’ente presso il quale l’incarico è ricoperto.

I principi e i criteri direttivi, cui avrebbe dovuto attenersi il Governo nel dettare la disciplina di revisione, sono stati indicati nella delega al Governo contenuta nell’art. 1, comma 50, della legge n. 190 del 2012, e si incentrano sull’operatività degli istituti, già noti all’ordinamento, della inconferibilità e della incompatibilità. In particolare, le lettere a), b) e c) hanno specificamente considerato l’aspetto della inconferibilità degli incarichi de quibus, secondo la logica preventiva della non assegnazione dell’incarico nei confronti di coloro che si trovano in determinate situazioni, considerate ostative. Le successive lettere e) e f) hanno considerato la diversa prospettiva dell’incompatibilità, nell’ottica di rimuovere gli incarichi già assegnati al sopravvenire di situazioni che possono comprometterne il genuino svolgimento. La lettera d) del comma 50 ha, invece, individuato «gli incarichi oggetto della disciplina», enumerandoli dal numero 1) al numero 3).

Tratto comune delle richiamate previsioni è l’obiettivo di assicurare «l’esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate», rendendolo immune dall’influenza che può derivare – per quanto in questa sede maggiormente interessa – dallo «svolgimento di incarichi pubblici elettivi» (così il comma 49). In tale prospettiva, la lettera c) del comma 50 ha introdotto l’ipotesi dell’inconferibilità per provenienza politica, applicabile ai «soggetti estranei alle amministrazioni che, per un congruo periodo di tempo, non inferiore ad un anno, antecedente al conferimento abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive».

3.2.– La disciplina censurata, che ha introdotto la regola della «Inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale e locale» (così la rubrica dell’art. 7 del d.lgs. n. 39 del 2013), oggetto dei presenti giudizi di legittimità costituzionale, distingue le inconferibilità applicabili al livello di governo regionale (art. 7, comma 1) da quelle riguardanti, nello specifico, il livello di governo locale (comma 2). Per entrambe le ipotesi vengono dettate previsioni similari, che si sostanziano nel divieto di conferire incarichi (amministrativi di vertice o dirigenziali), qualora il soggetto interessato abbia ricoperto analoghe posizioni di provenienza entro un determinato intervallo temporale antecedente al conferimento, il cosiddetto “periodo di raffreddamento”. Rispetto alle indicazioni della legge di delega, che aveva all’uopo indicato «un congruo periodo di tempo, non inferiore ad un anno» (art. 1, comma 50, lettera c, della legge n. 190 del 2012), il legislatore delegato ha ritenuto di fissare il periodo di due anni, ovvero di un anno – a seconda che la nuova posizione sia conferita dalla stessa amministrazione, territoriale o locale, presso la quale era stato svolto il precedente incarico, ovvero da un’amministrazione diversa pur se appartenente al medesimo ambito regionale –, così attestandosi su una soglia temporale non particolarmente estesa. La soglia in assoluto più bassa, pari ad un solo anno, è stata individuata quale “periodo di raffreddamento” per l’ipotesi di inconferibilità che viene in esame nei presenti giudizi, vale a dire quella che coinvolge – sia dal lato degli incarichi di provenienza ostativi, sia dal lato di quelli di destinazione – gli enti di diritto privato in controllo pubblico.

A presidio delle ipotesi di inconferibilità (nonché di quelle di incompatibilità, previste dal Capo V e dal Capo VI del decreto legislativo) il legislatore delegato ha introdotto un apparato di controllo e di sanzioni.

Il controllo è anzitutto affidato ad organi interni della singola amministrazione interessata, per il tramite della figura del responsabile della prevenzione della corruzione (RPC), che è chiamato a contestare all’interessato l’esistenza o l’insorgere delle situazioni di inconferibilità o incompatibilità e a segnalare le violazioni all’ANAC e all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per i profili relativi alla legge 20 luglio 2004, n. 215 (Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi), nonché alla competente procura regionale della Corte dei conti, per l’accertamento delle eventuali responsabilità amministrative (art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 39 del 2013). Sono poi previsti controlli esterni, demandati all’ANAC, che li esercita anche servendosi di poteri ispettivi e di accertamento (come avvenuto, del resto, nelle vicende che hanno condotto ai giudizi quibus) e che può sospendere, formulando contestualmente osservazioni o rilievi, la procedura di conferimento dell’incarico, oltre a segnalare il caso alla predetta procura regionale della Corte dei conti, sempre per l’accertamento di eventuali responsabilità amministrative (art. 16 del d.lgs. n. 39 del 2013).

L’apparato sanzionatorio consiste nella comminatoria della nullità sia all’atto di conferimento dell’incarico per il quale sussisteva la causa di inconferibilità, sia al contratto che disciplina il relativo rapporto civilistico (art. 17 del d.lgs. n. 39 del 2013). Alla nullità si affianca la responsabilità dei funzionari che hanno conferito l’incarico, per le conseguenze economiche che ne possano derivare (art. 18, comma 1), insieme ad una loro speciale interdizione, della durata di tre mesi, dal potere di conferire ulteriori incarichi di loro competenza (art. 18, comma 2).

Nel complesso, la disciplina dettata dal d.lgs. n. 39 del 2013, e ancor prima la delega conferita dalla legge n. 190 del 2012, mirano al raggiungimento dell’obiettivo, di rilievo costituzionale, di assicurare l’imparzialità dell’agire amministrativo, declinata in chiave spiccatamente preventiva, come esigenza, cioè, di garantire anche la mera apparenza di imparzialità del funzionario pubblico.

3.3.– Ciò posto, occorre anzitutto precisare che i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dal TAR rimettente si appuntano sul solo comma 2 dell’art. 7 del d.lgs. n. 39 del 2013, che delinea le ipotesi di inconferibilità degli incarichi amministrativi nello scenario delle amministrazioni di livello locale (province, comuni e relative forme associative). Nello specifico, le ordinanze di rimessione coinvolgono le sole previsioni, ivi dettate, che riguardano gli incarichi svolti presso gli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico da parte delle predette amministrazioni locali: e ciò, sia sul versante degli incarichi di provenienza, quelli cioè che, se svolti entro il cosiddetto periodo di raffreddamento (dalla norma, come detto, fissato nella soglia più bassa, pari ad un solo anno), acquisiscono portata ostativa; sia sul versante degli incarichi di destinazione, vale a dire quelli che, per l’appunto, non possono essere conferiti in presenza della causa ostativa.

Occorre, inoltre, evidenziare che, nei casi sottoposti al giudizio del TAR rimettente, le situazioni di provenienza, impeditive del conferimento dei nuovi incarichi, si caratterizzano per la comune connotazione non politica. Viene, invero, in rilievo lo svolgimento nel corso del tempo, da parte del professionista (che è anche ricorrente in uno dei giudizi quibus), dell’incarico di amministratore delegato presso diversi enti di diritto privato, tutti controllati da comuni di piccole dimensioni (aventi, cioè, popolazione inferiore ai quindicimila abitanti). Tali pregresse esperienze, pur limitate ad una dimensione prettamente amministrativo-gestionale delle aziende in controllo pubblico, e quindi prive, di per sé, di connotazione politica, acquisiscono nondimeno portata ostativa al conferimento del nuovo incarico di amministratore delegato presso enti di diritto privato controllati da un comune più grande (nei casi in esame, quello di Genova): e ciò, proprio per effetto delle disposizioni illustrate, sulle quali si appuntano le censure del rimettente.

Secondo il giudice a quo, sarebbe in tal modo tradita la ratio di fondo della legge delega n. 190 del 2012, che circoscrive l’operare dell’inconferibilità alle sole cariche di natura politica in precedenza rivestite dal nominato: ne deriverebbe il vizio di eccesso di delega (art. 76 Cost.), insieme all’illegittima e sproporzionata restrizione dell’accesso agli uffici pubblici (artt. 3 e 51 Cost.) e del diritto al lavoro del professionista interessato (artt. 3 e 4 Cost.). Ancora, dal punto di vista dell’amministrazione, si apprezzerebbe una lesione dei principi di buon andamento e di efficienza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), che il rimettente declina anche in rapporto al principio di autonomia dei piccoli comuni (artt. 114 e 118 Cost.), i quali sarebbero ostacolati nel reperimento di professionisti idonei a ricoprire gli incarichi di responsabilità amministrativa presso gli enti privati da loro controllati.

4.– Tanto premesso, ed iniziando la disamina delle questioni di legittimità costituzionale da quelle che il rimettente ha sollevato in via prioritaria, va rilevata la pregiudizialità logico-giuridica della questione avente a parametro l’art. 76 Cost.

Essa, infatti, come costantemente affermato da questa Corte, investe il corretto esercizio della funzione legislativa, sicché la sua eventuale fondatezza «elide[rebbe], in radice, ogni questione in ordine al contenuto precettivo della norma in esame e determin[erebbe] l’assorbimento di quelle riferite agli ulteriori parametri costituzionali dianzi indicati» (così, ex plurimis, sentenza n. 250 del 2016; più di recente, anche sentenze n. 150 del 2022 e n. 142 del 2020).

5.– La questione è fondata.

5.1.– Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la verifica di conformità della norma delegata a quella delegante richiede lo svolgimento di un duplice processo ermeneutico che, condotto in parallelo, tocca, da una parte, la legge di delegazione e, dall’altra, le disposizioni stabilite dal legislatore delegato, da interpretare nel significato compatibile con la delega stessa.

Al legislatore delegato può ben essere riconosciuto un margine di discrezionalità (sentenza n. 100 del 2020), tale da consentirgli di introdurre norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante (tra le tante, sentenza n. 150 del 2022).

La discrezionalità del Governo, tuttavia, va apprezzata e ritenuta in relazione al grado di specificità dei criteri fissati dalla legge di delega e in coerenza con la ratio sottesa a questi ultimi (sentenza n. 166 del 2023). E ciò, tanto più ove la delega, come nel caso in esame, abbia ad oggetto il riordino della disciplina già esistente in una materia caratterizzata dall’elevata complessità (sentenza n. 260 del 2021), e tale da comportare rilevanti limitazioni all’accesso al lavoro, il quale costituisce un «profilo particolare del “diritto al lavoro” (art. 4 della Costituzione), […] più volte qualificato da questa Corte, anche con riferimento ai pubblici uffici, come “fondamentale diritto di libertà della persona umana” (v., ad esempio, sent. n. 45 del 1965)» (sentenza n. 108 del 1994).

Nella specie, deve escludersi che le disposizioni delegate di cui si tratta rappresentino un coerente sviluppo delle scelte della legge di delegazione.

5.2.– Al riguardo, occorre riferirsi, anzitutto, al comma 49 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2012, il quale individua l’oggetto della disciplina che viene rimessa al legislatore delegato, chiamato – per quanto in questa sede maggiormente interessa – a «modificare la disciplina vigente in materia di attribuzione di incarichi dirigenziali e di incarichi di responsabilità amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni […] e negli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico […] che comportano funzioni di amministrazione e gestione».

In base al significato proprio delle parole utilizzate, non è revocabile in dubbio che il legislatore delegante intendesse qui riferirsi agli incarichi di destinazione, quelli cioè che dovrebbero formare oggetto di protezione dalle interferenze di interessi esterni, potenzialmente in conflitto con l’esercizio della funzione pubblica. Tali incarichi sono esplicitamente individuati in quelli «di amministrazione e gestione», che corrispondono, nel vigente panorama normativo, all’esercizio dell’attività dirigenziale cui fa riferimento, in contrapposizione all’attività di indirizzo politico-amministrativo, l’art. 4, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). Ciò, sullo sfondo del «principio della distinzione tra indirizzo e controllo, da un lato, e attuazione e gestione dall’altro» (art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001), valorizzato anche dalla costante giurisprudenza di questa Corte quale corollario e presidio di garanzia dell’imparzialità dell’azione amministrativa (ex plurimis, sentenze n. 70 del 2022, n. 304 del 2010, n. 103 del 2007 e n. 453 del 1990).

Il successivo comma 50, per parte sua, laddove indica al Governo i principi e i criteri direttivi per la disciplina dell’inconferibilità, enucleati nelle lettere da a) a c), approfondisce l’altro aspetto della questione, individuando gli incarichi (o le situazioni) di provenienza che assumono valenza ostativa per il conferimento degli incarichi di destinazione di cui al comma 49. Nel far ciò, per quanto in questa sede interessa, la lettera c) del comma 50 circoscrive l’ipotesi di inconferibilità, ivi prevista, alla provenienza politica del nominato, mentre la lettera b) prevede, quale unica ipotesi di provenienza non politica ostativa, quella relativa a coloro i quali «per un congruo periodo di tempo, non inferiore ad un anno, antecedente al conferimento abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato sottoposti a controllo o finanziati da parte dell’amministrazione che conferisce l’incarico».

L’espressione «indirizzo politico» è usata ripetutamente dalla disposizione, anche laddove essa introduce il criterio direttivo della “graduazione”, che chiama il legislatore delegato a regolare i casi di inconferibilità «in rapporto alla rilevanza delle cariche di carattere politico ricoperte, all’ente di riferimento e al collegamento, anche territoriale, con l’amministrazione che conferisce l’incarico».

In tale contesto, la successiva lettera d) dello stesso comma 50, a margine dell’individuazione delle ipotesi di inconferibilità di cui alle tre lettere precedenti, chiama il Governo a «comprendere tra gli incarichi oggetto della disciplina» anche quelli indicati al successivo numero 3), ossia «gli incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico».

Come correttamente rileva il giudice a quo, sulla base delle parole impiegate dal legislatore, gli «incarichi oggetto della disciplina», così indicati dalla lettera d), altro non sono che quelli che la legge delega intende proteggere dalle interferenze esterne, e cioè gli incarichi di destinazione: la «disciplina» di cui si discute è, infatti, quella indicata dalla norma di apertura, il comma 49, che, per l’appunto, delega il Governo a «modificare la disciplina vigente in materia di attribuzione di incarichi».

Deve pertanto concludersi che, nell’individuare gli incarichi di provenienza ostativi, la legge delega si è limitata ad indicare solo quelli di natura «politica» (comma 50, lettera c), con esclusione di quelli di natura amministrativo-gestionale (salvo il caso, già ricordato, di cui al comma 50, lettera b).

Al contempo, «gli incarichi di amministratore […] di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico», di cui alla lettera d), numero 3), dello stesso comma 50, assumono rilievo, nella logica della legge delega, solo in quanto incarichi di destinazione, che il comma 49 rende oggetto della disciplina delegata.

5.3.– D’altra parte, come evidenziato dall’ANAC nell’ambito della sua attività istituzionale di segnalazione e di impulso al Parlamento e al Governo, nelle cariche di presidente e di amministratore, tanto degli enti pubblici, quanto degli enti privati in controllo pubblico, «non si riscontra […] la titolarità di funzioni di indirizzo politico (in senso stretto come ipotizza la delega del comma 50), ma piuttosto di funzioni di indirizzo politico-amministrativo (per gli enti pubblici) e di indirizzo politico “aziendale” (per gli enti di diritto privato in controllo pubblico)», auspicandosi, pertanto, l’eliminazione di tali posizioni dal novero di quelle che comportano inconferibilità, proprio al fine di ricondurre le previsioni del d.lgs. n. 39 del 2013 alla delega della legge n. 190 del 2012 (così, il punto n. 6 della «Relazione finale sulla revisione della disciplina vigente in materia di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico», redatta, nel mese di luglio 2015, dalla Commissione di studio, istituita in seno ad ANAC, per la revisione della disciplina vigente in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza).

Tale auspicio corrisponde, per l’appunto, alle previsioni della lettera c) dell’art. 1, comma 50, della legge delega n. 190 del 2012. L’esigenza di garantire anche l’apparenza dell’imparzialità forma oggetto di una protezione ampiamente anticipata, che trova la propria giustificazione nella natura “politica” della precedente posizione ricoperta dal funzionario, considerata potenzialmente confliggente con tale esigenza. Ciò costituisce l’esito di un bilanciamento operato dal legislatore delegante, che ha ritenuto di sacrificare, entro un certo limite, le istanze pur ricollegabili a interessi costituzionalmente protetti – come l’efficienza dell’agire amministrativo e l’accesso al lavoro dei professionisti – a fronte dell’interesse a garantire l’imparzialità dell’azione amministrativa, anche nella forma ampiamente anticipata della “apparenza” di imparzialità.

L’ulteriore estensione della garanzia preventiva anche ad ipotesi prive di qualsiasi percepibile collegamento con lo svolgimento di cariche o incarichi “politici” appare, dunque, estranea all’obiettivo perseguito dal legislatore delegante e finisce, anzi, per pregiudicarlo.

Sotto questo profilo, pertanto, si coglie l’aspetto di maggiore frizione della legge delegata rispetto alle previsioni della legge n. 190 del 2012, in quanto l’enucleazione delle ipotesi di inconferibilità è stata estesa lungo un versante – per l’appunto, quello degli incarichi privi di connotazione politica – che non era stato voluto dal legislatore delegante.

5.4.– Quanto precede rende evidente che, nel caso di specie, il legislatore delegato è andato oltre i limiti che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, caratterizzano la previsione dell’art. 76 Cost.

Le disposizioni del d.lgs. n. 39 del 2013 avrebbero dovuto prediligere una interpretazione restrittiva delle cause di inconferibilità che si mantenesse entro i binari indicati dalla legge di delega.

Al contrario, esse hanno incluso, tra le ragioni di inconferibilità di nuovi incarichi, l’esercizio di pregresse esperienze di natura non politica, anche mediante l’introduzione della definizione di «componenti di organi di indirizzo politico» (di cui all’art. 1, comma 2, lettera f, del d.lgs. n. 39 del 2013), la quale, in modo improprio, si riferisce anche alle persone che abbiano preso parte a organi privi di rilevanza politica, quali, per quanto in questa sede interessa, quelli di indirizzo «di enti di diritto privato in controllo pubblico». In tal modo, si è operata una commistione tra incarichi politici e incarichi di mera gestione amministrativo-aziendale, che devono invece essere tenuti distinti.

6.– Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettera f), e 7, comma 2, lettera d), del d.lgs. n. 39 del 2013, nella parte in cui non consentono di conferire l’incarico di amministratore di ente di diritto privato – che si trovi sottoposto a controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a quindicimila abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione – in favore di coloro che, nell’anno precedente, abbiano ricoperto la carica di presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato controllati da amministrazioni locali (provincia, comune o loro forme associative in ambito regionale).

Restano assorbiti gli ulteriori parametri, così come resta assorbita la questione sollevata in via subordinata, che perde di rilevanza per effetto dell’accoglimento di quelle proposte in via principale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettera f), e 7, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 (Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190), nella parte in cui non consentono di conferire l’incarico di amministratore di ente di diritto privato – che si trovi sottoposto a controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a quindicimila abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione – in favore di coloro che, nell’anno precedente, abbiano ricoperto la carica di presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato controllati da amministrazioni locali (provincia, comune o loro forme associative in ambito regionale).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 marzo 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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