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Trattenimento di stranieri, bocciata la procedura semplificata

Corte Costituzionale, Sentenza n.39 del 10/04/2025

È incostituzionale escludere il contraddittorio nei ricorsi per Cassazione contro i provvedimenti di convalida del trattenimento dello straniero espulso o richiedente asilo.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 39 del 10 aprile 2025, ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’art. 14, comma 6, del Testo unico sull’immigrazione (D.lgs. 286/1998), come modificato dal D.L. 145/2024.

Nel caso di specie, la normativa rinviava alla disciplina del mandato d’arresto europeo consensuale, prevedendo che la Corte di cassazione decidesse in camera di consiglio e senza l’intervento delle parti.

Il diritto di difesa

Secondo l’art. 24 della Costituzione, il diritto di difesa è inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Allo stesso modo, l’art. 3 Cost. impone il rispetto del principio di uguaglianza.

La norma censurata rinviava all’art. 22, comma 5-bis, della legge 69/2005 (mandato d’arresto europeo consensuale), escludendo il contraddittorio.

Ma la Consulta ha stabilito che questa equiparazione è irragionevole, perché si tratta di due situazioni non assimilabili: nel mandato d’arresto consensuale c'è un consenso dell’interessato, mentre nei ricorsi sul trattenimento no.

La decisione della Consulta

La Corte ha rilevato che applicare un modello pensato per situazioni consensuali (come quello del mandato d’arresto europeo) a una convalida coercitiva del trattenimento di uno straniero è manifestamente irragionevole.

Il giudizio sul trattenimento non è un controllo meramente formale, ma può toccare aspetti sostanziali e richiede un confronto tra le parti.

Inoltre, è stato precisato che il rito semplificato non può essere giustificato dalla sola esigenza di celerità del procedimento, quando in gioco vi sono libertà fondamentali.

Per colmare il vuoto normativo, la Corte ha individuato come disciplina interinale quella prevista per il mandato d’arresto europeo ordinario (art. 22, commi 3 e 4, legge 69/2005), che prevede l’udienza camerale con la partecipazione delle parti.

Conclusione

La Corte costituzionale boccia il rinvio al modello processuale del mandato consensuale: nei ricorsi per Cassazione sulla convalida del trattenimento dello straniero serve una procedura pienamente garantita.

Nel frattempo, si applicherà in via provvisoria il modello del mandato d’arresto ordinario. Ma la Corte avvisa: se l’aumento dei ricorsi renderà il rito troppo farraginoso, toccherà al legislatore intervenire.

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SENTENZA N. 39

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, lettera b), numero 2), del decreto-legge 11 ottobre 2024, n. 145 (Disposizioni urgenti in materia di ingresso in Italia di lavoratori stranieri, di tutela e assistenza alle vittime di caporalato, di gestione dei flussi migratori e di protezione internazionale, nonché dei relativi procedimenti giurisdizionali), convertito, con modificazioni, nella legge 9 dicembre 2024, n. 187, richiamato dall’art. 6, comma 5-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), come introdotto dall’art. 18, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 145 del 2024, come convertito, promosso dalla Corte di cassazione, sezione prima penale, sul ricorso proposto da A. B., con ordinanza del 31 gennaio 2025, iscritta al n. 29 del registro ordinanze 2025 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2025.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udita nella camera di consiglio del 24 marzo 2025 la Giudice relatrice Maria Rosaria San Giorgio;

deliberato nella camera di consiglio del 24 marzo 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 31 gennaio 2025, iscritta al n. 29 reg. ord. 2025, la Corte di cassazione, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 111, primo e secondo comma, e 117 (recte: art. 117, primo comma), della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, lettera b), numero 2), del decreto-legge 11 ottobre 2024, n. 145 (Disposizioni urgenti in materia di ingresso in Italia di lavoratori stranieri, di tutela e assistenza alle vittime di caporalato, di gestione dei flussi migratori e di protezione internazionale, nonché dei relativi procedimenti giurisdizionali), convertito, con modificazioni, nella legge 9 dicembre 2024, n. 187, «richiamato dall’art. 5-bis» (recte: art. 6, comma 5-bis), del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), come introdotto dall’art. 18, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 145 del 2024, come convertito.

1.1.– La Corte di cassazione premette di essere investita del ricorso avverso il decreto del 17 gennaio 2025, con il quale la Corte d’appello di Cagliari, in composizione monocratica, ha convalidato il provvedimento di trattenimento presso il Centro di permanenza per i rimpatri di Macomer, per la durata di sessanta giorni, adottato il 15 gennaio 2025 dal Questore di Nuoro nei confronti di A. B.

Il giudice a quo espone che il Questore aveva motivato il trattenimento in ragione della pericolosità, per l’ordine e la sicurezza pubblica, dell’interessato e del concreto pericolo di fuga, reputando, altresì, palesemente pretestuosa la domanda di protezione internazionale dallo stesso avanzata mentre era sottoposto ad un precedente provvedimento di trattenimento ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, emesso dal Questore di Vercelli il 10 gennaio 2025 e convalidato dal Giudice di pace di Oristano il 13 gennaio 2015 (recte: 2025).

1.2.– Riferisce la Corte rimettente che, contro il decreto di convalida, A. B. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, con il primo dei quali ha dedotto la violazione dell’art. 6, comma 5-bis, del d.lgs. n. 142 del 2015, in relazione all’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e in riferimento agli artt. 3, 13, 25, 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 3, 13 e 14 CEDU. Secondo il ricorrente, l’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, «come modificato dalla legge n. 187/2024», prevedendo un termine per proporre ricorso per cassazione di soli cinque giorni, discriminerebbe i destinatari dei provvedimenti di trattenimento rispetto ai soggetti detenuti presso gli «istituti penali», i quali, invece, fruiscono di termini più ampi per predisporre la propria difesa; dall’altro, sottrarrebbe la competenza a decidere sui decreti di convalida del trattenimento alle sezioni civili della Corte di cassazione, da considerarsi come giudice naturale nella materia in questione. Il ricorrente ha, inoltre, lamentato che la nuova disciplina processuale abbia sancito la proponibilità del ricorso per cassazione per i motivi di cui all’art. 606, comma 1, lettere a), b), e c), del codice di procedura penale, i quali, però, non avrebbero attinenza con la materia in esame.

1.2.1.– Il giudice a quo aggiunge che, con il secondo motivo, il ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 6, comma 5-bis, del d.lgs. n. 142 del 2015, in relazione all’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e agli artt. 2, 3 e 4 del decreto-legge 17 febbraio 2017 n. 13 (Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale), convertito, con modificazioni, nella legge 13 aprile 2017, n. 46, nonché in riferimento agli artt. 3, 13, 25 e 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 3, 13 e 14 CEDU. Il ricorrente lamenta che il giudice di prime cure ha rigettato la propria eccezione di incompetenza della corte d’appello a favore della «Sezione specializzata del Tribunale» sulla base di una motivazione del tutto apparente.

1.2.2.– Riferisce, poi, la Corte di cassazione che, con il terzo motivo, è stata denunciata la violazione dell’art. 6, comma 5-bis, del d.lgs. n. 142 del 2015 in riferimento all’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e agli artt. 2, 3 e 4 del d.l. n. 13 del 2017, come convertito, nonché in riferimento agli artt. 3, 13, 25 e 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 3, 13 e 14 CEDU. Ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello avrebbe deciso con motivazione apparente sulla eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 5, del d.lgs. n. 142 del 2015, in riferimento all’art. 25 Cost., dovendo il giudice naturale precostituito identificarsi esclusivamente nelle sezioni specializzate dei tribunali di cui all’art. 4, comma 3, del d.l. n. 13 del 2017, come convertito.

1.2.3.– Espone, ancora, il giudice a quo che con il quarto motivo di ricorso è stata denunciata la violazione dell’art. 6, comma 5, del d.lgs. n. 142 del 2015, in riferimento all’art. 10, terzo comma, Cost., e in relazione all’art. 19, commi 1 e 1.1., del d.lgs. n. 286 del 1998, all’art. 3 CEDU e all’art. 8, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato) nonché all’art. 2697 del codice civile. Secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe motivato in modo apparente sulla eccezione di illegittimità dell’espulsione posta a base del trattenimento, formulata alla luce dell’art. 19, commi 1 e 1.1., del d.lgs. n. 286 del 1998 sul presupposto che, in caso di rimpatrio in Algeria, egli avrebbe corso il rischio di essere processato per il reato di espatrio senza autorizzazione amministrativa ai sensi dell’art. 175-bis del codice penale algerino.

Lo stesso ricorrente – aggiunge l’ordinanza di rimessione – ha dedotto di aver segnalato al giudice della convalida che in Algeria vengono denunciati trattamenti inumani e degradanti nei confronti delle persone private della libertà personale ed è prevista la pena di morte, sicché tale nazione non avrebbe dovuto essere designata come un paese sicuro. Ha anche lamentato che la Corte d’appello avrebbe motivato in modo apparente e contraddittorio in ordine alla pericolosità del ricorrente.

1.2.4.– Il Collegio rimettente riferisce, infine, che, con il quinto motivo, è stata denunciata la violazione dell’art. 6, comma 5, del d.lgs. n. 142 del 2015, in riferimento all’art. 10, terzo comma, Cost., e in relazione all’art. 19, commi 1 e 1.1., del d.lgs. n. 286 del 1998, all’art. 3 CEDU, all’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008 e all’art. 2697 cod. civ. Il ricorrente si duole della motivazione apparente del provvedimento impugnato, là dove non considera che, nella memoria depositata in sede di convalida al fine di dimostrare la non pretestuosità della propria domanda di protezione internazionale, egli aveva spiegato di essere stato costretto ad espatriare dall’Algeria per sottrarsi alle aggressioni dei familiari della donna con la quale intratteneva una relazione sentimentale.

1.3.– Il giudice a quo segnala che nella data del 30 gennaio 2025, fissata per la decisione, il difensore del ricorrente ha trasmesso a mezzo posta elettronica certificata una memoria con la quale ha ribadito le doglianze illustrate nel ricorso, ha contestato alcune delle affermazioni contenute nella sentenza della Corte di cassazione, sezione prima penale, 24 gennaio 2025, n. 2967 (depositata in pari data), e ha svolto considerazioni in ordine all’assimilazione del procedimento di convalida a quelli scaturenti dall’emissione di un mandato di arresto europeo.

1.4.– Premessa, quindi, la ricostruzione del quadro normativo in cui si inserisce la disciplina censurata, in punto di rilevanza, la Corte di cassazione osserva che l’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, richiamato «dall’art. 5-bis [recte: art. 6, comma 5-bis] d.lgs. n. 142 del 2015» contiene la disciplina processuale in base alla quale deve essere deciso il ricorso di cui è investita.

La Corte rimettente aggiunge che il rinvio operato dallo stesso art. 14, comma 6, nei limiti della compatibilità, all’art. 22, comma 5-bis, della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri) impone che il giudizio di cassazione sia definito entro il termine di sette giorni ivi stabilito e che tale «sbarramento temporale» debba essere rispettato, in ossequio all’art. 124, comma 1, cod. proc. pen. e al principio di soggezione del giudice alla legge sancito dall’art. 101, secondo comma, Cost.

La stessa rimettente rileva, però, come la nuova disciplina delinei il procedimento dinanzi alla Corte di cassazione in termini «strutturalmente inidonei a garantire l’ordinato svolgimento del contraddittorio». Quindi, in relazione a tale profilo, solleva dubbi di illegittimità costituzionale, motivandone la rilevanza in base alla circostanza che, nella mattinata del 30 gennaio 2025, il ricorrente ha depositato un’articolata memoria, elemento che «rende evidente il tema del modo nel quale assicurare il contraddittorio».

1.5.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che la normativa processuale in scrutinio «presenta profili di indeterminatezza delle scansioni nelle quali ospitare il necessario contraddittorio delle parti», che sono conseguenza della scelta di prevedere l’applicabilità delle regole dettate per il giudizio di cassazione in materia di mandato d’arresto europeo consensuale. Tale disciplina – che è radicalmente diversa da quella dei procedimenti relativi all’esecuzione di mandati di arresto europei non caratterizzati da profili di consensualità –, contemplando un termine per la decisione di sette giorni dalla ricezione degli atti, renderebbe evidentemente inapplicabile il modello processuale ordinario di cui all’art. 611 cod. proc. pen., «che presuppone una diversa articolazione temporale».

Né, secondo la Corte di cassazione, la normativa in scrutinio si presterebbe ad una interpretazione conforme in base alla quale il giudice possa modulare il rito secondo cadenze processuali diverse, posto che una ricostruzione siffatta si tradurrebbe in una interpretatio abrogans del termine prescritto.

Allo stesso modo, sarebbe preclusa la possibilità di consentire la partecipazione di difensori ad una udienza fissata «in modo pretorio».

Ne deriverebbe, secondo la Corte rimettente, che, in assenza di qualsivoglia regolamentazione, «le parti possono trasmettere, in qualunque momento, memorie senza che sia disciplinato il diritto delle controparti di averne contezza (o di avere contezza del termine entro il quale l’antagonista processuale è chiamato a depositare i propri scritti)».

1.6.– Richiamando, quindi, la giurisprudenza di questa Corte, il giudice a quo rammenta come il contraddittorio, quale connotato intrinseco del giudizio, costituisca una primaria e fondamentale garanzia del giusto processo nel quale si attua la giurisdizione e si realizza il diritto inviolabile di difesa.

Si argomenta che lo svolgimento del contraddittorio «postula un’ordinata scansione dei momenti processuali all’interno della quale le parti possano svolgere le loro difese, consentendo al giudice di apprezzarle e di esprimersi su di esse in termini argomentati». Tale esigenza ricorre soprattutto nei giudizi in cui manchino il consenso o la rinuncia delle parti che «razionalmente giustificano semplificazioni processuali».

La Corte di cassazione rileva, quindi, che è pur vero che in procedimenti come quello per la proroga dei termini di custodia cautelare il legislatore non impone forme determinate, consentendo al giudice di scegliere di volta in volta quelle più idonee ad assicurare, in modo celere e semplificato, una effettiva dialettica tra accusa e difesa.

Non di meno, un meccanismo processuale siffatto non potrebbe trovare applicazione nel caso di specie, in cui viene in considerazione un giudizio di legittimità destinato a definire una controversia che investe la conformità a legge della limitazione della libertà personale per un periodo apprezzabile e involge una pluralità di questioni la cui soluzione richiede un «ordinato (dal legislatore) svolgimento delle scansioni nelle quali le parti possono interloquire».

Per converso, la disciplina che la Corte rimettente è chiamata ad applicare non indica «i modi, i tempi e i protagonisti di idonee attività comunicative», né individua «i termini nei quali il contraddittorio è destinato ad articolarsi in modo congruo». Tali lacune – osserva l’ordinanza di rimessione – rendono non manifestamente infondato il dubbio «che venga rimesso al giudice il potere – invece di competenza del legislatore – di determinare attraverso un ragionevole bilanciamento delle esigenze di celerità e quelle di compiuto dispiegarsi del diritto di difesa delle parti, pubbliche e private, interessate, le cadenze del processo».

Dovrebbe, al contrario, escludersi che il giudice possa individuare adempimenti e termini la cui inosservanza comporti sanzioni processuali non previste dal legislatore. Inoltre, la regolamentazione giudiziale, caso per caso, del contraddittorio tra le parti genererebbe incertezza, dando luogo ad una indebita supplenza del potere giudiziario rispetto a determinazioni necessariamente spettanti al legislatore.

1.7.– La Corte di cassazione precisa, poi, che, nel caso di specie, non è in discussione il principio secondo il quale il legislatore gode di ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali, ma viene in rilievo la necessità che lo stesso legislatore delinei compiutamente i tratti del giudizio di legittimità nel rispetto del principio costituzionale di legalità processuale e del diritto di difesa.

1.8.– Tanto premesso, il giudice a quo ritiene che la disciplina in scrutinio contrasti anzitutto con l’art. 111, primo e secondo comma, Cost., alla stregua del quale le condizioni che garantiscono il contraddittorio devono essere definite dalla legge. Infatti, la «garanzia della disciplina legale», desumibile «per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., dall’art. 6, par. 2 [recte: par. 1], della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo», imporrebbe anche «la qualità della fonte di regolazione che, nel caso di specie, viene in rilievo non come chiarezza espositiva, ma come completezza della disciplina che, sola, garantisce una definizione prevedibile della sede del confronto processuale».

1.9.– Sarebbe, inoltre, violato l’art. 24 Cost., in quanto la disciplina censurata inciderebbe «significativamente sul diritto delle parti di conoscere le ragioni della controparte, soprattutto quando vengano in gioco diritti fondamentali e in sede di giudizio di legittimità, ultima istanza giurisdizionale».

Osserva, al riguardo, il Collegio rimettente che, non a caso, l’art. 22, commi da 1 a 4, della legge n. 69 del 2005, per l’ipotesi in cui manchi il consenso o la rinuncia dell’interessato, prevede un modello processuale che, attraverso il richiamo all’art. 127 cod. proc. pen., consente un ordinato svolgimento del contraddittorio «adeguato al contrasto di posizioni delle parti».

1.10.– La normativa in scrutinio confliggerebbe, altresì, con il principio di ragionevolezza, in quanto rinvia ad una disciplina che sottende una scelta consensuale del destinatario della richiesta, laddove il procedimento in esame è caratterizzato da una «manifesta contrapposizione degli interessi in gioco».

1.11.– Da ultimo, il giudice a quo ricorda come questa Corte abbia chiarito che, una volta accertato un vulnus ad un principio costituzionale, non osta all’esame nel merito della questione di legittimità costituzionale l’assenza di un’unica soluzione a “rime obbligate” per ricondurre l’ordinamento al rispetto della Costituzione, ancorché si versi in materie riservate alla discrezionalità del legislatore (è citata, tra le altre, la sentenza n. 128 del 2024).

1.12.– Sulla scorta di tali premesse, la Corte di cassazione ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU, dell’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, richiamato dall’art. 6, comma 5-bis, del d.lgs. n. 142 del 2015, «nella parte in cui, rinviando alle disposizioni di cui all’art. 22, comma 5-bis, quarto periodo, della legge 22 aprile 2005, n. 69, prevede che la Corte di cassazione giudichi in camera di consiglio sui motivi di ricorso e sulle richieste del procuratore generale senza intervento dei difensori, in tal modo affidando alla creazione dell’autorità giudiziaria l’individuazione delle scansioni processuali idonee a realizzare il contraddittorio nel termine di sette giorni dalla ricezione degli atti previsto per la decisione».

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità o, in subordine, la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale.

2.1.– L’interveniente rileva che la Corte di cassazione ha sollevato le questioni «muovendo dal caso concreto», nel quale, poche ore prima della camera di consiglio, il ricorrente aveva depositato una memoria contenente note difensive, così rendendo più complesso definire il giudizio nel termine di sette giorni stabilito dalla disposizione censurata e imponendo alla stessa rimettente di individuare le scansioni processuali idonee a realizzare il contraddittorio.

Secondo l’interveniente, il giudice a quo, nel valutare la ritualità della memoria depositata dal ricorrente nell’imminenza della udienza camerale, avrebbe dovuto considerare che è la stessa disciplina in scrutinio ad escluderne l’ammissibilità, concentrando eventualmente solo su tale profilo le censure di illegittimità costituzionale.

Lo stesso Collegio rimettente non avrebbe, inoltre, verificato se, alla stregua della formulazione della disposizione in scrutinio, il prescritto termine di definizione del giudizio abbia natura soltanto ordinatoria e quindi possa essere derogato mediante l’autorizzazione, nei casi in cui si renda necessario, del deposito di note difensive.

La mancata valutazione «in punto di rilevanza» di tali profili si tradurrebbe, ad avviso della difesa statale, nell’inammissibilità delle questioni sollevate.

2.2.– Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato argomenta la non fondatezza delle questioni evidenziando come il modello di contraddittorio adottato dalla previsione censurata sia del tutto coerente con l’art. 111 Cost. Il contraddittorio può realizzarsi anche attraverso la sottoposizione al giudice di «un atto con il quale sono contestate le conclusioni adottate con un provvedimento e le argomentazioni svolte da altre parti». Secondo l’interveniente, la configurazione del giudizio in scrutinio, caratterizzata dalla mancata previsione dello scambio di memorie in aggiunta agli atti difensivi, sarebbe, inoltre, coerente con la scelta legislativa di limitare i motivi di ricorso a quelli di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’art. 606 cod. proc. pen.

D’altronde, la concentrazione del procedimento in scrutinio si giustifica in ragione del «valore in gioco», avendo lo stesso ad oggetto un provvedimento restrittivo della libertà personale.

In ogni caso, aggiunge l’interveniente, se la Corte rimettente ritenesse necessario, in ipotesi specifiche, consentire il deposito di note difensive, ben potrebbe autorizzarle derogando «ad un termine che è, per l’appunto, ordinatorio».

Un termine avente tale natura, conclude la difesa statale, non comporta conseguenze sul piano processuale, né extraprocessuali, come è reso evidente dalla previsione di cui all’art. 2, comma 1, lettera q), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150», il quale sanziona il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni.

Nel caso considerato, il superamento del termine non si porrebbe in contrasto neanche con l’art. 124 cod. proc. pen., in quanto non risulterebbe ingiustificato, ma motivato dalla necessità di consentire il deposito di ulteriori note difensive.

3.– L’Unione camere penali italiane (UCPI) ha presentato un’opinione scritta quale amicus curiae – ammessa con decreto presidenziale del 6 marzo 2025 –, argomentando in senso adesivo alle censure del giudice a quo.

L’UCPI rileva come le modifiche apportate dal d.l. n. 145 del 2024, come convertito, perseguano finalità di semplificazione e di celerità riducendo drasticamente sia il termine per impugnare sia quello destinato alla trattazione e alla decisione. Ciò, attraverso un modello processuale – mutuato dal procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo consensuale – del tutto eterogeneo rispetto a quello del giudizio avente ad oggetto il controllo di legittimità sulle decisioni di convalida del trattenimento amministrativo dello straniero presso i centri di permanenza per i rimpatri, in quanto inteso essenzialmente a verificare l’effettiva e valida prestazione del consenso o della rinuncia della persona di cui è richiesta la consegna.

Lamenta l’amicus curiae che l’opzione del legislatore di estendere al giudizio in questione il modello atipico e residuale del procedimento in materia di mandato di arresto europeo consensuale sia irragionevole.

Conclude, quindi, indicando come paradigmi procedimentali utili a porre rimedio ai prospettati vulnera costituzionali il processo per cassazione in materia di estradizione ai sensi dell’art. 706 cod. proc. pen. e quello relativo alle misure cautelari ex art. 311 cod. proc. pen.

 

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 31 gennaio 2025 (iscritta al reg. ord. n. 29 del 2025), la Corte di cassazione, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, lettera b), numero 2), del d.l. n. 145 del 2024, come convertito, richiamato dall’art. 6, comma 5-bis, del d.lgs. n. 142 del 2015, come introdotto dall’art. 18, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 145 del 2024, come convertito.

Ai sensi dell’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, contro i decreti di convalida e di proroga del trattenimento della persona straniera presso un centro di permanenza per i rimpatri «è proponibile ricorso per cassazione, entro cinque giorni dalla comunicazione, solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 606 del codice di procedura penale. Il relativo ricorso non sospende l’esecuzione della misura. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 22, comma 5-bis, secondo e quarto periodo, della legge 22 aprile 2005, n. 69».

L’art. 6, comma 5-bis, del d.lgs. n. 142 del 2015 dispone, poi, che contro i provvedimenti di convalida o di proroga del trattenimento della persona straniera richiedente protezione internazionale «è ammesso ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 14, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

1.1.– Ad avviso della Corte rimettente, il richiamato art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, «nella parte in cui, rinviando alle disposizioni di cui all’art. 22, comma 5-bis, quarto periodo, della legge 22 aprile 2005, n. 69, prevede che la Corte di cassazione giudichi in camera di consiglio sui motivi di ricorso e sulle richieste del procuratore generale senza intervento dei difensori, in tal modo affidando alla creazione dell’autorità giudiziaria l’individuazione delle scansioni processuali idonee a realizzare il contraddittorio nel termine di sette giorni dalla ricezione degli atti previsto per la decisione», violerebbe, anzitutto, l’art. 111, primo e secondo comma, Cost., in quanto, non disciplinando le scansioni fondamentali del procedimento, contrasterebbe con il principio del giusto processo, alla stregua del quale le condizioni che garantiscono il contraddittorio e la parità delle parti devono essere definite dalla legge «in termini di prevedibile certezza». Ad avviso del giudice a quo, la disciplina censurata, prevedendo per la decisione il termine di sette giorni dalla ricezione degli atti, renderebbe evidentemente inapplicabile il modello processuale ordinario di cui all’art. 611 cod. proc. pen., «che presuppone una diversa articolazione temporale», senza determinare «le scansioni nelle quali ospitare il necessario contraddittorio delle parti».

1.2.– Sarebbe, inoltre, violato l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU, giacché la disciplina processuale dettata dalla disposizione in scrutinio sarebbe incompleta e non garantirebbe «una definizione prevedibile della sede del confronto processuale».

1.3.– Secondo il giudice a quo, la normativa censurata contrasterebbe anche con l’art. 24 Cost., in quanto inciderebbe «significativamente sul diritto delle parti di conoscere le ragioni della controparte», tanto più che nella specie vengono in gioco diritti fondamentali, e la sede è quella del giudizio di legittimità, ultima istanza giurisdizionale.

1.4.– Sarebbe, infine, leso il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in quanto la normativa censurata estenderebbe una disciplina «costruita sul presupposto di una scelta consensuale» – quale è quella del processo relativo al mandato d’arresto europeo in caso di consenso della persona di cui è richiesta la consegna – ad un giudizio, come quello in esame, caratterizzato da una «manifesta contrapposizione degli interessi in gioco». In proposito, osserva il giudice a quo che «pur nel quadro di procedure particolarmente celeri, il legislatore, all’art. 22, commi da 1 a 4, della citata l. n. 69 del 2005, delinea, per il caso di procedura contrassegnata dall’assenza del consenso o della rinuncia cui fa riferimento l’art. 14, comma 1, della stessa l. n. 69 del 2005, un modello che, attraverso il richiamo all’art. 127 cod. proc. pen. consente un ordinario svolgimento del contraddittorio attraverso il riferimento ad un procedimento adeguato al contrasto di posizioni delle parti».

2.– In via preliminare, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità per difetto di rilevanza formulate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

2.1.– Secondo l’interveniente, il giudice a quo avrebbe omesso di «valutare preventivamente» l’ammissibilità della memoria depositata dal ricorrente nell’imminenza della camera di consiglio alla luce della normativa censurata, la quale, limitando l’attività difensiva esercitabile nel giudizio in esame al ricorso e alle richieste del procuratore generale, esclude la possibilità di produrre note illustrative.

In ogni caso, la Corte rimettente non avrebbe verificato se, alla stregua della formulazione della disposizione censurata, il termine di sette giorni previsto per la definizione del giudizio abbia natura soltanto ordinatoria e, quindi, possa essere derogato mediante l’autorizzazione, nei casi in cui si renda necessario, del deposito di memorie.

2.2.– Le eccezioni non sono fondate.

2.2.1.– Contrariamente a quanto sostenuto dall’interveniente, il giudice a quo, da un lato, ha rilevato che nella procedura regolata dalla disciplina in scrutinio manca un momento in cui le parti possono svolgere le loro difese in contraddittorio; dall’altro lato, ha osservato che una ricostruzione ermeneutica che, al fine di porre rimedio alla denunciata inidoneità strutturale del procedimento, accordasse al giudice il potere di modulare il rito secondo cadenze diverse da quelle espressamente stabilite condurrebbe ad una interpretatio abrogans della previsione che impone di definire il giudizio entro il termine di sette giorni.

Il Collegio rimettente ha, dunque, scartato la praticabilità di un’alternativa ermeneutica idonea a superare i prospettati dubbi di illegittimità costituzionale, ritenendo che a tale soluzione osti la «precisa scelta normativa» alla base della disciplina in scrutinio, la quale costituirebbe «una barriera insuperabile per l’attività interpretativa».

3.– Tanto premesso, all’esame del merito delle questioni di legittimità costituzionale è utile premettere la ricostruzione, anche in senso diacronico, del quadro normativo e giurisprudenziale in cui si inserisce la disposizione oggetto di censura.

3.1.– La misura del trattenimento della persona straniera e il correlato procedimento di convalida e di proroga sono stati introdotti dalla legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), il cui art. 12, al comma 1, ne consentiva l’adozione, ad opera del questore, nei confronti dello straniero irregolare rispetto al quale non fosse possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento.

Lo stesso art. 12, al comma 3, imponeva al questore la trasmissione degli atti al pretore, senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dall’adozione del provvedimento, precisando, al comma 4, che il medesimo pretore, ove avesse ritenuto sussistenti i presupposti della misura coercitiva, avrebbe dovuto convalidare il trattenimento «nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del Codice di procedura civile, sentito l’interessato».

Infine, il comma 6 sanciva espressamente la proponibilità del ricorso per cassazione avverso i decreti di convalida e di proroga del trattenimento, precisando che detta impugnazione non sospendeva l’esecuzione della misura.

3.2.– L’art. 12 è poi confluito nell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, il quale, nella parte in cui disciplina il procedimento di convalida in prima istanza, è stato oggetto di diversi interventi modificativi che hanno investito sia la competenza – attribuita dapprima al tribunale in composizione monocratica dall’art. 28, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo) e poi al giudice di pace dall’art. 1, comma 4, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271 – sia l’iter procedurale.

3.3.– A differenza della disciplina del giudizio di convalida, le previsioni sul processo di cassazione sui decreti di convalida e di proroga del trattenimento dettate dal comma 6 dell’art. 14 sono rimaste a lungo immutate.

3.4.– Per quanto concerne, invece, il trattenimento dello straniero richiedente protezione internazionale, un’apposita disciplina del procedimento di convalida è stata introdotta dall’art. 6 del d.lgs. n. 142 del 2015, il quale, nella formulazione originaria, al comma 5, stabiliva che al provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento o la proroga del trattenimento, adottato per iscritto, corredato da motivazione e comunicato al richiedente, si applicasse, «per quanto compatibile», l’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998.

L’art. 6, comma 5, del d.lgs. n. 142 del 2015 precisava, altresì, che «[q]uando il trattenimento è già in corso al momento della presentazione della domanda, i termini previsti dall’articolo 14, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si sospendono e il questore trasmette gli atti al tribunale in composizione monocratica per la convalida del trattenimento per un periodo massimo di ulteriori sessanta giorni, per consentire l’espletamento della procedura di esame della domanda».

3.4.1.– Successivamente, l’art. 8, comma 1, lettera b), numeri 2) e 3), del d.l. n. 13 del 2017, come convertito, ha attribuito la competenza sulla convalida al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea competente alla convalida.

3.5.– Nel contesto normativo sin qui ricostruito, il giudizio di cassazione avente ad oggetto i decreti di convalida e di proroga del trattenimento dello straniero espulso o richiedente protezione internazionale è stato celebrato, fino alla entrata in vigore della disposizione censurata, nelle forme di cui agli artt. 360 e seguenti del codice di procedura civile.

L’opzione è stata in favore del rito civile in ragione della natura delle situazioni giuridiche soggettive incise dal trattenimento, giacché, come confermato dalla relazione del Governo illustrativa del disegno di legge n. 3240 del 19 febbraio 1997, dal quale ha avuto origine la legge n. 40 del 1998 – il cui art. 12, come ricordato, è confluito nell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 –, «[t]rattandosi di misure amministrative, di per sé estranee al fatto-reato, suscettibili nondimeno di intaccare anche posizioni soggettive che la Costituzione tutela in modo particolare, si è ritenuto di attribuire la competenza al pretore civile, con un procedimento rapidissimo, destinato ad esaurirsi in quindici giorni, salvo ulteriore ricorso per Cassazione e senza escludere eventuali provvedimenti cautelari (la cosiddetta “sospensiva”). La scelta a favore del giudice ordinario civile, quale autorità giurisdizionale competente a decidere sul ricorso contro l’espulsione, oltre che della legittimità della misura di cui all’articolo 12, risponde a criteri funzionali e sistematici».

3.5.1.– La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato l’esperibilità del ricorso per cassazione per ciascuno dei vizi indicati dall’art. 360 cod. proc. civ., ivi compreso l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, primo comma, numero 5), cod. proc. civ. (ex aliis, Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 31 ottobre 2023, n. 30178).

La Corte di cassazione ha anche chiarito che il trattenimento ha natura cautelare e il sindacato giurisdizionale su di esso non è idoneo alla formazione del giudicato, tanto che il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost. è esperibile non in ragione della natura decisoria del provvedimento di convalida, ma perché si è al cospetto di un atto che incide sulla libertà personale (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 15 febbraio 2025, n. 3843; ordinanze 14 settembre 2021, n. 24721 e 23 ottobre 2019, n. 27076).

La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, evidenziato che – in conformità all’art. 15, paragrafo 4, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nonché ai principi espressi dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, prima sezione, sentenza 28 aprile 2011, causa C-61/11, Hassen El Dridi, alias Soufi Karim – è sempre consentita «una domanda giudiziale di riesame del trattenimento dello straniero» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 29 settembre 2017, n. 22932).

Tale domanda – ha precisato la Corte di cassazione – va introdotta, in mancanza di apposita disciplina normativa al riguardo, nelle forme del procedimento camerale ex art. 737 cod. proc. civ., «sicché per il principio della concentrazione delle tutele la competenza deve essere riferita al giudice della convalida e delle proroghe» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 3 febbraio 2021, n. 2457) e, dunque, al giudice di pace, per quanto concerne il trattenimento dello straniero in via di espulsione o di rimpatrio (Cass., n. 22932 del 2017) e al tribunale, per quanto riguarda il trattenimento dello straniero richiedente protezione internazionale (Cass., n. 2457 del 2021).

Né, infine, «è configurabile alcuna efficacia preclusiva al riesame per effetto della mancata impugnazione della convalida dell’iniziale trattenimento» (ancora, Cass., n. 2457 del 2021) o del precedente rigetto di analoga istanza, poiché detta misura restrittiva, avendo natura cautelare, è in ogni tempo revocabile e modificabile (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 6 ottobre 2022, n. 29152).

3.6.– Il quadro normativo sin qui ricomposto è stato significativamente modificato dagli artt. 16, 18 e 18-bis del d.l. n. 145 del 2024, come convertito.

L’intervento riformatore ha riguardato, in particolare, la competenza per il procedimento di convalida e di proroga del trattenimento dello straniero richiedente protezione internazionale disciplinato dall’art. 6 del d.lgs. n. 142 del 2015 e la configurazione del giudizio di cassazione sulla convalida di entrambe le figure di trattenimento, concernenti, rispettivamente, lo straniero irregolare espulso (art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998) e lo straniero richiedente protezione internazionale (art. 6 del d.lgs. n. 142 del 2015).

3.6.1.– Quanto al primo dei suindicati profili, l’art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 145 del 2024, come convertito, ha inserito nel d.l. n. 13 del 2017, come convertito, l’art. 5-bis, ai sensi del quale la competenza a decidere sulla convalida o sulla proroga del trattenimento è attribuita alla corte d’appello di cui all’art. 5, comma 2, della legge n. 69 del 2005 – e, dunque, a quella, competente a dare esecuzione al mandato d’arresto europeo, «nel cui distretto l’imputato o il condannato ha la residenza, la dimora o il domicilio nel momento in cui il provvedimento è ricevuto dall’autorità giudiziaria» –, nel cui distretto ha sede il questore che ha adottato il provvedimento oggetto di convalida. È anche previsto che la corte d’appello giudichi in composizione monocratica.

3.6.2.– Per quanto concerne il giudizio di legittimità, l’art. 18-bis dello stesso d.l. n. 145 del 2024, come convertito, al comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), ha, invece, riscritto l’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, avente ad oggetto la disciplina del processo di cassazione avverso i decreti di convalida e di proroga del trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza per i rimpatri quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione o il respingimento.

Il nuovo comma 6 dell’art. 14 dispone che «[c]ontro i decreti di convalida e di proroga di cui al comma 5 è proponibile ricorso per cassazione, entro cinque giorni dalla comunicazione, solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 606 del codice di procedura penale. Il relativo ricorso non sospende l’esecuzione della misura. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 22, comma 5-bis, secondo e quarto periodo, della legge 22 aprile 2005, n. 69».

3.6.3.– Allo stesso tempo, l’art. 18, comma 1, lettera a), numero 2), del medesimo d.l. n. 145 del 2024, come convertito, ha modificato l’art. 6 del d.lgs. n. 142 del 2015, recante la disciplina del trattenimento dello straniero richiedente protezione internazionale, inserendovi il comma 5-bis, ai sensi del quale, contro i provvedimenti di convalida del trattenimento (di cui al comma 5 dello stesso articolo), «è ammesso ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 14, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

Per effetto di tale raccordo, il citato art. 14, comma 6, è stato espressamente indicato come la fonte di disciplina del giudizio di cassazione sulla convalida per entrambe le forme di trattenimento, cioè, sia per quello disciplinato dall’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, riguardante lo straniero in condizione di irregolarità, sia per quello regolato dall’art. 6 del d.lgs. n. 142 del 2015, concernente la persona straniera richiedente protezione internazionale.

3.7.– Il nuovo testo dell’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, risultante dalle interpolazioni operate dall’art. 18-bis del d.l. n. 145 del 2024, come convertito, delinea un processo decisamente differente rispetto a quello, riconducibile al paradigma civilistico di cui agli artt. 360 e seguenti cod., proc. civ., che aveva trovato applicazione sin dalla sua introduzione, ad opera dell’art. 12 della legge n. 40 del 1998, poi confluito nello stesso art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998.

Le differenze riguardano, anzitutto, le forme del processo, che la novella individua in quelle del giudizio penale, come è reso evidente dall’incipit del primo periodo del riformato comma 6 dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, a mente del quale contro i decreti di convalida e di proroga del trattenimento il ricorso per cassazione è proponibile «entro cinque giorni dalla comunicazione, solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 606 del codice di procedura penale».

3.7.1.– Secondo la nuova disciplina, in sede di legittimità, i decreti di convalida sono, dunque, censurabili, oltre che per denunciare l’esercizio, da parte del giudice, «di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri», per l’inosservanza o erronea applicazione «della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale» e per l’inosservanza «delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza». Spetterà alla giurisprudenza di legittimità verificare se la violazione della legge che regola il trattenimento possa essere fatta valere con autonomo motivo di ricorso, anche alla luce dell’art. 111, settimo comma, Cost.

Peraltro, le prime pronunce di legittimità che hanno fatto applicazione del nuovo rito hanno affermato che l’art. 111, settimo comma, Cost. garantisce in ogni caso la possibilità di ricorrere contro i provvedimenti restrittivi della libertà personale «per violazione di legge»: nozione nella quale «va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento […] intesa quest’ultima come motivazione “del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito […]”» (Cass., n. 2967 del 2025; in senso conforme Corte di cassazione, sezione prima penale, ordinanza 7 marzo 2025, n. 9556, depositata in pari data).

3.7.2.– L’intervento riformatore di cui al d.l. n. 145 del 2024, come convertito, ha modificato anche lo svolgimento del processo di legittimità in materia di trattenimento, configurandolo ad exemplum del procedimento per cassazione avente ad oggetto il mandato d’arresto europeo consensuale.

Il terzo periodo dell’art. 14, comma 6, stabilisce, infatti, che «[s]i osservano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 22, comma 5-bis, secondo e quarto periodo, della legge 22 aprile 2005, n. 69».

Quest’ultimo articolo, nel primo periodo, reca la seguente previsione: «[c]ontro l’ordinanza di cui all’articolo 14, comma 5, la persona interessata, il suo difensore e il procuratore generale presso la corte di appello possono proporre ricorso per cassazione, entro tre giorni dalla conoscenza legale dell’ordinanza, solo per i motivi, contestualmente enunciati, di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 606 del codice di procedura penale».

Analogo regime, ma con un termine per ricorrere di cinque giorni, è previsto nel comma 1 dello stesso art. 22 della legge n. 69 del 2005 per la procedura ordinaria, nella quale, cioè, non vi sia stato il consenso della persona richiesta in consegna.

Nella fase introduttiva, il nuovo giudizio di legittimità in materia di trattenimento dello straniero si ispira a quello relativo al mandato d’arresto europeo ordinario e, quanto al termine di definizione, all’ipotesi speciale, in cui è espresso il consenso della persona richiesta in consegna piuttosto che a quella ordinaria, in cui tale consenso non è prestato.

Per quanto riguarda, quindi, la trattazione e la decisione, trova applicazione, sia pure nei limiti della compatibilità, la disciplina del giudizio di cassazione sul mandato d’arresto europeo e segnatamente di quello consensuale prevista dall’art. 22, comma 5-bis, della legge n. 69 del 2005, limitatamente al secondo e quarto periodo, i quali, rispettivamente, dispongono che «[i]l ricorso è presentato nella cancelleria della corte di appello che ha emesso il provvedimento, la quale lo trasmette alla Corte di cassazione, con precedenza assoluta su ogni altro affare e comunque entro il giorno successivo, unitamente al provvedimento impugnato e agli atti del procedimento» e che «[l]a Corte, nel termine di sette giorni dalla ricezione degli atti, giudica in camera di consiglio sui motivi di ricorso e sulle richieste del procuratore generale senza intervento dei difensori e deposita la decisione con la contestuale motivazione a conclusione dell’udienza, provvedendo altresì, fuori dei casi di cui al comma 6, agli adempimenti indicati al comma 5».

3.7.2.1.– La disciplina del mandato d’arresto europeo dettata dalla legge n. 69 del 2005 dà attuazione alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, la cui finalità era quella di introdurre un meccanismo che – a differenza dell’estradizione, implicante un duplice controllo politico e giurisdizionale – consentisse una più agevole esecuzione delle decisioni giudiziarie sulla base del principio del mutuo riconoscimento.

3.7.2.2.– Detta disciplina del mandato di arresto europeo è stata significativamente modificata dal decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 10 (Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra stati membri, in attuazione delle delega di cui all’articolo 6 della legge 4 ottobre 2019, n. 117).

Tale riforma è intervenuta, tra l’altro, sui motivi di rifiuto, eliminando le cause ostative estranee al testo della decisione quadro e riclassificando, in base al carattere facoltativo o obbligatorio, quelle residue.

Alla riduzione dell’oggetto della verifica giudiziale è conseguita una ulteriore accelerazione e semplificazione delle scansioni processuali del rito in questione.

Per quanto riguarda, in particolare, il giudizio di legittimità, è stato, anzitutto, ridotto da dieci a cinque giorni il termine per impugnare ed è stata eliminata la cognizione nel merito della Corte di cassazione prevista dalla disciplina anteriore.

Lo stesso d.lgs. n. 10 del 2021, all’art. 18, ha, poi, limitato i motivi deducibili con il ricorso per cassazione a quelli di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’art. 606 cod. proc. pen., prevedendo, altresì, che l’impugnazione deve essere depositata presso la cancelleria della corte d’appello che ha emesso il provvedimento. Quest’ultima, a sua volta, deve trasmettere gli atti entro il giorno successivo e con precedenza su ogni altro affare.

Nell’ottica dell’accelerazione, l’art. 18 del citato d.lgs. n. 10 del 2021, nel modificare i commi 3 e 4 dell’art. 22 della legge n. 69 del 2005, ha anche disposto che il giudizio di legittimità si svolga nelle forme di cui all’art. 127 cod. proc. pen. e si concluda entro dieci giorni dalla ricezione degli atti con il deposito contestuale della motivazione a conclusione dell’udienza oppure, ove non risulti possibile, non oltre il secondo giorno dalla pronuncia.

3.7.3.– Nel contesto di questo procedimento è poi prevista un’ipotesi speciale nel caso in cui la persona acconsenta alla consegna. In tale evenienza per il giudizio di cassazione trova applicazione il comma 5-bis dell’art. 22 della legge n. 69 del 2005 – introdotto dall’art. 18, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 10 del 2021 –, secondo cui «[c]ontro l’ordinanza di cui all’articolo 14, comma 5, la persona interessata, il suo difensore e il procuratore generale presso la corte di appello possono proporre ricorso per cassazione, entro tre giorni dalla conoscenza legale dell’ordinanza, solo per i motivi, contestualmente enunciati, di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 606 del codice di procedura penale. Il ricorso è presentato nella cancelleria della corte di appello che ha emesso il provvedimento, la quale lo trasmette alla Corte di cassazione, con precedenza assoluta su ogni altro affare e comunque entro il giorno successivo, unitamente al provvedimento impugnato e agli atti del procedimento. La presentazione del ricorso sospende l’esecuzione della ordinanza di cui all'articolo 14, comma 4. La Corte, nel termine di sette giorni dalla ricezione degli atti, giudica in camera di consiglio sui motivi di ricorso e sulle richieste del procuratore generale senza intervento dei difensori e deposita la decisione con la contestuale motivazione a conclusione dell’udienza, provvedendo altresì, fuori dei casi di cui al comma 6, agli adempimenti indicati al comma 5».

3.7.4.– La particolare celerità dei giudizi in materia di mandato di arresto europeo, sia ordinario sia consensuale, rinviene la sua giustificazione nella ristrettezza dei termini di definizione delle procedure di consegna fissati dall’art. 22-bis della legge n. 69 del 2005, il quale, al comma 1, prevede che «[s]e la decisione definitiva sulla richiesta di consegna, in assenza di consenso, non interviene nei sessanta giorni successivi all’esecuzione della misura cautelare o all’arresto della persona ricercata o alla deliberazione di non applicare alcuna misura, la corte davanti alla quale pende il procedimento informa immediatamente del ritardo e delle ragioni che vi hanno dato causa il Ministro della giustizia, affinché ne sia data comunicazione all’autorità giudiziaria richiedente. Agli stessi fini, in presenza di consenso alla consegna, la corte di appello informa il Ministro della giustizia dei motivi che hanno impedito l’adozione della decisione nel termine di dieci giorni dalla data in cui il consenso è stato espresso».

La citata disposizione ha dato attuazione alla decisione quadro 2002/584/GAI e, segnatamente, alle indicazioni contenute all’art. 17, il quale, al paragrafo 1, prevede che il mandato d’arresto deve essere trattato ed eseguito con la massima urgenza, al paragrafo 2 stabilisce che, nei casi in cui il ricercato acconsente alla propria consegna, la decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo «dovrebbe essere presa entro 10 giorni dalla comunicazione del consenso» e, al paragrafo 3, dispone che, «[n]egli altri casi, la decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo dovrebbe essere presa entro 60 giorni dall’arresto del ricercato».

In definitiva, le strette cadenze temporali del rito in materia di mandato d’arresto europeo rispondono, al contempo, all’esigenza di concludere l’intera procedura di consegna nel rispetto degli stringenti termini fissati dalla decisione quadro 2002/584/GAI e ribaditi dall’art. 22-bis della legge n. 69 del 2005 e alla necessità di pervenire rapidamente ad una decisione definitiva che incide sullo status libertatis della persona interessata (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 22 novembre 2005-13 dicembre 2005, n. 45254).

4.– Tutto ciò premesso, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 6, richiamato dall’art. 6, comma 5-bis, del d.lgs. n. 142 del 2015, nella parte in cui «rinviando alle disposizioni di cui all’art. 22, comma 5-bis, quarto periodo, della legge 22 aprile 2005, n. 69, prevede che la Corte di cassazione giudichi in camera di consiglio sui motivi di ricorso e sulle richieste del procuratore generale senza intervento dei difensori», sono fondate in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., restando assorbite le restanti censure.

4.1.– Secondo una ricorrente affermazione di questa Corte, il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali – anche rispetto a norme orientate alla riduzione della durata dei giudizi (sentenza n. 96 del 2024) –, incontrando il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute (sentenze n. 36 del 2025, n. 189 e n. 96 del 2024, n. 67 del 2023).

Nella materia processuale, quindi, il metro del giudizio di ragionevolezza deve essere particolarmente rispettoso della discrezionalità legislativa, in quanto la disciplina del processo è «frutto di delicati bilanciamenti tra principi e interessi in naturale conflitto reciproco, sicché ogni intervento correttivo su una singola disposizione, volto ad assicurare una più ampia tutela a uno di tali principi o interessi, rischia di alterare gli equilibri complessivi del sistema» (sentenza n. 230 del 2022).

Ed è innegabile che la scelta legislativa di rimodulare forme e tempi del giudizio di legittimità sul trattenimento dello straniero risponda ad opzioni assiologiche di significativa complessità, essendo il legislatore chiamato a compiere una ponderazione tra l’esigenza di assicurare la sollecita definizione di un giudizio sulla libertà della persona e la necessità che il processo si dipani secondo cadenze temporali idonee a garantire un compiuto confronto tra le parti.

4.2.– Questa Corte ha, tuttavia, precisato che il superamento del limite al sindacato della discrezionalità del legislatore in materia processuale è senz’altro ravvisabile quando emerga un’ingiustificabile compressione del diritto di difesa e del contraddittorio, quale «momento fondamentale del giudizio» e «cardine della ricerca dialettica della verità processuale, condotta dal giudice con la collaborazione delle parti, volta alla pronuncia di una decisione che sia il più possibile “giusta”» (sentenza n. 96 del 2024).

Il contraddittorio costituisce una primaria e fondamentale garanzia del giusto processo e soddisfa la «necessità che tanto l’attore, quanto il contraddittore, partecipino o siano messi in condizione di partecipare al procedimento», anche se «al legislatore è consentito di differenziare la tutela giurisdizionale con riguardo alla particolarità del rapporto da regolare» (sentenza n. 73 del 2022).

4.3.– Tanto premesso, la normativa in scrutinio sconfina nella manifesta irragionevolezza, in quanto, come evidenziato dalla Corte rimettente, introduce un modello processuale strutturalmente inidoneo ad assicurare il confronto dialettico tra le parti.

Alla stregua della disciplina risultante dall’integrazione del terzo periodo del novellato comma 6 dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 e del quarto periodo dell’art. 22, comma 5-bis, della legge n. 69 del 2005, il giudizio di legittimità sulla convalida del trattenimento si articola nelle seguenti scansioni: il ricorso per cassazione è presentato nella cancelleria della corte d’appello che ha emesso il provvedimento, la quale lo trasmette alla Corte di cassazione, con precedenza assoluta su ogni altro affare e comunque entro il giorno successivo, unitamente al provvedimento impugnato e agli atti del procedimento; quindi, la Corte di cassazione, nel termine di sette giorni dalla ricezione degli atti, giudica in camera di consiglio sui motivi di ricorso e sulle richieste del procuratore generale senza intervento delle parti e deposita la decisione con la contestuale motivazione a conclusione dell’udienza.

Secondo il nuovo rito, la Corte di cassazione decide, dunque, esclusivamente sulla base del ricorso e delle conclusioni del procuratore generale, senza che all’instaurazione del processo segua un momento di confronto, scritto o orale, tra le parti.

Infatti, per un verso, è espressamente esclusa la partecipazione all’udienza camerale del difensore e del pubblico ministero, che non possono chiedere di essere sentiti; per altro verso, non è contemplato il deposito di memorie, attraverso le quali ciascuna parte possa replicare alle deduzioni avversarie. Né, infine, è riconosciuto al presidente di sezione il potere di assegnare, all’atto della fissazione dell’udienza camerale, un termine per il deposito di deduzioni scritte.

Le ricadute applicative di tale disciplina mostrano con particolare evidenza come l’iter procedurale dalla stessa delineato comprima ingiustificabilmente il diritto di difesa e al contraddittorio.

Infatti, nel caso in cui sia la persona trattenuta ad impugnare il decreto di convalida,

alla stessa è precluso replicare alle richieste della procura generale presso la Corte di cassazione non essendo, appunto, previsto il deposito di memorie. Neppure è prevista alcuna memoria per l’Amministrazione che ha adottato il provvedimento di trattenimento.

4.4.– L’inidoneità del modello processuale in scrutinio ad assicurare alle parti «un nucleo minimo di contraddittorio e di difesa» (sentenza 341 del 2006) trova fondamento nella eterogeneità, oggettiva e funzionale, tra il giudizio in materia di mandato d’arresto europeo consensuale, per il quale detta procedura è stata concepita, e il giudizio concernente la convalida del trattenimento dello straniero, al quale la stessa procedura è stata estesa.

Come già evidenziato, la particolare concentrazione del rito in materia di mandato d’arresto europeo nell’ipotesi speciale in cui risulti il consenso della persona richiesta in consegna, in termini più ristretti rispetto all’ipotesi ordinaria in cui tale consenso non è stato espresso si giustifica non solo in ragione della garanzia dell’habeas corpus – ravvisabile anche nella fattispecie in scrutinio – e della necessità di concludere l’intera procedura di consegna nel rispetto dei rigidi limiti temporali imposti dalla decisione quadro 2002/584/GAI e ribaditi dall’art. 22-bis della legge n. 69 del 2005, ma anche per la limitatezza del thema decidendum.

Infatti, per effetto del consenso alla consegna prestato dall’interessato, la cognizione è limitata al controllo della legalità complessiva del procedimento, della validità della manifestazione del consenso, dell’insussistenza di motivi di rifiuto alla consegna, nonché della eventuale priorità di altri mandati di arresto europeo (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 3-10 dicembre 2015, n. 48943).

Per converso, non solo al giudizio di legittimità sulla convalida del trattenimento è connaturale la contestazione del potere amministrativo che ne forma oggetto e, quindi, la contrapposizione tra le parti – oltre che il coinvolgimento di diritti inviolabili di rango costituzionale –, ma il sindacato della Corte di cassazione può estendersi alla verifica di profili che eccedono la regolarità della adozione della misura restrittiva in sé considerata.

Come confermato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi anteriormente alla novella processuale in scrutinio, la decisione sulla convalida può, infatti, involgere, sia pure incidentalmente, anche la «manifesta illegittimità» del provvedimento presupposto dal trattenimento, ossia l’espulsione o il respingimento (ex multis, Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 28 giugno 2023, n. 18404).

Anche questa Corte ha confermato la possibilità che il giudizio di convalida assuma una simile ampiezza, evidenziando che «[i]l trattenimento costituisce la modalità organizzativa prescelta dal legislatore per rendere possibile, nei casi tassativamente previsti dall’art. 14, comma 1, che lo straniero, destinatario di un provvedimento di espulsione, sia accompagnato alla frontiera ed allontanato dal territorio nazionale. Il decreto di espulsione con accompagnamento, che, giova ribadire, ai sensi dell’art. 13, comma 3, deve essere motivato, rappresenta quindi il presupposto indefettibile della misura restrittiva, e in quanto tale non può restare estraneo al controllo dell’autorità giudiziaria» (sentenza n. 105 del 2001).

5.– Così accertato il contrasto delle previsioni censurate con gli artt. 3 e 24 Cost., questa Corte deve ora individuare il paradigma normativo idoneo ad operare la reductio ad legitimitatem.

La rimozione del terzo periodo del comma 6 dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui rinvia all’art. 22, comma 5-bis, quarto periodo, della legge n. 69 del 2005 genera, infatti, un vuoto normativo, dal momento che, pur non incidendo sulle nuove regole – recate dal primo periodo dello stesso comma 6 – concernenti l’introduzione del giudizio, l’ambito delle censure proponibili e le forme proprie della giurisdizione penale, determina il venir meno della disciplina relativa al successivo iter procedurale.

Come confermato dalla costante giurisprudenza di questa Corte, il dato normativo utile alla sostituzione del frammento normativo censurato deve porsi in rapporto di prossimità con la disciplina oggetto di censura (ex plurimis, sentenze n. 46 del 2024, n. 95 e n. 28 del 2022).

Nel caso di specie, il referente normativo non solo deve essere coerente con la ratio che sorregge la disciplina, pur parzialmente incostituzionale, del giudizio in esame, ma deve essere idoneo ad assicurare il contraddittorio.

Deve, quindi, trattarsi di un modulo processuale agile, semplificato e capace di assicurare la definizione del giudizio di legittimità sulla convalida del trattenimento entro un lasso temporale assai contenuto.

6.– Tra le discipline «già esistenti» (sentenza n. 236 del 2016) che possono consentire a questa Corte di porre rimedio alle violazioni riscontrate, quella del giudizio di legittimità in materia di mandato d’arresto europeo ordinario – in particolare, per la parte che pone le regole di cui all’art. 22, commi 3 e 4, della legge n. 69 del 2005 –, costituisce la soluzione normativa più vicina alla logica perseguita dal legislatore nella fattispecie in scrutinio.

6.1.– Detto procedimento condivide con quello consensuale, assunto a paradigma dalla disposizione censurata, la funzione e l’oggetto, pur distinguendosene per la maggiore ampiezza della cognizione riconosciuta al giudice di legittimità in ragione dell’assenza del consenso alla consegna, oltre che per un più articolato iter includente l’udienza camerale.

Inoltre, l’affinità strutturale con il procedimento ex art. 22, comma 5-bis, della legge n. 69 del 2005 emerge dal raffronto delle modalità di introduzione dei giudizi, posto che anche il processo in cassazione sul mandato d’arresto europeo non consensuale può essere promosso esclusivamente per far valere l’eccesso di potere giurisdizionale e la violazione di legge sostanziale e processuale, essendo stato espunto dalla relativa disciplina il riferimento alla proponibilità del ricorso «anche nel merito» ed essendo il sindacato della Corte di cassazione circoscritto ai soli motivi previsti dall’art. 606, comma 1, lettere a), b) e c) cod. proc. pen. (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 8-9 marzo 2022, n. 8299).

Ancora, analogamente a quanto previsto per la procedura consensuale, nel giudizio in materia di mandato d’arresto europeo ordinario il ricorso per cassazione va presentato entro un termine molto breve – che, secondo l’art. 22, comma 1, della legge n. 69 del 2005, è di cinque giorni decorrenti dalla «conoscenza legale della sentenza» – nella cancelleria della corte d’appello che ha emesso il provvedimento (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 29-30 dicembre 2021, n. 47421), la quale provvede a trasmetterlo alla Corte di cassazione «con precedenza assoluta su ogni altro affare e comunque entro il giorno successivo» (art. 22, comma 2, legge n. 69 del 2005).

Inoltre, un profilo di analogia tra gli schemi processuali a raffronto si coglie anche nella brevità del termine di definizione del giudizio che, nel procedimento relativo al mandato d’arresto ordinario, è di dieci giorni dalla ricezione degli atti, ancorché il comma 4 dello stesso art. 22 precisi che la decisione è depositata a conclusione dell’udienza con la contestuale motivazione, ma, nel caso in cui la redazione della motivazione non risulti possibile, la Corte di cassazione, data comunque lettura del dispositivo, provvede al deposito della motivazione non oltre il secondo giorno dalla pronuncia.

Da ultimo, vale il rapporto genere/specie. Il mandato di arresto europeo consensuale costituisce un’ipotesi speciale rispetto a quella ordinaria, in cui non risulta il consenso della persona richiesta in consegna. La mancata applicazione della prima, in ragione della dichiarazione di illegittimità costituzionale che si va a pronunciare, orienta la reductio ad legitimitatem verso la seconda, quella ordinaria.

6.2.– L’aspetto che vale, poi, a differenziare la procedura ordinaria da quella consensuale – e che costituisce elemento ulteriore in forza del quale la prima merita di essere prescelta come «grandezza predata» per la reductio ad legitimitatem della normativa in scrutinio – si rinviene nel comma 3 dell’art. 22 della legge n. 69 del 2005, secondo cui la Corte di cassazione decide nelle forme di cui all’art. 127 cod. proc. pen.

È pur vero che detto rinvio non coinvolge la disciplina generale del rito in camera di consiglio nella sua interezza, ma ne mutua soltanto il nucleo essenziale di procedimento semplificato in contraddittorio. Infatti, nella fattispecie in esame, le forme camerali, oltre a subire gli adattamenti resi necessari dalla specificità della cognizione nel giudizio di legittimità (così che, ad esempio, in base alla regola sancita dall’art. 614, comma 2, cod. proc. pen. non è prevista la comparizione personale delle parti), risultano rimodulate sulle ristrette cadenze del rito speciale, essendo previsto dall’art. 22, comma 3, della legge n. 69 del 2005 che, in coerenza con il ristretto termine di definizione del giudizio, l’avviso alle parti debba essere notificato o comunicato almeno tre giorni prima dell’udienza.

Non di meno, la procedura di cui all’art. 22, commi 3 e 4, della legge n. 69 del 2005, assicurando alle parti, che non hanno facoltà di presentare memoria, la possibilità di essere sentite all’udienza camerale, mantiene «integro […] il nucleo essenziale delle garanzie giurisdizionali delle parti» (sentenza n. 341 del 2006).

6.3.– La reductio ad legitimitatem va, dunque, operata integrando il contenuto del comma 6 dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, là dove, nel terzo periodo, è stato privato del riferimento al quarto periodo dell’art. 22, comma 5-bis, della legge n. 69 del 2005, con le regole procedurali dettate dai commi 3 e 4 del medesimo art. 22 della legge n. 69 del 2005, secondo cui, rispettivamente, «[l]a Corte di cassazione decide con sentenza entro dieci giorni dalla ricezione degli atti nelle forme di cui all’articolo 127 del codice di procedura penale. L’avviso alle parti deve essere notificato o comunicato almeno tre giorni prima dell’udienza» e «[l]a decisione è depositata a conclusione dell’udienza con la contestuale motivazione. Qualora la redazione della motivazione non risulti possibile, la Corte di cassazione, data comunque lettura del dispositivo, provvede al deposito della motivazione non oltre il secondo giorno dalla pronuncia».

6.3.1.– Alla stregua della disciplina risultante dall’operata sostituzione, il processo di cassazione sui decreti di convalida e di proroga del trattenimento della persona straniera – emessi dal giudice di pace, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, o dalla corte d’appello in composizione monocratica, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 142 del 2015 – si articola nei seguenti termini: il giudizio è instaurato con ricorso proponibile entro cinque giorni dalla comunicazione, per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’art. 606, cod. proc. pen.; il ricorso, che non sospende l’esecuzione della misura, è presentato nella cancelleria della corte di appello che ha emesso il provvedimento, la quale lo trasmette alla Corte di cassazione, con precedenza assoluta su ogni altro affare e comunque entro il giorno successivo, unitamente al provvedimento impugnato e agli atti del procedimento; la Corte di cassazione decide con sentenza entro dieci giorni dalla ricezione degli atti nelle forme di cui all’art. 127 cod. proc. pen. e, quindi, in un’adunanza camerale nella quale sono sentiti, se compaiono, il pubblico ministero e il difensore; l’avviso alle parti deve essere notificato o comunicato almeno tre giorni prima dell’udienza; la decisione è depositata a conclusione dell’udienza con la contestuale motivazione; qualora la redazione della motivazione non risulti possibile, la Corte di cassazione, provvede al deposito della motivazione non oltre il secondo giorno dalla pronuncia.

7.– Questa Corte intende così porre rimedio, nell’immediato, al riscontrato vulnus al principio del contraddittorio e al diritto di difesa, individuando, nel massimo rispetto della voluntas legis, la disciplina più vicina a quella originariamente individuata.

Resta comunque ferma, per il legislatore, la possibilità di intervenire in qualsiasi momento per individuare, nell’esercizio dell’ampia discrezionalità allo stesso riservata in subiecta materia, una eventualmente diversa configurazione dello speciale giudizio in questione, purché tale scelta sia rispettosa dei principi costituzionali e, in particolare, del diritto al contraddittorio e del diritto di difesa. Trattandosi di un giudizio di legittimità, dette garanzie potrebbero trovare attuazione anche optando per una variante cartolare del rito, forma, questa, che, non a caso, anche nel processo penale ordinario, è stata elevata a regola generale dall’art. 611, comma 1, cod. proc. pen., come sostituito dall’art. 35, comma 1, lettera a), numero 1), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari).

Una revisione delle scansioni temporali del processo in esame potrebbe, peraltro, divenire ineludibile nel caso in cui un significativo incremento dei ricorsi – evenienza non inverosimile, considerata l’espansione del perimetro applicativo del trattenimento operata dalle recenti riforme – dovesse rendere non più conciliabile l’estrema concentrazione del rito, che la presente pronuncia ha, nella sostanza, preservato, con la stessa effettività del «diritto al processo in cassazione» (sentenza n. 395 del 2000) garantito dall’art. 111, settimo comma, Cost.

È, dunque, auspicabile che il legislatore verifichi la perdurante compatibilità dello speciale schema procedurale di cui all’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, come rimodulato dalla presente pronuncia, con le dimensioni che il contenzioso assumerà nel volgere del tempo.

8.– In conclusione, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, lettera b), numero 2), del d.l. n. 145 del 2024, come convertito, richiamato dall’art. 6, comma 5-bis, del d.lgs. n. 142 del 2015, come introdotto dall’art. 18, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 145 del 2024, come convertito, nella parte in cui, al terzo periodo, rinvia all’art. 22, comma 5-bis, quarto periodo, della legge n. 69 del 2005, anziché ai commi 3 e 4 di quest’ultimo articolo.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, lettera b), numero 2), del decreto-legge 11 ottobre 2024, n. 145 (Disposizioni urgenti in materia di ingresso in Italia di lavoratori stranieri, di tutela e assistenza alle vittime di caporalato, di gestione dei flussi migratori e di protezione internazionale, nonché dei relativi procedimenti giurisdizionali), convertito, con modificazioni, nella legge 9 dicembre 2024, n. 187, richiamato dall’art. 6, comma 5-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), come introdotto dall’art. 18, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 145 del 2024, come convertito, nella parte in cui, al terzo periodo, rinvia all’art. 22, comma 5-bis, quarto periodo, della legge n. 69 del 2005, anziché ai commi 3 e 4 di quest’ultimo articolo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattrice

Valeria EMMA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2025

Il Cancelliere

F.to: Valeria EMMA

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