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Adozione del maggiorenne: no alla sostituzione del cognome originario

Corte Costituzionale, Sentenza n.53 del 18/02/2025

È possibile sostituire il cognome originario dell'adottato maggiorenne con quello dell'adottante?

L'art. 299, primo comma, del codice civile stabilisce che l'adottato assume il cognome dell'adottante, anteponendolo al proprio.

Il Tribunale di Reggio Emilia ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma, nella parte in cui non consente di sostituire il cognome originario dell'adottato con quello dell'adottante, anche con il consenso di entrambi.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 53 del 18 aprile 2025, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale.

Per la Consulta, la scelta legislativa di non consentire la sostituzione del cognome dell’adottato maggiore d’età con quello dell’adottante non determina una lesione del diritto all’identità personale dell’adottato, né comporta una irragionevole disparità di trattamento rispetto all’adozione piena del minore d’età.

Il caso

Protagonista della vicenda è una giovane adottata in età adulta da una coppia che l'aveva avuta in affido sin dall'infanzia, dopo la decadenza della responsabilità genitoriale dei genitori biologici, tossicodipendenti. Dopo anni di convivenza e affetto reciproco, l'adottanda desiderava assumere esclusivamente il cognome della famiglia adottiva, considerandola la sua unica famiglia. Tuttavia, l'art. 299 cod. civ. non prevede tale possibilità.

La decisione della Corte costituzionale

La Corte ha ribadito che il cognome rappresenta un segno distintivo dell'identità personale, che si consolida nel tempo e è tutelato proprio in quanto tale. La sostituzione integrale del cognome originario con quello dell'adottante equivarrebbe a cancellare un elemento che ha rappresentato la propria identità per almeno diciotto anni.

Anche il consenso dell'adottato non basta, secondo la Corte, a legittimare la cancellazione del cognome originario, poiché questo potrebbe essere espressione di condizionamenti emotivi o materiali, specie considerando i vantaggi successori connessi all'adozione.

Nessuna disparità rispetto all'adozione piena del minore

La Consulta ha escluso anche una violazione dell'art. 3 Cost., rilevando che l'adozione del minore d'età (che comporta l'assunzione del solo cognome degli adottanti) e quella del maggiore d'età restano istituti diversi per presupposti e finalità. Non vi è quindi una irragionevole disparità di trattamento.

Un'alternativa possibile: la procedura amministrativa

La Corte ha ricordato che se vi sono motivi personali gravi, come il desiderio di prendere le distanze da un cognome percepito come segno di un passato doloroso, l'ordinamento già consente di richiedere il cambio di cognome. L'art. 89 del d.P.R. n. 396/2000 prevede infatti che chiunque può presentare istanza motivata al prefetto per ottenere il cambio del proprio cognome.

Conclusione

La pronuncia in esame si inserisce nel solco di una giurisprudenza consolidata sul valore identitario del cognome, ribadendo la necessità di tutelare l'identità personale dell'adottato, anche adulto, e sottolineando la natura plurifunzionale dell'adozione del maggiorenne, che non può essere assimilata all'adozione piena del minore.

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SENTENZA N. 53

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, del codice civile, promosso dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia, sezione prima civile, sul ricorso proposto da F. M. e N. R. con ordinanza del 30 maggio 2024, iscritta al n. 159 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Udita nella camera di consiglio del 10 febbraio 2025 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;

deliberato nella camera di consiglio del 10 febbraio 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 30 maggio 2024 (iscritta al n. 159 reg. ord. 2024), il Tribunale ordinario di Reggio Emilia, sezione prima civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 3, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, del codice civile, secondo cui «[l]’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio».

2.– In punto di fatto, il rimettente riferisce che F. M. e N. R. adivano il Tribunale di Reggio Emilia, «affinché venisse disposta l’adozione da parte [loro di S. S. ], persona maggiore di età».

2.1.– Il giudice a quo afferma che sussistono i requisiti di legge per poter pronunciare l’adozione e rappresenta il contesto di fatto nel quale si colloca la domanda di adozione.

In particolare, quando l’adottanda (ora maggiorenne) aveva cinque anni, i suoi genitori biologici erano decaduti dalla responsabilità genitoriale, in forza di un provvedimento emesso in data 31 marzo 2000 dal Tribunale per i minorenni di Bologna, che li aveva reputati «del tutto inidonei a prendersi cura [della bambina] per essere ambedue gravemente tossicodipendenti, con serissime ripercussioni sulla loro salute, sulla loro capacità e sulla loro autonomia». Contestualmente, S. S. veniva affidata alla azienda unità sanitaria locale (AUSL) di Parma, che individuava, a partire dal 6 marzo 2001, quale famiglia affidataria quella dei ricorrenti nel giudizio principale.

Il rimettente espone, di seguito, che l’affidamento era proseguito ininterrottamente da quando la minore aveva sei anni sino al raggiungimento della maggiore età e che la stessa, anche successivamente, aveva continuato a vivere con la famiglia affidataria sino al momento in cui aveva contratto matrimonio.

Il giudice a quo riporta, inoltre, che S. S. non aveva mai potuto riprendere i contatti con i genitori biologici; che questi erano deceduti prima dell’apertura del procedimento di adozione della maggiorenne; che l’adottanda aveva prestato «incondizionato consenso» alla domanda di adozione; che sia gli adottanti sia l’adottanda domandavano che quest’ultima potesse assumere esclusivamente il cognome della famiglia adottante, sostituendolo al cognome dei propri genitori biologici.

Nel giudizio principale, l’attribuzione del solo cognome degli adottanti veniva motivata sulla base di una triplice considerazione: l’adottanda non aveva neppure memoria dei propri genitori biologici, che avevano anteposto «la propria inclinazione agli stupefacenti ad un sia pur minimo interesse o scrupolo» verso la figlia; l’adozione non era stata richiesta quando l’adottanda era minorenne «semplicemente perché gli Adottanti non erano stati sollecitati a prendere in considerazione tale possibilità»; l’adottanda considerava quale «sua sola e unica famiglia» quella degli adottanti.

Ai fini dell’accoglimento della domanda, adottanti e adottanda sostenevano una interpretazione adeguatrice della disposizione di cui all’art. 299, primo comma, cod. civ., in virtù della quale sarebbe stato possibile assumere esclusivamente il cognome della «famiglia adottante», sostituendolo al cognome dei propri genitori biologici.

3.– Così riferite le premesse in fatto, il rimettente reputa non percorribile, in virtù del dato testuale dell’art. 299, primo comma, cod. civ., l’itinerario ermeneutico prospettato dalla difesa delle parti nel giudizio a quo.

Ritiene, pertanto, di dover sollevare questioni di legittimità costituzionale.

4.– Per quanto concerne la rilevanza, il Tribunale di Reggio Emilia afferma che la domanda di adozione e di attribuzione del solo cognome degli adottanti, qualificata come «concreta e attuale», non potrebbe trovare accoglimento, a meno che non siano accolte le censure poste sull’art. 299, primo comma, cod. civ.

5.– Di seguito, argomenta in merito alla non manifesta infondatezza delle questioni che solleva in riferimento agli artt. 2 e 3, primo comma, Cost., sotto il duplice profilo della lesione dell’identità personale e dell’irragionevole disparità di trattamento.

5.1.– Con una prima formulazione del petitum, il Tribunale rimettente prospetta un contrasto con i parametri evocati della norma censurata «[n]ella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di sostituire, anziché di aggiungere o di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore di età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto e i genitori biologici dell’adottato siano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale».

5.1.1.– Nel motivare la dedotta lesione del diritto all’identità personale, il giudice a quo richiama, anzitutto, ampi stralci della sentenza n. 135 del 2023 di questa Corte, che – sulla base dei medesimi parametri evocati nell’odierna vicenda – ha dichiarato costituzionalmente illegittimo lo stesso art. 299, primo comma, cod. civ., «nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello originario dell’adottato maggiore d’età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto».

In particolare, il rimettente desume dalla sentenza vari principi ispiratori, che ritiene possano illuminare l’odierna questione, attraverso un ragionamento che scompone in alcuni passaggi. Sussisterebbe e sarebbe tutelato dalla Costituzione, in quanto discenderebbe dalla «specificazione del concreto contenuto dell’art. 2 Cost.», un diritto all’identità personale, che ricomprende il diritto al nome e sarebbe suscettibile di bilanciamento, presentando nondimeno «un carattere di elevata cogenza» (è richiamata, con citazione di ampie parti, la sentenza di questa Corte n. 13 del 1994). Al contempo, andrebbe tenuta in considerazione la valenza sociale e personalistica dell’adozione del maggiore d’età, anche a seguito dell’evoluzione che ha interessato tale istituto, per valutare se le restrizioni poste dall’ordinamento siano irragionevoli e dunque lesive dell’identità personale. Nello specifico, andrebbe valorizzata la funzione dell’istituto volta a «conferire consacrazione giuridica» a formazioni sociali fortemente assimilabili alla famiglia, quale sarebbe il caso dell’adottato che ha vissuto per lungo tempo con il coniuge del genitore biologico, che poi lo adotta da adulto, o quello della persona che ha vissuto in regime di affidamento, fin da quando era minore di età, con coloro che lo adottano al raggiungimento della maggiore età.

Il giudice a quo reputa, dunque, possibile ricondurre tali formazioni sociali «alla famiglia biologica (o alla famiglia costituzionale tout court)» e, ove siano riscontrabili «volontà e […] consenso delle parti interessate», ritiene necessario applicare la disciplina dell’adozione del minore.

In caso contrario, a parere del rimettente, l’imposizione del cognome della famiglia originaria si risolverebbe nella «difesa di un diritto dei genitori biologici», che dovrebbe, viceversa, considerarsi recessivo, ove lo stesso ordinamento, privando i genitori della relativa responsabilità genitoriale, abbia operato una netta cesura tra la famiglia biologica dell’adottato e quest’ultimo. Secondo il giudice a quo, l’attuale assetto normativo, nel non aver riguardo al comportamento che definisce «colpevole, grave, riprovevole e pregiudizievole, se non anche francamente criminale» di chi ha abbandonato un minore, poi divenuto maggiorenne, determinerebbe una sorta di «incrollabile privilegio genetico» a favore della famiglia biologica, «derivante dal fatto meccanico e biologico del concepimento e del parto», così imprimendo «un marchio indelebile sul ‘corpo sociale e visibile’ del figlio», che l’interessato sarebbe destinato a portare con sé ed, eventualmente, a trasmettere ai propri discendenti. Tale marchio consisterebbe in un cognome che, ad avviso del rimettente, non potrebbe «avere altro significato che quello dell’abbandono, del dolore, della delusione, della sofferenza e finanche della tragedia».

Il giudice a quo riconosce, peraltro, che non in tutti i casi in cui sussistono gravi inadempimenti degli obblighi derivanti dalla responsabilità genitoriale si giunge alla dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, condizione necessaria al realizzarsi dell’adozione piena, la cui disciplina prevede la sostituzione del cognome «‘(meramente) biologico’» con quello della famiglia che si assume gli obblighi propri dei genitori.

5.1.2.– Alla presunta lesione del diritto all’identità personale, il Tribunale di Reggio Emilia aggiunge la ritenuta violazione dell’art. 3, primo comma, Cost. sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento «tra il caso del minore adottato prima della maggiore età dalla famiglia di accoglienza e quello del minore ‘solo’ affidato, anche se magari per quasi tutta la minore età (come nel caso di specie), e rispetto al quale l’adozione intervenga solamente dopo il raggiungimento della maggiore età».

La diversità di fattispecie, ad avviso del rimettente, sarebbe legata a contingenze di mero fatto, indifferenti rispetto ai diritti delle parti in causa, quali i tempi dei procedimenti amministrativi e giurisdizionali, che potrebbero determinare il sopravvenire della maggiore età prima della dichiarazione dello stato di adottabilità, in mancanza peraltro di strumenti a disposizione del minore per richiedere l’accertamento di tale stato.

5.2.– Alla prima formulazione del petitum, che il rimettente reputa potenzialmente risolutivo delle due questioni sopra richiamate, vengono poi aggiunte, sempre avendo riguardo alle medesime censure, ulteriori prospettazioni che ipotizzano, in alternativa, varie pronunce additive.

5.2.1.– Il giudice a quo, anzitutto, sostiene che il contrasto della norma censurata con gli evocati parametri potrebbe ravvisarsi «[n]ella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di sostituire, anziché di aggiungere o di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore di età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto e i genitori biologici dell’adottato non si oppongano a tale scelta, o siano deceduti prima di potersi esprimere al riguardo».

Il rimettente ritiene, infatti, che potrebbe essere «ragionevole e proporzionata» una estensione della possibilità di assumere il solo cognome dell’adottante quando vi sia, oltre al consenso degli adottanti, quello dei genitori biologici, oppure quando il consenso di questi ultimi non sia necessario, essendo gli stessi deceduti prima dell’adozione.

Il Tribunale di Reggio Emilia chiarisce di aver preso in considerazione anche la sussistenza di eventuali interessi contrapposti, quali la «salvaguardia della pubblica sicurezza e [la] prevenzione della criminalità», che potrebbero giustificare l’obbligo di mantenere traccia del cognome originario della persona adottata maggiore d’età. Nondimeno, sostiene che detti interessi non possano considerarsi prevalenti rispetto al diritto posto alla base della citata sentenza n. 135 del 2023.

Secondo il giudice a quo, da tale pronuncia sarebbe dato desumere un progressivo superamento della netta separazione tra gli istituti, pur sempre distinti, dell’adozione del maggiore d’età e di quella del minore d’età, almeno nei casi in cui emerga la costituzione di formazioni sociali fortemente assimilabili alla famiglia.

Dalla constatazione secondo cui, nei casi appena richiamati, emergerebbe un progressivo avvicinamento fra i due istituti ritrae, di seguito, che la disciplina del cognome si ponga «in termini, se non certamente identici, quantomeno significativamente simili» nell’adozione piena del minore d’età e in quella della persona maggiore d’età.

In particolare, l’adoptio plena dimostrerebbe come l’interesse alla conservazione del cognome originario possa essere talora considerato recessivo. Questo consentirebbe di valutare anche nell’adozione di persona maggiore d’età le ipotesi in cui tale interesse non debba prevalere, non ravvisandosi nella sostituzione del cognome originario un «movente estemporaneo, opportunistico, capriccioso, edonistico, emulativo, o finalizzato al mascheramento della propria pregressa identità», quanto piuttosto l’esigenza di dare risalto a un consolidato vincolo di natura propriamente familiare.

5.2.2.– Con una ulteriore formulazione del petitum, il giudice a quo ritiene che la norma censurata si potrebbe porre in contrasto con gli evocati parametri «[n]ella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di sostituire, anziché di aggiungere o di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore di età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto e i genitori biologici dell’adottato non si oppongano a tale scelta, o siano deceduti prima di potere esprimere consenso o dissenso, e l’adottato sia il figlio del coniuge dell’adottante o sia stato affidato alla famiglia dell’adottante o degli adottanti prima del raggiungimento della maggiore età e fino a tale momento».

Tale ipotesi di intervento additivo viene prospettata per l’ipotesi in cui questa Corte non ritenesse sufficiente il solo consenso dei genitori biologici, o l’impossibilità di manifestare il dissenso, e ravvisasse l’esigenza di limitare il proprio intervento ai soli casi in cui «sia accertata la stretta assimilabilità alla relazione propriamente familiare di quella intercorsa tra l’adottante, o gli adottanti, e l’adottato».

5.2.3.– Ancora, con una successiva prospettazione, il giudice a quo sposta l’asse delle censure sul rischio che l’opposizione da parte dei genitori biologici o la loro impossibilità a manifestare un consenso alla sostituzione del cognome dell’adottando possa pregiudicare l’interesse di quest’ultimo.

Delinea, dunque, un intervento additivo in virtù del quale la norma censurata potrebbe ritenersi in contrasto con gli evocati parametri «nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di sostituire, anziché di aggiungere o di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore di età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto e i genitori biologici dell’adottato non si oppongano a tale scelta, o, in caso di opposizione o nel caso in cui non possano esprimersi al riguardo, per morte o altro motivo, il giudice accerti che sussistono gravissimi motivi che inducano a ritenere pregiudizievole per l’adottato tale mancato assenso».

In riferimento a tale formulazione del petitum, il rimettente richiama le già illustrate circostanze di fatto che caratterizzano la vicenda da cui origina l’incidente di costituzionalità, relative: all’età dell’allontanamento dai genitori biologici, all’abbandono, al decesso di questi, all’affidamento e alla lunga convivenza con la famiglia affidataria.

Ad avviso del giudice a quo, il caso oggetto del processo principale sarebbe paradigmatico della difficoltà di tipizzare rigidamente i presupposti, al ricorrere dei quali l’obbligo indefettibile di mantenere il cognome originario determinerebbe un «serissimo pregiudizio all’identità personale» dell’adottato.

5.2.4.– Infine, il rimettente formula un’ultima ipotesi di intervento additivo, che sottopone a questa Corte per il caso in cui quelle precedenti venissero reputate «eccessivamente generic[he]» e tali da conferire al giudice uno spazio di discrezionalità troppo ampio. Invoca, pertanto, una pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, cod. civ., «[n]ella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di sostituire, anziché di aggiungere o di anteporre, il cognome dell’adottante che abbia ricevuto in affidamento l’adottato nella sua minore età a quello dell’adottato maggiore di età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto, e i genitori biologici dell’adottato non si oppongano a tale scelta, o, in caso di opposizione o nel caso in cui non possano esprimersi al riguardo, per morte o altro motivo, il giudice accerti che nel tempo successivo all’emissione del provvedimento che ha disposto l’affidamento i genitori biologici dell’adottato sono venuti meno ai propri obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione dell’adottato in maniera continuativa, grave e ingiustificata».

 

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 30 maggio 2024 (iscritta al n. 159 del reg. ord. 2024), il Tribunale ordinario di Reggio Emilia, sezione prima civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, cod. civ., in riferimento agli artt. 2 e 3, primo comma, Cost.

1.1.– I citati parametri costituzionali sono evocati sotto un duplice profilo: per lesione del diritto all’identità personale e per irragionevole disparità di trattamento tra la disciplina che regola l’attribuzione del cognome al minore d’età adottato dalla famiglia cui era stato in precedenza affidato e quella che si applica al maggiore d’età che viene adottato dalla famiglia alla quale era stato affidato quando era minorenne.

1.2.– La disposizione censurata prevede che «[l]’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio».

Tale norma è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, con la sentenza n. 135 del 2023, «nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore d’età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto».

1.2.1.– Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della norma censurata, «[n]ella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di sostituire, anziché di aggiungere o di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore di età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto e i genitori biologici dell’adottato siano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale».

1.2.2.– Di seguito, formula ulteriori variazioni del secondo periodo della pronuncia additiva, proponendo l’aggiunta, dopo l’affermazione «se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto», delle seguenti frasi che prospetta in via alternativa:

– «e i genitori biologici dell’adottato non si oppongano a tale scelta, o siano deceduti prima di potersi esprimere al riguardo»;

– ovvero, «e i genitori biologici dell’adottato non si oppongano a tale scelta, o siano deceduti prima di potere esprimere consenso o dissenso, e l’adottato sia il figlio del coniuge dell’adottante o sia stato affidato alla famiglia dell’adottante o degli adottanti nel tempo della sua minore età»;

– ovvero, ancora, «e i genitori biologici dell’adottato non si oppongano a tale scelta, o, in caso di opposizione o nel caso in cui non possano esprimersi al riguardo, per morte o altro motivo, il giudice accerti che sussistono gravissimi motivi che inducano a ritenere pregiudizievole per l’adottato tale mancato assenso».

Infine, con un’ultima declinazione del petitum, il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, cod. civ., «[n]ella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di sostituire, anziché di aggiungere o di anteporre, il cognome dell’adottante che abbia ricevuto in affidamento l’adottato nella sua minore età a quello dell’adottato maggiore di età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto, e i genitori biologici dell’adottato non si oppongano a tale scelta, o, in caso di opposizione o nel caso in cui non possano esprimersi al riguardo, per morte o altro motivo, il giudice accerti che nel tempo successivo all’emissione del provvedimento che ha disposto l’affidamento i genitori biologici dell’adottato sono venuti meno ai propri obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione dell’adottato in maniera continuativa, grave e ingiustificata».

2.– A fronte delle varie richieste additive ipotizzate dal rimettente, occorre anzitutto rilevare, in linea con la giurisprudenza costituzionale, che «“il petitum dell’ordinanza di rimessione ha la funzione di chiarire il contenuto e il verso delle censure mosse dal giudice rimettente”, ma non vincola questa Corte, che, “ove ritenga fondate le questioni, rimane libera di individuare la pronuncia più idonea alla reductio ad legitimitatem della disposizione censurata” (sentenza n. 221 del 2023, punto 4 del Considerato in diritto; in senso conforme, più di recente, sentenza n. 12 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto)» (sentenza n. 46 del 2024).

Ciò premesso, da un lato, si deve constatare che, nell’odierno giudizio, il senso delle questioni è chiaro, poiché il giudice a quo dubita, in riferimento agli artt. 2 e 3, primo comma, Cost., della legittimità costituzionale della norma censurata, in quanto impedisce all’adottato maggiore d’età di assumere il solo cognome dell’adottante.

Da un altro lato, ove questa Corte ravvisasse nella previsione censurata un vulnus ai citati principi costituzionali, potrebbe attingere anche aliunde le eventuali condizioni idonee a porre rimedio alle asserite violazioni.

Le censure sono, pertanto, ammissibili.

3.– Nel merito, la questione sollevata in riferimento all’art. 2 Cost., per lesione del diritto all’identità personale, non è fondata.

4.– In via preliminare, è opportuno rammentare che «[i]l cognome, insieme con il prenome, rappresenta il nucleo dell’identità giuridica e sociale della persona: le conferisce identificabilità, nei rapporti di diritto pubblico, come di diritto privato, e incarna la rappresentazione sintetica della personalità individuale, che nel tempo si arricchisce progressivamente di significati» (sentenza n. 131 del 2022, nel solco di una giurisprudenza ultraventennale: sentenze n. 286 del 2016, n. 268 del 2002, n. 120 del 2001, n. 297 del 1996 e n. 13 del 1994; nello stesso senso, sentenza n. 135 del 2023).

Nella sua funzione identificativa, il nome – che è composto dal cognome e dal prenome ed è «per legge attribuito» (art. 6 cod. civ.) – è sottratto alla piena disponibilità del titolare, il cui consenso può essere solo il presupposto di eventuali modifiche, disposte o per provvedimento giudiziale o per provvedimento del prefetto (art. 89 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, recante «Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127»).

Nella sua funzione identitaria, il cognome, unitamente al prenome, configura un segno distintivo che, a partire dal momento in cui viene attribuito, determina un meccanismo di progressiva stratificazione e di consolidamento dell’identità personale, sicché proprio in tale diritto «si radicano le ragioni della tutela del cognome» (sentenza n. 135 del 2023).

Di riflesso, se, per un verso, il cognome originariamente si incardina nello status filiationis (sentenza n. 131 del 2022), per un altro verso, a mano a mano che l’identità personale si costruisce intorno a quel segno, è lo stesso diritto all’identità personale a rendere il cognome capace di resistere, di norma, ai mutamenti di status.

Sulla base di tali coordinate, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 165 del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile), nella parte in cui non prevedeva che, in caso di rettifica dei registri dello stato civile per ragioni indipendenti dal soggetto (nella specie per accertata falsità parziale dell’atto di nascita), la persona potesse «ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere il cognome originariamente attribuitogli ove questo sia ormai da ritenersi autonomo segno distintivo della sua identità personale» (sentenza n. 13 del 1994).

Nel medesimo solco si colloca la sentenza n. 297 del 1996, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 262 cod. civ., nella parte in cui, al comma primo, «non prevede che il figlio naturale, nell’assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, possa ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo a questo, il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale».

Qualche anno più tardi, proprio con riguardo alla disposizione oggetto delle odierne censure – ovvero, l’art. 299, primo comma, cod. civ. – questa Corte ha ritenuto non fondata la questione prospettata dal rimettente vòlta a introdurre l’automatica e inderogabile anteposizione del cognome originario dell’adottato rispetto a quello dell’adottante, sul presupposto che la lesione della identità sia piuttosto «ravvisabile nella soppressione del segno distintivo» (sentenza n. 120 del 2001).

Di seguito, nel valutare l’illegittimità costituzionale della medesima disposizione – in quanto applicabile, in virtù del rinvio di cui all’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), all’adozione in casi particolari – la sentenza n. 268 del 2002 ha dichiarato non fondata la questione che mirava a sostituire il cognome del minore adottato con il solo cognome dell’adottante, marito della madre.

Infine, proprio in ragione del diritto all’identità personale sotteso all’originario cognome dell’adottato, la sentenza n. 135 del 2023 (punto 5.2. del Considerato in diritto) ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 299, primo comma, cod. civ., «nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore di età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto».

5.– Ebbene, dallo stesso percorso tracciato dalla giurisprudenza di questa Corte trapelano le ragioni della non fondatezza dell’odierna questione posta in riferimento alla lesione del diritto all’identità personale.

La duplice funzione identificativa e identitaria del cognome, intorno al quale, unitamente al prenome, si stratifica nel tempo il diritto all’identità personale, rende, infatti, non irragionevole la scelta legislativa di escludere, con l’art. 299, primo comma, cod. civ., la possibile sostituzione, e dunque la cancellazione, del cognome originario dell’adottato, che per (almeno) diciotto anni ha rappresentato il segno distintivo della sua identità personale.

A riguardo, questa Corte ha ravvisato una possibile lesione dell’identità personale dell’adottato maggiore d’età proprio nel caso della «soppressione del segno distintivo» costituito dal suo originario cognome (sentenza n. 120 del 2001).

Del resto, finanche nell’adozione del minore in casi particolari, nel cui contesto la costruzione dell’identità personale intorno all’originario cognome è per definizione meno consolidata di quella che si riscontra nel caso del maggiore d’età, questa Corte ha escluso l’illegittimità costituzionale del rinvio operato dall’art. 55 della legge n. 184 del 1983 all’art. 299, primo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente di assumere il solo cognome dell’adottante (sentenza n. 268 del 2002). Perno di tale decisione è stata la tutela dell’originario cognome del minore quale «tratto essenziale della […] identità personale», da cui si è dedotta la non irragionevolezza della scelta di preservare «il legame del minore col proprio passato e, perciò, con la sua identità personale come essa è stata ed è conosciuta nell’ambiente sociale di cui egli è, e deve continuare ad essere, parte».

Un tale rilievo vale, evidentemente, tanto più nel caso dell’adottato maggiore d’età.

Vero è che nella prospettazione del rimettente la sostituzione del cognome dell’adottato con quello dell’adottante richiederebbe, similmente a quanto previsto dalla sentenza n. 135 del 2023, un consenso all’adozione favorevole al prodursi del peculiare effetto riguardante il cognome.

Sennonché, nel caso deciso con la sentenza n. 135 del 2023, il consenso dell’adottato è espressione dell’esigenza di dare maggior risalto al suo originario cognome, in quanto segno distintivo dell’identità personale, e il consenso dell’adottante sottende una mera condivisione di detta esigenza, che, comunque, non sacrifica l’interesse a trasmettere anche il suo cognome.

Di contro, nel caso della prospettata sostituzione del cognome dell’adottato, quest’ultimo dovrebbe far valere un interesse alla cancellazione del suo stesso cognome, il che lo espone al rischio di subire condizionamenti da parte dell’adottante, tanto più ove si considerino i benefici che l’adozione civile apporta all’adottato sul piano successorio.

Non può, dunque, ritenersi irragionevole la scelta del legislatore di garantire, in via di automatismo, il mantenimento del cognome originario dell’adottato, a latere di quello dell’adottante.

6.– Tale esito non è destinato a mutare in considerazione del perimetro entro il quale il rimettente ravvisa la possibile lesione del diritto all’identità personale, che sussisterebbe solo in presenza di particolari situazioni.

Nelle varie proposte additive prospettate dal giudice a quo si fa riferimento alternativamente: ai casi in cui i genitori biologici dell’adottato fossero decaduti dalla responsabilità genitoriale o fossero venuti meno – in maniera continuativa, grave e ingiustificata – ai loro obblighi di mantenimento, istruzione e educazione dell’adottato, quando questi era minorenne; oppure alle ipotesi in cui, al momento dell’adozione, i genitori biologici risultino deceduti o non si oppongano alla sostituzione del cognome del figlio che viene adottato da adulto o, alfine, in mancanza del loro consenso, sia accertato il rischio di un pregiudizio per lo stesso adottato.

Inoltre, in alcune delle ipotesi formulate, si evocano, cumulativamente rispetto ai già richiamati presupposti, le situazioni in cui l’adottato maggiore d’età sia figlio del coniuge dell’adottante o venga adottato dai precedenti affidatari.

In sostanza, le delimitazioni prospettate dal giudice a quo, da un lato, rivolgono lo sguardo al passato dell’adottato e al rapporto di questi, quando era minorenne, con i propri genitori biologici e, da un altro lato, sembrano voler dare risalto alla prospettiva plurifunzionale dell’adozione del maggiore d’età.

6.1.– Deve, invero, convenirsi con il rimettente che l’adozione di persona maggiore d’età ha conosciuto un’evoluzione sotto il profilo funzionale.

A fronte, infatti, dell’originario divieto di adottare per chi avesse «discendenti legittimi o legittimati» (art. 291, primo comma, cod. civ.), nonché dell’iniziale disciplina concernente l’età dell’adottante e il divario d’età rispetto all’adottato, vi sono stati un progressivo «“temperamento” dei divieti e dei limiti preesistenti», nonché «l’estensione del “potere di valutazione comparativa degli interessi in gioco attribuito dalla norma al tribunale” (sentenza n. 252 del 1996, punto 2 del Considerato in diritto)» (sentenza n. 5 del 2024).

Attualmente, il maggiore d’età può essere adottato da una persona capace di agire, che non abbia discendenti o che li abbia maggiorenni e consenzienti, che abbia compiuto i trentacinque anni di età e la cui età superi di «almeno di diciotto anni» quella dell’adottando (art. 291, primo comma, cod. civ.), a meno che sussistano motivi meritevoli che consentono al giudice di ridurre, nei casi di esigua differenza, quell’intervallo di età (sentenza n. 5 del 2024).

La richiamata evoluzione ha consentito, dunque, di ravvisare nell’adozione del maggiore d’età un istituto plurifunzionale (sentenza n. 135 del 2023 e, in senso conforme, sentenza n. 5 del 2024).

Da un lato, trova conferma la sua originaria e primaria funzione volta a «procurare un figlio a chi non l’ha avuto in natura e nel matrimonio (adoptio in hereditatem)» (sentenza n. 5 del 2024), in linea con quanto a lungo sostenuto da questa Corte (sentenze n. 120 del 2001, n. 500 del 2000, n. 240 del 1998, n. 252 del 1996, n. 53 del 1994 e n. 89 del 1993, nonché ordinanza n. 170 del 2003).

Da un altro lato, a essa si affiancano ulteriori funzioni che assecondano «istanze di tipo solidaristico, variamente declinate» (sentenza n. 135 del 2023 e, negli stessi termini, sentenza n. 5 del 2024). L’istituto può, infatti, abbracciare tanto la situazione in cui versano «persone, spesso anziane, [che] confidano in un rafforzamento – grazie all’adozione – del vincolo solidaristico che si è di fatto già instaurato con l’adottando», quanto i casi dell’«adottando maggiorenne, che già viveva nel nucleo familiare di chi lo adotta, in ragione di un affidamento [familiare] deciso nel momento in cui era minorenne, o ancora quello del figlio maggiorenne del coniuge (o del convivente) dell’adottante che vive in quel nucleo familiare» (sentenza n. 135 del 2023).

6.2.– Ciò precisato, la constatazione secondo cui l’adozione della persona maggiore d’età presenta presupposti applicativi più flessibili e può assolvere a plurime funzioni non determina, tuttavia, una perdita di autonomia dell’istituto, né crea una imprescindibile attrazione delle ultime due funzioni, sopra richiamate, verso la disciplina dell’adoptio plena del minore.

In particolare, non rilevano, sul piano giuridico, congiunture di mero fatto, quale può ritenersi il ritardo dell’affidatario, che omette di presentare la domanda di adozione di chi gli è stato affidato, quando questi era ancora minorenne, e si vede dunque costretto a fare ricorso all’adozione della persona maggiore di età. Simili circostanze non possono, infatti, giustificare una commistione fra istituti giuridici associati a differenti presupposti normativi – per l’appunto, la minore o la maggiore età – che, in generale, comportano per l’ordinamento rilevanti implicazioni giuridiche e mutamenti di disciplina.

Alla luce di tali considerazioni non è, dunque, irragionevole che il legislatore abbia omesso di dare rilievo, nella disciplina concernente l’attribuzione del cognome all’adottato maggiore d’età, a elementi estranei a tale istituto, in quanto riguardanti il passato da minorenne di chi oramai è maggiore d’età, oppure in quanto diretti a coinvolgere nel procedimento soggetti non implicati nell’adozione civile, quali sono i genitori biologici dell’adottato divenuto maggiorenne.

7.– Le considerazioni sopra svolte disvelano, in pari tempo, le ragioni della non fondatezza anche della seconda questione posta in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., concernente la ritenuta irragionevole disparità di trattamento tra il minorenne adottato dalla famiglia affidataria, che assume solo il cognome degli adottanti, e il maggiorenne che viene adottato dai precedenti affidatari e che non potrebbe acquisire quel solo cognome.

È opportuno, in proposito, rammentare che, ai sensi dell’art. 3, primo comma, Cost., in tanto può essere fatta valere l’irragionevole disparità di trattamento, in quanto la censura miri a estendere una medesima disciplina a situazioni che, avendo riguardo alla ratio di tale normativa, risultino omogenee (ex multis, da ultimo, sentenze n. 34 del 2025, n. 212 e n. 171 del 2024).

Ebbene, proprio dal confronto tra un istituto concepito intorno al minorenne e un altro plasmato in funzione del maggiorenne emerge l’evidente disomogeneità tra le due fattispecie poste a confronto.

Prova ne sia che lo stesso rimettente se, da un lato, evoca quale tertium comparationis la disciplina dell’adoptio plena, da un altro lato, non chiede l’estensione all’adozione del maggiore d’età della relativa disciplina, ovvero dell’art. 27, comma 1, della legge n. 184 del 1983, che comporterebbe l’attribuzione automatica del solo cognome degli adottanti.

Al contrario, il giudice a quo prospetta, in alternativa, vari interventi additivi che, insieme al consenso di adottante e adottando, introducono una serie di ulteriori presupposti, diretti a guardare retrospettivamente a quando il maggiore d’età era minorenne, al chiaro fine di creare una similitudine tra fattispecie che, tuttavia, restano disomogenee.

8.– Evidenziata la non fondatezza delle censure sollevate dal rimettente, deve piuttosto rilevarsi che la vicenda oggetto del giudizio principale lascia trapelare l’esigenza di tenere conto di un possibile interesse del tutto peculiare, non correlato in quanto tale all’istituto dell’adozione del maggiore d’età, neppure nel caso in cui l’adozione sia stata richiesta da coloro che erano stati i suoi affidatari.

Si tratta dell’interesse a cancellare il cognome che attesta la propria origine naturale, poiché, nonostante la funzione identitaria da esso lungamente svolta, l’interessato percepisce che quel segno reca una memoria per lui pregiudizievole, in quanto capace di rinnovare il ricordo di un abbandono.

Sennonché, simile interesse è tale da dover coinvolgere esclusivamente la persona, che quel cognome ha portato, e può trovare tutela in altre previsioni dell’ordinamento.

Giova, a riguardo, menzionare l’art. 89, comma 1, del d.P.R. n. 396 del 2000, secondo cui, «[s]alvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque […] vuole cambiare il cognome, anche perché […] rivela l’origine naturale […], deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l’ufficio dello stato civile dove si trova l’atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l’istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta».

Proprio quest’ultimo inciso è indice di una possibile discrasia fra la oggettiva funzione identitaria, che si è via via stratificata intorno al cognome, unitamente al prenome, e possibili significati aggiuntivi associati a quel segno, che possono dare fondamento alla richiesta di prendere le distanze dalla propria originaria identità.

9.– Per le ragioni sopra esposte, non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, cod. civ., sollevate in riferimento agli artt. 2 e 3, primo comma, Cost., per lesione del diritto all’identità personale e per irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina dell’adozione piena del minore d’età.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, del codice civile, sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 3, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia, sezione prima civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Emanuela NAVARRETTA, Redattrice

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2025

Il Cancelliere

F.to: Igor DI BERNARDINI

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