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Maltrattamenti in famiglia, no all'automatica sospensione della responsabilità genitoriale

Corte Costituzionale, Sentenza n.55 del 22/04/2025

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 55 depositata il 22 aprile 2025, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non consente al giudice di valutare in concreto se, in caso di condanna per maltrattamenti in famiglia con abuso della responsabilità genitoriale (art. 572, co. 2 c.p.), sia davvero nell'interesse del minore disporre la sospensione della responsabilità genitoriale.

La norma censurata prevedeva l'applicazione automatica della pena accessoria della sospensione dalla responsabilità genitoriale, per una durata pari al doppio della pena inflitta, in tutti i casi di condanna per delitti commessi con abuso di tale responsabilità.

Il caso nasce da un giudizio dinanzi al Tribunale di Siena, nel quale due genitori erano stati riconosciuti colpevoli del reato di maltrattamenti nei confronti dei figli minori conviventi. Tuttavia, durante il processo era emersa una ricomposizione del quadro familiare, tanto da rendere la sospensione automatica potenzialmente dannosa per gli stessi minori, che avrebbero potuto trarre maggior beneficio dal mantenimento della relazione con i genitori condannati.

Secondo la Corte, la previsione dell'automatismo è in contrasto con gli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione, perché esclude qualsiasi valutazione concreta sull'interesse del minore, che deve invece restare centrale in ogni decisione che lo riguarda.

La Corte ha ricordato i precedenti giurisprudenziali in materia (sentt. nn. 31/2012, 7/2013, 102/2020), sottolineando come non sia accettabile precludere al giudice ogni possibilità di bilanciamento tra la necessità di tutela del minore e il mantenimento del rapporto genitoriale, qualora il quadro relazionale sia nel frattempo evoluto positivamente.

La pena accessoria della sospensione dalla responsabilità genitoriale, infatti, incide direttamente non solo sul genitore, ma sulla relazione con il minore, che potrebbe risultarne privato di figure educative e affettive fondamentali. Tale effetto non può essere imposto senza una verifica giudiziale puntuale e attuale.

Pertanto, la Corte ha dichiarato l'art. 34, comma 2, c.p. incostituzionale nella parte in cui non prevede che spetti al giudice valutare se disporre la sospensione dell'esercizio della responsabilità genitoriale, in luogo della sua automatica applicazione.

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SENTENZA N. 55

ANNO 2025

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma secondo, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Siena, sezione penale, nel procedimento a carico di N. C. e S. C., con ordinanza del 6 giugno 2024, iscritta al n. 142 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Udito nella camera di consiglio del 24 marzo 2025 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

deliberato nella camera di consiglio del 24 marzo 2025.

 

Ritenuto in fatto

1.− Il Tribunale ordinario di Siena, sezione penale, con ordinanza del 6 giugno 2024, iscritta al n. 142 del registro ordinanze 2024 ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, secondo comma, del codice penale, in riferimento agli artt. 2, 3, 27, 29 e 30 della Costituzione, nonché all’art. 8 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176.

1.1.− Il Tribunale rimettente è chiamato a giudicare della responsabilità penale di due genitori per il reato di maltrattamenti in famiglia (ex artt. 81 e 572, secondo comma, cod. pen.) «perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, ponevano in essere abitualmente, con finalità educative, condotte violente ed aggressive nei confronti dei figli minori conviventi».

Il giudice a quo riferisce che, ritiratosi in camera di consiglio e pervenuto al riconoscimento della responsabilità penale ascritta agli imputati, «sono emersi profili di non manifesta infondatezza in ordine all’an e al quantum dell’applicazione della pena accessoria» della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, quale prevista dall’art. 34, secondo comma, cod. pen.

I presupposti per l’applicazione della pena accessoria sarebbero integrati, in quanto gli atti di maltrattamento e vessazione compiuti dai genitori in danno dei figli minori si sono estrinsecati in «metodi educativi connotati dall’uso abituale di violenze con gravi pregiudizi per gli interessi morali e materiali delle persone offese». Al contempo, durante il processo è emersa «la ricomposizione del quadro familiare, tanto da far apparire l’accertato fatto di maltrattamenti come insuscettibile di ulteriore reiterazione»: in questo quadro, la «automatica applicazione della pena accessoria, nella misura fissa stabilita dalla legge, appare suscettibile di produrre effetti nocivi nell’interesse del minore».

1.2.− Tutto ciò premesso, il giudice rimettente rileva che, nella sentenza n. 222 del 2018, questa Corte ha affermato che l’attribuzione al giudice di una certa discrezionalità nella determinazione in concreto della pena, entro il minimo e il massimo previsti dalla legge, costituisce «naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali», tanto che «se la “regola” è rappresentata dalla “discrezionalità”, ogni fattispecie sanzionata con pena fissa (qualunque ne sia la specie) è per ciò solo “indiziata” di illegittimità».

Nel caso di specie, la rigidità applicativa determinerebbe risposte sanzionatorie manifestamente sproporzionate per eccesso «rispetto ai fatti commessi con abuso di responsabilità genitoriale meno gravi», oltre che distoniche rispetto al principio di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, con violazione degli artt. 3 e 27 Cost. La durata fissa della pena accessoria, inoltre, non sarebbe proporzionata «rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili ai presupposti applicativi» dell’art. 34, secondo comma, cod. pen.

D’altra parte, continua il giudice a quo, a seguito della sentenza di questa Corte n. 102 del 2020, nella analoga fattispecie della sottrazione e trattenimento di minore all’estero di cui all’art. 574-bis, terzo comma, cod. pen., la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale «non consegue automaticamente alla condanna, ma postula la valutazione del giudice, che deve tenere conto, ai fini sia della irrogazione che della durata, dell’evoluzione successiva delle relazioni tra il minore e il genitore autore del reato e dei provvedimenti eventualmente adottati in sede civile, in funzione dell’esigenza di ricerca della soluzione ottimale per il minore».

La disposizione censurata, pertanto, «comporta conseguenze che ricadono sui figli dei condannati non già semplicemente de facto – come può avvenire per qualsiasi provvedimento giudiziario – ma de jure», così violando gli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost., oltre che l’art. 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo: «complesso normativo», questo, dal quale emerge il preminente interesse dei minori quale principio che dovrebbe guidare ogni decisione che li riguarda, «di talché qualsiasi provvedimento che incide sulla responsabilità genitoriale potrebbe giustificarsi solo in quanto non contrasti con l’esigenza di tutela del minore».

L’art. 34, secondo comma, cod. pen., infine, contrasterebbe con il principio di proporzionalità ex artt. 3 e 27 Cost., anche perché la pena comminata sarebbe eccessiva quando «risulti comprovato il ripristino della situazione familiare» e sia dunque meritevole di tutela l’interesse del minore «alla preservazione del nucleo familiare così ricomposto».

1.3.− Il giudice rimettente chiede, pertanto, che l’art. 34, secondo comma, cod. pen. sia dichiarato costituzionalmente illegittimo sia «nella parte in cui non prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale comporta la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporla», sia «nella parte in cui la misura della sospensione della responsabilità genitoriale è disposta per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta, anziché in misura eguale a quella della pena principale inflitta».

L’accoglimento in parte qua richiesto non troverebbe alcuna preclusione, poiché il sistema nel suo complesso offrirebbe a questa Corte già «precisi punti di riferimento» e «soluzioni “già esistenti”» (è citata la sentenza n. 236 del 2016), quali sarebbero quelli di cui all’art. 37 cod. pen.

2.− Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio, né si sono costituite le parti.

 

Considerato in diritto

1.− Il Tribunale di Siena, sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe, nel corso di un procedimento penale per il delitto di cui all’art. 572, secondo comma, cod. pen., ha sollevato questioni di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 2, 3, 27, 29 e 30 Cost. e all’art. 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo – dell’art. 34, secondo comma, cod. pen., il quale prevede, per un verso, che in caso di condanna per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale sia sospeso l’esercizio della responsabilità genitoriale e, per un altro, che detta pena accessoria sia irrogata per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta.

1.1.− Il giudice a quo riferisce di essere pervenuto a riconoscere la responsabilità penale di due genitori, imputati per il reato di maltrattamenti in famiglia nei confronti dei figli minori conviventi (art. 572, secondo comma, cod. pen.), ai quali deve pertanto irrogare anche la pena accessoria di cui all’art. 34, secondo comma, cod. pen. Essendo tuttavia emersa, durante il dibattimento, la ricomposizione del quadro familiare, ritiene che la «automatica applicazione della pena accessoria, nella misura fissa stabilita dalla legge, appare suscettibile di produrre effetti nocivi nell’interesse del minore»: di qui i dubbi di legittimità costituzionale sollevati su entrambe le norme ricavabili dalla disposizione censurata.

La «rigidità applicativa» che esse richiedono, infatti, determinerebbe risposte sanzionatorie manifestamente sproporzionate per eccesso «rispetto ai fatti commessi con abuso di responsabilità genitoriale meno gravi», non consentirebbe di tenere in considerazione l’interesse del minore alla preservazione del nucleo familiare e si rivelerebbe distonica rispetto al principio di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, con violazione degli artt. 3 e 27 Cost.

Richiamando la sentenza n. 102 del 2020 di questa Corte, il giudice rimettente osserva, poi, che la disposizione censurata «comporta conseguenze che ricadono sui figli dei condannati non già semplicemente de facto – come può avvenire per qualsiasi provvedimento giudiziario – ma de jure», così violando gli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost., oltre che l’art. 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo: tutte norme dalle quali si ricava il principio secondo cui il preminente interesse dei minori deve orientare ogni decisione che li riguarda e, pertanto, ogni provvedimento che incida sulla responsabilità genitoriale può essere adottato sempre che non contrasti con l’esigenza di tutelarli.

1.2.− Sulla base di tali argomentazioni, il Tribunale di Siena chiede a questa Corte di dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 34, secondo comma, cod. pen. «nella parte in cui non prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale comporta la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporla, nonché nella parte in cui la misura della sospensione [dall’esercizio] della responsabilità genitoriale è disposta per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta, anziché in misura eguale a quella della pena principale inflitta».

2.− Preliminarmente, devono essere dichiarate inammissibili le questioni sollevate in riferimento all’art. 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo, evocato «come un riferimento immediato e non quale norma interposta in rapporto al primo comma dell’art. 117 Cost.» (sentenza n. 62 del 2021). La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che le norme del diritto internazionale pattizio, quando siano in grado di vincolare la potestà legislativa statale e regionale, non fungono da parametro autonomo, ma integrano quello dettato dall’art. 117, primo comma, Cost.: quando i giudici quibus ne omettano l’evocazione, le relative questioni di legittimità costituzionale sono dunque inammissibili, salva soltanto la possibilità di considerare il richiamo alle norme internazionali quale «strumento interpretativo delle corrispondenti garanzie costituzionali» (sentenza n. 102 del 2020; in termini anche le sentenze n. 189 del 2024 e n. 62 del 2021).

3.− Le ulteriori questioni di legittimità costituzionale, avendo a oggetto due diverse norme enucleabili dall’art. 34, secondo comma, cod. pen., vanno scrutinate separatamente.

4.− Sono fondate, nei termini che seguono, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 Cost., concernenti l’automatica applicazione della pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.

Questa Corte ha già ritenuto costituzionalmente illegittime norme che, come quella censurata, imponevano al giudice, in ragione della condanna del genitore per specifici reati richiamati dalle medesime norme, l’applicazione di pene accessorie analoghe o identiche a quella prevista dall’art. 34, secondo comma, cod. pen.

4.1.− Con la sentenza n. 31 del 2012 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 569 cod. pen. «nella parte in cui prevede che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato di cui all’art. 567, secondo comma, cod. pen., debba conseguire automaticamente la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto».

4.1.1.− Questa Corte ha osservato che, nella disciplina censurata, veniva in rilievo «non soltanto l’interesse dello Stato all’esercizio della potestà punitiva nonché l’interesse dell’imputato (e delle altre eventuali parti processuali) alla celebrazione di un giusto processo, condotto nel rispetto dei diritti sostanziali e processuali delle parti stesse, ma anche l’interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell’ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione». L’interesse del minore è «complesso, articolato in diverse situazioni giuridiche, che hanno trovato riconoscimento e tutela sia nell’ordinamento internazionale sia in quello interno». Tale interesse è inevitabilmente coinvolto da una decisione che determini la perdita della responsabilità genitoriale, il cui nucleo essenziale, quale si ricava dall’art. 30 Cost. e dall’art. 147 del codice civile, consiste nell’«obbligo dei genitori di assicurare ai figli un completo percorso educativo, garantendo loro il benessere, la salute e la crescita anche spirituali, secondo le possibilità socio-economiche dei genitori stessi».

Se, dunque, la responsabilità genitoriale, «correttamente esercitata, risponde all’interesse morale e materiale del minore», può anche di converso darsi che sia nell’interesse di quest’ultimo l’adozione di provvedimenti – quale anche la decadenza dalla responsabilità genitoriale – che rimedino ai casi di gravi inadempienze dei genitori. Tuttavia, è irragionevole precludere «al giudice ogni possibilità di valutazione e di bilanciamento, nel caso concreto, tra l’interesse stesso e la necessità di applicare comunque la pena accessoria in ragione della natura e delle caratteristiche dell’episodio criminoso, tali da giustificare la detta applicazione appunto a tutela di quell’interesse».

4.2.− Nella successiva sentenza n. 7 del 2013, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 569 cod. pen. «nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di soppressione di stato, previsto dall’articolo 566, secondo comma, del codice penale, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto».

4.2.1.− Questa Corte, evocando espressamente la decisione dell’anno precedente, ha affermato poi che «tenuto conto della ratio decidendi che ha informato la richiamata pronuncia, appare evidente che lo stesso ordine di rilievi può riguardare anche il delitto di soppressione di stato, oggetto del giudizio a quo, posto che l’automatismo che caratterizza l’applicazione della pena accessoria risulta compromettere gli stessi interessi del minore che la richiamata sentenza della Corte ha inteso salvaguardare».

Si è altresì sottolineato, in quella occasione, che l’automatismo legislativo presentava profili problematici di «particolare acutezza, proprio perché viene a proporsi in tutto il suo risalto, come necessario termine di raffronto (e, dunque, quale limite costituzionale di operatività della sanzione), la salvaguardia delle esigenze educative ed affettive del minore: esigenze che finirebbero per essere inaccettabilmente compromesse, ove si facesse luogo ad una non necessaria interruzione del rapporto tra il minore ed i propri genitori». L’interruzione, sul piano giuridico, della relazione tra genitore e figlio minore può giustificarsi solo «in funzione di tutela degli interessi del minore» e non può che essere il giudice a valutare, in concreto, se tale interruzione risponda o meno a tali interessi, «così da assegnare all’accertamento giurisdizionale sul reato null’altro che il valore di “indice” per misurare la idoneità o meno del genitore ad esercitare le proprie potestà: vale a dire il fascio di doveri e poteri sulla cui falsariga realizzare in concreto gli interessi del figlio minore».

4.3.− Ancora più di recente, questa Corte si è pronunciata su una norma che, come quella oggi censurata, prevedeva l’automatica applicazione della pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.

Con la sentenza n. 102 del 2020, infatti, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost., l’art. 574-bis, terzo comma, cod. pen., «nella parte in cui prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero ai danni del figlio minore comporta la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporre la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale».

4.3.1.− Si è in tale decisione posto in evidenza che «tale pena accessoria presenta caratteri del tutto peculiari rispetto alle altre pene previste dal codice penale, dal momento che, incidendo su una relazione, colpisce direttamente, accanto al condannato, anche il minore, che di tale relazione è il co-protagonista». Gli effetti della sua applicazione, pertanto, non si riverberano in via meramente riflessa ed eventuale su persone diverse dal condannato, come solitamente accade, ma investono necessariamente il minore, in quanto il genitore è privato, «per tutto il tempo della sospensione, dell’intero fascio di diritti, poteri e obblighi inerenti al concetto legale di “responsabilità genitoriale”, con conseguente venir meno di ogni potere di assumere decisioni “per” il figlio».

Proprio tale impatto, tutt’altro che trascurabile sul minore, svelava la «cecità» della previsione legislativa in ordine «all’evoluzione, successiva al reato, delle relazioni tra il figlio minore e il genitore autore del reato medesimo». L’automatismo in questione, infatti, non consentiva al giudice di valutare in concreto se l’applicazione della pena accessoria «risponda in concreto agli interessi del minore, da apprezzare secondo le circostanze di fatto esistenti al momento della sua applicazione: le quali, naturalmente, comprendono anche tutto ciò che è accaduto dopo il fatto da cui è scaturita la responsabilità penale del genitore».

D’altro canto, l’irragionevolezza dell’automatismo risultava ulteriormente dal fatto che la pena accessoria era «destinata a essere inesorabilmente eseguita soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza, spesso a molti anni di distanza dal fatto»; anni durante i quali il giudice penale gode di ampi margini di valutazione in ordine all’adozione o meno di un provvedimento cautelare di sospensione, in tutto o in parte, dall’esercizio della responsabilità genitoriale, salvo poi perdere ogni discrezionalità di apprezzamento, «qualunque cosa sia accaduta nel frattempo, e indipendentemente da qualsiasi valutazione circa l’interesse attuale del minore», quando la sentenza di condanna passa in esecuzione.

4.4.− In continuità con i princìpi sinora richiamati, che qui vanno integralmente ribaditi, devono essere accolte le questioni di legittimità costituzionale ora in scrutinio, nei termini che seguono.

Assume al riguardo rilevanza decisiva la progressiva emersione, anche in questo ramo dell’ordinamento, della centralità dell’interesse del minore nel sistema normativo, alla luce dei princìpi costituzionali e della stessa evoluzione della legislazione ordinaria.

Il rigido automatismo che impone al giudice di applicare la pena accessoria in questione non consente una valutazione in concreto dell’interesse del minore a vedere recisa, sia pure temporaneamente, o mantenuta, nonostante l’irrogazione della pena principale, quella relazione tra genitori e figli (nella quale agli obblighi derivanti dalla responsabilità genitoriale corrisponde il diritto del minore ad essere mantenuto e istruito dai genitori) in tutte quelle ipotesi – di cui costituisce esempio il caso all’esame del giudice rimettente – in cui risulti accertata la ricomposizione del quadro familiare e l’interesse del minore possa risultare meglio protetto, quindi, senza che sia sospesa la responsabilità genitoriale, venendone altrimenti paradossalmente leso.

Il giudice rimettente, infatti, è pervenuto al riconoscimento della responsabilità penale dei due genitori, entrambi imputati per il reato di maltrattamenti in famiglia nei confronti dei figli minori conviventi (art. 572, secondo comma, cod. pen.). Ha al contempo riscontrato, per un verso, il ravvedimento degli imputati e la ricomposizione del nucleo familiare e, per l’altro, l’interesse del minore alla preservazione del nucleo familiare così ricomposto; ciononostante, dovrebbe applicare, in quanto a ciò tenuto dall’art. 34, secondo comma, cod. pen., anche la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, assumendo così una decisione che ritiene «suscettibile di produrre effetti nocivi nell’interesse del minore».

L’art. 34, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui prevede che la condanna per il delitto ex art. 572, secondo comma, cod. pen., commesso, in presenza o a danno di minori, con abuso della responsabilità genitoriale, comporta l’automatica sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, reca, dunque, una norma strutturalmente identica a quella già dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 102 del 2020. Anche l’odierna norma censurata, infatti, pone l’irragionevole presunzione assoluta che, a fronte di una condanna del genitore per il reato di maltrattamenti in famiglia, l’interesse del minore sia sempre e soltanto tutelato sospendendo il genitore dall’esercizio della responsabilità genitoriale. Al contrario, le norme costituzionali evocate a parametro (artt. 2, 3 e 30 Cost.) impongono che sia il giudice penale a valutare se la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale sia, in concreto e alla luce dell’evoluzione, successiva al reato, del rapporto tra figlio e genitore, la soluzione ottimale per il minore, in quanto rispondente alla tutela dei suoi preminenti interessi.

L’art. 34, secondo comma, cod. pen., pertanto, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui dispone che la condanna per il delitto ex art. 572, secondo comma, cod. pen., commesso, in presenza o a danno di minori, con abuso della responsabilità genitoriale, comporta la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporla.

Sono assorbite le questioni di legittimità costituzionale, aventi a oggetto il medesimo automatismo legislativo, sollevate in riferimento agli artt. 27 e 29 Cost.

Resta affidata alla prudente considerazione del legislatore se «il giudice penale sia l’autorità giurisdizionale più idonea a compiere la valutazione di effettiva rispondenza all’interesse del minore di un provvedimento che lo riguarda» (sentenza n. 102 del 2020), o se invece tale valutazione possa essere meglio compiuta dal tribunale dei minorenni, al quale lo stesso art. 34, quinto comma, cod. pen. prevede che, «quando sia concessa la sospensione condizionale della pena, gli atti del procedimento veng[ano] trasmessi».

5.− Sono invece inammissibili, per più profili, le ulteriori questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, secondo comma, cod. pen., concernenti la durata della pena accessoria e sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 27, 29 e 30 Cost.

In primo luogo, deve rilevarsi la contraddittorietà intrinseca della motivazione sulla non manifesta infondatezza.

Dapprima, infatti, il Tribunale rimettente argomenta in ordine alla sospetta illegittimità costituzionale delle pene fisse, qualunque ne sia la specie, anche perché impediscono al giudice di determinare la pena in concreto, entro un minimo e un massimo, commisurandola alla condotta del reo. Poi, però, afferma che il sindacato sul punto di questa Corte è consentito «in ragione dell’esistenza di precisi punti di riferimento, già rinvenibili nel sistema legislativo, quali sono quelli individuati dall’art. 37 del codice penale», tanto è vero che nel dispositivo richiede la sostituzione del periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta, previsto dalla disposizione censurata, con la misura eguale a quella della pena principale inflitta, quale appunto prevista dall’art. 37 cod. pen.: la quale è, a sua volta, una misura fissa, non discrezionalmente modulabile dal giudice.

Tali modalità argomentative finiscono per impedire a questa Corte «di enucleare con chiarezza il contenuto delle censure» (sentenze n. 12 del 2024 e n. 221 del 2023) e il loro “verso” (sentenza n. 138 del 2024). Ciò perché l’ordinanza di rimessione è ambigua e incerta, prima ancora che sul tipo di intervento richiesto, sui vizi di legittimità costituzionale che inficerebbero la validità della norma censurata, ora individuati nell’impossibilità di modulare la durata della pena accessoria, ora indicati nella durata in misura doppia della, e non eguale alla, pena principale inflitta.

D’altra parte, l’intervento sostitutivo richiesto, volto appunto a determinare il quantum di pena accessoria irrogabile nella misura fissa pari alla durata della pena principale, come attualmente prevede l’art. 37 cod. pen., è sfornito di motivazione, sicché, anche per tale profilo, le questioni sollevate non potrebbero essere scrutinate nel merito. Le argomentazioni in punto di non manifesta infondatezza del giudice a quo, infatti, ruotano tutte, come si è detto, attorno alla predeterminazione fissa, operata dal legislatore, della durata della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, mentre la richiesta sostituzione del quantum di pena di cui all’art. 34, secondo comma, cod. pen. con quello previsto dall’art. 37 cod. pen. avrebbe richiesto, quantomeno, una motivazione in ordine all’asserita irragionevolezza in sé della misura censurata, ove eventualmente ritenuta eccessiva nella sua estensione temporale doppia rispetto alla durata della pena principale.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui prevede che la condanna per il delitto ex art. 572, secondo comma, cod. pen., commesso, in presenza o a danno di minori, con abuso della responsabilità genitoriale, comporta la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporla;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, secondo comma, cod. pen., sollevate, in riferimento all’art. 8 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, dal Tribunale ordinario di Siena, sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, secondo comma, cod. pen. – nella parte in cui prevede che la pena della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale è disposta per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta −, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 27, 29 e 30 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Siena, sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2025

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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