Una lavoratrice incinta deve beneficiare di un termine ragionevole per poter contestare in giudizio il suo licenziamento.
Lo ha stabilito la Corte di giustizia con la sentenza del 27 giugno 2024 nella causa C-284/23.
Nel caso di specie, una dipendente di una casa di cura ha impugnato il suo licenziamento invocando il divieto di licenziare una donna incinta. Tuttavia, il tribunale del lavoro tedesco ha inizialmente considerato il ricorso tardivo. La normativa tedesca richiede che, entro tre settimane dalla notifica del licenziamento, il lavoratore presenti un ricorso. Al momento della presentazione del suo, questa finestra era già scaduta e la lavoratrice non aveva nemmeno presentato una richiesta per ammettere il ricorso in maniera tardiva, ulteriormente prevista entro due settimane.
Il tribunale ha poi interrogato la Corte di giustizia sulla compatibilità di questa norma con la Direttiva 92/85/CEE relativa alle lavoratrici incinte, ponendo l'accento su un dettaglio normativo peculiare: se una lavoratrice scopre la gravidanza solo dopo la scadenza del termine ordinario di tre settimane, la legge tedesca concede solo due settimane aggiuntive per richiedere di poter fare ricorso in ritardo.
La Corte ha rilevato che un termine così compresso sembra incompatibile con la direttiva, in particolare quando confrontato con il più generoso termine ordinario di tre settimane. Il termine ridotto potrebbe infatti complicare eccessivamente per una lavoratrice incinta, all'inizio della gravidanza, la possibilità di ottenere le necessarie consulenze legali e redigere adeguatamente la documentazione per il ricorso.
La decisione finale sulla conformità della normativa nel caso concreto spetta al tribunale del lavoro, che dovrà valutare se le condizioni specifiche della lavoratrice giustifichino un’estensione del termine per impugnare il licenziamento.
SENTENZA DELLA CORTE (Settima Sezione)
27 giugno 2024
«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento – Direttiva 92/85/CEE – Divieto di licenziamento – Lavoratrice che viene a conoscenza della propria gravidanza dopo la scadenza del termine per presentare ricorso contro il proprio licenziamento – Possibilità di proporre un tale ricorso subordinata alla presentazione di una richiesta di ammissione di ricorso tardivo entro un termine di due settimane – Diritto a una tutela giurisdizionale effettiva – Principio di effettività»
Nella causa C-284/23,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Arbeitsgericht Mainz (Tribunale del lavoro di Magonza, Germania), con decisione del 24 aprile 2023, pervenuta in cancelleria il 2 maggio 2023, nel procedimento
TC
contro
Firma Haus Jacobus Alten- und Altenpflegeheim gGmbH,
LA CORTE (Settima Sezione),
composta da F. Biltgen, presidente di sezione, N. Wahl e M.L. Arastey Sahún (relatrice), giudici,
avvocato generale: J. Richard de la Tour
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Firma Haus Jacobus Alten- und Altenpflegeheim gGmbH, da I. Michalis, Rechtsanwalt;
– per la Commissione europea, da B.-R. Killmann, D. Recchia e E. Schmidt, in qualità di agenti,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) (GU 1992, L 348, pag. 1).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra TC e la Firma Haus Jacobus Alten- und Altenpflegeheim gGmbH (in prosieguo: la «Haus Jacobus»), una società di diritto tedesco che gestisce un istituto di cura per anziani, in merito al licenziamento di TC, che quando è stata licenziata era incinta.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 Ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della direttiva 92/85, per «lavoratrice gestante» si intende «ogni lavoratrice gestante che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».
4 L’articolo 10 di tale direttiva, intitolato «Divieto di licenziamento», prevede:
«Per garantire alle lavoratrici ai sensi dell’articolo 2 l’esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo:
1) gli Stati membri adottano le misure necessarie per vietare il licenziamento delle lavoratrici di cui all’articolo 2 nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità di cui all’articolo 8, paragrafo 1, tranne nei casi eccezionali non connessi al loro stato ammessi dalle legislazioni e/o prassi nazionali e, se del caso, a condizione che l’autorità competente abbia dato il suo accordo;
2) qualora una lavoratrice ai sensi dell’articolo 2 sia licenziata durante il periodo specificato nel punto 1), il datore di lavoro deve fornire per iscritto giustificati motivi per il licenziamento;
3) gli Stati membri adottano le misure necessarie per proteggere le lavoratrici di cui all’articolo 2 contro le conseguenze di un licenziamento che a norma del punto 1) è illegittimo».
5 L’articolo 12 di detta direttiva, intitolato «Difesa dei diritti», prevede quanto segue:
«Gli Stati membri introducono nel loro ordinamento giuridico interno le misure necessarie per consentire a qualsiasi lavoratrice che si ritenga lesa dalla mancata osservanza degli obblighi derivanti dalla presente direttiva di difendere i propri diritti per via legale e/o, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, mediante ricorso ad altre istanze competenti».
Diritto tedesco
6 L’articolo 17 del Gesetz zum Schutz von Müttern bei der Arbeit, in der Ausbildung und im Studium (Mutterschutzgesetz) [legge sulla tutela delle madri che esercitano un’attività professionale, seguono una formazione o proseguono gli studi (legge di tutela della maternità)], del 23 maggio 2017 (BGBl. 2017 I, pag. 1228; in prosieguo: il «MuSchG»), intitolato «Divieto di licenziamento», stabilisce quanto segue:
«(1) Il licenziamento di una donna è illegittimo
1. durante il periodo di gravidanza,
2. nei quattro mesi successivi ad un aborto dopo la dodicesima settimana di gravidanza e
3. fino al termine del suo congedo obbligatorio di maternità e perlomeno fino alla scadenza di un periodo di quattro mesi successivo al parto,
qualora il datore di lavoro sia informato, alla data del licenziamento, dello stato di gravidanza, dell’aborto sopravvenuto dopo la dodicesima settimana di gravidanza o del parto oppure qualora ne sia informato entro un periodo di due settimane dalla notifica del licenziamento all’interessata. L’inosservanza di tale termine è priva di conseguenze se dovuta a causa non imputabile alla donna e se la comunicazione al datore di lavoro avviene poi senza indugi. La prima e la seconda frase si applicano per analogia agli atti preparatori compiuti dal datore di lavoro in previsione del licenziamento della donna.
(2) In casi speciali non connessi allo stato della donna nel periodo della gravidanza, allo stato successivo ad un aborto dopo la dodicesima settimana o allo stato postnatale, la massima autorità del Land competente per la sicurezza sul lavoro o l’autorità da essa incaricata può eccezionalmente dichiarare legittimo il licenziamento. Il licenziamento deve essere effettuato per iscritto e deve essere motivato.
(...)».
7 Il Kündigungsschutzgesetz (legge sulla tutela contro i licenziamenti), del 25 agosto 1969 (BGBl 1969 I, pag. 1317), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: il «KSchG»), all’articolo 4, intitolato «Ricorso dinanzi all’[Arbeitsgericht (Tribunale del lavoro, Germania)]», dispone quanto segue:
«Qualora un lavoratore intenda contestare un licenziamento in quanto socialmente ingiustificato o, per altri motivi, giuridicamente inoperante, è tenuto, entro tre settimane dalla notifica scritta del licenziamento, a proporre un ricorso dinanzi a un giudice del lavoro, volto a far dichiarare che il licenziamento non ha posto fine al rapporto di lavoro. Nel caso contemplato all’articolo 2, il ricorso deve essere inteso a far accertare che la modifica delle condizioni di lavoro è socialmente ingiustificata o per altri motivi priva di effetti giuridici. Se il lavoratore ha proposto un reclamo dinanzi al comitato aziendale (articolo 3), deve allegare al ricorso il parere del comitato aziendale. Qualora il licenziamento sia soggetto all’approvazione di un’autorità, il termine per adire il giudice del lavoro inizia a decorrere solo dalla comunicazione al lavoratore della decisione dell’autorità».
8 L’articolo 5 del KSchG, intitolato «Ricevibilità dei ricorsi tardivi», enuncia quanto segue:
«(1) Qualora il lavoratore, a seguito del licenziamento, non abbia potuto proporre ricorso entro tre settimane dalla ricezione della comunicazione scritta di licenziamento, pur avendo impiegato tutta la diligenza che era legittimo aspettarsi che profondesse alla luce delle circostanze del caso concreto, il ricorso deve essere ammesso a posteriori laddove egli ne faccia domanda. Lo stesso vale qualora la donna, per un motivo non imputabile alla medesima, sia venuta a conoscenza del proprio stato di gravidanza solo dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 4, prima frase.
(2) La domanda deve essere presentata con la proposizione del ricorso; laddove il ricorso sia già stato proposto, la domanda deve farvi riferimento. La domanda deve contenere inoltre l’indicazione dei fatti che giustificano la ricevibilità a posteriori del ricorso e degli elementi che li comprovano.
(3) La domanda è ricevibile solo se proposta entro due settimane dalla cessazione dell’impedimento a proporre il ricorso. Decorsi sei mesi dalla scadenza del termine non osservato, la domanda non è più proponibile.
(...)».
9 L’articolo 7 del KSchG, intitolato «Efficacia del licenziamento», prevede quanto segue:
«Se la nullità giuridica di un licenziamento non è invocata in tempo utile (articolo 4, prima frase, articoli 5 e 6), il licenziamento è considerato automaticamente valido (...)».
Procedimento principale e questione pregiudiziale
10 TC è stata alle dipendenze della Haus Jacobus, in qualità di operatore sanitario, a partire dal 1º agosto 2022 e sulla base di un contratto di lavoro a tempo determinato di un anno.
11 Con lettera del 6 ottobre 2022, la Haus Jacobus ha licenziato TC con effetto dal 21 ottobre 2022.
12 Il 9 novembre 2022 veniva accertata una gravidanza di sette settimane di TC. Quest’ultima ne ha informato la Haus Jacobus il 10 novembre 2022.
13 Con lettera del 13 dicembre 2022, TC ha proposto ricorso dinanzi all’Arbeitsgericht Mainz (Tribunale del lavoro di Magonza, Germania), giudice del rinvio, avverso il suo licenziamento, per il motivo che, alla data del licenziamento, era incinta.
14 Il giudice del rinvio rileva che, secondo la giurisprudenza del Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro, Germania), l’articolo 4, quarta frase, del KSchG, ai cui sensi, qualora il licenziamento sia soggetto all’approvazione di un’autorità, il termine per adire l’Arbeitsgericht (Tribunale del lavoro) inizia a decorrere solo dalla notifica della decisione dell’autorità al lavoratore, non è applicabile quando il datore di lavoro viene informato della gravidanza dopo il licenziamento, con la conseguenza che, conformemente all’articolo 7 del KSchG, il licenziamento è considerato valido dopo la scadenza del termine di tre settimane previsto all’articolo 4, prima frase, di tale legge, e ciò nonostante la speciale tutela contro il licenziamento prevista all’articolo 17 del MuSchG, a meno che non sia presentata una domanda di ammissione del ricorso tardivo ai sensi dell’articolo 5 del KSchG.
15 Pertanto, siccome TC non ha presentato siffatta domanda, il suo ricorso dovrebbe essere respinto, conformemente alle citate disposizioni del KSchG. Tuttavia, il giudice del rinvio nutre dubbi quanto alla conformità di dette disposizioni con il diritto dell’Unione, in particolare alla luce della sentenza del 29 ottobre 2009, Pontin (C-63/08; in prosieguo: la «sentenza Pontin», EU:C:2009:666), nella quale la Corte avrebbe dichiarato che i mezzi di ricorso a disposizione di una donna incinta devono essere oggetto di una normativa che rispetti il principio di effettività.
16 A tal riguardo, il giudice del rinvio rileva, da un lato, che, secondo una parte della dottrina tedesca, la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale renderebbe la tutela giurisdizionale delle donne gestanti eccessivamente difficile, a causa della coesistenza di diversi termini particolarmente brevi, ciascuno dei quali può condurre all’esclusione della tutela contro il licenziamento, e che sarebbero ancor più brevi qualora l’interessata venisse a conoscenza della sua gravidanza solo dopo il suo licenziamento, o ancora a causa degli obblighi che essa deve assolvere, sia presso il datore di lavoro che presso l’Arbeitsgericht (Tribunale del lavoro).
17 Dall’altro lato, il giudice del rinvio afferma che l’articolo 17 del MuSchG consente, conformemente al diritto dell’Unione, ad una lavoratrice gestante di far valere la tutela speciale contro il licenziamento comunicando la propria gravidanza al suo datore di lavoro successivamente al licenziamento, anche dopo la scadenza del termine di tre settimane per contestare quest’ultimo, previsto all’articolo 4 del KSchG, e quella del termine di due settimane di cui all’articolo 17 del MuSchG. In tal caso, il giudice del rinvio ritiene che nulla sembra giustificare, alla luce del principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, che una lavoratrice gestante sia tenuta a rispettare la procedura prevista all’articolo 5 del KSchG affinché il suo ricorso giurisdizionale sia ammesso. Infatti, qualora una lavoratrice informi il suo ex datore di lavoro, dopo la scadenza di detto termine di due settimane, di essere incinta nel momento in cui è stata licenziata, il datore di lavoro non può intendere tale informazione se non come un modo per rivendicare la nullità del licenziamento.
18 In tale contesto, l’Arbeitsgericht Mainz (Tribunale del lavoro di Magonza) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«(...) se le disposizioni nazionali di diritto tedesco di cui agli articoli 4 e 5 del [KSchG], ai sensi delle quali una donna che, in quanto in stato di gravidanza, gode di una tutela speciale contro il licenziamento deve agire in giudizio necessariamente entro i termini ivi disciplinati al fine di conservare siffatta tutela, siano compatibili con la [direttiva 92/85]».
Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
19 La Haus Jacobus sostiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile in quanto la risposta alla questione sollevata non è pertinente ai fini della soluzione della controversia principale.
20 Tale società sostiene, in primo luogo, che con la sua questione il giudice del rinvio chiede se una lavoratrice gestante sia tenuta ad avvalersi di un rimedio di diritto nazionale, nella fattispecie quello previsto dall’articolo 5 del KSchG, al fine di far valere i diritti che le sono conferiti dalla direttiva 92/85. Ebbene, la risposta alla questione deriva direttamente dall’articolo 12 della direttiva, che prevede che ogni lavoratrice che si ritenga lesa dall’inosservanza degli obblighi derivanti dalla direttiva debba far valere i propri diritti avvalendosi dei mezzi di ricorso previsti dal diritto nazionale.
21 In secondo luogo, poiché la lavoratrice di cui trattasi nel procedimento principale non ha presentato una domanda di ammissione del ricorso tardivo, ai sensi dell’articolo 5 del KSchG, non sarebbe necessario esaminare, ai fini della soluzione della controversia principale, la questione sollevata, vertente sull’effettività del mezzo di ricorso previsto da tale articolo.
22 In terzo luogo, la posizione del giudice del rinvio secondo cui gli Stati membri sarebbero tenuti a consentire a qualsiasi lavoratrice gestante di far valere l’inosservanza degli obblighi derivanti dalla direttiva 92/85 senza dover avvalersi di un mezzo di ricorso di diritto nazionale, come quello previsto all’articolo 5 del KSchG, andrebbe al di là della tutela sancita all’articolo 10, punto 3, e all’articolo 12 di tale direttiva.
23 A tale proposito, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito del procedimento istituito dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolarità del caso di specie, tanto la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, quanto la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte è, in via di principio, tenuta a statuire (sentenza del 9 marzo 2023, Vapo Atlantic, C-604/21, EU:C:2023:175, punto 31 e la giurisprudenza ivi citata).
24 Nel caso di specie, occorre, da un lato, rilevare che gli argomenti della Haus Jacobus menzionati ai punti 20 e 22 della presente sentenza riguardano il merito della questione sollevata e non la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale. Inoltre, la presunta evidenza della risposta a tale questione non può giustificare una dichiarazione di irricevibilità. Infatti, anche supponendo che si tratti di una questione la cui risposta, secondo il parere di una delle parti del procedimento principale, non lascia adito ad alcun ragionevole dubbio, una domanda di pronuncia pregiudiziale che la contenga non diventa per tale ragione irricevibile (v., in tal senso, sentenza del 9 marzo 2023, Vapo Atlantic, C-604/21, EU:C:2023:175, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).
25 Dall’altro lato, per quanto riguarda l’argomento menzionato al punto 21 della presente sentenza, è giocoforza constatare che la questione sollevata non verte sull’effettività del mezzo di ricorso previsto all’articolo 5 del KSchG, bensì sulla compatibilità dell’obbligo di avvalersi di un siffatto mezzo di ricorso per far valere i diritti conferiti dalla direttiva 92/85 con gli obblighi derivanti dal principio di effettività.
26 Ne consegue che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.
Sulla questione pregiudiziale
27 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 10 e 12 della direttiva 92/85 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale in forza della quale una lavoratrice gestante che abbia avuto conoscenza della sua gravidanza solo dopo la scadenza del termine previsto per proporre ricorso contro il suo licenziamento è tenuta, per poter proporre un siffatto ricorso, a presentare una domanda di ammissione di ricorso tardivo entro un termine di due settimane.
28 A tal riguardo occorre ricordare che, conformemente all’articolo 10, punto 1, della direttiva 92/85, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per vietare il licenziamento delle lavoratrici, ai sensi dell’articolo 2 di tale direttiva, nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità di cui all’articolo 8, paragrafo 1, di quest’ultima, tranne nei casi eccezionali non connessi al loro stato ammessi dalle legislazioni e/o prassi nazionali e, se del caso, a condizione che l’autorità competente abbia dato il suo accordo.
29 A norma dell’articolo 12 della direttiva 92/85, gli Stati membri sono parimenti tenuti ad introdurre nel loro ordinamento giuridico interno le misure necessarie per consentire ad ogni lavoratrice che si ritenga lesa dalla mancata osservanza degli obblighi derivanti da tale direttiva, ivi compresi quelli derivanti dall’articolo 10, di far valere i propri diritti per via legale. Il punto 3 di tale articolo 10 prevede specificamente che gli Stati membri adottano le misure necessarie per proteggere le lavoratrici gestanti dalle conseguenze di un licenziamento che sia illegittimo a norma del punto 1 del medesimo articolo.
30 Tali disposizioni, in particolare l’articolo 12 della direttiva 92/85, costituiscono un’espressione specifica, nel contesto della direttiva, del principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto dell’Unione (sentenza Pontin, punto 41).
31 Dalla giurisprudenza emerge inoltre che, sebbene gli Stati membri non siano tenuti, in virtù dell’articolo 12 della direttiva 92/85, ad adottare una sanzione determinata, sta di fatto che la sanzione scelta deve essere di natura tale da garantire una tutela giurisdizionale effettiva ed efficace, deve avere per il datore di lavoro un effetto dissuasivo reale e, ad ogni modo, deve essere adeguata al danno subito (sentenza Pontin, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).
32 Per quanto riguarda il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto dell’Unione, secondo una giurisprudenza costante, le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenza Pontin, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).
33 Quanto al principio di equivalenza, dal fascicolo di cui dispone la Corte non risulta che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non sia conforme a tale principio.
34 Quanto al principio di effettività, risulta dalla giurisprudenza della Corte che ciascun caso in cui occorre chiarire se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo, si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (sentenza del 21 dicembre 2023, BMW Bank e a., C-38/21, C-47/21 e C-232/21, EU:C:2023:1014, punto 304 nonché giurisprudenza ivi citata).
35 A tal proposito, la Corte ha così riconosciuto la compatibilità con il diritto dell’Unione della fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza nell’interesse della certezza del diritto, poiché termini del genere non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 12 febbraio 2008, Kempter, C-2/06, EU:C:2008:78, punto 58 e giurisprudenza ivi citata). Riguardo ai termini di decadenza, la Corte ha parimenti dichiarato che spetta agli Stati membri determinare, per le normative nazionali che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, termini in funzione, segnatamente, della rilevanza che le decisioni da adottare rivestono per gli interessati, della complessità dei procedimenti e della legislazione da applicare, del numero di soggetti che possono essere coinvolti e degli altri interessi pubblici o privati che devono essere presi in considerazione [v., in tal senso, sentenze Pontin, punto 48 nonché giurisprudenza ivi citata, e del 27 febbraio 2020, Land Sachsen-Anhalt (Retribuzione dei dipendenti pubblici e giudici), da C-773/18 a C-775/18, EU:C:2020:125, punto 69].
36 Pertanto, alla luce, in particolare, del principio della certezza del diritto, le esigenze del principio di effettività non ostano, in linea di principio, nel caso di un’azione diretta ad ottenere il reinserimento all’interno dell’impresa interessata di una dipendente illegittimamente licenziata, alla fissazione di un termine di decadenza relativamente breve. Infatti, potrebbe sussistere un interesse relativo alla certezza del diritto, sia per le lavoratrici gestanti licenziate sia per i datori di lavoro, a che la possibilità di sottoporre a un giudice una siffatta azione sia limitata nel tempo, tenuto conto in particolare delle conseguenze, per tutti gli attori interessati, del suddetto reinserimento, qualora esso intervenga dopo un lasso di tempo considerevole (v., in tal senso, sentenza Pontin, punti 60 e 61).
37 Tuttavia, trattandosi di una normativa nazionale che prevedeva un termine di decadenza di quindici giorni applicabile all’azione di nullità di un licenziamento, la Corte ha dichiarato, da un lato, che un siffatto termine deve essere considerato particolarmente breve, tenuto conto in particolare della situazione in cui si trova una donna all’inizio della gravidanza, e, dall’altro, che sarebbe molto difficile, pur rispettando tale termine, per una lavoratrice licenziata durante la gravidanza farsi consigliare utilmente nonché, se del caso, redigere e proporre un ricorso (sentenza Pontin, punti 62 e 65).
38 La Corte ha altresì sottolineato, alla luce della normativa nazionale oggetto della causa che ha dato luogo alla sentenza Pontin, che una lavoratrice gestante che, per un qualsiasi motivo, lasciasse trascorrere tale termine di quindici giorni non disporrebbe più di un’azione giudiziaria per far valere i propri diritti a seguito del licenziamento (v., in tal senso, sentenza Pontin, punto 66).
39 Sulla base, in particolare, di tali constatazioni, la Corte ha dichiarato che modalità procedurali come quelle che caratterizzavano la normativa nazionale controversa, comportando inconvenienti procedurali tali da rendere eccessivamente difficile l’attuazione dei diritti che le donne incinte traggono dall’articolo 10 della direttiva 92/85, non soddisfacevano i requisiti posti dal principio di effettività, circostanza che spettava tuttavia al giudice del rinvio verificare (v., in tal senso, sentenza Pontin, punti 67 e 69).
40 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che, conformemente all’articolo 4, prima frase, del KSchG, un ricorso diretto a contestare un licenziamento deve essere proposto entro un termine di tre settimane a decorrere dalla notifica scritta del licenziamento. Tuttavia, in forza dell’articolo 5 del KSchG, un ricorso proposto successivamente a tale termine da una lavoratrice gestante può comunque essere ammesso se quest’ultima, essendo venuta a conoscenza della sua gravidanza solo dopo la scadenza di detto termine di tre settimane, ne fa richiesta. Tale domanda deve essere presentata entro due settimane dalla cessazione dell’impedimento a proporre il ricorso.
41 Il giudice del rinvio constata che la lavoratrice di cui trattasi nel procedimento principale, che non ha proposto ricorso contro il suo licenziamento entro il termine di tre settimane a decorrere dalla notifica scritta di quest’ultimo, non ha neppure presentato una siffatta domanda, cosicché il suo ricorso dovrebbe essere respinto a meno che, come tende a ritenere, la normativa nazionale controversa sia contraria al principio di effettività.
42 Tale giudice rileva che il termine di ricorso di tre settimane previsto all’articolo 4, prima frase, del KSchG mira a garantire il rispetto della certezza del diritto e che lo stesso sembra valere per il termine di due settimane per presentare una domanda di ammissione di ricorso tardivo previsto all’articolo 5, paragrafo 3, del KSchG.
43 Ciò posto, come ricordato al punto 35 della presente sentenza, nell’ambito della determinazione dei termini di decadenza, gli Stati membri non devono soltanto tener conto della certezza del diritto. Devono essere presi in considerazione anche altri parametri, come l’importanza per gli interessati delle decisioni da adottare o ancora altri interessi pubblici o privati.
44 A tal riguardo, la tutela contro il licenziamento delle lavoratrici gestanti, come garantita dall’articolo 10 della direttiva 92/85, costituisce un parametro importante di cui gli Stati membri devono tener conto.
45 Infatti, è in considerazione del rischio che un eventuale licenziamento fa gravare sullo stato fisico e psichico di una lavoratrice gestante che il legislatore dell’Unione, in forza dell’articolo 10 della direttiva 92/85, ha previsto una protezione particolare per la donna sancendo il divieto di licenziamento (v., in tal senso, sentenza del 22 febbraio 2018, Porras Guisado, C-103/16, EU:C:2018:99, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).
46 È vero che dalla decisione di rinvio risulta che l’articolo 5 del KSchG consente, mediante una domanda di ammissione, di proporre un ricorso tardivo qualora il termine ordinario di tre settimane per proporre ricorso contro il licenziamento sia scaduto mentre la donna, per un motivo che non le è imputabile, non aveva ancora avuto conoscenza della sua gravidanza.
47 Tuttavia, occorre rilevare, in primo luogo, che tale domanda di ammissione di ricorso tardivo dev’essere presentata entro un termine di due settimane dalla cessazione dell’impedimento a proporre il ricorso, il quale, secondo la Corte, costituisce un termine particolarmente breve, tenuto conto in particolare della situazione in cui si trova una donna all’inizio della gravidanza (sentenza Pontin, punto 62).
48 In secondo luogo, occorre sottolineare che tale termine di due settimane è più breve del termine ordinario di tre settimane, previsto all’articolo 4, prima frase, del KSchG, per proporre un ricorso contro un licenziamento.
49 Pertanto, una lavoratrice gestante che sia a conoscenza, al momento del suo licenziamento, del suo stato di gravidanza dispone di un termine di tre settimane per proporre un siffatto ricorso. Per contro, una lavoratrice che non abbia conoscenza della sua gravidanza prima della scadenza di tale termine, e ciò per un motivo che non le è imputabile, dispone solo di due settimane per chiedere di essere ammessa a proporre il ricorso, il che presuppone una notevole riduzione del termine per farsi consigliare e, se del caso, per redigere e presentare non solo tale domanda di ammissione del ricorso tardivo, ma anche il ricorso propriamente detto. Infatti, come sottolinea la Commissione nelle sue osservazioni scritte, l’articolo 5, paragrafo 2, del KSchG prevede che tale ricorso sia, in linea di principio, proposto contemporaneamente alla domanda.
50 A tal riguardo, nelle sue osservazioni scritte, la Haus Jacobus afferma che la domanda di ammissione di ricorso tardivo non è soggetta a particolari requisiti di forma e può anche essere presentata oralmente presso la cancelleria di qualsiasi giudice, ivi compreso di un giudice incompetente. La Commissione afferma, dal canto suo, che, anche se il semplice fatto di proporre un ricorso contro il licenziamento non è sufficiente per ritenere che una siffatta domanda sia stata presentata, essa può nondimeno essere formulata implicitamente.
51 Tuttavia, quand’anche tali precisazioni si rivelassero corrette, a seguito di verifiche incombenti al giudice del rinvio, ciò non toglie che, qualora una lavoratrice venga a conoscenza, come nel caso di specie, di essere incinta dopo la scadenza di un termine di tre settimane successivo al suo licenziamento, essa è tenuta, a pena di decadenza, non solo a presentare un ricorso, ma anche a presentare una domanda di ammissione di tale ricorso tardivo entro un termine di due settimane, vale a dire un termine inferiore a quello di cui tale lavoratrice avrebbe potuto disporre se avesse avuto conoscenza della sua gravidanza al momento del licenziamento. Pertanto, tale termine di due settimane può avere l’effetto di rendere molto difficile, per detta lavoratrice, farsi consigliare utilmente nonché, se del caso, redigere e presentare la domanda di ammissione e il ricorso propriamente detto.
52 In terzo luogo, come fa notare anche la Commissione nelle sue osservazioni scritte, il dies a quo del termine di due settimane di cui all’articolo 5, paragrafo 3, del KSchG, vale a dire il momento della «cessazione dell’impedimento a proporre il ricorso», non sembra privo di qualsiasi ambiguità, il che può contribuire a rendere più difficile l’esercizio dei diritti garantiti dalla direttiva 92/85.
53 Infine, in quarto luogo, emerge dalla decisione di rinvio che, conformemente all’articolo 17, paragrafo 1, seconda frase, del MuSchG, la lavoratrice licenziata è tenuta ad informare senza indugio il suo datore di lavoro del suo stato di gravidanza. Tenuto conto di tale obbligo, il giudice si chiede se il requisito aggiuntivo secondo cui la lavoratrice deve presentare, dinanzi a un giudice, una domanda di ammissione di ricorso tardivo debba essere considerato incompatibile con i requisiti del principio della tutela giurisdizionale effettiva.
54 A tal riguardo, è opportuno osservare che, certamente, il fatto che la lavoratrice sia tenuta non solo ad informare senza indugio il suo datore di lavoro del suo stato di gravidanza, ma anche a presentare, entro un termine di due settimane, una domanda di ammissione di ricorso tardivo dinanzi a un giudice, nonché, in linea di principio, il ricorso propriamente detto, contribuisce a dimostrare la complessità del sistema istituito dalla normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, il quale prevede diversi obblighi concorrenti, da adempiere nel rispetto di termini distinti che si sovrappongono, sia presso il datore di lavoro sia presso un giudice.
55 Tuttavia, una semplice informazione del datore di lavoro non può, in linea di principio, essere considerata equivalente al deposito, presso un giudice, di un atto richiesto dalla normativa processuale nazionale al fine di contestare un licenziamento o, quanto meno, al fine di sospendere il termine di decadenza per contestare tale licenziamento.
56 Ne consegue che l’obbligo di presentare, dinanzi a un giudice, una domanda di ammissione di ricorso tardivo non può, in quanto tale, essere considerato incompatibile con i requisiti del principio della tutela giurisdizionale effettiva, e ciò anche qualora la normativa nazionale preveda, inoltre, l’obbligo, per la lavoratrice interessata, di informare senza indugio il datore di lavoro del suo stato di gravidanza.
57 Per contro, le modalità procedurali che disciplinano una siffatta domanda di ammissione di ricorso tardivo possono eventualmente rivelarsi incompatibili con le esigenze del principio della tutela giurisdizionale effettiva.
58 Nel caso di specie, il termine di due settimane previsto dall’articolo 5 del KSchG sembra, fatti salvi i controlli che spetta al giudice del rinvio effettuare, comportare svantaggi procedurali tali da violare il principio di effettività e, di conseguenza, il principio della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dalla direttiva 92/85. Detto termine, infatti, significativamente più breve di quello ordinario previsto dall’articolo 4 di tale legge, appare, in considerazione della situazione in cui si trova una lavoratrice all’inizio della gravidanza, particolarmente breve e tale da rendere molto difficile per la lavoratrice incinta ottenere una consulenza utile e, se del caso, redigere e depositare la domanda di ammissione del ricorso tardivo e il ricorso stesso, tanto più che non si possono escludere incertezze sulla decorrenza del suddetto termine di due settimane e sul cumulo degli obblighi, ciascuno dei quali è soggetto a scadenze distinte, da adempiere presso il datore di lavoro o presso un tribunale.
59 Alla luce di tutti i motivi che precedono, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che gli articoli 10 e 12 della direttiva 92/85 devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale una lavoratrice gestante che sia venuta a conoscenza della sua gravidanza solo dopo la scadenza del termine previsto per proporre ricorso contro il suo licenziamento è tenuta, per poter proporre un tale ricorso, a presentare una domanda di ammissione di ricorso tardivo entro un termine di due settimane, allorché le modalità procedurali che accompagnano detta domanda di ammissione, comportando inconvenienti tali da rendere eccessivamente difficile l’attuazione dei diritti che le lavoratrici gestanti traggono dall’articolo 10 della direttiva, non rispettano i requisiti posti dal principio di effettività.
Sulle spese
60 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione) dichiara:
Gli articoli 10 e 12 della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE),
devono essere interpretati nel senso che:
essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale una lavoratrice gestante che sia venuta a conoscenza della sua gravidanza solo dopo la scadenza del termine previsto per proporre ricorso contro il suo licenziamento è tenuta, per poter proporre un tale ricorso, a presentare una domanda di ammissione di ricorso tardivo entro un termine di due settimane, allorché le modalità procedurali che accompagnano detta domanda di ammissione, comportando inconvenienti tali da rendere eccessivamente difficile l’attuazione dei diritti che le lavoratrici gestanti traggono dall’articolo 10 della direttiva, non rispettano i requisiti posti dal principio di effettività.
Firme
* Lingua processuale: il tedesco.