CORTE DI GIUSTIZIA DELL'UNIONE EUROPEA
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
10 settembre 2024
« Impugnazione – Concorrenza – Abuso di posizione dominante – Mercati della ricerca generale e della ricerca specializzata di prodotti su Internet – Decisione che constata una violazione dell’articolo 102 TFUE e dell’articolo 54 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) – Abuso per effetto leva – Concorrenza basata sui meriti o pratica anticoncorrenziale – Visualizzazione favorita dall’impresa dominante dei risultati del proprio servizio di ricerca specializzata – Potenziali effetti anticoncorrenziali – Nesso di causalità tra abuso ed effetti – Onere della prova – Scenario controfattuale – Capacità di estromissione dal mercato – Test del concorrente altrettanto efficace »
Nella causa C-48/22 P,
avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 20 gennaio 2022,
Google LLC, con sede in Mountain View (Stati Uniti),
Alphabet Inc., con sede in Mountain View,
rappresentate da A. Bray, avocate, T. Graf, Rechtsanwalt, D. Gregory, H. Mostyn, barristers, M. Pickford, KC, R. Snelders, advocaat, e C. Thomas, avocat,
ricorrenti,
sostenute da:
Computer & Communications Industry Association, con sede in Washington (Stati Uniti), rappresentata da J. Killick, advocaat, A. Komninos, dikigoros, e A. Lamadrid de Pablo, abogado,
interveniente in primo grado,
procedimento in cui le altre parti sono:
Commissione europea, rappresentata da F. Castillo de la Torre, A. Dawes, N. Khan, H. Leupold e C. Urraca Caviedes, in qualità di agenti,
convenuta in primo grado,
sostenuta da:
PriceRunner International AB, con sede in Stoccolma (Svezia), rappresentata inizialmente da M. Jonson, K. Ljungström, F. Norburg, P. Scherp e H. Selander, advokater, successivamente da K. Ljungström, F. Norburg, P. Scherp e H. Selander, advokater,
interveniente in sede d’impugnazione,
Repubblica federale di Germania,
Autorità di vigilanza EFTA, rappresentata inizialmente da C. Simpson, M. Sánchez Rydelski e M.-M. Joséphidès, successivamente da C. Simpson, M. Sánchez Rydelski, I.O. Vilhjálmsdóttir e M.-M. Joséphidès, in qualità di agenti,
Bureau européen des unions de consommateurs (BEUC), con sede in Bruxelles (Belgio), rappresentato da A. Fratini, avvocata,
Infederation Ltd, con sede in Crowthorne (Regno Unito), rappresentata inizialmente da S. Gartagani, K. Gwilliam, L. Hannah, solicitors, e A. Howard, KC, successivamente da S. Gartagani, K. Gwilliam, L. Hannah, solicitors, A. Howard, KC, e T. Vinje, advocaat,
Kelkoo SAS, con sede in Parigi (Francia), rappresentata da W. Leslie, solicitor, e B. Meyring, Rechtsanwalt,
Verband Deutscher Zeitschriftenverleger eV, con sede in Berlino (Germania),
Ladenzeile GmbH, già Visual Meta GmbH, con sede in Berlino,
BDZV – Bundesverband Digitalpublisher und Zeitungsverleger eV, già Bundesverband Deutscher Zeitungsverleger eV, con sede a Berlino,
rappresentati da T. Höppner e P. Westerhoff, Rechtsanwälte,
Twenga SA, con sede in Parigi, rappresentata da L. Godfroid, M. Gouraud e S. Hautbourg, avocats,
intervenienti in primo grado,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, A. Arabadjiev, E. Regan, F. Biltgen e O. Spineanu-Matei (relatrice), presidenti di sezione, P.G. Xuereb, L.S. Rossi, I. Jarukaitis, N. Jääskinen, N. Wahl, I. Ziemele e J. Passer, giudici,
avvocato generale: J. Kokott
cancelliere: M. Longar, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 19 settembre 2023,
sentite le conclusioni dell’avvocata generale, presentate all’udienza dell’11 gennaio 2024,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con la loro impugnazione, la Google LLC e la Alphabet Inc. chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 10 novembre 2021, Google e Alphabet/Commissione (Google Shopping) (T-612/17, EU:T:2021:763; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), mediante la quale detto giudice ha annullato l’articolo 1 della decisione C(2017) 4444 final della Commissione, del 27 giugno 2017, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 102 TFUE e dell’articolo 54 dell’Accordo SEE [caso AT.39740 – Google Search (Shopping)] (in prosieguo: la «decisione controversa»), unicamente nella misura in cui in detto articolo la Commissione europea ha constatato una violazione delle disposizioni sopra citate ad opera di Google e di Alphabet su tredici mercati nazionali della ricerca generale all’interno dello Spazio economico europeo (SEE) sulla base dell’esistenza di effetti anticoncorrenziali su tali mercati, e ha respinto il loro ricorso per il resto.
I. Fatti all’origine della controversia
2 I fatti all’origine della controversia, come esposti ai punti da 1 a 78 della sentenza impugnata, possono essere riassunti nei termini che seguono.
A. Contesto
3 Google è una società statunitense specializzata nei prodotti e nei servizi connessi all’utilizzazione di Internet. La società è principalmente nota per il suo motore di ricerca, che consente agli utenti di Internet (in prosieguo designati anche, a seconda del contesto, come «utenti» o «consumatori») di trovare e di raggiungere, con il browser che essi utilizzano e mediante collegamenti ipertestuali, i siti Internet che rispondono alle loro esigenze. Dal 2 ottobre 2015 Google è una controllata al 100% di Alphabet.
4 Il motore di ricerca di Google consente di ottenere risultati di ricerca presentati su pagine che appaiono sugli schermi degli utenti di Internet. Tali risultati o sono selezionati da tale motore secondo criteri generali e senza che i siti ai quali essi rinviano remunerino Google per apparire (in prosieguo: i «risultati di ricerca generale»), o sono selezionati secondo una logica specializzata per il tipo particolare di ricerca effettuata (in prosieguo: i «risultati di ricerca specializzata»). I risultati di ricerca specializzata possono apparire eventualmente senza alcuna particolare iniziativa da parte dell’utente di Internet insieme con i risultati di ricerca generale in una stessa pagina (in prosieguo: la «pagina di risultati generale» o le «pagine di risultati generali») oppure possono apparire da soli a seguito di una richiesta dell’utente di Internet effettuata a partire da una pagina specializzata del motore di ricerca di Google o dopo l’attivazione di link contenuti in certe zone delle sue pagine di risultati generali. Google ha sviluppato diversi servizi di ricerca specializzata, ad esempio per le notizie, per le informazioni e le offerte commerciali di natura locale, per i viaggi aerei o per l’acquisto di prodotti. Quest’ultima categoria è quella in discussione nel caso di specie.
5 I servizi di ricerca specializzata per l’acquisto di prodotti (in prosieguo: i «servizi di comparazione di prodotti» o i «comparatori di prodotti») non vendono essi stessi i prodotti, ma confrontano e selezionano offerte di venditori su Internet che propongono il prodotto cercato. Come i risultati di ricerca generale, i risultati di ricerca specializzata possono essere dei risultati, talvolta qualificati come «naturali», indipendenti da pagamenti dei siti Internet ai quali essi rinviano, anche se questi ultimi sono siti commerciali. L’ordine di presentazione di tali risultati naturali nelle pagine di risultati è anch’esso indipendente da pagamenti.
6 Nelle pagine di risultati generali di Google, come in quelle di altri motori di ricerca, compaiono anche risultati, comunemente denominati «annunci», che sono invece collegati a pagamenti effettuati dai siti Internet cui essi rinviano. Tali risultati presentano anche un rapporto con la ricerca effettuata dall’utente di Internet e si distinguono dai risultati naturali di ricerca generale o di ricerca specializzata, ad esempio attraverso le parole «annuncio» o «sponsorizzato».
7 Le pagine di risultati generali di Google possono includere, o hanno incluso, tutti i tipi di risultati menzionati ai precedenti punti da 4 a 6.
8 Motori di ricerca diversi da quello di Google offrono o hanno offerto servizi di ricerca generale e servizi di ricerca specializzata. Esistono inoltre motori di ricerca specifici per il confronto di prodotti.
9 Google ha iniziato a fornire agli utenti di Internet un servizio di comparazione di prodotti a partire dalla fine dell’anno 2002 negli Stati Uniti, poi, circa due anni dopo, gradualmente in alcuni paesi in Europa. I risultati di comparazione di prodotti (in prosieguo: i «risultati per prodotti») sono stati inizialmente forniti tramite una pagina di ricerca specializzata, denominata Froogle, distinta dalla pagina di ricerca generale del motore di ricerca, e successivamente, dall’anno 2003 negli Stati Uniti e dall’anno 2005 in taluni paesi europei, anche a partire dalla pagina di ricerca generale del motore di ricerca. In quest’ultimo caso, i risultati per prodotti apparivano raggruppati all’interno delle pagine di risultati generali in quella che era denominata Product OneBox (in prosieguo: la «Product OneBox»), al di sotto o in parallelo alle pubblicità figuranti nella parte alta o a lato della pagina e al di sopra dei risultati di ricerca generali.
10 Google ha sostenuto che, dall’anno 2007, aveva cambiato il modo di elaborare i risultati per prodotti. In particolare, essa ha abbandonato la denominazione Froogle per adottare quella di Product Search per le sue pagine di ricerca e di risultati specializzate di comparazione di prodotti.
11 Per quanto riguarda i risultati per prodotti visualizzati nelle pagine di risultati generali, da un lato, Google ha arricchito il contenuto della Product OneBox, successivamente rinominata Product Universal (in prosieguo: la «Product Universal»), aggiungendovi delle fotografie. Google ha anche diversificato i possibili esiti dell’azione di cliccare su un link di risultato che vi appariva: a seconda dei casi, l’utente di Internet, come in precedenza, veniva rinviato direttamente alla pagina appropriata del sito Internet del venditore del prodotto cercato, oppure veniva rinviato alla pagina di risultati specializzata Product Search per scoprire più offerte del medesimo prodotto. Dall’altro lato, Google ha introdotto un meccanismo, denominato Universal Search, che consente, se viene individuata una ricerca per l’acquisto di un prodotto, di dare la priorità, nella pagina di risultati generale, ai prodotti pertinenti della Product Onebox, e poi della Product Universal, rispetto ai risultati di ricerca generale.
12 Per quanto riguarda i risultati per prodotti collegati a pagamenti che appaiono nelle sue pagine di risultati, Google ha introdotto in Europa, dal mese di settembre 2010, un formato arricchito rispetto agli annunci composti di solo testo (in prosieguo: gli «annunci di solo testo») che apparivano fino ad allora. A partire dal mese di novembre 2011 in Europa, Google ha completato tale dispositivo con la presentazione diretta, nelle sue pagine di risultati generali, di gruppi di annunci di diversi inserzionisti, con fotografie e prezzi (in prosieguo: gli «annunci per prodotti»), e che figuravano o sulla destra o in cima alla pagina di risultati.
13 Nel corso dell’anno 2013, Google ha posto fine in Europa alla Product Universal e agli annunci di solo testo sviluppati nelle sue pagine di risultati generali. Pertanto, in tali pagine hanno continuato a comparire solo annunci per prodotti raggruppati, ribattezzati «Shopping Commercial Units» o «Shopping Units» (in prosieguo: le «Shopping Units»), annunci di solo testo e risultati di ricerca generale. Pertanto, l’utente di Internet che cliccava su un annuncio contenuto in una Shopping Unit veniva sempre rinviato al sito Internet di vendita dell’inserzionista. Costui accedeva dalla pagina di risultati generale alla pagina di ricerca e di risultati specializzata di comparazione di prodotti di Google che forniva più annunci solo se cliccava su un link specifico collocato in testa alla Shopping Unit o su un link accessibile a partire dal menu di navigazione generale (sotto-menu «Shopping»). Nello stesso momento in cui Google ha soppresso la Product Universal dalla sua pagina di risultati generale, essa ha altresì rinunciato a presentare risultati naturali per prodotti nella sua pagina di risultati specializzata Product Search, che si è evoluta in una pagina contenente solo annunci, denominata Google Shopping.
B. Procedimento amministrativo
14 Il 30 novembre 2010 la Commissione ha avviato un procedimento nei confronti di Google ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101] e [102] TFUE (GU 2004, L 123, pag. 18).
15 Il 13 marzo 2013 la Commissione ha adottato una valutazione preliminare ai sensi dell’articolo 9 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), ai fini dell’eventuale accettazione di impegni da parte di Google che rispondessero alle preoccupazioni di detta istituzione.
16 Il 4 settembre 2014 la Commissione ha informato Google che non era in grado di adottare una decisione di accettazione di impegni ai sensi dell’articolo 9 del regolamento n. 1/2003.
17 Il 15 aprile 2015 la Commissione è tornata al procedimento di constatazione di infrazione ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 e ha adottato una comunicazione degli addebiti, indirizzata a Google, nella quale è giunta alla conclusione provvisoria che le pratiche in questione costituivano un abuso di posizione dominante e quindi violavano l’articolo 102 TFUE.
18 Il 14 luglio 2016 la Commissione ha avviato un procedimento contro Alphabet ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 773/2004 e ha adottato una comunicazione degli addebiti supplementare rivolta a Google e Alphabet.
C. Decisione controversa
19 Il 27 giugno 2017 la Commissione ha adottato la decisione controversa.
20 In primo luogo, la Commissione ha ritenuto che, nel contesto dell’individuazione di un’eventuale posizione dominante di Google, i mercati interessati, di dimensione nazionale, fossero, da un lato, il mercato dei servizi di ricerca generale su Internet e, dall’altro, il mercato dei servizi di comparazione di prodotti su Internet.
21 In secondo luogo, la Commissione ha constatato che Google deteneva dall’anno 2008 una posizione dominante sul mercato della ricerca generale in ciascun paese del SEE, ad eccezione della Repubblica ceca, in cui tale posizione era detenuta solo dall’anno 2011. Per giungere a tale constatazione, essa si è basata in particolare sulle quote di mercato in volume molto elevate e stabili di Google, osservate in diversi studi. Essa ha inoltre sottolineato l’esiguità delle quote di mercato dei concorrenti di Google, l’esistenza di barriere all’ingresso su tale mercato, nonché il fatto che pochi utenti di Internet utilizzavano più motori di ricerca generale. Essa ha rilevato che Google godeva di una forte reputazione e che gli utenti di Internet, indipendenti gli uni dagli altri, non costituivano un contropotere di acquirente.
22 In terzo luogo, la Commissione ha ritenuto che Google avesse abusato, a partire da momenti diversi, risalenti al più tardi al gennaio 2008, della sua posizione dominante esistente in tredici mercati nazionali della ricerca generale all’interno del SEE, riducendo il traffico proveniente dalle sue pagine di risultati generali verso i comparatori di prodotti concorrenti e aumentando tale traffico verso il proprio comparatore di prodotti, il che poteva avere o aveva verosimilmente avuto effetti anticoncorrenziali sui tredici corrispondenti mercati nazionali della ricerca specializzata per la comparazione di prodotti, ma anche sui tredici mercati della ricerca generale. I paesi interessati erano il Belgio, la Repubblica ceca, la Danimarca, la Germania, la Spagna, la Francia, l’Italia, i Paesi Bassi, l’Austria, la Polonia, la Svezia, il Regno Unito e la Norvegia.
23 A questo proposito, in primis, nella sezione 7.2 della decisione controversa, la Commissione ha dichiarato che l’abuso rilevato nel caso di specie consisteva nel posizionamento e nella presentazione più favorevoli, nelle pagine di risultati generali di Google, del proprio comparatore di prodotti rispetto ai comparatori di prodotti concorrenti.
24 Più in particolare, il comportamento identificato dalla Commissione come fonte dell’abuso era, in sostanza, che Google mostrava il suo comparatore di prodotti nelle sue pagine di risultati generali in modo preminente e attraente in «boxes» dedicate, senza essere soggetto ai suoi algoritmi di aggiustamento utilizzati per la ricerca generale, tra cui l’algoritmo detto «Panda», mentre, al contempo, i comparatori di prodotti concorrenti potevano apparire su tali pagine solo sotto forma di risultati di ricerca generale (link blu), e mai in un formato arricchito, restando peraltro soggetti a retrocessione nell’ambito della classificazione dei risultati generici da parte di questi algoritmi di «aggiustamento». La Commissione ha sottolineato che non rimetteva in discussione, di per sé, i vari criteri di selezione scelti da Google, qualificati come criteri di pertinenza, ma il fatto che gli stessi criteri di posizionamento e di presentazione non si applicassero al suo comparatore di prodotti e, al contempo, ai comparatori concorrenti. Analogamente, essa ha precisato che non contestava, in quanto tale, la valorizzazione di risultati specializzati di comparazione di prodotti ritenuti pertinenti da Google, ma il fatto che la stessa valorizzazione non si applicasse al suo comparatore di prodotti e, al contempo, ai comparatori concorrenti.
25 In secundis, nella sezione 7.2.2 della decisione controversa, la Commissione ha esaminato il valore del volume di traffico per i servizi di comparazione di prodotti. La Commissione ha osservato, a tal proposito, che il volume di traffico era rilevante, sotto numerosi aspetti, per la capacità di competere di un comparatore di prodotti.
26 In terzo luogo, nella sezione 7.2.3 della decisione controversa, la Commissione ha affermato che le pratiche in questione diminuivano il traffico dalle pagine di risultati generali di Google verso i comparatori di prodotti concorrenti e aumentavano il traffico da tali pagine verso il comparatore di prodotti di Google. La Commissione ha suffragato tale conclusione con tre elementi. Anzitutto, sulla base di un’analisi del comportamento degli utenti di Internet, la Commissione ha concluso che i risultati generici avrebbero generato un traffico significativo verso un sito Internet quando erano classificati nei primi tre-cinque risultati della prima pagina di risultati generale, in quanto gli utenti di Internet prestavano poca o nessuna attenzione ai risultati successivi, che spesso non apparivano direttamente sullo schermo. La Commissione ha poi dichiarato che le pratiche in questione avevano portato a una riduzione del traffico dalle pagine di risultati generali di Google verso quasi tutti i comparatori di prodotti concorrenti, per un periodo di tempo significativo, in ciascuno dei tredici paesi del SEE nei quali erano state attuate. Infine, la Commissione ha constatato che le pratiche in questione avevano portato a un aumento del traffico di Google verso il suo comparatore di prodotti.
27 In quarto luogo, nella sezione 7.2.4 della decisione controversa, la Commissione ha fatto valere che il traffico sviato dalle pratiche in questione contava per un’ampia parte del traffico verso i comparatori di prodotti concorrenti e che esso non poteva essere effettivamente sostituito dalle altre fonti di traffico attualmente disponibili per i comparatori di prodotti concorrenti, vale a dire, in particolare, le applicazioni su telefono cellulare, il traffico diretto, i rinvii ad altri siti Internet partner, i social network e gli altri motori di ricerca generale.
28 In quinto luogo, nella sezione 7.3 della decisione controversa, la Commissione ha dichiarato che le pratiche in questione avevano effetti anticoncorrenziali potenziali sui tredici mercati nazionali della ricerca specializzata per la comparazione di prodotti e sui tredici mercati nazionali della ricerca generale, menzionati al punto 22 della presente sentenza. Per quanto riguarda i mercati della ricerca specializzata per la comparazione di prodotti, la Commissione ha inteso dimostrare che le pratiche in questione potevano portare i comparatori di prodotti concorrenti a cessare le loro attività, che esse potevano avere un impatto negativo sull’innovazione e che esse potevano quindi ridurre le possibilità dei consumatori di accedere ai servizi più efficienti. Ciò avrebbe quindi pregiudicato la struttura concorrenziale di tali mercati. Per quanto riguarda i mercati della ricerca generale, gli effetti anticoncorrenziali delle pratiche in questione deriverebbero dal fatto che le risorse supplementari ricavate dal comparatore di prodotti di Google dalle sue pagine di risultati generali le consentivano di rafforzare il suo servizio di ricerca generale.
29 Nella sezione 7.4 della decisione controversa, la Commissione ha confutato gli argomenti dedotti dalle ricorrenti contro tale analisi, secondo i quali i criteri giuridici utilizzati non erano corretti. Nella sezione 7.5 di tale decisione, essa ha altresì confutato le giustificazioni addotte dalle ricorrenti per dimostrare che le pratiche in questione non erano abusive, vertenti sul fatto che esse erano oggettivamente necessarie o sul fatto che le eventuali restrizioni della concorrenza che esse comportavano erano compensate da miglioramenti di efficienza a vantaggio del consumatore.
30 Di conseguenza, all’articolo 1 della decisione controversa, la Commissione ha dichiarato che Google nonché Alphabet, dalla sua acquisizione del controllo su Google, avevano violato l’articolo 102 TFUE e l’articolo 54 dell’Accordo SEE nei tredici paesi citati al punto 22 della presente sentenza, a partire da date diverse che corrispondono all’introduzione di risultati specializzati per prodotti o di annunci per prodotti nella pagina di risultati generale di Google.
31 La Commissione ha ingiunto a Google, in particolare, di porre fine alle pratiche in questione. Essa ha sottolineato che, anche se Google poteva conformarsi a tale ordine in vari modi, si sarebbero dovuti rispettare alcuni principi, indipendentemente dal fatto che Google scegliesse di mantenere o meno le Shopping Units o altri gruppi di risultati di ricerca di comparazione di prodotti nelle sue pagine di risultati generali. Tra tali principi figurava, in sostanza, il principio del trattamento non discriminatorio tra il comparatore di prodotti di Google e i comparatori concorrenti. Infine, con l’articolo 2 della decisione controversa, la Commissione ha inflitto a Google un’ammenda dell’importo di EUR 2 424 495 000, di cui EUR 523 518 000 in solido con Alphabet.
II. Ricorso dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata
32 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale l’11 settembre 2017, Google ha proposto un ricorso diretto all’annullamento della decisione controversa e, in subordine, alla soppressione o alla riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta.
33 Con ordinanza del presidente della Nona Sezione del Tribunale del 17 dicembre 2018, la Computer & Communications Industry Association (in prosieguo: la «CCIA») è stata ammessa ad intervenire a sostegno delle conclusioni delle ricorrenti. Con ordinanze dello stesso giorno, la Repubblica federale di Germania, l’Autorità di vigilanza AELS, il Bureau européen des unions de consommateurs (BEUC), la Infederation Ltd (in prosieguo: la «Foundem»), la Kelkoo SAS, il Verband Deutscher Zeitschriftenverleger eV (in prosieguo: il «VDZ»), la Ladenzeile GmbH, già Visual Meta GmbH, il BDZV – Bundesverband Digitalpublisher und Zeitungsverleger eV, già Bundesverband Deutscher Zeitungsverleger eV (in prosieguo: il «BDZV»), e la Twenga SA sono stati ammessi ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.
34 Con ordinanza del presidente della Nona Sezione del Tribunale dell’11 aprile 2019, è stato concesso un trattamento riservato in particolare all’allegato A.1 dell’atto introduttivo del giudizio.
35 Con decisione del 10 luglio 2019, il Tribunale ha rinviato la causa dinanzi ad una formazione giudicante ampliata.
36 A sostegno del suo ricorso, Google ha dedotto sei motivi, da essa presentati nel modo seguente:
«Il primo e il secondo motivo dimostrano che la decisione [controversa] conclude erroneamente che Google favorisce il proprio servizio di comparazione dei prodotti mostrando i Product Universals e le Shopping Units. Il terzo motivo spiega che la decisione [controversa] è errata in quanto ritiene che il posizionamento e la visualizzazione dei Product Universals e delle Shopping Units abbiano sviato il traffico di ricerca di Google. Con il quarto motivo, sarà dimostrato che la congettura della decisione [controversa] sugli effetti anticoncorrenziali è priva di fondamento. Il quinto motivo dimostra che la decisione [controversa] qualifica, a torto, come pratiche abusive dei miglioramenti qualitativi che rappresentano una concorrenza basata sui meriti. Il sesto motivo dimostra che i motivi per cui la decisione [controversa] ha imposto un’ammenda sono infondati».
37 Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha sostanzialmente respinto il ricorso convalidando l’analisi della Commissione per quanto riguarda il mercato della ricerca specializzata per la comparazione dei prodotti.
38 Il Tribunale ha anzitutto sottolineato che Google non negava di essere in posizione dominante sui tredici mercati nazionali della ricerca generale corrispondenti ai paesi in cui la Commissione aveva ritenuto che detta impresa avesse abusato di tale posizione. Esso ha precisato che tale dato costituiva una premessa di tutte le analisi successive.
39 In primo luogo, il Tribunale ha esaminato il quinto motivo e la prima parte del primo motivo, vertenti sulla conformità delle pratiche in questione alla concorrenza basata sui meriti. In primis, esso ha respinto l’argomentazione delle ricorrenti secondo cui tali pratiche costituivano miglioramenti qualitativi rientranti nella concorrenza basata sui meriti e non potevano essere qualificate come abusive. In secundis, esso ha respinto l’argomentazione delle ricorrenti secondo cui la Commissione avrebbe preteso da Google che fornisse ai comparatori di prodotti concorrenti un accesso ai suoi servizi migliorati senza soddisfare le condizioni stabilite nella sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569). In tertiis, esso ha respinto l’argomentazione delle ricorrenti secondo cui i fatti erano stati presentati dalla Commissione in modo errato, in quanto Google aveva introdotto i gruppi di risultati per prodotti al fine di migliorare la qualità del suo servizio e non per dirigere il traffico verso il proprio servizio di comparazione di prodotti.
40 In secondo luogo, il Tribunale ha esaminato la seconda parte del primo motivo e la prima, la seconda e, parzialmente, la terza parte del secondo motivo, relativi al carattere non discriminatorio delle pratiche in questione. A tal riguardo, esso ha respinto le censure delle ricorrenti relative al fatto che la Commissione avrebbe erroneamente concluso che Google aveva favorito il proprio servizio di comparazione di prodotti mediante la visualizzazione dei Product Universals e delle Shopping Units, nonché le censure relative al fatto che i comparatori di prodotti concorrenti erano già stati inclusi nelle Shopping Units, cosicché non poteva esservi favoritismo.
41 In terzo luogo, il Tribunale ha esaminato il terzo e il quarto motivo, vertenti sul fatto che le pratiche in questione non avevano avuto effetti anticoncorrenziali. In primis, esso ha respinto l’argomentazione delle ricorrenti secondo cui la Commissione non aveva dimostrato che le pratiche in questione avessero comportato, da un lato, una riduzione del traffico dalle pagine di risultati generali di Google verso i comparatori di prodotti concorrenti e, dall’altro, un aumento del traffico dalle pagine di risultati generali di Google verso il suo comparatore di prodotti. Poi, esso ha ritenuto che l’argomentazione delle ricorrenti secondo cui la Commissione aveva speculato sugli effetti anticoncorrenziali delle pratiche in questione dovesse essere respinta per quanto riguarda i mercati dei servizi di comparazione di prodotti e dovesse essere accolto per quanto riguarda i mercati nazionali della ricerca generale. In tertiis, esso ha respinto l’argomentazione delle ricorrenti secondo cui il ruolo delle piattaforme commerciali era stato trascurato nell’analisi degli effetti delle pratiche in questione. Infine, esso ha respinto l’argomentazione delle ricorrenti secondo cui la Commissione non aveva dimostrato l’esistenza di effetti anticoncorrenziali dovuti alle pratiche in questione sui mercati nazionali dei servizi di comparazione dei prodotti.
42 In quarto luogo, il Tribunale ha respinto la terza parte del primo motivo e, in parte, la terza parte del secondo motivo, vertenti sull’esistenza di giustificazioni oggettive riguardanti la visualizzazione dei Product Universals e delle Shopping Units.
43 Per contro, per quanto riguarda i mercati nazionali della ricerca generale, il Tribunale ha considerato che la Commissione si era basata su considerazioni troppo imprecise per giustificare l’esistenza di effetti anticoncorrenziali, anche potenziali, cosicché la prima parte del quarto motivo delle ricorrenti, vertente sul carattere puramente speculativo dell’analisi degli effetti anticoncorrenziali delle pratiche in questione, è stata accolta per quanto riguarda tali mercati.
44 Pertanto, il Tribunale ha annullato la decisione controversa soltanto nella misura in cui la Commissione vi aveva constatato una violazione, da parte di Google e di Alphabet, dell’articolo 102 TFUE e dell’articolo 54 dell’Accordo SEE in tredici mercati nazionali della ricerca generale all’interno del SEE sulla base dell’esistenza di effetti anticoncorrenziali in tali mercati, e ha respinto il ricorso quanto al resto. In virtù della sua competenza estesa al merito, esso ha confermato l’intero importo dell’ammenda inflitta dalla Commissione alle ricorrenti.
III. Procedimento dinanzi alla Corte
45 Con ordinanza del Presidente della Corte del 22 marzo 2022, Google e Alphabet/Commissione (C-48/22 P, EU:C:2022:207), è stato concesso il trattamento riservato, nei confronti della CCIA, della Repubblica Federale di Germania, dell’Autorità di vigilanza EFTA, del BEUC, della Foundem, della Kelkoo, del VDZ, della Ladenzeile, del BDZV e della Twenga, intervenienti in primo grado, per quanto riguarda l’allegato 2 dell’impugnazione, depositato dalle ricorrenti presso la cancelleria della Corte il 2 febbraio 2022, prevedendosi la notifica a detti intervenienti della sola versione non riservata di tale allegato.
46 Con ordinanza del Presidente della Corte del 1° settembre 2022, Google e Alphabet/Commissione (C-48/22 P, EU:C:2022:667), la PriceRunner International AB (in prosieguo: la «PriceRunner») è stata autorizzata a intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione. In tale ordinanza, è stato parimenti disposto, nei confronti della PriceRunner, un trattamento riservato dell’allegato 2 dell’impugnazione.
47 Con ordinanza del presidente della Corte del 1° settembre 2022, Google e Alphabet/Commissione (C-48/22 P, EU:C:2022:669), la domanda della FairSearch AISBL di intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione è stata respinta.
IV. Conclusioni delle parti in sede di impugnazione
48 Con la loro impugnazione, le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:
– annullare la sentenza impugnata;
– annullare la decisione controversa o, in subordine, rinviare la causa dinanzi al Tribunale;
– condannare la Commissione alle spese sostenute nell’ambito dei procedimenti di primo grado e di impugnazione, e
– condannare la PriceRunner a sopportare le spese connesse al suo intervento.
49 La Commissione chiede che la Corte voglia:
– respingere l’impugnazione, e
– condannare le ricorrenti alle spese.
50 La PriceRunner chiede che la Corte voglia:
– respingere l’impugnazione, e
– condannare le ricorrenti alle spese da essa sostenute.
51 La CCIA chiede che la Corte voglia:
– annullare la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la decisione controversa;
– annullare integralmente la decisione controversa o, in subordine, rinviare la causa dinanzi al Tribunale, e
– condannare la Commissione alle spese da essa sostenute.
52 L’Autorità di vigilanza EFTA chiede che la Corte voglia:
– respingere l’impugnazione, e
– condannare le ricorrenti alle spese.
53 Il BEUC chiede che la Corte voglia:
– respingere l’impugnazione, e
– condannare le ricorrenti alle spese da esso sostenute nell’ambito dell’impugnazione.
54 La Foundem chiede che la Corte voglia:
– respingere l’impugnazione in quanto manifestamente irricevibile o in quanto infondata nella sua interezza e
– condannare le ricorrenti alle spese da essa sostenute.
55 La Kelkoo chiede che la Corte voglia:
– respingere l’impugnazione in quanto irricevibile nella parte in cui è diretta contro constatazioni in punto di fatto effettuate dal Tribunale e in quanto infondata per il resto, e
– condannare le ricorrenti alle spese da essa sostenute.
56 Il VDZ, la Ladenzeile e il BDZV chiedono che la Corte voglia:
– respingere integralmente l’impugnazione, e
– condannare le ricorrenti alle spese, comprese quelle da essi sostenute.
57 La Twenga chiede che la Corte voglia:
– respingere i motivi di impugnazione dedotti dalle ricorrenti;
– confermare la sentenza impugnata;
– confermare la decisione controversa, e
– condannare le ricorrenti alle spese.
58 All’udienza del 19 settembre 2023, in risposta ad un quesito posto dalla Corte, le ricorrenti hanno precisato che chiedevano l’annullamento della sentenza impugnata unicamente nella misura in cui il Tribunale aveva respinto il loro ricorso in primo grado, circostanza di cui si è preso atto nel verbale d’udienza. Pertanto, le ricorrenti hanno rinunciato all’impugnazione laddove questa era diretta contro la parte della sentenza impugnata con la quale il Tribunale aveva accolto i capi delle conclusioni da essi formulati.
V. Sull’impugnazione
59 A sostegno della loro impugnazione, le ricorrenti deducono quattro motivi. Il primo motivo verte su un errore di diritto in quanto il Tribunale ha confermato la decisione controversa sebbene quest’ultima non soddisfacesse il criterio giuridico richiesto per constatare l’esistenza di un obbligo di fornire un accesso ai comparatori di prodotti. Il secondo motivo verte su un errore di diritto in quanto il Tribunale ha confermato la decisione controversa sebbene quest’ultima non identificasse un comportamento che si discostava dalla concorrenza basata sui meriti. Il terzo motivo verte su errori del Tribunale nel suo esame del nesso di causalità tra l’asserito abuso e i probabili effetti. Il quarto motivo verte su un errore del Tribunale in quanto ha ritenuto che la Commissione non dovesse esaminare se il comportamento fosse idoneo ad escludere concorrenti altrettanto efficaci.
A. Sulla ricevibilità
60 La Foundem fa valere che l’impugnazione deve essere respinta in quanto manifestamente irricevibile. Essa sostiene, in sostanza, che le ricorrenti, senza contestare apertamente i fatti accertati nella sentenza impugnata, tentano di sostituirli con la loro versione di tali fatti, versione che sarebbe contraria alle constatazioni del Tribunale. Tale presentazione ingannevole e snaturata dei fatti inciderebbe su ciascuno dei quattro motivi di impugnazione, dato che gli argomenti giuridici dedotti a sostegno di tali motivi sarebbero fondati su inesattezze di fatto.
61 A questo proposito occorre ricordare che, a norma dell’articolo 256, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, l’impugnazione è limitata alle questioni di diritto. Il Tribunale è competente in via esclusiva ad accertare e valutare i fatti rilevanti, nonché a valutare gli elementi di prova. La valutazione di tali fatti e di tali elementi di prova non costituisce quindi, salvo il caso del loro snaturamento, una questione di diritto, come tale soggetta al controllo della Corte nell’ambito di un’impugnazione (sentenza del 12 gennaio 2023, Lietuvos geležinkeliai/Commissione, C-42/21 P, EU:C:2023:12, punto 60 e la giurisprudenza ivi citata).
62 Pertanto, da un lato, la circostanza che le ricorrenti fonderebbero l’argomentazione giuridica sviluppata nell’ambito della loro impugnazione su una presentazione snaturata dei fatti accertati nella sentenza impugnata deve essere valutata nell’ambito dell’esame della fondatezza dell’impugnazione stessa. Dall’altro lato, la censura di una presentazione ingannevole dei fatti accertati nella sentenza impugnata, senza tuttavia contestare la realtà di tali fatti, quand’anche fosse fondata, non è tale da comportare l’irricevibilità dell’impugnazione.
63 Peraltro, nel caso di specie, l’impugnazione identifica con sufficiente precisione, in ciascuno dei suoi motivi, i punti contestati della sentenza impugnata ed espone le ragioni per le quali tali punti sarebbero, secondo le ricorrenti, viziati da errori di diritto, consentendo, di conseguenza, alla Corte di effettuare il suo controllo di legittimità.
64 Dalle considerazioni che precedono risulta che la presente impugnazione è ricevibile.
B. Nel merito
1. Sul primo motivo
a) Argomenti delle parti
65 Con il primo motivo, composto di due parti, le ricorrenti, sostenute dalla CCIA, censurano il Tribunale per aver convalidato la decisione controversa, sebbene la Commissione non avesse dimostrato che le condizioni richieste per stabilire un obbligo di fornitura, stabilite dalla giurisprudenza e ricordate ai punti 213, 215 e 216 della sentenza impugnata, fossero soddisfatte.
66 A tal riguardo, le ricorrenti sostengono che è stato contestato a Google, in sostanza, di non aver fornito ai comparatori di prodotti concorrenti l’accesso a «boxes» dedicate posizionate in modo preminente nelle sue pagine di risultati, dotate di funzionalità di visualizzazione arricchite e che non fossero suscettibili di essere retrocesse da algoritmi come Panda.
67 Con la prima parte del loro primo motivo di impugnazione, le ricorrenti criticano il Tribunale per aver illegittimamente sostituito, nei punti da 224 a 228 della sentenza impugnata, la valutazione della Commissione contenuta nella decisione controversa con la propria valutazione secondo cui le condizioni richieste per stabilire un obbligo di fornitura erano soddisfatte. Infatti, il Tribunale avrebbe affermato che la pagina di risultati generale di Google presentava caratteristiche che la avvicinavano a un servizio essenziale (punto 224), che la Commissione ha ritenuto che il traffico di Google fosse indispensabile per i comparatori di prodotti concorrenti (punto 227) e che detta istituzione ha constatato un rischio di eliminazione di qualsiasi concorrenza (punto 228). Orbene, la decisione controversa non formulerebbe siffatte constatazioni, come del resto lo stesso Tribunale avrebbe confermato al punto 223 della sentenza impugnata, quando ha affermato che la Commissione non si era riferita ai criteri dell’obbligo di fornitura.
68 Con la seconda parte del primo motivo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto, ai punti da 229 a 249 della sentenza impugnata, in quanto ha ritenuto che la Commissione non fosse tenuta, al fine di determinare l’esistenza del presunto abuso, ad applicare il test stabilito al punto 41 della sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569).
69 A tal riguardo, le ricorrenti fanno valere che, ai punti 220, 229 e 287 della sentenza impugnata, il Tribunale ha identificato l’asserito abuso come, in sostanza, una violazione, da parte di Google, del suo obbligo di fornire un accesso. Tuttavia, al punto 229 di tale sentenza, il Tribunale avrebbe considerato che le pratiche controverse si distinguevano nei loro elementi costitutivi dal rifiuto di fornitura in discussione nella causa decisa dalla sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569).
70 Con la prima censura, le ricorrenti contestano al Tribunale di aver ritenuto, ai punti da 237 a 240 della sentenza impugnata, che la presente causa dovesse essere distinta da una causa relativa a un rifiuto di fornitura, in quanto essa riguarda una «differenza di trattamento». Orbene, un caso di rifiuto di fornitura costituirebbe solo un tipo particolare di caso di trattamento differenziato, in quanto implicherebbe che l’impresa interessata trattenga un elemento di attivo a proprio vantaggio, rifiutando di fornirlo ai suoi concorrenti.
71 Secondo le ricorrenti, il problema individuato nel caso di specie era l’esistenza di un’infrastruttura, costituita dalle «boxes», a cui i comparatori di prodotti concorrenti non avevano accesso e il fatto che tale infrastruttura fosse più attraente, in termini di posizionamento, di caratteristiche e di assenza di retrocessioni, rispetto all’infrastruttura a cui tali comparatori avevano effettivamente potuto avere «accesso», secondo i termini utilizzati dal Tribunale ai punti 219 e 243 della sentenza impugnata, ossia la presentazione di risultati generici. Descrivere l’asserito abuso come una combinazione di più pratiche, vale a dire una visualizzazione dei risultati del comparatore di prodotti di Google in «boxes» preminenti e una visualizzazione dei risultati dei comparatori di prodotti concorrenti in risultati generici suscettibili di essere retrocessi, sarebbe solo un modo diverso di esprimere il fatto che Google ha trattato in modo diverso i risultati del suo comparatore di prodotti e quelli dei comparatori di prodotti concorrenti per il motivo che non ha fornito a questi ultimi un accesso alle «boxes». Pertanto, contrariamente a quanto il Tribunale avrebbe affermato al punto 232 della sentenza impugnata, la differenza di trattamento in questione non sarebbe una «pratica estrinseca», distinta dall’accesso.
72 Con la seconda censura, le ricorrenti sostengono che, ai punti 177, 219 e 243 della sentenza impugnata, il Tribunale ha, in modo illegittimo ed errato, descritto la decisione controversa come vertente sulle condizioni di fornitura da parte di Google del suo servizio di ricerca generale attraverso l’accesso alle pagine di risultati generali, piuttosto che su un obbligo di fornire un accesso a un’infrastruttura distinta.
73 In primo luogo, il Tribunale avrebbe «riscritto» la decisione controversa, constatando, al punto 219 della sentenza impugnata, che, «contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, nel caso di specie sono in discussione le condizioni alle quali Google fornisce il suo servizio di ricerca generale attraverso l’accesso alle pagine dei risultati generali», mentre una siffatta constatazione non si troverebbe in tale decisione.
74 In secondo luogo, descrivendo la presente causa come vertente su condizioni di fornitura, il Tribunale avrebbe proceduto ad una qualificazione giuridica erronea della stessa. Infatti, tale causa non verterebbe su condizioni di fornitura, vale a dire su condizioni commerciali alle quali un’impresa, che ha scelto di approvvigionarne un’altra, mette poi a disposizione i propri prodotti o servizi. Inoltre, l’infrastruttura in questione non sarebbe l’intera pagina di risultati generale di Google. Al contrario, dalla decisione controversa risulterebbe che le «boxes» costituiscono un’installazione distinta con la propria infrastruttura tecnica e che a Google viene contestato di non aver dato ai comparatori di prodotti concorrenti accesso a tali «boxes». Il fatto che Google abbia fornito ai comparatori di prodotti concorrenti un accesso ai suoi risultati generici non cambierebbe nulla. Pertanto, come in tutti i casi di obbligo di fornitura, la questione nel caso di specie riguarderebbe il diritto di un’impresa di scegliere chi ha accesso ad una determinata installazione. Ciò premesso, sarebbe irrilevante il riferimento, ai punti da 234 a 236 e 239 della sentenza impugnata, alla giurisprudenza relativa alle pratiche di compressione dei margini.
75 Con la terza censura, le ricorrenti sostengono che, ai punti 232 e 233 della sentenza impugnata, il Tribunale ha erroneamente respinto il criterio dell’obbligo di fornitura a motivo della mancanza di una domanda di accesso espressa da parte del concorrente e di un rifiuto espresso dell’impresa dominante. In primo luogo, il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto poiché la giurisprudenza non richiede l’esistenza di una domanda e di un espresso diniego di accesso. In secondo luogo, l’approccio formalistico del Tribunale sarebbe contrario alla logica giuridica ed economica dell’obbligo di fornitura. Occorrerebbe stabilire se la presente causa soddisfi le condizioni giuridiche richieste per l’imposizione di un siffatto obbligo, che costituisce un’ingerenza nelle libertà fondamentali e un’eccezione alla concorrenza in un’economia di mercato. Per contro, l’esistenza o meno di una domanda espressa sarebbe irrilevante. In terzo luogo, il ragionamento del Tribunale si discosterebbe dalla decisione controversa, che avrebbe constatato l’esistenza di una domanda e di un diniego di accesso alle Shopping Units.
76 Con la quarta censura, le ricorrenti contestano al Tribunale di aver respinto, al punto 240 della sentenza impugnata, il criterio dell’obbligo di fornitura, con la motivazione che esso avrebbe qualificato come «attivo» il comportamento in questione, ossia il diverso trattamento riservato da Google ai risultati del suo comparatore di prodotti rispetto ai risultati dei comparatori di prodotti concorrenti. Orbene, la decisione controversa osterebbe alla mancanza «passiva» di fornitura agli altri comparatori di prodotti dello stesso accesso fornito al comparatore di prodotti di Google. Secondo le ricorrenti, il fatto di qualificare il comportamento come «attivo» o «passivo» è irrilevante per distinguere la presente fattispecie dalle cause di rifiuto di fornitura in generale.
77 Con la quinta censura, le ricorrenti contestano le considerazioni del Tribunale, contenute al punto 246 della sentenza impugnata, con le quali esso ha ritenuto irrilevanti le misure correttive della decisione controversa ai fini della valutazione della natura dell’abuso dedotto. La Commissione avrebbe individuato solo due misure per porre fine all’abuso, in quanto Google poteva o concludere accordi con i comparatori di prodotti concorrenti per dare loro un accesso alle sue «boxes» identico a quello di cui disponeva il suo comparatore di prodotti, o eliminare la visualizzazione delle «boxes». La decisione controversa avrebbe, pertanto, chiaramente inteso porre rimedio alla preoccupazione derivante dal fatto che Google rifiutava di fornire un accesso a un’infrastruttura, malgrado che essa fosse in iure tenuta a fornirlo.
78 La Commissione, la PriceRunner, l’Autorità di vigilanza EFTA, il BEUC, la Foundem, la Kelkoo, il VDZ, la Ladenzeile, il BDZV e la Twenga contestano l’argomentazione delle ricorrenti e sostengono che il primo motivo di impugnazione deve essere respinto in quanto irricevibile, inoperante o infondato. In particolare, tale motivo si fonderebbe sull’erronea premessa secondo cui, nella decisione controversa, come confermata dalla sentenza impugnata, il comportamento censurato consisteva unicamente nel fatto che Google mostrava in modo visibile i risultati del suo comparatore di prodotti e rifiutava di dare ai comparatori di prodotti concorrenti l’accesso a un’installazione distinta, asseritamente costituita dalle «boxes», ossia i Products Universals e successivamente le Shopping Units.
b) Giudizio della Corte
1) Sulla seconda parte del primo motivo
79 Con la seconda parte del primo motivo, che deve essere esaminata per prima, le ricorrenti criticano i punti da 229 a 249 della sentenza impugnata, in quanto il Tribunale, rifiutando di applicare al caso di specie le condizioni stabilite al punto 41 della sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569), avrebbe adottato un criterio giuridico errato per valutare l’esistenza di un abuso di posizione dominante.
80 A tale proposito, il Tribunale ha ritenuto, al punto 229 della sentenza impugnata, che, sebbene le pratiche in questione non fossero estranee a un problema di accesso, esse però si differenziavano nei loro elementi costitutivi dal rifiuto di fornitura in questione nella causa decisa dalla sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569), il che giustificava la decisione della Commissione di considerarle nell’ottica di condizioni diverse da quelle rilevate in tale sentenza.
81 Ai punti 230 e 231 della sentenza impugnata, il Tribunale ha precisato che, infatti, qualsiasi problematica totale o parziale di accesso, come quella del caso di specie, non implicava necessariamente l’applicazione delle condizioni enunciate in tale sentenza, in particolare, come indicato dalla Commissione nella decisione controversa, quando la pratica in questione consiste in un comportamento autonomo che, pur potendo presentare gli stessi effetti di esclusione, si distingue, nei suoi elementi costitutivi, da un rifiuto di fornitura.
82 Ai punti 232 e 233 della sentenza impugnata, il Tribunale ha spiegato, in sostanza, che un rifiuto di fornitura che giustifichi l’applicazione delle condizioni enunciate nella sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569), implica, da un lato, che esso sia esplicito, ossia che esistano una domanda o, in ogni caso, un desiderio di ottenere un accesso e un corrispondente rifiuto e, dall’altro, che il comportamento censurato risieda principalmente nel rifiuto in quanto tale, e non in una pratica estrinseca come, in particolare, un’altra forma di abuso per effetto leva. Secondo il Tribunale, l’assenza di un siffatto rifiuto espresso esclude che siano qualificate come rifiuto di fornitura pratiche che, anche se potrebbero avere, in definitiva, come conseguenza un rifiuto implicito di accesso, costituiscono, tenuto conto dei loro elementi costitutivi che si discostano, per loro stessa natura, dalla concorrenza basata sui meriti, una violazione autonoma dell’articolo 102 TFUE.
83 Al punto 234 della sentenza impugnata, il Tribunale ha aggiunto che, se invero tutte o almeno la maggior parte delle «pratiche di esclusione» sono in grado di costituire rifiuti impliciti di fornitura, in quanto tendono a rendere più difficile l’accesso a un mercato, la sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569), non può essere applicata a tutte queste pratiche, salvo disattendere la lettera e lo spirito dell’articolo 102 TFUE, la cui portata non può essere limitata alle pratiche abusive relative a beni e servizi «indispensabili» ai sensi di tale sentenza.
84 Al punto 235 della sentenza impugnata, il Tribunale ha osservato che, in diverse cause che sollevavano problematiche di accesso ad un servizio, come eventuali pratiche di compressione dei margini, non era stata richiesta la dimostrazione della condizione di indispensabilità. Al riguardo, esso ha ritenuto, al punto 236 della sentenza impugnata, che non si potesse dedurre dalla sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569), che le condizioni necessarie per stabilire l’esistenza di un rifiuto abusivo di fornitura debbano essere necessariamente applicate nel contesto della valutazione del carattere abusivo di un comportamento consistente nel sottoporre la fornitura di servizi o la vendita di prodotti a condizioni svantaggiose o alle quali l’acquirente potrebbe non essere interessato, poiché tali comportamenti possono costituire, di per sé, una forma autonoma di abuso, diversa dal rifiuto di fornitura.
85 Ai punti da 237 a 241 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto, in sostanza, che venisse in questione, nel caso di specie, non un semplice rifiuto unilaterale da parte di Google di fornire alle imprese concorrenti un servizio necessario per esercitare una concorrenza su un mercato vicino, bensì una differenza di trattamento contraria all’articolo 102 TFUE. Esso ha rilevato che le pratiche controverse presentavano un carattere «attivo» che si traduceva in atti positivi di discriminazione tra il servizio di comparazione di prodotti di Google e i servizi di comparazione di prodotti concorrenti e che tali pratiche costituivano una forma autonoma di abuso per effetto leva a partire da un mercato dominato, caratterizzato da forti barriere all’ingresso, ossia il mercato dei servizi di ricerca generale. Secondo il Tribunale, la Commissione non era pertanto tenuta a dimostrare che le condizioni enunciate nella sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569), fossero soddisfatte per constatare l’esistenza di un abuso di posizione dominante.
86 Ai punti da 242 a 247 della sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto, in particolare, l’argomento di Google secondo cui la decisione controversa le imponeva, in sostanza, di trasferire un attivo di valore, ossia lo spazio assegnato ai risultati di ricerca. Esso ha chiarito che l’obbligo, per un’impresa che sfrutta in modo abusivo una posizione dominante, di cedere attivi, stipulare contratti o fornire l’accesso al suo servizio a condizioni non discriminatorie non implica necessariamente l’applicazione delle condizioni enunciate nella sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569). Infatti, non potrebbe esistere un’automaticità tra i criteri di qualificazione giuridica dell’abuso e le misure correttive che consentono di porvi rimedio. Il Tribunale ha aggiunto che il fatto che uno dei modi per porre fine al comportamento abusivo consistesse nel permettere ai concorrenti di apparire nelle «boxes» visualizzate in cima alla pagina di risultati di Google, non significava che le pratiche abusive fossero limitate alla visualizzazione di dette «boxes» e che le condizioni per individuare l’abuso fossero definite in relazione a questo solo aspetto.
87 Per valutare se, come sostengono le ricorrenti, tali considerazioni siano viziate da un errore di diritto, occorre ricordare che l’articolo 102 TFUE vieta, nella misura in cui il commercio tra Stati membri possa esserne pregiudicato, lo sfruttamento abusivo, da parte di una o più imprese, di una posizione dominante sul mercato interno o in una parte sostanziale di esso. Lo scopo di tale articolo è quello di evitare che venga pregiudicata la concorrenza a scapito dell’interesse generale, delle singole imprese e dei consumatori, reprimendo i comportamenti di imprese in posizione dominante che limitano la concorrenza basata sui meriti e sono quindi suscettibili di arrecare un danno diretto a detti soggetti, oppure che impediscono o falsano tale concorrenza e sono quindi suscettibili di arrecare ai predetti un danno indiretto (sentenza del 21 dicembre 2023, European Superleague Company, C-333/21, EU:C:2023:1011, punto 124 e la giurisprudenza ivi citata).
88 Costituiscono comportamenti siffatti quelli che, in un mercato in cui il grado di concorrenza è già indebolito, proprio a causa della presenza di una o più imprese in posizione dominante, ostacolano, in virtù del ricorso a mezzi diversi da quelli che regolano la concorrenza basata sui meriti tra le imprese, il mantenimento del grado di concorrenza esistente sul mercato o lo sviluppo di tale concorrenza (sentenza del 21 dicembre 2023, European Superleague Company, C-333/21, EU:C:2023:1011, punto 125 e la giurisprudenza ivi citata).
89 Per quanto riguarda le pratiche consistenti in un rifiuto di concedere l’accesso a un’infrastruttura sviluppata da un’impresa dominante per le esigenze delle proprie attività e da essa detenuta, risulta dalla giurisprudenza della Corte che un siffatto diniego può costituire un abuso di posizione dominante a condizione non solo che tale diniego sia idoneo a eliminare del tutto la concorrenza sul mercato di cui trattasi da parte del soggetto che ha richiesto l’accesso e non possa essere obiettivamente giustificato, ma anche che l’infrastruttura in sé stessa sia indispensabile per l’esercizio dell’attività di tale soggetto, nel senso che non esiste alcun sostituto reale o potenziale all’infrastruttura stessa (v., in tal senso, sentenze del 26 novembre 1998, Bronner, C-7/97, EU:C:1998:569, punto 41, nonché del 12 gennaio 2023, Lietuvos geležinkeliai/Commissione, C-42/21 P, EU:C:2023:12, punto 79 e la giurisprudenza ivi citata).
90 L’imposizione di tali condizioni, al punto 41 della sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569), era giustificata dalle circostanze proprie di quella causa, che consistevano nel rifiuto, da parte di un’impresa dominante, di consentire a un concorrente l’accesso a un’infrastruttura che essa aveva sviluppato per le esigenze della propria attività, ad esclusione di qualsiasi altro comportamento (sentenze del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione, C-152/19 P, EU:C:2021:238, punto 45, e del 12 gennaio 2023, Lietuvos geležinkeliai/Commissione, C-42/21 P, EU:C:2023:12, punto 80).
91 Infatti, la constatazione che un’impresa dominante ha abusato della propria posizione a causa del rifiuto di contrattare con un concorrente ha come conseguenza che tale impresa è costretta a contrattare con tale concorrente. Orbene, un obbligo del genere è particolarmente lesivo della libertà di contrattare e del diritto di proprietà dell’impresa dominante, dal momento che un’impresa, anche dominante, resta, in linea di principio, libera di rifiutarsi di contrattare e di sfruttare l’infrastruttura da essa sviluppata per le proprie esigenze (sentenza del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione, C-152/19 P, EU:C:2021:238, punto 46).
92 Nel caso di specie, le ricorrenti fanno valere che, nonostante il fatto di aver identificato, ai punti 220, 229 e 287 della sentenza impugnata, l’asserito abuso in termini che dimostrano che si tratta in realtà di sapere se Google sia soggetta a un obbligo di fornire ai comparatori di prodotti concorrenti un accesso a tale infrastruttura, il Tribunale, ai punti 229 e 240 di tale sentenza, ha erroneamente concluso che le pratiche di Google si distinguono nei loro elementi costitutivi da un rifiuto di accesso come quello in discussione nella causa decisa dalla sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569) e che, pertanto, le condizioni stabilite da tale sentenza non si applicano a tali pratiche.
93 Con la prima e la seconda censura, le ricorrenti contestano in particolare al Tribunale di aver considerato che la presente causa verteva su una «differenza di trattamento» per quanto riguarda le condizioni di fornitura, da parte di Google, del suo servizio di ricerca generale attraverso l’accesso alle pagine di risultati generali, piuttosto che su un obbligo di fornire un accesso a un’installazione distinta, costituita dalle «boxes» dedicate posizionate in modo preminente nelle sue pagine di risultati, dotate di funzionalità di visualizzazione arricchite e che non erano suscettibili di essere retrocesse da algoritmi come Panda.
94 A tal riguardo, occorre rilevare, in primo luogo, che le ricorrenti danno una lettura erronea dei punti 220, 229 e 287 della sentenza impugnata.
95 È vero che il Tribunale ha rilevato, al punto 220 della sentenza impugnata, che «si contesta a Google di non consentire ai comparatori di prodotti concorrenti di beneficiare di un posizionamento e di una visualizzazione simili a quelli di cui beneficia il proprio comparatore». Al punto 229 di tale sentenza, esso ha osservato che «le pratiche in questione, come sostiene Google, non [sono] estranee a un problema di accesso». Al punto 287 di detta sentenza, il Tribunale ha constatato che «i risultati dei comparatori concorrenti, quand’anche siano particolarmente pertinenti per gli utenti di Internet, non possono mai beneficiare di un trattamento analogo a quello dei risultati del comparatore di Google, che si tratti del livello del loro posizionamento, in quanto, per le loro stesse caratteristiche, tendono ad essere retrocessi dagli algoritmi di aggiustamento e in quanto le “boxes” sono riservate ai risultati del comparatore di Google, oppure della loro presentazione, dato che i caratteri arricchiti e le immagini sono anch’essi riservati al comparatore di Google».
96 Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, il Tribunale, in tali punti 220, 229 e 287 della sentenza impugnata, non ha affatto identificato l’asserito abuso in termini che dimostrano che si trattava in definitiva di sapere se Google fosse soggetta a un obbligo di fornire un accesso alle «boxes», ossia i Products Universals e successivamente le Shopping Units.
97 Infatti, dai termini stessi di tali punti nonché da una lettura di detti punti nel loro contesto, in particolare dei punti da 219 a 229 e 288 della sentenza impugnata, risulta che a Google è stato contestato di non consentire ai comparatori di prodotti concorrenti del suo comparatore di prodotti di beneficiare, nelle sue pagine di risultati generali, di una visibilità simile a quella di cui beneficiava quest’ultimo e, pertanto, di non garantire una parità di trattamento tra il suo comparatore di prodotti e i comparatori di prodotti concorrenti. Più precisamente, il comportamento contestato a Google consisteva, come parimenti ricordato dal Tribunale ai punti 187 e 261 di tale sentenza, nella combinazione di due pratiche, ossia, da un lato, il posizionamento e la presentazione più favorevoli dei propri risultati specializzati nelle sue pagine di risultati generali rispetto a quelli dei risultati dei comparatori di prodotti concorrenti e, dall’altro, la concomitante retrocessione, da parte di algoritmi di aggiustamento, dei risultati dei comparatori di prodotti concorrenti.
98 Inoltre, poiché le ricorrenti invocano altresì la pertinenza delle misure correttive previste nella decisione controversa, è sufficiente rilevare che esse non imponevano a Google di dare accesso alle «boxes». Infatti, dai punti 71 e 221 della sentenza impugnata risulta che la Commissione ha ingiunto a Google di porre fine al comportamento censurato, sottolineando che, se Google poteva conformarsi a tale ingiunzione in diversi modi, qualsiasi misura di esecuzione doveva garantire che Google non trattasse i servizi di comparazione di prodotti concorrenti «in modo meno favorevole» del suo servizio di comparazione di prodotti nelle sue pagine di risultati generali e che qualsiasi misura di esecuzione avrebbe dovuto sottoporre il servizio di comparazione di prodotti di Google agli «stessi processi e metodi» di posizionamento e di presentazione utilizzati per i servizi di comparazione di prodotti concorrenti.
99 La descrizione del comportamento in questione nella sentenza impugnata evidenzia quindi che tale comportamento riguardava il posizionamento e la presentazione discriminatori nelle pagine di risultati generali del servizio di ricerca generale di Google e non l’accesso alle «boxes».
100 Pertanto, al punto 177 della sentenza impugnata, il Tribunale ha indicato, in particolare, che l’infrastruttura in questione erano le pagine di risultati generali di Google che generavano traffico verso gli altri siti Internet, segnatamente quelli dei comparatori di prodotti concorrenti, e che tale infrastruttura era, in linea di principio, aperta.
101 Inoltre, ai punti 219 e 243 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che erano in discussione le condizioni della fornitura, da parte di Google, del suo servizio di ricerca generale attraverso l’accesso alle pagine di risultati generali da parte dei comparatori di prodotti concorrenti.
102 Infine, dopo aver riassunto, ai punti 220 e 221 della sentenza impugnata, il tenore dei considerando 662, 699 e 700, lettera c), della decisione controversa, il Tribunale ha constatato, al punto 222 di tale sentenza, che tale decisione riguardava un accesso paritario del comparatore di prodotti di Google e dei comparatori di prodotti concorrenti alle pagine di risultati generali di Google, indipendentemente dai tipi di risultati in questione – risultati generici, Product Universals o Shopping Units – e tendeva quindi a concedere ai comparatori di prodotti concorrenti un accesso alle pagine di risultati generali di Google in un posizionamento e in una presentazione tanto visibili quanto quelli del comparatore di prodotti di quest’ultima.
103 È quindi pacifico che, quando ha rilevato, al punto 229 della sentenza impugnata, che le pratiche in questione «non [sono] estranee a un problema di accesso», il Tribunale ha fatto riferimento non già all’accesso dei comparatori di prodotti concorrenti alle «boxes», bensì al loro accesso alle pagine di risultati generali di Google in condizioni non discriminatorie.
104 In secondo luogo, non si può contestare al Tribunale di aver sostituito, al punto 219 della sentenza impugnata, la propria valutazione a quella contenuta nella decisione controversa. La descrizione del comportamento in questione, così come effettuata dal Tribunale, costituisce, infatti, solo un modo di descrivere il fatto che a Google sono stati contestati il posizionamento e la presentazione più favorevoli, nelle pagine di risultati di ricerca generale di Google, del suo comparatore di prodotti rispetto ai comparatori di prodotti concorrenti, il che è indicato a più riprese nella decisione controversa e nella sentenza impugnata, con variazioni minime nella formulazione utilizzata.
105 In terzo luogo, non può essere accolto l’argomento delle ricorrenti secondo cui le «boxes» costituirebbero un’installazione distinta dalle pagine di risultati generali di Google, sicché il Tribunale avrebbe dovuto considerare che si trattava nel caso di specie della questione se fosse giustificato imporre a Google di dare ai comparatori di prodotti concorrenti l’accesso a tale installazione. Infatti, come ha sottolineato, in sostanza, l’avvocato generale ai paragrafi 114 e 115 delle sue conclusioni, anche se le «boxes» sono evidenziate nella pagina di risultati generale di Google, esse non costituiscono un’infrastruttura distinta da tale pagina nel senso di una pagina di risultati autonoma.
106 Inoltre, è pacifico che i comparatori di prodotti concorrenti rispetto a quello di Google avevano accesso al suo servizio di ricerca generale e alle pagine di risultati generali. Pertanto, a Google non viene affatto contestato di aver rifiutato tale accesso.
107 Pertanto, lo svantaggio che risulta per i comparatori di prodotti concorrenti di Google dalla combinazione delle due pratiche in questione – ossia, da un lato, il posizionamento e la presentazione più favorevoli dei propri risultati specializzati nelle sue pagine di risultati generali rispetto a quelli dei risultati dei comparatori di prodotti concorrenti e, dall’altro, la concomitante retrocessione, da parte di algoritmi di aggiustamento, dei risultati dei comparatori di prodotti concorrenti – riguarda le condizioni di accesso alla pagina di risultati generale di Google, e non l’accesso a un’infrastruttura asseritamente distinta, costituita dalle «boxes».
108 In quarto luogo, come rilevato, in sostanza, dal Tribunale ai punti 223, 237 e 240 della sentenza impugnata, la Commissione ha considerato nella decisione controversa che, combinando queste due pratiche e quindi operando una discriminazione tra il proprio comparatore di prodotti e i comparatori di prodotti concorrenti nelle sue pagine di ricerca generale, Google faceva leva sulla sua posizione dominante sul mercato della ricerca generale, caratterizzato da forti barriere all’ingresso, per favorire il proprio comparatore di prodotti sul mercato dei servizi di comparazione di prodotti, e che tale comportamento conduceva ad un’esclusione potenziale o attuale della concorrenza in quest’ultimo mercato, situato a valle.
109 Alla luce di tale circostanza, il Tribunale ha constatato, ai punti 229 e 240 della sentenza impugnata, che la Commissione non era tenuta a dimostrare che le condizioni enunciate nella sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569), ricordate al punto 89 della presente sentenza, fossero soddisfatte, per giungere a una constatazione di infrazione sulla base delle pratiche constatate, dal momento che queste ultime si distinguono nei loro elementi costitutivi da un diniego di accesso come quello in discussione nella causa decisa da detta sentenza e costituiscono una forma autonoma di abuso per effetto leva.
110 Orbene, come ricordato al punto 90 della presente sentenza, dalla giurisprudenza scaturente dalla sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569), risulta che l’imposizione delle condizioni menzionate al punto 41 di tale sentenza era giustificata dalle circostanze proprie della causa che ha dato luogo a detta sentenza, che consistevano nel rifiuto, da parte di un’impresa dominante, di dare accesso a un concorrente a un’infrastruttura da essa sviluppata per le esigenze della propria attività, ad esclusione di qualsiasi altro comportamento.
111 Per contro, qualora un’impresa dominante conceda l’accesso alla propria infrastruttura ma subordini tale accesso, la fornitura di servizi o la vendita di prodotti a condizioni inique, le condizioni stabilite dalla Corte al punto 41 della sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569), non si applicano. È vero che, quando l’accesso a una simile infrastruttura, o persino a un servizio o a un componente, è indispensabile per consentire ai concorrenti dell’impresa dominante di operare in modo redditizio su un mercato a valle, è tanto più probabile che pratiche inique su tale mercato avranno effetti anticoncorrenziali quanto meno potenziali e costituiranno un abuso ai sensi dell’articolo 102 TFUE. Tuttavia, nel caso di pratiche diverse da un rifiuto di accesso, l’assenza di tale indispensabilità non è di per sé decisiva ai fini dell’esame di condotte potenzialmente abusive da parte di un’impresa dominante (sentenze del 25 marzo 2021 Deutsche Telekom/Commissione, C-152/19 P, EU:C:2021:238, punto 50, e del 25 marzo 2021, Slovak Telekom/Commissione, C-165/19 P, EU:C:2021:239, punto 50 e la giurisprudenza ivi citata).
112 Infatti, sebbene comportamenti del genere possano configurare una forma di abuso allorché sono idonei a produrre effetti anticoncorrenziali almeno potenziali, o addirittura effetti di esclusione, sui mercati interessati, essi non possono essere equiparati a un rifiuto puro e semplice di consentire a un concorrente di accedere a un’infrastruttura, in quanto l’autorità garante della concorrenza o il giudice nazionale competente non dovrà obbligare l’impresa dominante a consentire l’accesso alla propria infrastruttura, dato che tale accesso è stato ormai concesso. Le misure che verranno adottate in tale contesto saranno quindi meno lesive della libertà contrattuale dell’impresa dominante e del suo diritto di proprietà che non il fatto di costringerla a dare accesso alla sua infrastruttura quando essa la riservava per le esigenze della propria attività (sentenze del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione, C-152/19 P, EU:C:2021:238, punto 51, e del 25 marzo 2021, Slovak Telekom/Commissione, C-165/19 P, EU:C:2021:239, punto 51).
113 Poiché, come rilevato ai punti da 105 a 107 della presente sentenza, Google concede ai comparatori di prodotti concorrenti accesso al suo servizio di ricerca generale e alle pagine di risultati generali, ma assoggetta tale accesso a condizioni discriminatorie, le condizioni stabilite al punto 41 della sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569), non si applicano al comportamento in questione.
114 Di conseguenza, il Tribunale ha giustamente considerato, ai punti 229 e 240 della sentenza impugnata, che la Commissione non era incorsa in alcun errore di diritto astenendosi dal valutare se il comportamento in questione soddisfacesse dette condizioni.
115 Da quanto sopra esposto risulta che la prima e la seconda censura devono essere respinte.
116 Di conseguenza, le censure dalla terza alla quinta, riguardanti i punti 232, 233, 240 e 246 della sentenza impugnata, sono inoperanti.
117 Infatti, con tali censure, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha erroneamente respinto l’applicabilità di dette condizioni, ai punti 232 e 233 della sentenza impugnata, a motivo della mancanza di una domanda di accesso e di un diniego espresso, nonché, al punto 240 di tale sentenza, per il motivo che il comportamento in questione, ossia il trattamento diverso riservato da Google ai risultati del suo comparatore di prodotti rispetto ai risultati dei comparatori di prodotti concorrenti, era un comportamento «attivo» e non «passivo». Al punto 246 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che le misure correttive della decisione controversa non fossero pertinenti per valutare la natura dell’abuso dedotto.
118 Orbene, quand’anche tali considerazioni del Tribunale fossero viziate da errori di diritto, la loro analisi non è necessaria, in quanto esso non ha commesso alcun errore di diritto nel ritenere che il comportamento in questione non costituisse un diniego di accesso soggetto alle condizioni stabilite al punto 41 della sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569).
119 Di conseguenza, la seconda parte del primo motivo dev’essere respinta.
2) Sulla prima parte del primo motivo
120 Con la prima parte del primo motivo, le ricorrenti criticano il Tribunale per avere, ai punti da 224 a 228 della sentenza impugnata, illegittimamente sostituito alla valutazione della Commissione contenuta nella decisione controversa la propria valutazione secondo cui le condizioni stabilite al punto 41 della sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569) erano soddisfatte, anche se nessuna constatazione in tal senso era stata fatta nella decisione controversa.
121 Tuttavia, poiché, come si è detto al punto 118 della presente sentenza, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto nel ritenere che la condotta imputata a Google non dovesse essere valutata in base a tali condizioni, tale prima parte del primo motivo dev’essere respinta in quanto inoperante.
122 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre respingere il primo motivo nella sua interezza.
2. Sul secondo motivo
a) Argomenti delle parti
123 Con il secondo motivo, che si compone di tre parti, le ricorrenti, sostenute dalla CCIA, fanno valere che, se l’asserito abuso non era un diniego di fornitura di accesso, la decisione controversa doveva, per dimostrare una violazione dell’articolo 102 TFUE, identificare un’altra «pratica estrinseca» e dimostrare che tale pratica si discostava dalla concorrenza basata sui meriti. A questo proposito, come il Tribunale avrebbe ricordato segnatamente ai punti da 162 a 164 della sentenza impugnata, non sarebbe sufficiente individuare una semplice estensione tramite effetto leva di una posizione dominante su un mercato a un mercato vicino, anche se tale estensione porta alla scomparsa o alla marginalizzazione dei concorrenti.
124 Con la prima parte del secondo motivo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto in quanto, ai punti 175 e 197 della sentenza impugnata, ha ritenuto che alcune circostanze relative ai probabili effetti della condotta di Google, riassunte nei punti da 169 a 174 di tale sentenza, fossero in grado di determinare se Google svolgesse una concorrenza basata sui meriti.
125 Più precisamente, le ricorrenti rilevano che, ai punti 195 e 196 della sentenza impugnata, il Tribunale ha riconosciuto che il considerando 341 della decisione controversa non era sufficiente per valutare la fondatezza del comportamento in questione, in quanto esso verteva «soltanto sugli effetti di esclusione dal mercato» del comportamento di Google, ma ha indicato che tale considerando doveva essere letto in combinato disposto con il considerando 342 di tale decisione, che enunciava tre circostanze. Ai punti 169, 175, 196, 197, 219 e 283 di tale sentenza, tali circostanze sarebbero state considerate dal Tribunale rilevanti per qualificare la differenza di trattamento tra Google e i suoi concorrenti come deviazione dalla concorrenza basata sui meriti.
126 Secondo le ricorrenti, queste tre circostanze non sono correlate alla natura della condotta di Google, ma attengono all’entità e alle fonti del traffico di ricerca e concernono gli asseriti probabili effetti di tale condotta. Esse non costituirebbero pertanto un valido fondamento per pronunciarsi sulla questione se Google si sia discostata dalla concorrenza basata sui meriti in quanto si è riservata un trattamento diverso da quello applicato ai suoi concorrenti.
127 Nella loro memoria di replica, le ricorrenti precisano che, sebbene i fattori presi in considerazione per dimostrare una deviazione rispetto alla concorrenza basata sui meriti non debbano riferirsi soltanto alla natura del comportamento in questione, essi devono tuttavia consentire di qualificare tale natura. Pertanto, contrariamente a quanto sosterrebbe la Commissione, non possono essere sufficienti semplici fattori che accompagnano tale comportamento.
128 Con la seconda parte del secondo motivo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto in quanto ha illecitamente «riscritto» la decisione controversa. Infatti, esso avrebbe addotto tre elementi di motivazione supplementari, che non figuravano in tale decisione, al fine di colmare una lacuna nella motivazione di quest’ultima e di spiegare in che modo il comportamento in questione si era asseritamente discostato dalla concorrenza basata sui meriti. Questi tre elementi di motivazione supplementari sarebbero: in primo luogo, un criterio giuridico più severo per le imprese «superdominanti» (punti 180, 182 e 183 della sentenza impugnata); in secondo luogo, il fatto che sarebbe anomalo per Google «limitare la portata dei suoi risultati ai propri», in quanto Google sarebbe aperta a mostrare risultati per tutti i contenuti (punti da 176 a 184); e, in terzo luogo, la descrizione del comportamento denunciato come equivalente a un trattamento discriminatorio (punti 124, 237, 240, 279 e da 284 a 289).
129 Nella loro memoria di replica, le ricorrenti contestano innanzitutto l’osservazione della Commissione secondo cui il Tribunale avrebbe addotto soltanto ad abundantiam due di questi elementi di motivazione, ossia quello relativo all’anormalità della condotta di Google (punti da 176 a 179 della sentenza impugnata) e quello relativo all’applicazione di un criterio giuridico più rigoroso a causa della «superdominanza» di Google (punto 180). In secondo luogo, le ricorrenti respingono l’idea che l’affermazione del Tribunale secondo cui Google avrebbe cambiato il proprio comportamento (punti da 181 a 184) costituirebbe semplicemente, come suggerito anche dalla Commissione, delle «spiegazioni aggiuntive».
130 Con la terza parte del secondo motivo, le ricorrenti fanno valere che gli elementi di motivazione supplementari addotti dal Tribunale, come rilevati nella seconda parte del secondo motivo, per spiegare in che modo Google non ha messo in atto una concorrenza basata sui meriti sono, in ogni caso, errati in diritto.
131 Con una prima censura, le ricorrenti sostengono che, ai punti 180, 182 e 183 della sentenza impugnata, il Tribunale ha applicato un criterio giuridico errato basandosi su una nozione di posizione «superdominante» per valutare la fondatezza del comportamento di Google. Orbene, in primo luogo, il grado di posizione dominante sarebbe irrilevante ai fini dell’accertamento dell’esistenza di un abuso di posizione dominante, in quanto tale, ai sensi dell’articolo 102 TFUE. In secondo luogo, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che, a causa della posizione «superdominante» di Google, dovesse essere presa in considerazione nella valutazione del comportamento di Google alla luce di tale articolo 102 TFUE la regola della parità di trattamento dei fornitori di accesso a Internet, prevista dal regolamento (UE) 2015/2120 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, che stabilisce misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta e che modifica la direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica e il regolamento (UE) n. 531/2012 relativo al roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili all’interno dell’Unione (GU 2015, L 310, pag. 1). Il fatto di qualificare Google come «superdominante» o come «porta di accesso ad Internet» non può estendere l’applicazione di tale regola di parità di trattamento in modo da introdurre obblighi più ampi ai sensi di detto articolo 102 TFUE.
132 Con la seconda censura, le ricorrenti sostengono che, ai punti da 176 a 179 della sentenza impugnata, il Tribunale ha commesso un errore di diritto ritenendo che fosse anormale che un servizio di ricerca mostrasse solo i propri risultati. Esse contestano anche le affermazioni del Tribunale, ai punti da 181 a 184 di tale sentenza, in quanto non vi sarebbe stato alcun cambiamento nella condotta di Google che avrebbe reso ancor più evidente una deviazione rispetto alla concorrenza basata sui meriti.
133 Con la terza censura, le ricorrenti fanno valere che, ai punti 71, 124, 237, 240, 279 e da 284 a 288 della sentenza impugnata, il Tribunale ha erroneamente qualificato il comportamento di Google come discriminatorio.
134 In primo luogo, il Tribunale non avrebbe adottato un approccio coerente nella definizione dei due elementi che sarebbero stati trattati in modo discriminatorio. Al punto 285 della sentenza impugnata, nella sua analisi dell’asserita discriminazione, il Tribunale si sarebbe opposto al diverso trattamento dei risultati da parte di Google a seconda che essi provenissero dal suo comparatore di prodotti o da comparatori di prodotti concorrenti. Invece, al punto 575 della sentenza impugnata, nella sua analisi della giustificazione oggettiva, il Tribunale avrebbe ritenuto che la preoccupazione della Commissione nella decisione controversa fosse quella di garantire la parità di trattamento tra due tipi di risultati di Google, ossia i risultati generici e i risultati specializzati.
135 In secondo luogo, il Tribunale avrebbe commesso un errore in quanto non avrebbe dimostrato che Google aveva proceduto a una differenza di trattamento arbitraria, in quanto il semplice fatto di applicare un trattamento differente non è sufficiente per concludere nel senso dell’esistenza di una discriminazione. Secondo le ricorrenti, non è arbitrario per un servizio di ricerca agire unicamente in quanto produttore dei propri risultati, basati sui suoi dati e sui suoi algoritmi. Inoltre, l’incapacità di Google di mostrare risultati specializzati di terzi presentanti la stessa affidabilità e la stessa qualità dei propri risultati sarebbe una differenza oggettiva rilevante. Per gli stessi motivi, la censura del Tribunale, espressa ai punti 287, 291 e 292 della sentenza impugnata, secondo cui i risultati specializzati per prodotti provenienti da terzi non beneficiavano dello stesso trattamento di quelli di Google, anche se erano particolarmente pertinenti, sarebbe infondata. In quanto produttore di risultati di ricerca, Google mostrerebbe i migliori risultati possibili che può produrre. Inoltre, le ricorrenti sostengono che, sebbene venga loro contestato di aver trattato in modo differente due tipi di risultati di Google, come risulterebbe dal punto 575 della sentenza impugnata, tale differenza era parimenti fondata su considerazioni obiettive e ragionevoli.
136 Nella loro memoria di replica, le ricorrenti precisano che un’impresa dominante si discosta dalla concorrenza basata sui meriti se pregiudica la qualità del suo servizio e agisce contro il suo interesse.
137 La Commissione, la PriceRunner, il BEUC, la Foundem, la Kelkoo, il VDZ, la Ladenzeile, il BDZV e la Twenga contestano l’argomentazione delle ricorrenti e sostengono che il secondo motivo di impugnazione deve essere respinto in quanto in parte irricevibile nonché inoperante, e in ogni caso perché infondato.
b) Giudizio della Corte
138 Con il loro secondo motivo, le ricorrenti contestano al Tribunale di aver commesso un errore di diritto considerando che la Commissione aveva dimostrato che il comportamento in questione non rientrava nella concorrenza basata sui meriti.
139 A tal riguardo, il Tribunale ha ricordato, ai punti 166 e 167 della sentenza impugnata, che, per concludere nel senso dell’esistenza di una violazione dell’articolo 102 TFUE, la Commissione non si era semplicemente riferita a pratiche per effetto leva, ma aveva ritenuto che, attraverso tale effetto, Google si fosse basata sulla sua posizione dominante sul mercato della ricerca generale per favorire il suo servizio di comparazione di prodotti sul mercato della ricerca specializzata di comparazione dei prodotti, valorizzando il posizionamento e la presentazione del suo comparatore di prodotti e dei suoi risultati nelle sue pagine di risultati generali, rispetto ai servizi dei comparatori di prodotti concorrenti.
140 Al punto 168 della sentenza impugnata, il Tribunale ha precisato che, al punto 344 della decisione controversa, la Commissione aveva osservato che i risultati dei comparatori di prodotti concorrenti potevano apparire solo come risultati generici, ossia semplici link blu, che erano inoltre inclini ad essere retrocessi nelle pagine di risultati generali di Google da algoritmi di aggiustamento, mentre i risultati del comparatore di prodotti di Google erano posizionati bene in vista nella parte alta di tali pagine di risultati generali, presentati in un formato arricchito e non suscettibili di essere retrocessi da detti algoritmi. Il Tribunale ha aggiunto che, secondo la Commissione, tali pratiche comportavano una differenza di trattamento sotto forma di favoritismo da parte di Google verso il proprio comparatore di prodotti.
141 Ai punti da 169 a 173 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che, nelle sezioni da 7.2.2 a 7.2.4 della decisione controversa, la Commissione aveva spiegato, in particolare, che, a causa del ricorrere di tre circostanze specifiche, tale favoritismo era tale da condurre ad un indebolimento della concorrenza sul mercato. Esso ha illustrato l’analisi della Commissione di queste tre circostanze, menzionate anche nel punto 196 di detta sentenza, che erano, in primo luogo, l’importanza del traffico generato dal motore di ricerca generale di Google per i comparatori di prodotti, in secondo luogo, il comportamento degli utenti che effettuano ricerche su Internet e, in terzo luogo, il fatto che il traffico deviato proveniente dalle pagine di risultati generali di Google rappresentava un’ampia percentuale del traffico verso i comparatori di prodotti concorrenti e non poteva essere efficacemente sostituito da altre fonti.
142 Al punto 174 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che la Commissione non fosse incorsa in alcun errore di diritto nel considerare che l’entità del traffico di Google proveniente dalle sue pagine di ricerca generale e il suo carattere non effettivamente sostituibile costituissero, alla luce dei fattori contestuali ricordati ai punti da 168 a 173 di tale sentenza, circostanze rilevanti in grado di caratterizzare l’esistenza di pratiche non implicanti una concorrenza basata sui meriti.
143 Al punto 175 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che la Commissione non si era limitata a constatare l’esistenza di un effetto leva e aveva qualificato in diritto le pratiche di Google che accompagnavano tale effetto, basandosi su criteri pertinenti. Esso ha quindi giudicato che, a condizione che il favoritismo e i suoi effetti, identificati tenuto conto delle circostanze specifiche dei mercati interessati, fossero stati validamente dimostrati dalla Commissione – circostanza che era oggetto di un successivo esame da parte del Tribunale –, detta istituzione aveva correttamente ritenuto che tale favoritismo si discostasse dalla concorrenza basata sui meriti.
144 Al punto 189 della sentenza impugnata, il Tribunale ha aggiunto che tale conclusione non era inficiata dagli argomenti della CCIA secondo i quali l’assenza di un criterio giuridico chiaro formulato nella decisione controversa violava il principio della certezza del diritto. A questo proposito, esso ha rilevato, al punto 195 di detta sentenza, che invero il considerando 341 della decisione controversa esponeva le ragioni per cui le pratiche in questione si discostavano dalla concorrenza basata sui meriti, precisando, in sostanza, che, da un lato, tali pratiche avevano sviato il traffico e, dall’altro, esse potevano avere effetti anticoncorrenziali. Pertanto, mediante tale considerando, singolarmente preso, sarebbe parso che la Commissione avesse dedotto la natura deviante di tali pratiche rispetto alla concorrenza basata sui meriti dall’esistenza di effetti di esclusione dal mercato che ne derivano.
145 Al punto 196 della sentenza impugnata, il Tribunale ha tuttavia considerato che tale considerando 341 doveva essere letto in combinato disposto con il considerando 342 della decisione controversa, in cui la Commissione aveva spiegato, «al fine di dimostrare il motivo per cui la condotta è abusiva e non rientra nell’ambito della concorrenza basata sui meriti», che le pratiche in questione consistevano per Google nel favorire il proprio comparatore di prodotti a scapito dei comparatori concorrenti e che tale favoritismo si inseriva in un contesto particolare. Quest’ultimo considerando enuncerebbe i numerosi elementi presi in considerazione dalla Commissione per dimostrare il motivo per cui la pratica in questione si discostava dalla concorrenza basata sui meriti e, in particolare, le tre circostanze specifiche indicate nelle sezioni da 7.2.2. a 7.2.4. della decisione controversa e ricordate nei punti da 170 a 173 di tale sentenza.
146 Al punto 197 della sentenza impugnata, il Tribunale ha quindi considerato che l’analisi della Commissione che portava a constatare un abuso per effetto leva consentiva di concludere nel senso dell’esistenza di un’infrazione basandosi, da un lato, su elementi sospetti ai sensi del diritto della concorrenza che erano assenti nel caso di un diniego di accesso, in particolare una differenza di trattamento non giustificata, e, dall’altro, su circostanze specifiche, relative alla natura dell’infrastruttura all’origine di tale differenza di trattamento, nel caso di specie, l’importanza del traffico di Google proveniente dalle sue pagine di ricerca generali e il suo carattere non effettivamente sostituibile.
1) Sulla prima parte del secondo motivo
147 Con la prima parte del loro secondo motivo, i ricorrenti imputano, in sostanza, al Tribunale di aver commesso un errore di diritto, ai punti 175 e 197 della sentenza impugnata, ritenendo che le tre circostanze specifiche di cui ai punti da 169 a 174 e 196 di tale sentenza fossero rilevanti per determinare se la condotta in questione costituisse concorrenza basata sui meriti.
i) Sulla ricevibilità
148 La Commissione sostiene che la prima parte del secondo motivo è irricevibile. Infatti, le ricorrenti non potrebbero far valere per la prima volta dinanzi alla Corte che queste tre circostanze, esposte nella sezione 7.2 della decisione controversa, riguardavano la possibilità che il comportamento in questione fosse idoneo a restringere la concorrenza, e non che esso non rientrasse nella concorrenza basata sui meriti.
149 Al fine di pronunciarsi sul profilo di inammissibilità procedurale così sollevato dalla Commissione, occorre rilevare che, con questa prima parte del secondo motivo, le ricorrenti contestano una parte della risposta del Tribunale al quinto motivo di ricorso in primo grado, esposta ai punti da 169 a 175 e 197 della sentenza impugnata.
150 Secondo la sintesi contenuta al punto 136 di tale sentenza, con la prima parte di tale quinto motivo, le ricorrenti sostenevano che la decisione controversa non aveva identificato, nel comportamento di Google consistito nell’attuazione di miglioramenti qualitativi del suo servizio di ricerca su Internet, elementi che si discostassero dalla concorrenza basata sui meriti.
151 Con la prima parte del secondo motivo di impugnazione, le ricorrenti contestano l’interpretazione e l’applicazione del diritto dell’Unione effettuate dal Tribunale, che hanno indotto quest’ultimo a constatare, ai punti 175 e 197 della sentenza impugnata, che la Commissione non si era basata sulla mera esistenza di effetti di esclusione dal mercato derivanti dalle pratiche in questione per concludere che queste ultime si discostavano da una concorrenza basata sui meriti.
152 A questo proposito, occorre ricordare che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, consentire a una parte di sollevare dinanzi alla Corte medesima per la prima volta un motivo che detta parte non ha dedotto dinanzi al Tribunale equivarrebbe a consentirle di sottoporre alla Corte una controversia più ampia di quella su cui è stato chiamato a pronunciarsi il Tribunale. Nell’ambito di un’impugnazione, la competenza della Corte è, in linea di principio, limitata all’esame della valutazione, compiuta dal Tribunale, dei motivi dinanzi ad esso discussi. Tuttavia, un argomento che non è stato dedotto in primo grado non costituisce un motivo nuovo, irricevibile in sede di impugnazione, se rappresenta un mero ampliamento di un’argomentazione già sviluppata nell’ambito di un motivo presentato nel ricorso introduttivo dinanzi al Tribunale (sentenza del 9 dicembre 2020, Groupe Canal +/Commissione, C-132/19 P, EU:C:2020:1007, punto 28 e la giurisprudenza ivi citata).
153 Inoltre, un motivo di impugnazione deve, a pena di irricevibilità, essere diretto ad ottenere l’annullamento non della decisione contestata in primo grado, bensì della sentenza del Tribunale di cui si chiede l’annullamento, contenendo un’argomentazione specificamente diretta ad identificare l’errore di diritto che vizierebbe tale sentenza. Pertanto, un ricorrente è legittimato a proporre un’impugnazione facendo valere motivi che trovano spunto nella stessa sentenza impugnata e diretti a contestarne, in diritto, la fondatezza (sentenza del 25 gennaio 2022, Commissione/European Food e a., C-362/19 P, EU:C:2022:50, punto 77 e la giurisprudenza ivi citata).
154 Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, gli argomenti sviluppati dalle ricorrenti nell’ambito della prima parte del secondo motivo sono strettamente connessi al quinto motivo esposto nel ricorso introduttivo in primo grado, che rimetteva in discussione le constatazioni effettuate a partire dal considerando 341 della decisione controversa, secondo cui le pratiche in questione esulano dall’ambito della concorrenza basata sui meriti, e, nella misura in cui detti argomenti mirano a dimostrare che erroneamente il Tribunale, ai punti 175 e 197 della sentenza impugnata, ha considerato che la Commissione avesse qualificato in diritto le pratiche in questione che accompagnavano l’effetto leva basandosi su criteri pertinenti, essi costituiscono l’ampliamento del suddetto motivo e non un motivo nuovo, proposto per la prima volta nell’ambito dell’impugnazione.
155 Peraltro, le ricorrenti non si limitano a riprodurre gli argomenti dedotti in primo grado, ma affermano che il Tribunale, rispondendo a tali argomenti, ha reso la sentenza impugnata viziata da un errore di diritto. Di conseguenza, anche se, come rileva la Commissione, una parte dell’argomentazione delle ricorrenti viene dedotta per la prima volta dinanzi alla Corte, resta il fatto che essa ha origine dalla stessa sentenza impugnata.
156 Pertanto, la prima parte del secondo motivo è ricevibile.
ii) Nel merito
157 Dopo aver ricordato, ai punti 164 e 165 della sentenza impugnata, che gli effetti di leva praticati da un’impresa dominante non sono vietati in quanto tali dall’articolo 102 TFUE e che l’ambito di applicazione ratione materiae della responsabilità particolare gravante su un’impresa dominante deve essere valutato alla luce delle circostanze specifiche di ciascun caso di specie, che dimostrano un indebolimento della concorrenza, il Tribunale ha statuito, ai punti da 166 a 175 della sentenza impugnata, che la Commissione, nella decisione controversa, non si era limitata a constatare un siffatto effetto leva e aveva qualificato in diritto le pratiche di Google che accompagnavano tale effetto, basandosi su criteri pertinenti, cosicché essa non aveva commesso alcun errore di diritto nel ritenere che il comportamento in questione, consistente per Google nel favorire il proprio comparatore di prodotti, non rientrasse nella concorrenza basata sui meriti.
158 Analogamente, ai punti da 195 a 197 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che la Commissione non aveva dedotto l’abuso per effetto leva dall’esistenza di effetti di esclusione dal mercato derivanti da tali pratiche, ma aveva fondato la propria analisi basandosi, da un lato, su elementi sospetti alla luce del diritto della concorrenza, in particolare su una differenza di trattamento non giustificata, e, dall’altro, su circostanze specifiche pertinenti relative alla natura dell’infrastruttura all’origine di tale differenza di trattamento, il che le aveva effettivamente consentito di concludere per l’esistenza di una violazione dell’articolo 102 TFUE.
159 Per quanto riguarda le circostanze specifiche fatte proprie dalla Commissione nella decisione controversa, riportate nei punti da 169 a 173 della sentenza impugnata, la prima di tali circostanze riguardava l’importanza del traffico generato dal motore di ricerca generale di Google per i comparatori di prodotti. Il Tribunale ha rilevato, in particolare, che la Commissione aveva spiegato che tale traffico consentiva di beneficiare di effetti di rete positivi, in quanto più un comparatore di prodotti riceveva visite di utenti di Internet, più aumentava la pertinenza e l’utilità dei suoi servizi e più i commercianti erano inclini a farvi ricorso. Esso ha aggiunto che la perdita di tale traffico poteva portare ad un circolo vizioso e, in ultima analisi, ad un’uscita dal mercato.
160 La seconda circostanza era il comportamento degli utenti quando effettuano ricerche su Internet. Il Tribunale ha indicato, in particolare, che la Commissione aveva precisato che tali utenti si concentravano, in generale, sui primi tre-cinque risultati di ricerca, che non accordavano alcuna attenzione, o solo poca, ai risultati che seguivano, e in particolare ai risultati al di sotto della parte immediatamente visibile dello schermo, e che tendevano a presumere che i risultati più visibili fossero i più pertinenti, e ciò indipendentemente dalla loro effettiva pertinenza.
161 La terza circostanza era l’impatto del traffico sviato. Secondo il Tribunale, la Commissione ha sottolineato che tale traffico rappresentava un’ampia parte del traffico verso i servizi di comparazione di prodotti concorrenti e che esso non poteva essere effettivamente sostituito da altre fonti, compresi gli annunci di solo testo, le applicazioni mobili, il traffico diretto, i rinvii verso siti partner, i social network o gli altri motori di ricerca.
162 Come risulta dai punti 174 e 197 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che la Commissione non fosse incorsa in alcun errore di diritto nel ritenere che l’entità del traffico di Google proveniente dalle sue pagine di ricerca generali e il suo carattere non effettivamente sostituibile costituissero, alla luce degli elementi del contesto ricordati ai punti da 168 a 173 di detta sentenza, circostanze pertinenti in grado di caratterizzare l’esistenza di pratiche non implicanti una concorrenza basata sui meriti.
163 Per valutare se le considerazioni del Tribunale così esposte siano viziate da un errore di diritto come asserito dalle ricorrenti, è importante ricordare che, pur facendo pesare sulle imprese in posizione dominante la responsabilità particolare di non pregiudicare, con il loro comportamento, una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato interno, l’articolo 102 TFUE sanziona non già l’esistenza stessa di una posizione dominante, ma solo lo sfruttamento abusivo di quest’ultima (sentenza del 21 dicembre 2023, European Superleague Company, C-333/21, EU:C:2023:1011, punto 128 e la giurisprudenza ivi citata).
164 Infatti, l’articolo 102 TFUE non mira né ad impedire alle imprese di conquistare, grazie ai loro meriti, una posizione dominante su uno o più mercati, né a garantire che rimangano sul mercato imprese concorrenti meno efficaci di quelle che detengono una siffatta posizione. Al contrario, la concorrenza basata sui meriti può, per definizione, portare alla scomparsa o all’emarginazione di imprese concorrenti meno efficaci e dunque meno interessanti per i consumatori in termini, segnatamente, di prezzo, produzione, scelta, qualità o innovazione (sentenza del 21 dicembre 2023, European Superleague Company, C-333/21, EU:C:2023:1011, punti 126 e 127 nonché la giurisprudenza ivi citata).
165 Per poter ritenere, in un determinato caso, che un comportamento debba essere classificato come «sfruttamento abusivo di una posizione dominante» ai sensi dell’articolo 102 TFUE, è necessario, per regola generale, dimostrare che, ricorrendo a mezzi diversi da quelli che regolano la concorrenza basata sui meriti tra le imprese, tale comportamento ha come effetto concreto o potenziale di limitare tale concorrenza, escludendo imprese concorrenti altrettanto efficaci dal mercato o dai mercati interessati, o impedendo il loro sviluppo su tali mercati, fermo restando che questi ultimi possono essere sia quelli in cui è detenuta la posizione dominante, sia quelli, collegati o vicini, in cui detto comportamento è destinato a produrre i suoi effetti concreti o potenziali (sentenza del 21 dicembre 2023, European Superleague Company, C-333/21, EU:C:2023:1011, punto 129 e la giurisprudenza ivi citata).
166 Questa dimostrazione, che può comportare l’utilizzo di griglie d’analisi diverse a seconda del tipo di comportamento in questione in un determinato caso, deve però essere effettuata, in tutti i casi, valutando tutte le circostanze di fatto pertinenti, indipendentemente dal fatto che esse riguardino il comportamento stesso, il mercato o i mercati in questione o il funzionamento della concorrenza su questo o questi mercati. Inoltre, tale dimostrazione deve cercare di stabilire, fondandosi su elementi di analisi e di prova precisi e concreti, che detto comportamento ha, quanto meno, la capacità di produrre effetti di esclusione dal mercato (sentenza del 21 dicembre 2023, European Superleague Company, C-333/21, EU:C:2023:1011, punto 130 e la giurisprudenza ivi citata).
167 Al di là dei soli comportamenti che hanno per effetto, concreto o potenziale, di restringere la concorrenza basata sui meriti, estromettendo imprese concorrenti parimenti efficaci dal mercato o dai mercati interessati, possono essere qualificati come «sfruttamento abusivo di una posizione dominante» anche comportamenti rispetto ai quali sia dimostrato che essi hanno come effetto concreto o potenziale, od anche come obiettivo, quello di impedire in una fase preliminare, mediante la creazione di barriere all’ingresso o il ricorso ad altre misure ostruttive o ad altri mezzi diversi da quelli che regolano la concorrenza basata sui meriti, ad imprese potenzialmente concorrenti anche solo di accedere a detto o a detti mercati e, in tal modo, di impedire lo sviluppo della concorrenza su questi mercati a danno dei consumatori, limitando negli stessi la produzione, lo sviluppo di prodotti o di servizi alternativi, od anche l’innovazione (sentenza del 21 dicembre 2023, European Superleague Company, C-333/21, EU:C:2023:1011, punto 131 e la giurisprudenza ivi citata).
168 Da tale giurisprudenza risulta che tra le circostanze di fatto pertinenti figurano non solo quelle che riguardano il comportamento stesso, ma anche quelle sul mercato o sui mercati di cui trattasi o sul funzionamento della concorrenza su quest’ultimo o su questi ultimi. Pertanto, circostanze relative al contesto in cui è attuato il comportamento dell’impresa in posizione dominante, quali le caratteristiche del settore interessato, devono essere considerate pertinenti.
169 Tuttavia, è giocoforza constatare che le circostanze specifiche descritte nei punti da 169 a 173 della sentenza impugnata costituivano elementi del contesto nel quale operavano il motore di ricerca generale di Google e i servizi di comparazione di prodotti, e nell’ambito del quale è stato realizzato il comportamento in questione.
170 In particolare, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, tali circostanze non attengono ai soli effetti delle pratiche in questione o agli elementi che accompagnano semplicemente tali pratiche, ma sono, come rilevato dal Tribunale al punto 174 della sentenza impugnata, idonee a caratterizzare l’esistenza di pratiche che non rientrano in una concorrenza basata sui meriti.
171 Infatti, dette circostanze erano pertinenti per qualificare in diritto le pratiche in questione – vale a dire, da un lato, il posizionamento e la presentazione più favorevoli dei propri risultati specializzati di Google nelle sue pagine di risultati generali rispetto a quelli dei risultati dei comparatori di prodotti concorrenti e, dall’altro, la concomitante retrocessione, da parte di algoritmi di aggiustamento, dei risultati dei comparatori di prodotti concorrenti – dal momento che esse consentivano di collocare tali pratiche nel contesto dei due mercati interessati e del funzionamento della concorrenza su tali mercati ed erano quindi idonee a dimostrare che i potenziali effetti di esclusione sul mercato a valle, ossia quello della ricerca specializzata per la comparazione di prodotti, e il successo del servizio di comparazione dei prodotti di Google su tale mercato dopo l’attuazione di dette pratiche, rilevati nella decisione controversa, erano dovuti non ai meriti di tale servizio, bensì a queste stesse pratiche combinate alle circostanze specifiche rilevate.
172 Pertanto, il Tribunale non ha affatto confuso l’analisi del comportamento di cui trattasi intesa a stabilire se quest’ultimo si discostasse dalla concorrenza basata sui meriti e l’analisi degli effetti di tale comportamento. Al contrario, come ha sottolineato l’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 143 delle sue conclusioni, risulta dalle considerazioni svolte ai punti da 168 a 175 della sentenza impugnata che il Tribunale ha esaminato attentamente la questione se, nella decisione controversa, la Commissione avesse correttamente potuto considerare senza incorrere in errore che le pratiche controverse, e non solo i loro effetti, potevano essere qualificate in diritto come pratiche difformi da una concorrenza basata sui meriti.
173 Da quanto precede risulta che i punti 175 e 197 della sentenza impugnata non sono viziati da alcun errore di diritto.
174 Di conseguenza, occorre respingere la prima parte del secondo motivo.
2) Sulla seconda e sulla terza parte del secondo motivo
175 Con la seconda parte del secondo motivo, le ricorrenti contestano al Tribunale di aver adottato, per quanto riguarda la deviazione dai mezzi di concorrenza basata sui meriti, elementi di motivazione che non figuravano nella decisione controversa e di aver così sostituito il proprio ragionamento a quello della Commissione, incorrendo così in un errore di diritto. Questi elementi di motivazione supplementari si riferirebbero, in primo luogo, a un criterio di valutazione giuridica più severo per le imprese «superdominanti» (punti 180, 182 e 183 della sentenza impugnata), in secondo luogo, alla valutazione secondo cui, considerando l’infrastruttura in linea di principio aperta del motore di ricerca Google, il fatto che alcuni risultati di ricerca specializzata propri siano favoriti rispetto ai risultati di ricerca concorrenti costituisce un’anomalia (punti da 176 a 184) e, in terzo luogo, la valutazione secondo cui il comportamento in questione era discriminatorio (punti 71, 124, 237, 240, 279 e da 284 a 289).
176 Con la terza parte del secondo motivo, le ricorrenti sostengono che, in ogni caso, tali elementi di motivazione supplementari sono errati in diritto.
177 Occorre esaminare, in primo luogo, l’argomentazione delle ricorrenti con cui esse sostengono, nella seconda parte del secondo motivo, che la qualificazione del comportamento contestato come rientrante in un trattamento discriminatorio non figura nella decisione controversa e, nella terza parte, che, in ogni caso, tale qualificazione è errata.
178 In primis, contrariamente all’argomentazione delle ricorrenti, che fanno riferimento ai punti 71, 124, 237, 240, 279, da 284 a 289 e 316 della sentenza impugnata, non risulta da tali punti che il Tribunale abbia aggiunto una qualificazione del comportamento in questione a quella adottata dalla Commissione.
179 Infatti, da un lato, ai punti 71 e 124 della sentenza impugnata, il Tribunale non ha proceduto alla qualificazione del comportamento in questione. Nel primo di tali punti, esso si è limitato a riassumere l’ingiunzione di cessazione e di astensione formulata all’articolo 3 del dispositivo della decisione controversa. Nel secondo punto, esso ha annunciato il modo in cui avrebbe esaminato l’argomentazione delle ricorrenti, indicando che avrebbe proceduto all’esame dell’effettività della differenza di trattamento alla base della qualificazione di favoritismo adottata dalla Commissione, ossia dell’esistenza o meno di una discriminazione attuata da Google a favore del proprio servizio di ricerca specializzata.
180 Dall’altro lato, dai punti 237, 240, 279 e da 284 a 289 della sentenza impugnata risulta che il Tribunale ha esaminato la qualificazione del comportamento in questione adottata dalla Commissione. Pertanto, ai citati punti 237 e 240, il Tribunale ha, in sostanza, basandosi sulla decisione controversa, confermato la valutazione della Commissione secondo cui le pratiche in questione, che si traducevano in atti positivi di discriminazione nel trattamento dei risultati del comparatore di prodotti di Google, costituivano una forma autonoma di abuso mediante un effetto leva a partire da un mercato dominato, caratterizzato da forti barriere all’ingresso, ossia il mercato dei servizi di ricerca generale. Peraltro, ai citati punti 279 e da 284 a 289, il Tribunale ha esaminato la differenza di trattamento constatata dalla Commissione per quanto riguarda in particolare il posizionamento e la presentazione dei Product Universals, per verificare se la Commissione avesse potuto giustamente concludere per l’esistenza di una discriminazione. Il punto 316 della sentenza impugnata rientra nella parte di tale sentenza dedicata a tale esame per quanto riguarda le Shopping Units.
181 Risulta quindi chiaramente da tali punti, presi di mira dalle ricorrenti, che li citano isolandoli dagli altri punti della parte del ragionamento del Tribunale di cui fanno parte, che il Tribunale ha fondato il proprio ragionamento sulla decisione controversa e ha confermato la qualificazione adottata dalla Commissione, senza aggiungere una nuova qualificazione che non troverebbe sostegno in tale decisione.
182 In secundis, occorre esaminare se, come sostengono le ricorrenti, il Tribunale abbia commesso un errore di diritto ritenendo sussistente una discriminazione senza dimostrare che Google avesse proceduto a una differenziazione di trattamento arbitraria.
183 Come risulta, in sostanza, dai punti da 168 a 174, 237, 240, 279 e da 284 a 289 della sentenza impugnata, il Tribunale ha anzitutto rilevato che, secondo la Commissione, il comportamento in questione consisteva nel trattare in modo diverso i risultati dei comparatori di prodotti a seconda che essi provenissero dal comparatore di Google o da comparatori concorrenti, in termini di presentazione e di posizionamento nelle pagine di risultati generali, e conduceva a una differenza di trattamento sotto forma di favoritismo concesso da Google al proprio comparatore.
184 Il Tribunale ha poi sottolineato che, a causa del ricorrere delle tre circostanze specifiche da essa considerate, la Commissione aveva ritenuto che tale favoritismo fosse tale da condurre ad un indebolimento della concorrenza sul mercato e che esso potesse essere giuridicamente qualificato come comportamento non rientrante nella concorrenza basata sui meriti.
185 Infine, il Tribunale ha ritenuto che il comportamento in questione fosse stato attuato mediante l’utilizzo di un effetto leva, che era consistito nel fatto che Google gestisce la sua posizione dominante sul mercato a monte dei servizi di ricerca generale su Internet, caratterizzato da forti barriere all’ingresso, al fine di procurarsi vantaggi concorrenziali sul mercato situato a valle dei servizi di ricerca specializzata, sul quale essa non deteneva una siffatta posizione, e ciò favorendo il proprio servizio di comparazione di prodotti.
186 Occorre precisare che non si può ritenere, in generale, che un’impresa dominante che applica ai propri prodotti o servizi un trattamento più favorevole di quello che concede a quelli dei suoi concorrenti adotti, indipendentemente dalle circostanze del caso di specie, un comportamento che si discosta dalla concorrenza basata sui meriti.
187 Tuttavia, nel caso di specie, il Tribunale, confermando l’analisi della Commissione, non si è limitato a rilevare l’esistenza di un siffatto trattamento più favorevole, da parte di Google, del proprio servizio di comparazione di prodotti, ma ha stabilito che, alla luce delle caratteristiche del mercato a monte e delle circostanze specifiche rilevate, il comportamento in questione, con le sue due componenti, ossia la valorizzazione dei propri risultati e la retrocessione di quelli degli operatori concorrenti, era discriminatorio e non rientrava nella concorrenza basata sui meriti.
188 Per quanto riguarda l’argomentazione delle ricorrenti con la quale esse fanno valere, in sostanza, l’incapacità di Google di mostrare risultati specializzati di terzi presentanti la stessa affidabilità e qualità dei propri risultati, tale argomentazione deve essere respinta in conformità alla giurisprudenza ricordata al punto 61 della presente sentenza, poiché con essa le ricorrenti mettono in discussione la valutazione dei fatti compiuta dal Tribunale, senza far valere uno snaturamento.
189 Occorre altresì respingere l’argomentazione delle ricorrenti con cui esse affermano, rinviando ai punti 285 e 575 della sentenza impugnata, che il Tribunale non ha adottato un approccio coerente nella definizione dei due elementi, i quali sarebbero stati trattati in modo discriminatorio.
190 Il Tribunale ha rilevato, in particolare al punto 285 della sentenza impugnata, che il trattamento differenziato attuato da Google aveva luogo in funzione dell’origine dei risultati, ossia a seconda che essi provenissero da comparatori di prodotti concorrenti o dal suo comparatore, laddove Google favoriva quest’ultimo rispetto ai primi e non un risultato rispetto a un altro in funzione del suo contenuto.
191 Al punto 575 della sentenza impugnata, nella sua analisi della giustificazione oggettiva, il Tribunale ha certo considerato che la Commissione aveva cercato soltanto una parità di trattamento, in termini di posizionamento e di presentazione, tra due tipi di risultati di Google. Tuttavia, dalla parte del ragionamento del Tribunale in cui tale punto figura, in particolare dai punti 574 e 576 di tale sentenza, risulta che la Commissione ha censurato Google per non aver applicato lo stesso trattamento ai risultati provenienti da comparatori di prodotti concorrenti e a quelli provenienti dal suo comparatore di prodotti. Il riferimento ai «due tipi di risultati di Google» menzionato al punto 575 di detta sentenza costituisce pertanto un lapsus calami, considerando peraltro che il Tribunale ha ripetutamente affermato che il comportamento di Google consisteva nel trattare in modo differente i risultati a seconda della loro origine e non a seconda del loro contenuto.
192 Di conseguenza, la definizione dell’oggetto della discriminazione nella sentenza impugnata non è viziata da incoerenza e non si può addebitare al Tribunale di aver commesso un errore di diritto ritenendo che il comportamento in questione potesse essere qualificato come discriminatorio e che non rientrasse nella concorrenza basata sui meriti.
193 Date tali circostanze, occorre respingere l’argomentazione delle ricorrenti con cui esse sostengono, nella seconda parte del secondo motivo, che la qualificazione del comportamento contestato come trattamento discriminatorio non figurava nella decisione controversa e, nella terza parte del secondo motivo, che tale qualificazione era, in ogni caso, erronea.
194 In secondo luogo, le ricorrenti fanno valere, nella seconda parte del secondo motivo, che, ai punti da 176 a 184 della sentenza impugnata, il Tribunale ha formulato due considerazioni supplementari che non figuravano nella decisione controversa, vale a dire, da un lato, un criterio di valutazione giuridica più rigoroso per le imprese «superdominanti» e, dall’altro, tenuto conto dell’infrastruttura in linea di principio aperta del motore di ricerca di Google, il fatto che taluni risultati di ricerca specializzata di Google fossero favoriti rispetto ai risultati di ricerca concorrenti costituiva un’anomalia. Nella terza parte del secondo motivo, le ricorrenti sostengono che, in ogni caso, tali considerazioni sono infondate.
195 A tal riguardo, è vero che, ai punti da 176 a 184 della sentenza impugnata, il Tribunale ha svolto considerazioni che non emergono dalla motivazione della decisione controversa. Ciò vale per quelle relative all’anormalità del comportamento di Google e alla sua posizione superdominante sul mercato della ricerca generale, nonché per quelle relative all’obbligo di trattamento non discriminatorio derivante dalle disposizioni del regolamento 2015/2120.
196 Tuttavia, sebbene le sole considerazioni che il Tribunale ha esplicitamente dichiarato formulate ad abundantiam fossero quelle di cui al punto 180 della sentenza impugnata, anche le considerazioni di cui ai punti da 176 a 179 e da 181 a 184 della sentenza impugnata sono state formulate ad abundantiam.
197 Infatti, ai punti 175 e 185 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato in sostanza che, anche supponendo che il favoritismo e i suoi effetti, identificati tenuto conto delle circostanze specifiche dei mercati interessati, fossero stati validamente dimostrati dalla Commissione, correttamente tale istituzione avrebbe ritenuto che detto favoritismo si discostasse dalla concorrenza basata sui meriti. Tale conclusione figurante alla fine del punto 185 di tale sentenza si limita a rinviare alle considerazioni di cui ai punti da 170 a 173 di detta sentenza, senza rinviare alle considerazioni supplementari formulate dal Tribunale ai punti da 176 a 184 della medesima sentenza, criticate dalle ricorrenti.
198 Inoltre, come risulta dal punto 192 della presente sentenza, tali considerazioni non erano necessarie per confermare la valutazione secondo cui la condotta in questione poteva essere considerata in diritto come non rientrante nella concorrenza basata sui meriti.
199 Di conseguenza, occorre respingere in quanto inoperanti le censure delle ricorrenti sollevate nella seconda e nella terza parte del secondo motivo, con le quali esse criticano i punti da 176 a 184 della sentenza impugnata, e, pertanto, rigettare queste due parti del motivo nella loro interezza.
200 Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, il secondo motivo deve essere integralmente respinto.
3. Sul terzo motivo
201 Con il terzo motivo, composto da tre parti, le ricorrenti fanno valere che il Tribunale ha commesso errori di diritto nell’analisi del nesso di causalità tra l’asserito abuso e i suoi probabili effetti.
202 Con la prima parte del terzo motivo, le ricorrenti affermano che, nel caso di specie, il Tribunale ha commesso un errore di diritto laddove ha ritenuto, ai punti da 377 a 379 della sentenza impugnata, che l’onere di intraprendere un’analisi controfattuale incombesse a Google e non alla Commissione. Con la seconda parte del terzo motivo, esse affermano che il Tribunale ha commesso un errore di diritto dichiarando, ai punti 374, 376 e 525 di tale sentenza, che uno scenario controfattuale per un abuso consistente nella combinazione di due pratiche lecite esigeva la soppressione di queste due pratiche. Con la terza parte del terzo motivo, esse affermano che l’approccio errato del Tribunale su ciò che costituirebbe uno scenario controfattuale corretto ha invalidato la sua valutazione, al punto 572 della sentenza impugnata, delle giustificazioni oggettive e degli effetti del comportamento in questione.
a) Sulla ricevibilità
203 Il BEUC, il VDZ, la Ladenzeile e il BDZV sostengono che il terzo motivo è irricevibile. Essi affermano che, con quest’ultimo, le ricorrenti tendono a rimettere in discussione la valutazione compiuta dal Tribunale in ordine agli elementi di prova, in particolare dei due scenari controfattuali che esse avevano presentato durante il procedimento amministrativo, o si limitano a riproporre argomenti già esposti dinanzi al Tribunale. Dal canto suo, senza invocare formalmente un’eccezione di irricevibilità, la Commissione fa valere che la valutazione da parte del Tribunale di tali scenari controfattuali è definitivamente stabilita ai punti da 369 a 376 della sentenza impugnata, in assenza di qualsiasi allegazione di snaturamento da parte delle ricorrenti.
204 Nella loro memoria di replica, le ricorrenti fanno valere che il terzo motivo è ricevibile. Esse precisano che le critiche da loro formulate nell’ambito di tale motivo vertono sull’erronea valutazione, compiuta dal Tribunale, della nozione giuridica dell’analisi controfattuale nel contesto particolare di un comportamento comprendente varie pratiche il cui effetto combinato pregiudica la concorrenza basata sui meriti, il che costituirebbe un errore di diritto.
205 È importante osservare, in primo luogo, che, come ricordato al punto 61 della presente sentenza, la competenza della Corte a pronunciarsi su un ricorso contro una decisione del Tribunale è limitata alle questioni di diritto, in quanto la valutazione dei fatti e degli elementi di prova non costituisce, salvo il caso di loro snaturamento, una questione soggetta al controllo della Corte.
206 Orbene, le questioni intese a stabilire, da un lato, se esista un obbligo sistematico per la Commissione di intraprendere un’analisi controfattuale nei casi ricadenti sotto l’articolo 102 TFUE e, dall’altro, a quali criteri debba rispondere uno scenario controfattuale affinché esso possa riflettere ciò che sarebbe avvenuto in assenza dell’asserito abuso nel caso particolare di un comportamento costituito da più pratiche il cui effetto combinato costituisca un pregiudizio per la concorrenza basata sui meriti, sono questioni di diritto, che possono essere oggetto del controllo della Corte nell’ambito di un’impugnazione.
207 In secondo luogo, come risulta dalla giurisprudenza costante della Corte, qualora un ricorrente contesti l’interpretazione o l’applicazione del diritto dell’Unione effettuata dal Tribunale, i punti di diritto esaminati in primo grado possono essere nuovamente discussi nel corso dell’impugnazione. Infatti, se un ricorrente non potesse così fondare la propria impugnazione su motivi e argomenti già utilizzati dinanzi al Tribunale, il procedimento d’impugnazione verrebbe privato di una parte del suo significato (v., in tal senso, sentenza del 19 ottobre 2023, Aquino/Parlamento, C-534/22 P, EU:C:2023:802, punti 69 e 70 nonché la giurisprudenza ivi citata).
208 Orbene, nel caso di specie, le ricorrenti non si limitano a riprodurre gli argomenti fatti valere in primo grado, ma affermano che il Tribunale, rispondendo a tali argomenti, ha reso la sentenza impugnata viziata da errori di diritto.
209 Ne consegue che il terzo motivo è ricevibile.
b) Nel merito
1) Sulla prima parte del terzo motivo
i) Argomenti delle parti
210 Con la prima parte del terzo motivo, le ricorrenti fanno valere che il Tribunale ha commesso un errore di diritto, ai punti da 377 a 379 della sentenza impugnata, nel ritenere che l’onere di intraprendere un’analisi controfattuale incombesse a Google poiché la Commissione aveva considerato effetti anticoncorrenziali potenziali e non reali. In assenza di un’analisi controfattuale effettuata dalla Commissione, le affermazioni di quest’ultima relative agli effetti anticoncorrenziali del comportamento asseritamente abusivo rimarrebbero astratte, in quanto non esisterebbe alcuna base di riferimento che consenta di valutare tali effetti.
211 Con la prima censura, le ricorrenti fanno valere che il Tribunale si è illegittimamente discostato dalla decisione controversa considerando che quest’ultima aveva preso in considerazione effetti anticoncorrenziali potenziali e non effetti reali. Infatti, al considerando 462 di tale decisione, la Commissione avrebbe affermato che il presunto abuso aveva avuto effetti reali e non soltanto potenziali, poiché il comportamento in questione aveva determinato una riduzione del traffico in provenienza dalle pagine delle ricerche generiche di Google verso i comparatori di prodotti concorrenti. Del resto, lo stesso Tribunale si sarebbe basato anche su tale effetto reale sul traffico quando ha concluso, al punto 519 della sentenza impugnata, che il comportamento in questione aveva avuto la capacità di restringere la concorrenza. Pertanto, in presenza di siffatti effetti anticoncorrenziali reali, la Commissione avrebbe dovuto intraprendere un’analisi controfattuale.
212 Con la seconda censura, le ricorrenti sostengono che, indipendentemente dalla questione se gli effetti del comportamento in discussione fossero reali o potenziali, qualsiasi valutazione di questi ultimi avrebbe richiesto che la Commissione intraprendesse un’analisi controfattuale, poiché una siffatta analisi è inerente alla nozione di causalità.
213 A tal riguardo, le ricorrenti sostengono, in primo luogo, che il giudice dell’Unione ha confermato a più riprese la necessità per la Commissione di intraprendere un’analisi controfattuale nel contesto dell’articolo 101 TFUE, cosicché non esisterebbe alcun fondamento ragionevole per un approccio diverso nel contesto dell’articolo 102 TFUE.
214 In secondo luogo, le ricorrenti fanno valere che il punto 21 della comunicazione relativa agli orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo [102 TFUE] al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti (GU 2009, C 45, pag. 7) conferma che i presunti comportamenti abusivi dovrebbero generalmente essere valutati sulla base di uno scenario controfattuale adeguato.
215 In terzo luogo, le ricorrenti affermano che, contrariamente a quanto risulta dal punto 377 della sentenza impugnata, esistevano nel caso di specie scenari controfattuali fondati su contesti reali, ossia gli sviluppi dei mercati simili negli Stati membri nei quali la Commissione non ha individuato abusi. Inoltre, secondo le ricorrenti, anche in assenza di tali scenari, la Commissione non può essere dispensata dall’intraprendere un’analisi controfattuale al fine di spiegare, motivatamente, quale sarebbe la situazione probabile senza l’asserito abuso. Pertanto, nel caso di specie, l’assenza di «analisi obiettiva» di uno scenario controfattuale avrebbe dovuto costituire un motivo sufficiente per annullare la decisione controversa.
216 Nella loro memoria di replica, le ricorrenti contestano il carattere inoperante delle loro censure, eccepito dalla Commissione. In risposta all’argomentazione di quest’ultima vertente, in primis, sull’aumento non contestato del traffico verso il comparatore di prodotti di Google su cui si basa anche la constatazione degli effetti anticoncorrenziali del comportamento in questione, in secundis, sulla natura ultronea dei punti 377 e 378 della sentenza impugnata e, in tertiis, sulla non contestazione dell’impatto degli algoritmi di classificazione dei risultati generici di Google sul traffico, constatata dal Tribunale al punto 393 di tale sentenza, le ricorrenti affermano, anzitutto, che, poiché si è ritenuto che la condotta in questione abbia comportato sia riduzioni sia aumenti del traffico, la contestazione della riduzione è sufficiente per invalidare la constatazione dell’aumento. Inoltre, le ricorrenti contestano che i motivi addotti dal Tribunale ai punti da 377 a 379 della medesima sentenza siano stati formulati ad abundantiam e affermano che tali motivi contengono elementi necessari alla motivazione. Infine, le ricorrenti fanno valere che il punto 393 della sentenza impugnata fa appunto parte dell’errore rilevato con l’impugnazione, in quanto dimostra che il Tribunale ha imputato la diminuzione del traffico verso i comparatori di prodotti concorrenti non al comportamento in questione in quanto combinazione delle due pratiche, ma soltanto a una di tali pratiche, ossia l’utilizzo degli algoritmi di classificazione dei risultati generici.
217 La Commissione, la PriceRunner, l’Autorità di vigilanza EFTA, il BEUC, la Kelkoo, il VDZ, la Ladenzeile, il BDZV e la Twenga contestano l’argomentazione delle ricorrenti e sostengono che la prima parte del terzo motivo è inoperante o, in ogni caso, infondata.
ii) Giudizio della Corte
218 I punti da 377 a 379 della sentenza impugnata, contestati nell’ambito della prima parte del terzo motivo, riguardano l’analisi del Tribunale relativa al nesso di causalità tra il comportamento in questione e la riduzione del traffico dalle pagine di risultati generali di Google verso i comparatori di prodotti concorrenti.
219 Per quanto riguarda la prima censura, occorre osservare che il considerando 426 della decisione controversa figura nella sezione 7.2 di tale decisione relativa al comportamento in questione e verte sull’analisi dell’impatto di tale comportamento sul traffico generato dalle pagine di risultati generali di Google verso i comparatori di prodotti concorrenti, effettuata dalla Commissione nella sezione 7.2.3.2 di detta decisione. La Commissione ha ivi constatato un calo di tale traffico in ciascuno dei tredici paesi del SEE nei quali tali pratiche erano state attuate.
220 Per contro, è nella sezione 7.3 della decisione controversa che la Commissione ha proceduto all’analisi degli effetti del comportamento in questione, che essa ha qualificato come potenziali effetti anticoncorrenziali, in grado di incidere sulla struttura concorrenziale dei mercati interessati. Tali effetti potenziali consistevano, come rilevato al punto 451 della sentenza impugnata, nel rischio che i comparatori di prodotti concorrenti cessassero le loro attività nonché in un impatto negativo sull’innovazione e sulla possibilità dei consumatori di accedere ai servizi più efficienti.
221 Gli elementi relativi alla variazione del traffico dalle pagine di risultati generali di Google verso i comparatori di prodotti concorrenti nonché verso il suo comparatore di prodotti costituivano, pertanto, non effetti anticoncorrenziali reali considerati dalla Commissione, bensì elementi di prova tangibili sui quali si fondava la constatazione dei potenziali effetti anticoncorrenziali del comportamento in questione. In effetti, come risulta anche dai punti da 445 a 450 e 454 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che la Commissione, al termine di un’analisi in più fasi e sulla base di una motivazione argomentata, avesse dedotto l’esistenza di potenziali effetti anticoncorrenziali sui mercati dei servizi di comparazione di prodotti fondandosi su elementi concreti relativi all’evoluzione del traffico dalle pagine di risultati generali di Google verso i comparatori di prodotti concorrenti e verso il proprio comparatore di prodotti, e alla quota rappresentata da tale traffico nel traffico totale dei comparatori di prodotti concorrenti. Orbene, così facendo, il Tribunale non si è discostato dalla decisione controversa, poiché gli effetti anticoncorrenziali considerati da tale decisione rimanevano potenziali pur essendo dedotti dagli elementi concreti relativi all’evoluzione del traffico.
222 Pertanto, la prima censura deve essere respinta in quanto infondata.
223 Con la seconda censura, le ricorrenti intendono dimostrare, in sostanza, che il Tribunale ha invertito l’onere della prova confermando la decisione controversa senza che la Commissione intraprendesse un’analisi controfattuale al fine di dimostrare il nesso di causalità tra il comportamento in questione e i suoi effetti.
224 A questo proposito occorre osservare, anzitutto, che tale nesso di causalità è uno degli elementi costitutivi essenziali di una violazione del diritto della concorrenza, che spetta alla Commissione provare, secondo le regole generali di assunzione delle prove, ricordate in particolare nei punti da 132 a 134 della sentenza impugnata. Pertanto, spetta alla Commissione produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare, in modo giuridicamente valido, l’esistenza dei fatti costitutivi di un’infrazione. Per contro, spetta all’impresa che solleva un motivo di difesa contro la constatazione di una siffatta infrazione fornire la prova che tale mezzo difensivo deve essere accolto.
225 Il punto 382 della sentenza impugnata, non contestato dalle ricorrenti, completa il ragionamento del Tribunale al riguardo enunciando i criteri che devono guidare l’esame del nesso di causalità. Vi si afferma così che, al fine di stabilire gli effetti reali o potenziali delle pratiche esaminate, la Commissione può basarsi su elementi tratti dall’osservazione dell’evoluzione reale del mercato o dei mercati interessati da tali pratiche. Se si osserva una correlazione tra queste pratiche e il cambiamento della situazione concorrenziale su tali mercati, eventuali elementi supplementari, che possono includere, ad esempio, valutazioni da parte degli operatori del mercato, dei loro fornitori, dei loro clienti, di associazioni di categoria o di consumatori, possono dimostrare il nesso causale tra il comportamento in questione e l’evoluzione del mercato.
226 È su tali criteri di analisi che il Tribunale si è basato, ai punti da 383 a 393 di tale sentenza, per procedere all’esame concreto del rapporto di causalità tra il comportamento in questione e la riduzione del traffico dalle pagine di risultati generali di Google verso la maggior parte dei comparatori di prodotti concorrenti, esame al termine del quale il Tribunale ha constatato, al punto 394 di detta sentenza, che la Commissione aveva dimostrato che le pratiche in questione avevano comportato una riduzione del traffico di ricerca generico verso quasi tutti i comparatori di prodotti concorrenti.
227 In tale contesto, il Tribunale ha statuito, al punto 379 della sentenza impugnata, che, nell’ambito della ripartizione dell’onere della prova, un’impresa può far valere un’analisi controfattuale al fine di contestare la valutazione della Commissione degli effetti potenziali o reali del comportamento in questione.
228 Orbene, procedendo in tal modo, il Tribunale non ha né invertito l’onere della prova che incombe alla Commissione per quanto riguarda l’obbligo di dimostrare il nesso di causalità tra il comportamento in questione e i suoi effetti, né escluso l’utilità di un’analisi controfattuale. Esso si è limitato a constatare che la Commissione può basarsi su un insieme di elementi probatori, senza che essa sia tenuta a ricorrere sistematicamente ad uno strumento unico per dimostrare l’esistenza di un siffatto nesso di causalità.
229 Tale approccio è, del resto, conforme alla giurisprudenza della Corte citata nei punti da 165 a 167 della presente sentenza.
230 Di conseguenza, nella parte in cui riguarda il ragionamento del Tribunale sulla ripartizione dell’onere della prova e sull’utilità dell’analisi controfattuale nell’ambito delle prove pertinenti alla luce dell’articolo 102 TFUE, la seconda censura deve essere respinta in quanto infondata.
231 Nei limiti in cui tale censura riguarda i punti 377 e 378 della sentenza impugnata, occorre rilevare che il Tribunale ha ivi considerato che l’identificazione di uno scenario controfattuale affidabile per analizzare gli effetti di presunte pratiche anticoncorrenziali su un mercato può essere, in una situazione come quella del caso di specie, un esercizio aleatorio, se non impossibile, e che, per dimostrare una violazione dell’articolo 102 TFUE, in particolare per quanto riguarda gli effetti di pratiche sulla concorrenza, la Commissione non può essere tenuta a dimostrare sistematicamente un simile scenario controfattuale.
232 Orbene, tali punti della sentenza impugnata presentano, come osservato dall’avvocata generale al paragrafo 171 delle sue conclusioni, carattere sovrabbondante in rapporto, segnatamente, ai punti da 372 a 376 della sentenza impugnata, per cui la critica delle ricorrenti a tale riguardo deve essere respinta in quanto inoperante.
233 Infine, per quanto riguarda la critica delle ricorrenti diretta contro il punto 393 della sentenza impugnata, è sufficiente constatare che il Tribunale si è ivi limitato a constatare che esisteva un nesso di causalità tra la visibilità di un sito Internet all’interno dei risultati generici di Google, dipendente dagli algoritmi di classificazione di tali risultati, e l’importanza del traffico da detti risultati verso tale sito. Orbene, una constatazione del genere non contraddice la sua valutazione su ciò che potrebbe costituire uno scenario controfattuale appropriato nel caso di specie.
234 Ne consegue che la prima parte del terzo motivo deve essere respinta in quanto in parte infondata e in parte inoperante.
2) Sulla seconda e sulla terza parte del terzo motivo
i) Argomenti delle parti
235 Con la seconda parte del terzo motivo, le ricorrenti contestano la qualificazione giuridica, effettuata ai punti 374, 376 e 525 della sentenza impugnata, di ciò che costituirebbe, per il Tribunale, uno scenario controfattuale corretto qualora un abuso comporti una «combinazione» di due pratiche. Secondo le ricorrenti, dichiarando che, in una situazione del genere, uno scenario controfattuale deve prendere in considerazione gli effetti delle due pratiche in questione, vale a dire sia gli effetti della valorizzazione del comparatore di prodotti di Google mediante le «boxes» sia gli effetti dell’applicazione degli algoritmi di aggiustamento e della retrocessione dei comparatori di prodotti concorrenti nei risultati generici, il Tribunale ha commesso un errore di diritto.
236 Con la prima censura, le ricorrenti sostengono che, poiché ciascuna di queste due pratiche è, come riconosciuto dal Tribunale al punto 373 della sentenza impugnata, di per sé lecita, uno scenario controfattuale che elimini una di tali pratiche, in particolare la visualizzazione delle «boxes», costituisce uno scenario adeguato, in quanto crea una situazione senza la combinazione delle due pratiche e, di conseguenza, senza l’asserito abuso. Per contro, l’eliminazione delle due pratiche nella determinazione dello scenario controfattuale, privilegiata dal Tribunale al punto 376 di tale sentenza, andrebbe al di là di quanto sarebbe necessario per creare una situazione senza la combinazione asseritamente abusiva e confonderebbe gli effetti del comportamento lecito e quelli del comportamento illecito.
237 Con la seconda censura, i ricorrenti criticano il Tribunale per aver previsto uno scenario controfattuale che non è «realistico», «plausibile» e «probabile», ai sensi della giurisprudenza della Corte (sentenza dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C-382/12 P, EU:C:2014:2201, punti da 166 a 169 e 173). Infatti, tale scenario non si limiterebbe a sopprimere le «boxes», il che porrebbe fine all’abuso, come confermato dalla Commissione nel suo controricorso dinanzi al Tribunale, ma esigerebbe addirittura la soppressione degli algoritmi di retrocessione destinati al miglioramento della qualità del servizio di ricerca. Orbene, gli studi presentati dalle ricorrenti durante il procedimento amministrativo, vale a dire l’analisi cosiddetta «delle differenze nelle differenze» e l’esperienza detta di «ablazione», avrebbero evidenziato che il traffico verso i comparatori di prodotti concorrenti non sarebbe mutato sensibilmente in caso di soppressione delle «boxes», il che proverebbe che il calo del traffico era stato erroneamente imputato al comportamento in questione.
238 Con la terza parte del terzo motivo, le ricorrenti affermano, da un lato, che l’approccio errato del Tribunale sullo scenario controfattuale ha invalidato la sua valutazione degli effetti del comportamento in questione, in quanto tale approccio ha portato ad imputare all’asserito abuso effetti che erano imputabili a pratiche lecite. Dall’altro, esse affermano che detto approccio ha altresì invalidato la valutazione, da parte del Tribunale, della giustificazione oggettiva addotta da Google secondo cui non sarebbe stato possibile migliorare il suo servizio di ricerca se i risultati dei comparatori di prodotti concorrenti fossero stati inclusi nelle «boxes». Orbene, respingendo tale spiegazione, al punto 572 della sentenza impugnata, per il motivo che i miglioramenti non prevalevano sugli effetti anticoncorrenziali del comportamento in questione, il Tribunale avrebbe viziato tale sentenza con un errore di diritto.
239 La Commissione, la PriceRunner, l’Autorità di vigilanza EFTA, il BEUC, la Foundem, la Kelkoo, il VDZ, la Ladenzeile, il BDZV e la Twenga contestano l’argomentazione delle ricorrenti in quanto inoperante o, in ogni caso, infondata.
ii) Giudizio della Corte
240 I punti 374, 376 e 525 della sentenza impugnata, contestati nell’ambito della seconda parte del terzo motivo, riguardano la valutazione compiuta dal Tribunale di ciò che costituirebbe un’analisi controfattuale in grado di considerare gli effetti di un comportamento consistente nella combinazione di due pratiche, ciascuna delle quali sarebbe di per sé lecita.
241 Ai punti da 370 a 373 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che nessuna delle pratiche in questione, considerata separatamente, aveva sollevato obiezioni in materia di concorrenza agli occhi della Commissione, ma che quest’ultima metteva in discussione le pratiche combinate che, da un lato, valorizzavano il comparatore di prodotti di Google e, dall’altro, svalorizzavano i comparatori di prodotti concorrenti nelle pagine di risultati generali di Google. Il Tribunale ne ha dedotto che l’analisi degli effetti di tali pratiche combinate non poteva essere effettuata isolando gli effetti di una pratica da quelli dell’altra pratica.
242 È sulla base di tali constatazioni che, ai punti 374 e 376 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che l’analisi degli effetti del comportamento in questione sui comparatori di prodotti concorrenti non poteva limitarsi all’impatto che poteva aver avuto su di essi la comparsa di risultati del comparatore di prodotti di Google nei Product Universals e nelle Shopping Units, ma che essa doveva tener conto anche dell’impatto degli algoritmi di aggiustamento dei risultati generici, cosicché l’unico scenario controfattuale che Google poteva validamente mettere in evidenza sarebbe stato quello in cui nessuna componente di tale comportamento veniva attuata, salvo considerare solo parzialmente gli effetti combinati di detto comportamento. Tale constatazione è stata, in sostanza, ribadita al punto 525 di tale sentenza, parimenti contestato dalle ricorrenti nella seconda parte del terzo motivo.
243 Orbene, tale ragionamento del Tribunale non è viziato da alcun errore di diritto.
244 Infatti, come ha sottolineato l’avvocata generale ai paragrafi 179 e 180 delle sue conclusioni, solo la combinazione delle due pratiche in questione ha influenzato il comportamento degli utenti in modo tale che il traffico in provenienza dalle pagine di risultati generali di Google è stato sviato, nella misura constatata dalla Commissione, a vantaggio del suo comparatore di prodotti e a scapito dei comparatori di prodotti concorrenti. Pertanto, tale sviamento del traffico si basava tanto sul posizionamento e sulla presentazione preferenziali dei risultati di ricerca del comparatore di prodotti di Google nelle «boxes», quanto sulla parallela retrocessione effettuata dagli algoritmi di aggiustamento e sulla presentazione meno attraente dei risultati di ricerca dei comparatori di prodotti concorrenti, il che faceva sfuggire questi ultimi all’attenzione degli utenti.
245 Pertanto, poiché l’aumento del traffico a favore dei risultati di ricerca del comparatore di prodotti di Google e la riduzione del traffico dalle sue pagine di risultati generali verso i comparatori di prodotti concorrenti, sui quali si basano i potenziali effetti anticoncorrenziali del comportamento in questione, derivavano da un’applicazione congiunta delle due pratiche in questione, uno scenario controfattuale appropriato doveva altresì consentire di esaminare la probabile evoluzione del mercato in assenza di queste due pratiche e non soltanto in assenza di una di esse.
246 In tali circostanze, l’argomento delle ricorrenti secondo cui il Tribunale avrebbe ammesso, al punto 373 della sentenza impugnata, che, considerata separatamente, nessuna di queste pratiche aveva sollevato obiezioni in materia di concorrenza, non può inficiare il ragionamento del Tribunale esposto ai punti 374, 376 e 525 della sentenza impugnata, contestati nell’ambito della seconda parte del terzo motivo.
247 Pertanto, è senza commettere errori di diritto che il Tribunale ha statuito, ai punti da 374 a 376 e 525 della sentenza impugnata, che l’analisi degli effetti del comportamento in questione doveva prendere in considerazione gli effetti degli algoritmi di aggiustamento dei risultati generici e, al tempo stesso, quelli della valorizzazione del comparatore di prodotti di Google mediante i Product Universals e le Shopping Units, e che gli studi presentati da Google, che riguardavano unicamente l’impatto sul traffico di tale valorizzazione, erano, di per sé soli, insufficienti per misurare l’impatto del comportamento in questione sui comparatori di prodotti concorrenti.
248 Pertanto, la seconda parte del terzo motivo deve essere respinta in quanto infondata.
249 La terza parte del terzo motivo si basa sulla premessa secondo cui l’approccio del Tribunale verso ciò che costituirebbe uno scenario controfattuale corretto, qualora un abuso comporti una combinazione delle due pratiche, sarebbe errato. Orbene, come risulta dall’esame della seconda parte del terzo motivo, il ragionamento del Tribunale al riguardo non è viziato da alcun errore di diritto.
250 Le critiche mosse dalle ricorrenti a sostegno di tale parte del motivo devono, pertanto, essere respinte in quanto inoperanti.
251 Di conseguenza, il terzo motivo deve essere interamente respinto.
4. Sul quarto motivo
a) Argomenti delle parti
252 Con il quarto motivo, le ricorrenti fanno valere che il Tribunale ha commesso un errore di diritto, ai punti da 538 a 541 della sentenza impugnata, nel considerare che la Commissione non era tenuta ad esaminare se il comportamento in questione fosse idoneo ad estromettere concorrenti altrettanto efficaci. Secondo le ricorrenti, sebbene la decisione controversa abbia cercato di dimostrare che tale comportamento aveva avuto la capacità di restringere la concorrenza, menzionando la difficoltà dei comparatori di prodotti concorrenti ad attirare traffico proveniente da fonti diverse da Google, tale decisione non avrebbe tuttavia esaminato se tali difficoltà non fossero piuttosto imputabili all’efficacia relativa di tali comparatori od anche alle preferenze degli utenti per altri siti di comparazione di prodotti, quali le piattaforme commerciali.
253 A sostegno di tale motivo, le ricorrenti affermano, in primo luogo, che il Tribunale ha erroneamente statuito, al punto 538 della sentenza impugnata, che l’applicazione del criterio del concorrente altrettanto efficace non è giustificata nelle cause diverse da quelle relative a pratiche tariffarie. Così facendo, il Tribunale avrebbe confuso il criterio formale prezzo-costo del concorrente altrettanto efficace, la cui applicazione non è sempre necessaria, con il principio generale che emerge dalla giurisprudenza della Corte, in particolare dal punto 21 della sentenza del 27 marzo 2012, Post Danmark (C-209/10, EU:C:2012:172), e dai punti 133 e 134 della sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C-413/14 P, EU:C:2017:632), secondo cui l’obiettivo dell’articolo 102 TFUE non è quello di proteggere le imprese meno efficaci. Orbene, l’applicabilità di tale principio sarebbe indipendente dalla natura tariffaria o non tariffaria dell’asserito abuso, cosicché sarebbe sempre necessario esaminare se il comportamento di cui trattasi sia idoneo ad estromettere concorrenti altrettanto efficaci, tanto più quando tale comportamento comporti un’innovazione dei prodotti e porti al miglioramento delle scelte e della qualità dell’offerta ai consumatori.
254 In secondo luogo, le ricorrenti criticano il punto 539 della sentenza impugnata e contestano al Tribunale di aver ritenuto che non fosse pertinente esaminare se i concorrenti reali di Google fossero altrettanto efficaci di quest’ultima, in quanto, nella giurisprudenza menzionata al punto precedente della presente sentenza, la Corte ha fatto riferimento a un concorrente ipotetico. Tuttavia, secondo le ricorrenti, la Commissione non ha tentato di valutare l’efficacia di comparatori di prodotti concorrenti, fossero essi ipotetici o reali, e si è limitata a far valere gli effetti del comportamento in questione sui concorrenti reali, senza esaminare la loro efficacia. Le lacune del ragionamento del Tribunale sarebbero ancora più evidenti dalla lettura dell’elemento di motivazione di cui al punto 391 della sentenza impugnata, secondo cui la migliore qualità delle piattaforme commerciali sarebbe una «spiegazione (...) plausibile» del declino di tali comparatori.
255 In terzo luogo, le ricorrenti criticano i punti 540 e 541 della sentenza impugnata nonché le constatazioni del Tribunale ivi contenute, secondo le quali, da un lato, la valutazione dell’efficacia dei comparatori di prodotti concorrenti sarebbe obiettiva solo se «le condizioni di concorrenza non fossero falsate da un comportamento anticoncorrenziale» e, dall’altro, la Commissione poteva limitarsi a dimostrare potenziali effetti di estromissione dal mercato, indipendentemente dalla questione se Google fosse più efficace dei comparatori di prodotti concorrenti.
256 A tal riguardo, le ricorrenti affermano che, pur essendo possibile che l’effetto distorsivo del comportamento di cui trattasi sia tale che la sua incidenza su concorrenti reali altrettanto efficaci non possa essere valutata, una siffatta ipotesi non può essere presunta. Orbene, la Commissione non avrebbe preso in considerazione tale ipotesi e il Tribunale avrebbe sostituito la propria motivazione alla valutazione della decisione controversa. Inoltre, le ricorrenti sostengono che, anche in tale ipotesi, la Commissione non può essere dispensata dall’obbligo di dimostrare la probabile incidenza del comportamento in questione su tali concorrenti. In tal caso, se l’analisi rimane necessariamente a livello ipotetico, essa dovrebbe basarsi su elementi di prova reali.
257 Nella loro memoria di replica, le ricorrenti aggiungono che i punti 45 e 73 della sentenza del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico Nazionale e a. (C-377/20, EU:C:2022:379), confortano la loro tesi sull’obbligo che incombe alla Commissione di valutare, nell’ambito dell’articolo 102 TFUE, la capacità del comportamento in questione di estromettere concorrenti altrettanto efficaci.
258 Le ricorrenti fanno altresì valere che, nel caso di specie, la Commissione avrebbe dovuto applicare lo stesso filtro utilizzato per gli abusi basati sui prezzi, in quanto, al pari di un prezzo basso che non può essere considerato di per sé distorsivo del processo concorrenziale, la combinazione delle due pratiche lecite non poteva nuocere a tale processo, soprattutto perché ciascuna di tali pratiche migliorava la qualità dei servizi offerti ai consumatori e Google non perseguiva una strategia anticoncorrenziale. Pertanto, al pari delle riduzioni di prezzo, i miglioramenti della qualità e l’innovazione rientrerebbero in un processo concorrenziale che funziona correttamente.
259 La Commissione, la PriceRunner, l’Autorità di vigilanza EFTA, il BEUC, la Foundem, la Kelkoo, il VDZ, la Ladenzeile, il BDZV e la Twenga contestano l’argomentazione delle ricorrenti e sostengono che il quarto motivo è irricevibile o infondato.
b) Giudizio della Corte
260 Con il quarto motivo, le ricorrenti contestano i punti da 538 a 541 della sentenza impugnata e affermano, in sostanza, che il Tribunale ha erroneamente statuito che la Commissione non era tenuta ad analizzare l’efficacia dei concorrenti, reali o ipotetici, di Google, in sede di valutazione della capacità del comportamento in questione di estromettere la concorrenza sui mercati interessati.
261 A tal riguardo, occorre osservare, anzitutto, che i punti da 538 a 541 della sentenza impugnata si inseriscono nell’ambito dell’analisi degli effetti anticoncorrenziali del comportamento in questione, in esito alla quale il Tribunale ha concluso, al punto 543 di tale sentenza, che la Commissione aveva dimostrato l’esistenza degli effetti potenziali sui mercati nazionali dei servizi di comparazione di prodotti.
262 Gli argomenti delle ricorrenti a sostegno del quarto motivo mirano, in particolare, a dimostrare che le motivazioni della sentenza impugnata relative all’assenza dell’obbligo della Commissione di procedere all’esame dell’efficacia dei comparatori di prodotti concorrenti sono viziate da un errore di diritto. Infatti, da un lato, la Commissione sarebbe stata tenuta ad esaminare l’efficacia di tali comparatori, fossero essi reali o ipotetici, in quanto tale obbligo rifletteva un principio generale secondo il quale l’obiettivo dell’articolo 102 TFUE non è quello di tutelare le imprese meno efficaci. Dall’altro, il criterio del concorrente altrettanto efficace, caratteristico di situazioni di abusi tariffari, avrebbe dovuto applicarsi anche nel caso di specie, poiché il comportamento in questione consisteva in una combinazione di pratiche lecite e portava ad un miglioramento dell’innovazione.
263 Per quanto riguarda la questione se l’articolo 102 TFUE implichi un obbligo sistematico per la Commissione di esaminare l’efficacia dei concorrenti reali o ipotetici dell’impresa in posizione dominante, dalla giurisprudenza della Corte citata ai punti da 163 a 167 della presente sentenza risulta che, certo, l’obiettivo di tale articolo non è quello di garantire che concorrenti meno efficaci dell’impresa in posizione dominante rimangano sul mercato.
264 Tuttavia, da ciò non deriva che qualsiasi constatazione di un’infrazione alla luce di tale disposizione sia subordinata alla dimostrazione che il comportamento di cui trattasi è idoneo a estromettere un concorrente altrettanto efficace.
265 La valutazione della capacità del comportamento in questione di estromettere un concorrente altrettanto efficace, evocata da Google quale principio sotteso all’applicazione dell’articolo 102 TFUE, appare, in particolare, pertinente, qualora l’impresa in situazione dominante abbia sostenuto, nel corso del procedimento amministrativo, elementi di prova alla mano, che il suo comportamento non ha avuto la capacità di restringere la concorrenza e, in particolare, di produrre gli effetti estromissivi addebitati. In un caso siffatto, la Commissione è non soltanto tenuta ad analizzare l’importanza della posizione dominante dell’impresa sul mercato di riferimento, ma è tenuta anche a valutare l’eventuale esistenza di una strategia volta ad estromettere i concorrenti almeno altrettanto efficaci (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C-413/14 P, EU:C:2017:632, punti 138 e 139).
266 Peraltro, poiché la Commissione è tenuta a dimostrare la violazione dell’articolo 102 TFUE, essa deve stabilire l’esistenza di un abuso di posizione dominante alla luce di diversi criteri, applicando, in particolare, il criterio del concorrente altrettanto efficace, ove esso sia pertinente, mentre la sua valutazione in merito alla pertinenza di un siffatto criterio è, se del caso, soggetta al controllo del giudice dell’Unione.
267 Nel caso di specie, va notato che, come risulta, in particolare, dai punti da 54 a 63 della sentenza impugnata, l’abuso identificato dalla Commissione è consistito nel posizionamento e nella presentazione più favorevoli che Google riservava, nelle pagine del suo motore di ricerca generale, al proprio comparatore di prodotti rispetto ai comparatori di prodotti concorrenti. Pertanto, la Commissione ha constatato che, nella misura in cui la capacità di un comparatore di prodotti di competere dipendeva dal traffico, tale comportamento discriminatorio di Google aveva avuto un impatto significativo sulla concorrenza in quanto aveva consentito a tale società di sviare, a beneficio del proprio comparatore di prodotti, un’ampia parte del traffico precedentemente esistente tra le pagine di risultati generali di Google e i comparatori di prodotti appartenenti ai suoi concorrenti, senza che questi ultimi potessero compensare tale perdita di traffico con il ricorso ad altre fonti di traffico, poiché un maggiore investimento in fonti alternative non avrebbe costituito una soluzione «economicamente sostenibile».
268 Pertanto, al punto 540 della sentenza impugnata, il Tribunale ha convenientemente indicato, senza che tale constatazione fosse infirmata dalle ricorrenti, le quali si limitano ad affermazioni di principio, che non sarebbe stato possibile per la Commissione ottenere risultati obiettivi e affidabili riguardo all’efficacia dei concorrenti di Google alla luce delle condizioni specifiche del mercato in questione.
269 Ne consegue che il Tribunale non è incorso in alcun errore di diritto statuendo, da un lato, che un siffatto criterio non rivestiva carattere imperativo nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 102 TFUE e, dall’altro, che, nelle circostanze del caso di specie, tale criterio non sarebbe stato pertinente.
270 Ne consegue che il quarto motivo deve essere respinto in quanto infondato, senza che sia necessario pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità procedurale sollevata dal BEUC.
271 Poiché nessuno dei motivi della presente impugnazione è stato accolto, occorre respingere quest’ultima nella sua interezza.
Sulle spese
272 A norma dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese. In conformità all’articolo 138, paragrafo 1, di detto regolamento, applicabile al procedimento d’impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.
273 Ai sensi dell’articolo 140, paragrafo 2, del regolamento di procedura, reso applicabile al procedimento di impugnazione dall’articolo 184, paragrafo 1, di tale regolamento, gli Stati aderenti all’Accordo SEE, diversi dagli Stati membri, nonché l’Autorità di vigilanza EFTA, se intervenuti nella causa, si fanno carico ciascuno delle proprie spese.
274 Conformemente all’articolo 140, paragrafo 3, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, di tale regolamento, la Corte può decidere che una parte interveniente sopporti le proprie spese.
275 In forza dell’articolo 184, paragrafo 4, dello stesso regolamento, una parte interveniente in primo grado, che non abbia proposto essa stessa l’impugnazione, può essere condannata alle spese nel procedimento di impugnazione solo se ha partecipato alla fase scritta od orale del procedimento dinanzi alla Corte. In tal caso, la Corte può decidere che le spese da essa sostenute restino a suo carico.
276 Nel caso di specie, poiché la Commissione ne ha fatto domanda, le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate a sopportare, oltre alle proprie spese, anche quelle sostenute dalla Commissione, ad eccezione delle spese sostenute da quest’ultima a causa dell’intervento della CCIA, che saranno sopportate da quest’ultima.
277 La PriceRunner, la CCIA, l’Autorità di vigilanza EFTA, il BEUC, la Foundem, la Kelkoo, il VDZ, la Ladenzeile, il BDZV e la Twenga sopporteranno ciascuno le proprie spese.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:
1) L’impugnazione è respinta.
2) La Google LLC e la Alphabet Inc. sono condannate a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione europea, ad eccezione di quelle sostenute da quest’ultima a causa dell’intervento della Computer & Communications Industry Association.
3) La Computer & Communications Industry Association sopporterà le proprie spese nonché le spese che la Commissione ha sostenuto a causa del suo intervento.
4) La PriceRunner International AB, l’Autorità di vigilanza EFTA, il Bureau européen des unions de consommateurs (BEUC), la Infederation Ltd, la Kelkoo SAS, il Verband Deutscher Zeitschriftenverleger eV, la Ladenzeile GmbH, il BDZV – Bundesverband Digitalpublisher und Zeitungsverleger eV e la Twenga SA sopporteranno ciascuno le proprie spese.
Firme
* Lingua processuale: l’inglese.