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Status di rifugiato anche alle donne che si identificano nella parità di genere

Corte di Giustizia UE, Sentenza n.C-646/21 del 11/06/2024

Le donne, incluse le minori, che si identificano nel valore della parità tra i sessi, maturata durante un soggiorno in uno Stato membro, possono essere considerate come appartenenti a un «determinato gruppo sociale», in quanto «motivo di persecuzione» idoneo a condurre al riconoscimento dello status di rifugiato.

È quanto stabiito dalla  Corte di giustizia dell'Unione Europea con la sentenza il 11 giugno 2024 nella causa C-646/21.

Il caso di specie ha riguardato due adolescenti irachene che vivono nei Paesi Bassi dal 2015. Dopo il rigetto delle loro iniziali domande di protezione internazionale, hanno presentato nuove richieste. Hanno sostenuto che durante il loro soggiorno nei Paesi Bassi hanno assimilato i valori e i comportamenti della società olandese. Ritengono che, in caso di ritorno in Iraq, non potrebbero conformarsi alle norme di una società che non concede alle donne gli stessi diritti degli uomini, esponendosi così al rischio di persecuzione.

Dopo che anche queste domande sono state respinte, un giudice dei Paesi Bassi ha chiesto alla Corte di giustizia un'interpretazione della direttiva 2011/95 sulla protezione internazionale, che definisce i requisiti per lo status di rifugiato per i cittadini di paesi terzi, inclusi i motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale.

La Corte ha stabilito che le donne, incluse le minori, che si identificano nella parità di genere, maturata in uno Stato membro, possono essere considerate come parte di un determinato gruppo sociale e questo può essere un motivo valido per il riconoscimento dello status di rifugiato.

La sentenza specifica che per i minori richiedenti protezione internazionale, le autorità nazionali devono tenere conto del loro interesse superiore durante l'esame individuale delle loro domande. Inoltre, un soggiorno prolungato in uno Stato membro, soprattutto se coincide con un periodo cruciale per la formazione dell'identità del minore, può essere considerato durante la valutazione di una domanda di protezione internazionale basata su «l’appartenenza a un determinato gruppo sociale».

Questa decisione della Corte rappresenta un passo significativo nella protezione dei diritti delle donne e delle ragazze che si identificano nei valori della parità di genere, rafforzando l'applicazione della direttiva sulla protezione internazionale.

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SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

11 giugno 2024

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politica comune in materia di asilo – Direttiva 2011/95/UE – Condizioni per la concessione dello status di rifugiato – Articolo 2, lettere d) e e) – Motivi di persecuzione – Articolo 10, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2 – “Appartenenza a un determinato gruppo sociale” – Articolo 4 – Esame individuale dei fatti e delle circostanze – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 10, paragrafo 3 – Criteri applicabili all’esame delle domande di protezione internazionale – Articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Interesse superiore del minore – Determinazione – Cittadine di un paese terzo minori che si identificano nel valore fondamentale della parità tra uomini e donne in ragione del loro soggiorno in uno Stato membro»

Nella causa C-646/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s-Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s-Hertogenbosch, Paesi Bassi), con decisione del 22 ottobre 2021, pervenuta in cancelleria il 25 ottobre 2021, nel procedimento

K,

L

contro

Staatssecretaris van Justitie an Veiligheid,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, A. Arabadjiev, C. Lycourgos, E. Regan, F. Biltgen e N. Piçarra (relatore), presidenti di sezione, P.G. Xuereb, L.S. Rossi, I. Jarukaitis, A. Kumin, N. Jääskinen, N. Wahl, I. Ziemele e J. Passer, giudici,

avvocato generale: A.M. Collins

cancelliere: A. Lamote, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 18 aprile 2023,

considerate le osservazioni presentate:

–        per K e L, da B.W.M. Toemen e Y.E. Verkouter, advocaten, assistiti da S. Rafi, esperta;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman, A. Hanje e A.M. de Ree, in qualità di agenti;

–        per il governo ceco, da L. Halajová, M. Smolek e J. Vlácil, in qualità di agenti;

–        per il governo ellenico, da M. Michelogiannaki e T. Papadopoulou, in qualità di agenti;

–        per il governo spagnolo, da A. Gavela Llopis e A. Pérez-Zurita Gutiérrez, in qualità di agenti;

–        per il governo francese, da A.-L. Desjonquères e J. Illouz, in qualità di agenti;

–        per il governo ungherese, da Zs. Biró-Tóth e M.Z. Fehér, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da A. Azéma e F. Wilman, in qualità di agenti;

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 13 luglio 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d) e paragrafo 2, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra K e L, da un lato, e lo Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Segretario di Stato alla Giustizia e alla Sicurezza, Paesi Bassi), dall’altro, in merito al rigetto da parte di quest’ultimo delle loro domande reiterate di protezione internazionale.

 Contesto normativo

 Diritto internazionale

 Convenzione di Ginevra

3        Ai sensi dell’articolo 1, sezione A, punto 2, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], entrata in vigore il 22 aprile 1954, come integrata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: la «convenzione di Ginevra»), «[a]i fini della presente Convenzione, il termine “rifugiato” è applicabile: a chiunque, (...) nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; (...)».

 La CEDAW

4        Ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (in prosieguo: la «CEDAW»), adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979, entrata in vigore il 3 settembre 1981 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 1249, n. I-20378, pag. 13) e di cui tutti gli Stati membri sono parti, «[a]i fini [della presente convenzione], l’espressione “discriminazione nei confronti della donna” concerne ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o distruggere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, da parte delle donne quale che sia il loro stato matrimoniale, dei diritti [umani] e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo, su una base di parità tra l’uomo e la donna».

5        L’articolo 3 di tale convenzione prevede che gli Stati parte prendono in ogni campo, ed in particolare nei campi politico, sociale, economico e culturale, ogni misura adeguata, incluse le disposizioni legislative, al fine di assicurare il pieno sviluppo ed il progresso delle donne e garantire loro, su una base di piena parità con gli uomini, l’esercizio e il godimento dei diritti [umani] e delle libertà fondamentali.

6        Ai sensi dell’articolo 5 di detta convenzione, gli Stati parte prendono ogni misura adeguata al fine di modificare gli schemi e i modelli di comportamento socio-culturale degli uomini e delle donne e di giungere ad una eliminazione dei pregiudizi e delle pratiche consuetudinarie o di altro genere, che siano basate sulla convinzione dell’inferiorità o della superiorità dell’uno o dell’altro sesso o sull’idea di ruoli stereotipati degli uomini e delle donne.

7        Ai sensi degli articoli 7, 10 e 16 della medesima convenzione, gli Stati parte prendono ogni misura adeguata ad eliminare la discriminazione nei confronti delle donne nella vita politica e pubblica del paese, per quanto concerne l’educazione nonché in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari.

 Convenzione di Istanbul

8        Conformemente al suo articolo 1, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, conclusa a Istanbul l’11 maggio 2011, firmata dall’Unione europea il 13 giugno 2017, approvata a nome di quest’ultima con decisione (UE) 2023/1076 del Consiglio, del 1º giugno 2023 (GU 2023, L 143 I. pag. 4) (in prosieguo: la «convenzione di Istanbul»), ed entrata in vigore, per quanto riguarda l’Unione, il 1º ottobre 2023 ha in particolare l’obiettivo di proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica, nonché di contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne.

9        L’articolo 3 di tale convenzione precisa che, ai fini della sua applicazione, con l’espressione «violenza nei confronti delle donne» si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata.

10      L’articolo 4, paragrafo 2, della convenzione suddetta così dispone:

«Le Parti condannano ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne e adottano senza indugio le misure legislative e di altro tipo necessarie per prevenirla, in particolare:

–        inserendo nelle loro costituzioni nazionali o in qualsiasi altra disposizione legislativa appropriata il principio della parità tra i sessi e garantendo l’effettiva applicazione di tale principio;

–        vietando la discriminazione nei confronti delle donne, ivi compreso procedendo, se del caso, all’applicazione di sanzioni;

–        abrogando le leggi e le pratiche che discriminano le donne».

11      L’articolo 60 della convenzione di Istanbul è del seguente tenore:

«1      Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la violenza contro le donne basata sul genere possa essere riconosciuta come una forma di persecuzione ai sensi dell’articolo 1, [sezione] A, [punto 2,] della [Convenzione di Ginevra] e come una forma di grave pregiudizio che dia luogo a una protezione complementare/sussidiaria.

2      Le Parti si accertano che un’interpretazione sensibile al genere sia applicata a ciascuno dei motivi della [convenzione di Ginevra], e che nei casi in cui sia stabilito che il timore di persecuzione è basato su uno o più di tali motivi, sia concesso ai richiedenti asilo lo status di rifugiato, in funzione degli strumenti pertinenti applicabili.

(...)».

 Diritto dellUnione

 Direttiva 2011/95

12      Ai sensi dei considerando 4, 16, 18 e 30 della direttiva 2011/95:

«(4)      La convenzione di Ginevra e il relativo protocollo costituiscono la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati.

(...)

(16)      La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente nella [Carta]. Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana, il diritto di asilo dei richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito e a promuovere l’applicazione degli articoli 1, 7, 11, 14, 15, 16, 18, 21, 24, 34 e 35 d[ella] Carta, e dovrebbe pertanto essere attuata di conseguenza.

(...)

(18)      Nell’applicare la presente direttiva gli Stati membri dovrebbero attribuire fondamentale importanza all’“interesse superiore del minore”, in linea con la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989. Nel valutare l’interesse superiore del minore gli Stati membri dovrebbero tenere debitamente presenti, in particolare, il principio dell’unità del nucleo familiare, il benessere e lo sviluppo sociale del minore, le considerazioni attinenti alla sua incolumità e sicurezza, nonché il parere del minore in funzione dell’età o della maturità del medesimo.

(...)

(30)      È altresì necessario introdurre una definizione comune del motivo di persecuzione costituito dall’“appartenenza a un determinato gruppo sociale”. Per la definizione di un determinato gruppo sociale, occorre tenere debito conto, degli aspetti connessi al sesso del richiedente, tra cui l’identità di genere e l’orientamento sessuale, che possono essere legati a determinate tradizioni giuridiche e consuetudini, che comportano ad esempio le mutilazioni genitali, la sterilizzazione forzata o l’aborto coatto, nella misura in cui sono correlati al timore fondato del richiedente di subire persecuzioni».

13      L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», è così formulato:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

a)      “protezione internazionale”: lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria quale definito alle lettere e) e g);

(...)

d)      “rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12;

e)      “status di rifugiato”: il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale rifugiato;

(...)

i)      “richiedente”: qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non sia stata ancora adottata una decisione definitiva;

(...)

k)      “minore”: il cittadino di un paese terzo o l’apolide di età inferiore agli anni diciotto;

(...)

n)      “paese di origine” il paese o i paesi di cui il richiedente è cittadino o, per un apolide, in cui aveva precedentemente la dimora abituale».

14      L’articolo 4 di tale direttiva, intitolato «Esame dei fatti e delle circostanze», contenuto nel capo II di quest’ultima, relativo alla «[v]alutazione delle domande di protezione internazionale», così dispone:

«1.      Gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda.

2.      Gli elementi di cui al paragrafo 1 consistono nelle dichiarazioni del richiedente e in tutta la documentazione in possesso del richiedente in merito alla sua età, estrazione, anche, ove occorra, dei congiunti, identità, cittadinanza/e, paese/i e luogo/luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse, itinerari di viaggio, documenti di viaggio nonché i motivi della sua domanda di protezione internazionale.

3.      L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:

a)      di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda, comprese le disposizioni legislative e regolamentari del paese d’origine e le relative modalità di applicazione;

(...)

c)      della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave;

(...)

5.      Quando gli Stati membri applicano il principio in base al quale il richiedente è tenuto a motivare la sua domanda di protezione internazionale e qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la loro conferma non è comunque necessaria se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

(...)

c)      le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili (...)

(...)

e)      è accertato che il richiedente è in generale attendibile».

15      L’articolo 9 della medesima direttiva, intitolato «Atti di persecuzione», ai paragrafi 1 e 2 prevede quanto segue:

«1.      Sono atti di persecuzione ai sensi dell’articolo 1 A della convenzione di Ginevra gli atti che:

a)      sono, per loro natura o frequenza, sufficientemente gravi da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [firmata a Roma il 4 novembre 1950]; oppure

b)      costituiscono la somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo a quello di cui alla lettera a).

2.      Gli atti di persecuzione che rientrano nella definizione di cui al paragrafo 1 possono, tra l’altro, assumere la forma di:

(...)

f)      atti specificamente diretti contro un sesso o contro l’infanzia».

16      L’articolo 10 della direttiva 2011/95, intitolato «Motivi di persecuzione», così dispone:

«1.      Nel valutare i motivi di persecuzione, gli Stati membri tengono conto dei seguenti elementi:

(...)

d)      si considera che un gruppo costituisce un particolare gruppo sociale in particolare quando:

–        i membri di tale gruppo condividono una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, e

–        tale gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante.

(...) Ai fini della determinazione dell’appartenenza a un determinato gruppo sociale o dell’individuazione delle caratteristiche proprie di tale gruppo, si tiene debito conto delle considerazioni di genere, compresa l’identità di genere;

(...)

2.      Nell’esaminare se un richiedente abbia un timore fondato di essere perseguitato è irrilevante che il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche (...) sociali (...) che provocano gli atti di persecuzione, purché una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall’autore delle persecuzioni».

17      L’articolo 20 di tale direttiva, che compare al capo VII di quest’ultima, intitolato «[c]ontenuto della protezione internazionale», ai paragrafi 3 e 5 così dispone:

«3.      Nell’attuare il presente capo, gli Stati membri tengono conto della specifica situazione di persone vulnerabili, quali i minori, i minori non accompagnati (...), i genitori soli con figli minori (...).

(...)

5.      L’interesse superiore del minore è la principale considerazione degli Stati membri quando attuano le disposizioni del presente capo che coinvolgono i minori».

 Direttiva 2013/32/UE

18      L’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), definisce una «domanda reiterata» come «un’ulteriore domanda di protezione internazionale presentata dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente (...)».

19      L’articolo 10 di tale direttiva, intitolato «Criteri applicabili all’esame delle domande», al suo paragrafo 3, dispone quanto segue:

«Gli Stati membri provvedono affinché le decisioni dell’autorità accertante relative alle domande di protezione internazionale siano adottate previo congruo esame. A tal fine gli Stati membri dispongono:

a)      che le domande siano esaminate e le decisioni prese in modo individuale, obiettivo ed imparziale;

b)      che pervengano da varie fonti informazioni precise e aggiornate, quali l’[Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO)] e l’[Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR)] e le organizzazioni internazionali competenti per i diritti umani pertinenti, circa la situazione generale esistente nel paese di origine dei richiedenti e (...) siano messe a disposizione del personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito;

(...)

d)      che il personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito abbia la possibilità di consultare esperti, laddove necessario, su aspetti particolari come quelli d’ordine medico, culturale, religioso, di genere o inerenti ai minori».

20      Ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, quarto comma, di detta direttiva, «[g]li Stati membri possono stabilire nel diritto interno i casi in cui a un minore è data facoltà di sostenere un colloquio personale».

21      L’articolo 15, paragrafo 3, della stessa direttiva così dispone:

«Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché il colloquio personale si svolga in condizioni che consentano al richiedente di esporre in modo esauriente i motivi della sua domanda. A tal fine gli Stati membri:

(...)

e)      provvedono affinché i colloqui con i minori siano condotti con modalità consone alla loro età».

22      L’articolo 40 della direttiva 2013/32, intitolato «Domande reiterate», al suo paragrafo 2, prevede quanto segue:

«Per decidere dell’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), una domanda di protezione internazionale reiterata è anzitutto sottoposta a esame preliminare per accertare se siano emersi o siano stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi rilevanti per l’esame dell’eventuale qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [2011/95]».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

23      K e L, ricorrenti nella causa principale, sono due sorelle di nazionalità irachena, nate rispettivamente nel 2003 e nel 2005. Sono arrivate nei Paesi Bassi nel corso del 2015, accompagnate dai genitori e dalla zia. Da allora, esse vi soggiornano ininterrottamente. Il 7 novembre 2015 i loro genitori hanno presentato domande di asilo in nome proprio e a nome di K e di L, che sono state respinte il 17 febbraio 2017. Tali decisioni di rigetto sono divenute definitive nel corso del 2018.

24      Il 4 aprile 2019 K e L hanno presentato domande reiterate, ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32, che sono state respinte, in quanto manifestamente infondate, con decisioni del Segretario di Stato alla Giustizia e alla Sicurezza del 21 dicembre 2020. Per contestare tali decisioni di rigetto, K e L sostengono dinanzi al rechtbank Den Haag, zittingsplaats’s-Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s-Hertogenbosch, Paesi Bassi), giudice del rinvio, che, a causa del loro soggiorno prolungato nei Paesi Bassi, esse hanno assimilato le norme, i valori e i comportamenti dei giovani della loro età e si sono così «occidentalizzate». Di conseguenza, in quanto giovani donne, esse ritengono di avere la possibilità di fare personalmente le scelte sulla loro esistenza e sul loro futuro, in particolare per quanto riguarda i rapporti con le persone di sesso maschile, il matrimonio, gli studi, il lavoro nonché la formazione e l’espressione delle loro opinioni politiche e religiose. Esse temono, in caso di ritorno in Iraq, di essere perseguitate a causa dell’identità che si sono forgiate nei Paesi Bassi, caratterizzata dall’assimilazione di norme, valori e comportamenti diversi da quelli del loro paese d’origine, che sarebbero diventati così fondamentali per la loro identità e la loro coscienza che esse non potrebbero rinunciarvi. Esse sostengono quindi di appartenere a un «determinato gruppo sociale» ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95.

25      K e L fanno altresì valere che, a causa di tale soggiorno prolungato nei Paesi Bassi, esse sono ormai radicate in tale paese e subirebbero un pregiudizio per il loro sviluppo se dovessero lasciarlo. Tale pregiudizio si aggiungerebbe a quello subito a causa del lungo periodo di incertezza sull’ottenimento di un permesso di soggiorno in tale Stato membro.

26      In tale contesto, il giudice del rinvio s’interroga, in primo luogo, sull’interpretazione della nozione di «appartenenza a un determinato gruppo sociale», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95. Esso ritiene che la nozione di «occidentalizzazione» rinvii alla parità tra uomini e donne e, in particolare, al diritto delle donne di essere tutelate da qualsiasi violenza di genere, di non essere obbligate a sposarsi, di aderire o no ad una fede, di avere le proprie opinioni politiche e di poterle esprimere.

27      Tale giudice ricorda che, secondo la giurisprudenza del Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi), le «donne occidentalizzate» costituiscono un gruppo troppo eterogeneo perché possano essere considerate appartenenti a un «determinato gruppo sociale», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95, e che, secondo la prassi giuridica nazionale, una eventuale «occidentalizzazione» è esaminata come motivo di persecuzione fondato sulla religione o sulle opinioni politiche.

28      Detto giudice si interroga, in secondo luogo, sul modo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, garantito dall’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, nell’ambito della procedura di esame delle domande di protezione internazionale. Esso non trova alcuna indicazione nel diritto dell’Unione su come stabilire tale interesse.

29      A tale proposito, pur ricordando che, secondo la sentenza del 14 gennaio 2021, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Rimpatrio di un minore non accompagnato) (C-441/19, EU:C:2021:9, punto 45), in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente, conformemente all’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, il giudice del rinvio si interroga sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di una prassi giuridica nazionale secondo la quale, in un primo momento, l’autorità competente statuisce sulla domanda di protezione internazionale valutando, in termini generali, l’interesse superiore del minore, potendo il richiedente contestare la decisione così adottata solo in un secondo tempo, dimostrando concretamente che tale interesse imporrebbe una decisione diversa.

30      In terzo luogo, osservando che il preteso danno subito da K e L, derivante dall’incertezza derivante dalla loro situazione nei Paesi Bassi, non ha alcun nesso con motivi di persecuzione nel loro paese d’origine, tale giudice si chiede se, nell’ambito dell’esame di una domanda di protezione internazionale, l’interesse superiore del minore imponga comunque di prendere in considerazione un tale danno e, in caso affermativo, secondo quali modalità.

31      In quarto e ultimo luogo, detto giudice si chiede se la prassi giuridica nazionale secondo cui l’autorità che statuisce su una «domanda reiterata», ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32, non è tenuta ad esaminare d’ufficio il diritto di soggiorno del richiedente per «motivi regolari» sia compatibile con il diritto dell’Unione.

32      In tali circostanze, il rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s-Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s-Hertogenbosch), ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della [direttiva 2011/95] debba essere interpretato nel senso che le norme, i valori e i comportamenti occidentali, fatti propri da cittadini di paesi terzi mentre, in una parte considerevole della fase di vita in cui formano la loro identità, soggiornano nel territorio di uno Stato membro e partecipano nella massima misura possibile alla vita sociale, devono essere considerati come un contesto comune che non può essere mutato, ovverosia sono caratteristiche tanto fondamentali di un’identità che non si può imporre agli interessati di rinunciarvi.

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione, se i cittadini di paesi terzi che – prescindendo dalla motivazione – hanno fatto propri norme e valori occidentali analoghi, stante la presenza effettiva nello Stato membro nella fase della vita che forma la loro identità, debbano essere considerati come “membri di un particolare gruppo sociale”, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della [direttiva 2011/95]. Se a tale riguardo la questione se si configuri un “particolare gruppo sociale che possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi” debba essere valutata dal punto di vista dello Stato membro oppure se detta espressione, in combinato disposto con l’articolo 10, paragrafo 2, della [direttiva 2011/95], debba essere interpretata nel senso che spetta rilevanza determinante alla circostanza che lo straniero possa rendere manifesto che egli nel paese di origine viene considerato come membro di un particolare gruppo sociale, o quanto meno che siffatta caratteristica gli viene attribuita. Se il requisito che l’occidentalizzazione può determinare la qualifica di rifugiato solo se essa deriva da motivi religiosi o politici sia compatibile con l’articolo 10 della [direttiva 2011/95], in combinato disposto con il divieto di respingimento e il diritto d’asilo.

3)      Se una prassi giuridica nazionale in cui un’autorità competente, nell’esame di una domanda di protezione internazionale, valuta l’interesse superiore del minore senza prima (far) concretamente determinare detto interesse superiore (in ogni procedimento) sia compatibile con il diritto dell’Unione, segnatamente con l’articolo 24, paragrafo 2, della [Carta], in combinato disposto con l’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. Se la risposta a tale questione cambi qualora lo Stato membro debba esaminare una domanda di autorizzazione al soggiorno per motivi regolari e l’interesse superiore del minore deve essere preso in considerazione nella decisione su detta domanda.

4)      In quale modo e in quale fase dell’esame di una domanda di protezione internazionale occorra, in considerazione dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, esaminare e valutare l’interesse superiore del minore e, in particolare, il danno subito da un minore a causa di un soggiorno di fatto prolungato in uno Stato membro. Se al riguardo sia rilevante se siffatto soggiorno di fatto sia stato un soggiorno regolare. Se nella valutazione dell’interesse superiore del minore in tale esame sia rilevante se lo Stato membro si sia pronunciato sulla domanda di protezione internazionale entro i termini di decisione ai sensi del diritto dell’Unione, o se non sia ottemperato un obbligo di rientro precedentemente imposto e se lo Stato membro non abbia proceduto all’allontanamento dopo l’adozione di una decisione di rimpatrio, per cui il soggiorno di fatto del minore nello Stato membro ha potuto protrarsi nel tempo.

5)      Se una prassi giuridica nazionale in cui si opera una distinzione tra la prima domanda di protezione internazionale e le domande reiterate, nel senso che nelle domande di protezione internazionale reiterate non vengono presi in considerazione i motivi regolari, sia compatibile con il diritto dell’Unione, avendo riguardo all’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulle questioni prima e seconda 

33      In via preliminare, occorre rilevare che, sebbene il giudice del rinvio si riferisca, in particolare nella sua prima questione, alle «norme, i valori e i comportamenti occidentali, fatti propri da cittadini di paesi terzi mentre, in una parte considerevole della fase di vita in cui formano la loro identità, soggiornano nel territorio di uno Stato membro e partecipano nella massima misura possibile alla vita sociale», dall’ordinanza di rinvio risulta che essa mira, in sostanza, all’effettiva identificazione di tali donne nel valore fondamentale della parità tra uomini e donne nonché nella loro volontà di continuare a beneficiare di tale parità nella loro vita quotidiana.

34      In tali circostanze, si deve ritenere che, con le sue prime due questioni pregiudiziali, che possono essere esaminate congiuntamente, tale giudice chieda, in sostanza, se l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che, a seconda delle condizioni esistenti nel paese d’origine, possono essere considerate appartenenti a «un determinato gruppo sociale», in quanto «motivo di persecuzione» idoneo a condurre al riconoscimento dello status di rifugiato, le donne cittadine di tale paese, anche minori, che condividono come caratteristica comune un’effettiva identificazione nel valore fondamentale della parità donne e uomini, sancito in particolare all’articolo 2 TUE, maturata nel corso del loro soggiorno in uno Stato membro.

35      In primo luogo, l’articolo 2, lettera d), della direttiva 2011/95 definisce come «rifugiato» il cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese. Tale definizione riprende quella che figura all’articolo 1, sezione A, punto 2, della Convenzione di Ginevra, la quale, come enuncia il considerando 4 di tale direttiva, costituisce «la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati».

36      L’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2011/95 deve, pertanto, essere effettuata non solo alla luce dell’impianto sistematico e della finalità di tale direttiva, ma altresì nel rispetto della Convenzione di Ginevra e degli altri trattati pertinenti di cui all’articolo 78, paragrafo 1, TFUE. Tra tali trattati figurano, in particolare, la convenzione di Istanbul e la CEDAW [sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica), C-621/21, EU:C:2024:47, punti 37 e da 44 a 47].

37      Come confermato dagli articoli 1 e 3 e dall’articolo 4, paragrafo 2, della Convenzione di Istanbul, la parità tra donne e uomini implica in particolare il diritto, per ogni donna, di essere tutelata contro ogni violenza di genere, il diritto di non essere costretta a sposarsi, nonché il diritto di aderire o no a una fede, di avere le proprie opinioni politiche e di esprimerle e di effettuare liberamente le proprie scelte di vita, in particolare, in materia di istruzione, di carriera professionale o di attività nella sfera pubblica. Lo stesso vale per gli articoli 3, 5, 7, 10 e 16 della CEDAW.

38      Inoltre, l’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2011/95 deve altresì avvenire, come enunciato dal suo considerando 16, nel rispetto dei diritti riconosciuti dalla Carta, di cui tale direttiva mira a promuovere l’applicazione, e il cui articolo 21, paragrafo 1, vieta qualsiasi discriminazione fondata, in particolare, sul sesso [v., in tal senso, sentenze del 13 gennaio 2021, Bundesrepublik Deutschland (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese), C-507/19, EU:C:2021:3, punto 39, e del 9 novembre 2023, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Nozione di danni gravi), C-125/22, EU:C:2023:843, punto 60].

39      In secondo luogo, l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2011/95 elenca, per ciascuno dei cinque motivi di persecuzione che possono condurre, conformemente all’articolo 2, lettera d), di tale direttiva, al riconoscimento dello status di rifugiato, elementi di cui gli Stati membri devono tener conto.

40      Per quanto riguarda, in particolare, il motivo dell’«appartenenza ad un determinato gruppo sociale», da tale articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, emerge che un gruppo è considerato come un «determinato gruppo sociale» quando sono soddisfatte due condizioni cumulative. Da un lato, le persone che possono appartenervi devono condividere almeno uno dei tre aspetti identificativi seguenti, ossia una «caratteristica innata», una «storia comune che non può essere mutata», oppure una «caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi». Dall’altro lato, tale gruppo deve possedere un’«identità distinta» nel paese origine, «perché vi è percepito come diverso dalla società circostante» [sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica), C-621/21, EU:C:2024:47, punto 40].

41      Inoltre, il secondo comma di detto articolo 10, paragrafo 1, lettera d), precisa, tra l’altro, che «[a]i fini della determinazione dell’appartenenza a un determinato gruppo sociale o dell’individuazione delle caratteristiche proprie di tale gruppo, si tiene debito conto delle considerazioni di genere, compresa l’identità di genere». Tale disposizione deve essere letta alla luce del considerando 30 della direttiva 2011/95, secondo cui l’identità di genere può essere legata a determinate tradizioni giuridiche o consuetudini [sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica), C-621/21, EU:C:2024:47, punto 41].

42      Per quanto riguarda la prima condizione di identificazione di un «determinato gruppo sociale», prevista dall’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, primo trattino, della direttiva 2011/95, vale a dire quella di condividere almeno uno dei tre aspetti identificativi di cui a tale disposizione, la Corte ha già dichiarato che il fatto di appartenere al sesso femminile costituisce una caratteristica innata, ed è, di conseguenza, sufficiente a soddisfare tale condizione [sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica), C-621/21, EU:C:2024:47, punto 49].

43      Inoltre, anche donne che condividono un aspetto comune supplementare come, ad esempio, un’altra caratteristica innata, o una storia comune che non può essere mutata, quale una situazione familiare particolare, oppure una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che tali donne non dovrebbero essere costrette a rinunciarvi, possono, per tale ragione, soddisfare detta condizione [v., in tal senso, sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica), C-621/21, EU:C:2024:47, punto 50].

44      A tale proposito, da un lato, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 34 delle sue conclusioni, l’effettiva identificazione di una donna nel valore fondamentale della parità tra donne e uomini, in quanto presuppone la volontà di beneficiare di tale parità nella sua vita quotidiana, implica la possibilità di effettuare liberamente le sue scelte di vita, in particolare per quanto riguarda la propria istruzione e carriera professionale, la portata e la natura delle sue attività nella sfera pubblica, la possibilità di giungere all’indipendenza economica lavorando al di fuori della famiglia, la decisione di vivere da sola o in famiglia, e la scelta del partner, scelte che sono fondamentali per determinare la propria identità. In tali circostanze, l’effettiva identificazione di una cittadina di un paese terzo nel valore fondamentale della parità tra donne e uomini può essere considerata come «una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi». A tale riguardo, è irrilevante la circostanza che tale cittadina non ritenga di formare un gruppo con le altre cittadine di paesi terzi o con l’insieme delle donne che si identificano con tale valore fondamentale.

45      Dall’altro lato, la circostanza che giovani donne cittadine di paesi terzi abbiano soggiornato in uno Stato membro ospitante nella fase della vita in cui si forgia l’identità di una persona, e che durante tale soggiorno esse si siano effettivamente identificate nel valore fondamentale della parità tra donne e uomini, può costituire «una storia comune che non può essere mutata», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, primo trattino, della direttiva 2011/95.

46      Di conseguenza, occorre constatare che tali donne, comprese quelle minori, soddisfano la prima condizione di identificazione di un «determinato gruppo sociale», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, primo trattino, della direttiva 2011/95.

47      Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, di tale direttiva, l’autorità nazionale competente deve accertarsi che la caratteristica connessa all’appartenenza ad un determinato gruppo sociale venga attribuita alla persona interessata nel suo paese d’origine, ai sensi dell’articolo 2, lettera n), di detta direttiva, anche se tale persona non possiede effettivamente una siffatta caratteristica.

48      Per quanto riguarda il secondo requisito di identificazione di «un determinato gruppo sociale», prevista all’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, secondo trattino, della medesima direttiva e relativo all’«identità distinta» del gruppo nel paese d’origine, è giocoforza constatare che le donne possono essere percepite in modo diverso dalla società circostante e può essere riconosciuta loro un’identità distinta in tale società, in ragione, in particolare, di norme sociali, morali o giuridiche vigenti nel loro paese d’origine [sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenze domestiche), C-621/21, EU:C:2024:47, punto 52].

49      Tale seconda condizione è soddisfatta anche nel caso di donne che condividono una caratteristica comune supplementare, quale l’effettiva identificazione nel valore fondamentale della parità tra donne e uomini, quando le norme sociali, morali o giuridiche vigenti nel loro paese d’origine hanno come conseguenza che tali donne, in ragione di tale caratteristica comune, sono parimenti percepite come diverse dalla società circostante [v., in tal senso, sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica), C-621/21, EU:C:2024:47, punto 53].

50      In tale contesto, occorre precisare che spetta alle autorità competenti dello Stato membro interessato determinare quale società circostante sia pertinente per valutare l’esistenza di tale gruppo sociale. Tale società può coincidere con l’intero paese terzo di origine del richiedente protezione internazionale o essere più circoscritta, ad esempio a una parte del territorio o della popolazione di tale paese terzo [sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica), C-621/21, EU:C:2024:47, punto 54].

51      Ne consegue che le donne, ivi comprese le minori, che condividono come caratteristica comune l’effettiva identificazione nel valore fondamentale della parità tra donne e uomini, maturata nel corso del loro soggiorno in uno Stato membro, possono essere considerate, a seconda delle condizioni esistenti nel paese d’origine, come appartenenti a un «determinato gruppo sociale», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95.

52      Tenuto conto dei dubbi del giudice del rinvio, occorre ancora precisare che non è affatto necessario che l’effettiva identificazione di tali donne nel valore fondamentale della parità tra donne e uomini rivesta un carattere politico o religioso per riconoscere, nei loro confronti, l’esistenza di un motivo di persecuzione, ai sensi di tale disposizione. Ciò non toglie che un’identificazione del genere può, se del caso, essere considerata anche come motivo di persecuzione fondato sulla religione o sulle opinioni politiche.

53      In terzo luogo, per quanto riguarda la valutazione di una domanda di protezione internazionale, ivi compresa una «domanda reiterata», fondata sul motivo di persecuzione costituito dall’appartenenza a un determinato gruppo sociale, spetta alle autorità nazionali competenti verificare, come imposto dall’articolo 2, lettera d), della direttiva 2011/95, se la persona che invoca tale motivo di persecuzione abbia il «timore fondato» di subire, nel suo paese d’origine, atti di persecuzione, ai sensi dell’articolo 9, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva, in ragione di una tale appartenenza [v., in tal senso, sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica), C-621/21, EU:C:2024:47, punto 59].

54      Ai fini di una tale valutazione l’autorità nazionale competente deve tenere conto, sotto un primo profilo, del fatto che, come precisato all’articolo 9, paragrafo 2), lettera f) della direttiva suddetta, possono essere atti di persecuzione, ai sensi dell’articolo 1, sezione A della convenzione di Ginevra, in particolare, gli atti diretti «contro un sesso».

55      A tale proposito, da un lato, l’articolo 60, paragrafo 1, della Convenzione di Istanbul dispone che la violenza nei confronti delle donne basata sul genere, che deve essere intesa, conformemente all’articolo 3 di tale convenzione, come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione nei confronti delle donne, deve essere riconosciuta come una forma di persecuzione ai sensi dell’articolo 1, sezione A, punto 2, della Convenzione di Ginevra. Dall’altro lato, tale articolo 60, paragrafo 2, impone alle parti di accertarsi che un’interpretazione sensibile al genere sia applicata a ciascuno dei motivi di persecuzione previsti dalla Convenzione di Ginevra, ivi compreso quindi il motivo di persecuzione derivante dall’appartenenza ad un determinato gruppo sociale.

56      Sotto un secondo profilo, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2011/95, gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Rimane il fatto che le autorità degli Stati membri devono, se del caso, cooperare attivamente con tale richiedente per determinare e integrare gli elementi significativi della sua domanda [v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2022, Secretary of State for the Home Department (Satus di rifugiato di un apolide di origine palestinese), C-349/20, EU:C:2022:151, punto 64]. Peraltro, se gli Stati membri si avvalgono della facoltà loro riconosciuta da tale disposizione, detto articolo 4, paragrafo 5, prevede ancora che, qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la loro conferma non sia comunque necessaria, se le condizioni cumulative di cui a tale paragrafo 5 sono soddisfatte. Tra tali condizioni figurano la coerenza e la plausibilità delle dichiarazioni del richiedente e l’attendibilità generale di quest’ultimo [v., in tal senso, sentenza del 21 settembre 2023, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (Opinioni politiche nello Stato membro ospitante), C-151/22, EU:C:2023:688, punto 44].

57      La Corte ha precisato, a tale riguardo, che le dichiarazioni di un richiedente protezione internazionale costituiscono soltanto il punto di partenza della procedura di esame dei fatti e delle circostanze condotta dalle autorità competenti, le quali si trovano spesso in una posizione migliore rispetto al richiedente per avere accesso a taluni tipi di documenti [v., in tal senso, sentenze del 22 novembre 2012, M., C-277/11, EU:C:2012:744, punti 65 e 66; del 19 novembre 2020, Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Servizio militare e asilo), C-238/19, EU:C:2020:945, punto 52, e del 9 novembre 2023, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Nozione di danni gravi), C-125/22, EU:C:2023:843, punto 47].

58      Sarebbe, quindi, contrario all’articolo 4 della direttiva 2011/95 ritenere che spetti necessariamente al solo richiedente presentare tutti gli elementi che consentano di suffragare i motivi a sostegno della sua domanda di protezione internazionale e, in particolare, dimostrare, da un lato, che egli potrebbe essere considerato, nel suo paese d’origine, appartenente a un determinato gruppo sociale, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, di tale direttiva, e, dall’altro, che egli rischia di essere perseguitato in tale paese per questo motivo [v., in tal senso, sentenza del 19 novembre 2020, Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Servizio militare e asilo), C-238/19, EU:C:2020:945, punti 54 e 55].

59      Sotto un terzo profilo, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95, l’esame, da parte delle autorità nazionali competenti, della fondatezza del timore di un richiedente di essere perseguitato deve avere carattere individuale ed essere effettuato caso per caso con diligenza e prudenza, basandosi unicamente su una valutazione concreta dei fatti e delle circostanze, al fine di determinare se i fatti e le circostanze accertati rappresentino una minaccia tale da far fondatamente temere alla persona interessata, alla luce della sua situazione individuale, di essere effettivamente oggetto di atti di persecuzione in caso di rientro nel suo paese d’origine [v., in tal senso, sentenze del 21 settembre 2023, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (Opinioni politiche nello Stato membro ospitante), C-151/22, EU:C:2023:688, punto 42, e del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenze domestiche), C-621/21, EU:C:2024:47, punto 60].

60      In tale contesto, l’articolo 10, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2013/32 impone agli Stati membri di provvedere, da un lato, affinché le decisioni relative alle domande di protezione internazionale siano adottate previo congruo esame nel corso del quale siano state raccolte informazioni precise e aggiornate da varie fonti, quali l’EASO e l’UNHCR nonché le organizzazioni internazionali per i diritti umani pertinenti, circa la situazione generale esistente nei paesi di origine dei richiedenti e, dall’altro, affinché il personale incaricato di esaminare le domande e di prendere le decisioni abbia accesso a tali informazioni.

61      A tal fine, come indicato al punto 36, lettera x), delle linee guida dell’UNHCR sulla protezione internazionale n. 1, relative alla persecuzione di genere nel contesto dell’articolo 1, sezione A, punto 2, della Convenzione di Ginevra, dovrebbero essere raccolte le informazioni relative al paese d’origine rilevanti per la valutazione delle domande di riconoscimento dello status di rifugiato presentate dalle donne, quali la posizione delle donne davanti alla legge, i loro diritti politici, sociali ed economici, i costumi culturali e sociali del paese e le conseguenze nel caso non vi aderiscano, la frequenza di pratiche tradizionali dannose, l’incidenza e le forme di violenza segnalate contro le donne, la protezione disponibile per loro, la pena imposta agli autori della violenza e i rischi che una donna potrebbe dover affrontare al suo ritorno nel paese d’origine dopo aver inoltrato una siffatta domanda [sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica), C-621/21, EU:C:2024:47, punto 61].

62      Sotto un quarto profilo, occorre precisare che l’effettiva identificazione, da parte di una cittadina di un paese terzo, nel valore fondamentale della parità tra donne e uomini, maturata nel corso del suo soggiorno in uno Stato membro, non può essere qualificata come circostanza determinata da lei stessa dopo la partenza dal suo paese d’origine, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2011/95, né come un’attività che abbia mirato esclusivamente o principalmente a creare le condizioni necessarie alla presentazione di una domanda di protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera d), della stessa. Infatti, è sufficiente constatare che, quando una siffatta identificazione è sufficientemente dimostrata, essa non può in alcun modo essere assimilata alle iniziative abusive e di strumentalizzazione che tali disposizioni intendono combattere [v., in tal senso, sentenza del 29 febbraio 2024, Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Conversione religiosa successiva), C-222/22, EU:C:2024:192, punti 32 e 34].

63      Nel caso di specie, spetta al giudice del rinvio verificare, in particolare, se le ricorrenti nel procedimento principale si identifichino effettivamente nel valore fondamentale della parità tra donne e uomini, nelle sue componenti descritte ai punti 37 e 44 della presente sentenza, cercando di beneficiarne nella loro vita quotidiana, cosicché tale valore costituisce parte integrante della loro identità, e se, per questo motivo, esse sarebbero considerate diverse dalla società circostante nel loro paese d’origine. La circostanza che esse potrebbero evitare il rischio effettivo di persecuzione nel loro paese d’origine a causa di tale identificazione, dando prova di riservatezza nell’esprimere quest’ultima, non deve essere presa in considerazione in tale contesto. (v., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2013, X e a., da C-199/12 a C-201/12, EU:C:2013:720, punti 70, 71, 74 e 75).

64      Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alle prime due questioni dichiarando che l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che, a seconda delle condizioni esistenti nel paese d’origine, possono essere considerate appartenenti a «un determinato gruppo sociale», in quanto «motivo di persecuzione» idoneo a condurre al riconoscimento dello status di rifugiato, le donne cittadine di tale paese, ivi comprese le minori, che condividono come caratteristica comune un’effettiva identificazione nel valore fondamentale della parità tra donne e uomini, maturata nel corso del loro soggiorno in uno Stato membro.

 Sulle questioni terza e quarta

65      In limine, occorre rilevare che, con la seconda parte della terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, in combinato disposto con l’articolo 51, paragrafo 1, di quest’ultima, debba essere interpretato nel senso che osta a una «prassi giuridica nazionale» in base alla quale l’autorità competente, nell’ambito di una domanda di permesso di soggiorno «per motivi regolari», valuta l’interesse superiore del minore senza «prima determinare concretamente detto interesse».

66      Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 67 delle sue conclusioni, né dall’ordinanza di rinvio né dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che una siffatta domanda di permesso di soggiorno «per motivi regolari» sia in discussione nel procedimento principale.

67      Orbene, se è vero che le questioni pregiudiziali vertenti sul diritto dell’Unione godano di una presunzione di rilevanza, la ratio del rinvio pregiudiziale non consiste nell’esprimere pareri consultivi su questioni generiche o ipotetiche, bensì attiene alla necessità di dirimere concretamente una controversia (sentenze del 14 gennaio 2021, The International Protection Appeals Tribunal e a., C-322/19 e C-385/19, EU:C:2021:11, punto 53).

68      Di conseguenza, dato che la seconda parte della terza questione mira, in realtà, ad ottenere un parere consultivo dalla Corte, essa è irricevibile.

69      Con la prima parte della sua terza questione e con la sua quarta questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta debba essere interpretato nel senso che esso osta a che l’autorità nazionale competente statuisca su una domanda di protezione internazionale presentata da un minore senza aver concretamente determinato l’interesse superiore di tale minore, nell’ambito di una valutazione individuale.

70      In tale contesto, detto giudice si chiede altresì se e, se del caso, in che modo occorra tener conto dell’esistenza di un danno asseritamente subito dal minore a causa di un soggiorno prolungato in uno Stato membro e dell’incertezza relativa al suo obbligo di rientro.

71      Alla luce del dibattito svoltosi durante la fase orale del procedimento, si deve anzitutto fugare ogni dubbio relativo all’eventuale irricevibilità di tali questioni pregiudiziali motivata dal fatto che K e L, ormai, non sarebbero più minori, ai sensi dell’articolo 2, lettera k), della direttiva 2011/95. Infatti, dalla decisione di rinvio risulta che, al momento della presentazione delle loro domande reiterate il cui rigetto è oggetto della controversia principale, vale a dire il 4 aprile 2019, K e L avevano meno di 18 anni.

72      Ciò posto, occorre ricordare che l’articolo 24 della Carta, il quale figura, come enunciato dal considerando 16 della direttiva 2011/95, tra gli articoli della Carta la cui applicazione deve essere promossa da tale direttiva, prevede, al suo paragrafo 2, che «[i] n tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti dalle autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente».

73      Dall’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, nonché dall’articolo 3, paragrafo 1, della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni unite il 20 novembre 1989, al quale si riferiscono espressamente le spiegazioni relative all’articolo 24 della Carta, risulta che l’interesse superiore del minore deve non solo essere preso in considerazione nella valutazione del merito delle domande riguardanti minori, ma anche influire sul processo decisionale che conduce a tale valutazione, mediante garanzie procedurali particolari. Infatti, come rilevato dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, l’espressione «interesse superiore del minorenne», ai sensi di tale articolo 3, paragrafo 1, fa riferimento, al contempo, a un diritto sostanziale, a un principio interpretativo e a una regola procedurale [v. Commento generale n. 14 (2013) del Comitato sui diritti dell’infanzia sul diritto del minorenne a che il proprio superiore interesse sia tenuto in primaria considerazione (articolo 3, paragrafo 1), CRC/C/GC/14, punto 6].

74      Inoltre, l’articolo 24, paragrafo 1, della Carta, precisa che i minori possono esprimere liberamente la propria opinione e specifica che questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità.

75      In primo luogo, come risulta dal considerando 18 della direttiva 2011/95, nel valutare l’interesse superiore del minore nel quadro di una procedura di protezione internazionale, gli Stati membri devono tenere debitamente presenti, in particolare, il principio dell’unità del nucleo familiare, il benessere e lo sviluppo sociale del minore – ivi compresa la sua salute, la sua situazione familiare e la sua istruzione – e le considerazioni attinenti alla sua incolumità e sicurezza.

76      A tale proposito, l’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2011/95 prevede che l’esame su base individuale di una domanda di protezione internazionale deve essere effettuato tenendo conto dell’età del richiedente, al fine di determinare se, in considerazione della sua situazione personale, gli atti a cui quest’ultimo è stato o potrebbe essere esposto possano essere considerati come persecuzione o danno grave. L’articolo 9, paragrafo 2, lettera f), della medesima direttiva precisa che gli atti di persecuzione possono, tra l’altro, assumere la forma di atti specificamente diretti «contro l’infanzia».

77      La valutazione delle conseguenze che occorre trarre dall’età del richiedente, compresa la presa in considerazione del suo interesse superiore quando quest’ultimo è minore, rientra nella responsabilità esclusiva dell’autorità nazionale competente (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2012, M., C-277/11, EU:C:2012:744, punti 69 e 70).

78      Dalle considerazioni che precedono risulta che, quando il richiedente protezione internazionale è un minore, l’autorità nazionale competente, nel valutare la fondatezza della sua domanda di protezione internazionale, deve necessariamente tener conto, al termine di un esame individuale, dell’interesse superiore di tale minore.

79      In secondo luogo, dal considerando 18 della direttiva 2011/95 risulta che gli Stati membri devono prendere in considerazione, nell’ambito di una procedura di protezione internazionale, il parere del minore in funzione della sua età e della sua maturità. Inoltre, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, quarto comma, della direttiva 2013/32, gli Stati membri possono stabilire nel diritto interno i casi in cui a un minore è data facoltà di sostenere un colloquio personale. Qualora una siffatta possibilità sia offerta al minore, l’articolo 15, paragrafo 3, lettera e), di tale direttiva dispone che gli Stati membri provvedono affinché tale colloquio sia condotto con modalità consone all’età dei minori. In tale contesto, conformemente all’articolo 10, paragrafo 3, lettera d), di detta direttiva, gli Stati membri devono provvedere affinché le autorità nazionali competenti abbiano la possibilità di consultare esperti, laddove necessario, su aspetti particolari inerenti, segnatamente, ai minori.

80      In assenza di disposizioni più precise nella direttiva 2011/95 e nella direttiva 2013/32, spetta allo Stato membro determinare le modalità di valutazione dell’interesse superiore del minore nell’ambito della procedura di protezione internazionale, in particolare il momento o i momenti in cui tale valutazione deve avvenire e la forma che essa deve assumere, fatto salvo il rispetto dell’articolo 24 della Carta nonché delle disposizioni ricordate ai punti da 75 a 79 della presente sentenza.

81      A tale proposito, occorre precisare da un lato che, conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, gli Stati membri devono rispettare l’articolo 24, paragrafo 2, della stessa, nell’attuazione del diritto dell’Unione e, quindi, anche quando esaminano una «domanda reiterata», ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32. Dall’altro lato, poiché l’articolo 40, paragrafo 2, di tale direttiva non opera alcuna distinzione tra una prima domanda di protezione internazionale e una «domanda reiterata» per quanto concerne la natura degli elementi o delle risultanze atti a dimostrare che al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95, la valutazione dei fatti e delle circostanze a sostegno di tali domande deve, in entrambi i casi, essere condotta conformemente all’articolo 4 della direttiva 2011/95 [sentenza del 10 giugno 2021, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Elementi o risultanze nuovi), C-921/19, EU:C:2021:478, punto 40].

82      Per quanto riguarda la questione se e, se del caso, in che modo occorra tener conto dell’esistenza di un pregiudizio asseritamente subito da un minore a causa di un soggiorno di lunga durata in uno Stato membro e dell’incertezza relativa al suo obbligo di rimpatrio, che possono essere imputate allo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale presentata da tale minore, occorre rilevare, al pari del giudice del rinvio, che non spetta alle autorità nazionali competenti valutare l’esistenza di un siffatto pregiudizio nell’ambito di una procedura volta a determinare se la persona interessata abbia il timore fondato di essere perseguitata in caso di ritorno nel suo paese d’origine in ragione della sua «appartenenza ad un determinato gruppo sociale», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95.

83      Tuttavia, un soggiorno di lunga durata in uno Stato membro, soprattutto quando coincide con un periodo nel corso del quale un richiedente minore ha forgiato la propria identità, può, in forza dell’articolo 4, paragrafo 3, di tale direttiva, letto alla luce dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, essere preso in considerazione al fine di valutare una domanda di protezione internazionale fondata su un motivo di persecuzione quale «l’appartenenza a un determinato gruppo sociale», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), di detta direttiva.

84      Alla luce della motivazione che precede, occorre rispondere alla prima parte della terza questione e alla quarta questione dichiarando che l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta deve essere interpretato nel senso che osta a che l’autorità nazionale competente statuisca su una domanda di protezione internazionale presentata da un minore senza aver determinato in concreto l’interesse superiore di tale minore, nell’ambito di una valutazione individuale.

 Sulla quinta questione

85      Con la sua quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 24, paragrafo 2, della stessa, debba essere interpretato nel senso che osta a una «prassi giuridica nazionale» che consente di prendere in considerazione «i motivi regolari» in sede di esame di una prima domanda di protezione internazionale, ma non in sede di esame di una «domanda reiterata», ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32.

86      Orbene, per i motivi esposti ai punti da 66 a 68 della presente sentenza e come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 73 delle sue conclusioni, la quinta questione è irricevibile in quanto non presenta alcun collegamento con la controversia principale.

 Sulle spese

87      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta,

deve essere interpretato nel senso che:

a seconda delle condizioni esistenti nel paese d’origine, possono essere considerate appartenenti a «un determinato gruppo sociale», in quanto «motivo di persecuzione» idoneo a condurre al riconoscimento dello status di rifugiato, le donne cittadine di tale paese, ivi comprese le minori, che condividono come caratteristica comune l’effettiva identificazione nel valore fondamentale della parità tra donne e uomini, maturata nel corso del loro soggiorno in uno Stato membro.

2)      L’articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

deve essere interpretato nel senso che:

osta a che l’autorità nazionale competente statuisca su una domanda di protezione internazionale presentata da un minore senza aver determinato in concreto l’interesse superiore di tale minore, nell’ambito di una valutazione individuale.

Firme


*   Lingua processuale: il neerlandese.

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