Può uno Stato membro dell'Unione europea imporre obblighi supplementari a un fornitore di servizi online con sede in un altro Stato membro?
La questione è affrontata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nella sentenza del 30 maggio 2024, relative alle cause riunite C-662/22 e C-667/22.
La Corte ricorda che la direttiva sul commercio elettronico (2000/31/CE) stabilisce che lo Stato membro di origine di una società che offre servizi della società dell'informazione ha la responsabilità di regolamentare la prestazione di tali servizi. Gli Stati membri di destinazione sono tenuti a rispettare il principio di reciproco riconoscimento e, salvo eccezioni, non devono limitare la libera prestazione di questi servizi.
Il caso di specie riguardava le normative italiane del 2020 e 2021 imponevano agli operatori come Airbnb, Amazon, e altri, l'obbligo di iscriversi in un registro speciale presso l'AGCOM, di comunicare dettagli sulla propria situazione economica e di versare un contributo economico. Queste aziende, affermando di essere principalmente regolate dalla normativa dello Stato membro in cui sono stabilite (Irlanda o Lussemburgo per la maggior parte), hanno contestato la compatibilità di tali requisiti con il diritto dell'Unione, sottolineando il principio della libera prestazione dei servizi.
La Corte di giustizia ha dichiarato che le misure adottate dall'Italia non sono conformi al diritto dell'Unione europea. Gli obblighi imposti dalle normative italiane non rientrano tra le eccezioni consentite dalla direttiva sul commercio elettronico e non sono necessari per tutelare obiettivi di interesse generale.
Pertanto, il tentativo di imporre tali obblighi è illegittimo, sottolineando l'importanza di mantenere la coerenza normativa e il rispetto dei principi di libera circolazione e di riconoscimento reciproco all'interno del mercato unico europeo.
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
30 maggio 2024
«Rinvio pregiudiziale – Libera prestazione dei servizi – Prestatori di servizi della società dell’informazione – Obbligo di iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione – Obbligo di fornire informazioni sulla struttura e sull’organizzazione – Obbligo di versare un contributo economico – Direttiva 2000/31/CE – Ambito regolamentato – Principio del controllo nello Stato membro di origine – Deroghe – Nozione di “provvedimenti adottati per quanto concerne un determinato servizio della società dell’informazione” – Regolamento (UE) 2019/1150 – Obiettivo»
Nelle cause riunite C-662/22 e C-667/22,
aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia), con ordinanze del 10 ottobre 2022, pervenute in cancelleria il 19 e il 21 ottobre 2022, nei procedimenti
Airbnb Ireland UC (C-662/22),
Amazon Services Europe Sàrl (C-667/22)
contro
Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta da A. Prechal, presidente di sezione, F. Biltgen, N. Wahl (relatore), J. Passer e M.L. Arastey Sahún, giudici,
avvocato generale: M. Szpunar
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Airbnb Ireland UC, da F. Angeloni, M. Berliri, S. Borocci, G. Gelera, L. Nascimbene, I. Perego, G.M. Roberti, avvocati, e D. Van Liedekerke, advocaat;
– per la Amazon Services Europe Sàrl, da F. Angeloni, M. Berliri, S. Borocci, G. Gelera e F. Moretti, avvocati;
– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da L. Delbono e R. Guizzi, avvocati dello Stato;
– per il governo ceco, da M. Smolek, T. Suchá e J. Vlácil, in qualità di agenti;
– per l’Irlanda, da M. Browne, Chief State Solicitor, A. Joyce e M. Tierney, in qualità di agenti, assistiti da D. Fennelly, BL;
– per la Commissione europea, da L. Armati, M. Escobar Gómez, S.L. Kaleda e L. Malferrari, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’11 gennaio 2024,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione del regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online (GU 2019, L 186, pag. 57), della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico») (GU 2000, L 178, pag. 1, e rettifica in GU 2002, L 285, pag. 27), della direttiva (UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (GU 2015, L 241, pag. 1), della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU 2006, L 376, pag. 36), nonché dell’articolo 56 TFUE.
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie che oppongono, nella causa C-662/22, la Airbnb Ireland UC (in prosieguo: la «Airbnb»), società di diritto irlandese, e, nella causa C-667/22, la Amazon Services Europe Sàrl (in prosieguo: la «Amazon»), società di diritto lussemburghese, all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Italia) (in prosieguo: l’«AGCOM»), in merito a misure adottate da quest’ultima nei confronti dei fornitori di servizi di intermediazione online.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Regolamento 2019/1150
3 I considerando 3, 7 e 51 del regolamento 2019/1150 enunciano quanto segue:
«(3) I consumatori hanno accolto favorevolmente l’utilizzo dei servizi di intermediazione online. Per il loro benessere è essenziale anche un ecosistema online competitivo, equo e trasparente, in cui le imprese agiscono in modo responsabile. Il fatto di garantire la trasparenza e la fiducia nell’economia delle piattaforme online nei rapporti tra imprese potrebbe altresì contribuire indirettamente a migliorare la fiducia dei consumatori nell’economia delle piattaforme online. L’impatto diretto dello sviluppo dell’economia delle piattaforme online sui consumatori sono tuttavia affrontate da altre norme del diritto dell’Unione, in particolare per quanto riguarda l’acquis relativo ai consumatori.
(...)
(7) Dovrebbe essere fissata a livello dell’Unione [europea] una serie mirata di norme vincolanti in materia al fine di garantire un contesto commerciale online equo, prevedibile, sostenibile e sicuro nell’ambito del mercato interno. In particolare, gli utenti commerciali di servizi di intermediazione online dovrebbero poter beneficiare di un’adeguata trasparenza e di efficaci possibilità di ricorso in tutta l’Unione, al fine di facilitare le attività economiche a livello transfrontaliero all’interno dell’Unione e così migliorare il corretto funzionamento del mercato interno e rispondere a un’eventuale frammentazione emergente negli specifici settori disciplinati dal presente regolamento.
(...)
(51) Poiché l’obiettivo del presente regolamento, vale a dire garantire un contesto commerciale online equo, prevedibile, sostenibile e sicuro nell’ambito del mercato interno, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri ma, a motivo della sua portata e dei suoi effetti, può essere conseguito meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 [TUE]. Il presente regolamento si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo».
4 Ai sensi dell’articolo 1 di tale regolamento:
«1. La finalità del presente regolamento è contribuire al corretto funzionamento del mercato interno stabilendo norme intese a garantire che gli utenti commerciali di servizi di intermediazione online e gli utenti titolari di siti web aziendali che siano in relazione con motori di ricerca online dispongano di un’adeguata trasparenza, di equità e di efficaci possibilità di ricorso.
2. Il presente regolamento si applica ai servizi di intermediazione online e ai motori di ricerca online, a prescindere dal luogo di stabilimento o di residenza del fornitore di tali servizi e dal diritto altrimenti applicabile, forniti o proposti per essere forniti, rispettivamente, agli utenti commerciali e agli utenti titolari di siti web aziendali, che hanno il luogo di stabilimento o di residenza nell’Unione e che, tramite i servizi di intermediazione online o i motori di ricerca online, offrono beni o servizi a consumatori nell’Unione.
(...)
5. Il presente regolamento non pregiudica il diritto dell’Unione, in particolare il diritto dell’Unione applicabile nei settori della cooperazione giudiziaria in materia civile, della concorrenza, della protezione dei dati, della protezione dei segreti commerciali, della protezione dei consumatori, del commercio elettronico e dei servizi finanziari».
5 L’articolo 2, punto 1, di detto regolamento dispone quanto segue:
«Ai fini del presente regolamento, si applicano le seguenti definizioni:
1) “utente commerciale”: un privato che agisce nell’ambito delle proprie attività commerciali o professionali o una persona giuridica che offre beni o servizi ai consumatori tramite servizi di intermediazione online per fini legati alla sua attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale».
Direttiva 2000/31
6 Ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2000/31:
«1. La presente direttiva mira a contribuire al buon funzionamento del mercato interno garantendo la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione tra Stati membri.
(...)
5. La presente direttiva non si applica:
a) al settore tributario,
(…)».
7 L’articolo 2, lettera h), di tale direttiva così recita:
«Ai fini della presente direttiva valgono le seguenti definizioni:
(...)
h) “ambito regolamentato”: le prescrizioni degli ordinamenti degli Stati membri e applicabili ai prestatori di servizi della società dell’informazione o ai servizi della società dell’informazione, indipendentemente dal fatto che siano di carattere generale o loro specificamente destinati.
i) l’ambito regolamentato riguarda le prescrizioni che il prestatore deve soddisfare per quanto concerne:
– l’accesso all’attività di servizi della società dell’informazione, quali ad esempio le prescrizioni riguardanti le qualifiche e i regimi di autorizzazione o notifica;
– l’esercizio dell’attività di servizi della società dell’informazione, quali ad esempio le prescrizioni riguardanti il comportamento del prestatore, la qualità o i contenuti del servizio, comprese le prescrizioni applicabili alla pubblicità e ai contratti, oppure la responsabilità del prestatore;
(...)».
8 L’articolo 3 di detta direttiva dispone quanto segue:
«1. Ogni Stato membro provvede affinché i servizi della società dell’informazione, forniti da un prestatore stabilito nel suo territorio, rispettino le disposizioni nazionali vigenti in detto Stato membro nell’ambito regolamentato.
2. Gli Stati membri non possono, per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, limitare la libera circolazione dei servizi [della] società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro.
(...)
4. Gli Stati membri possono adottare provvedimenti in deroga al paragrafo 2, per quanto concerne un determinato servizio della società dell’informazione, in presenza delle seguenti condizioni:
a) i provvedimenti sono:
i) necessari per una delle seguenti ragioni:
– ordine pubblico, in particolare per l’opera di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento in materie penali, quali la tutela dei minori e la lotta contro l’incitamento all’odio razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché violazioni della dignità umana della persona;
– tutela della sanità pubblica;
– pubblica sicurezza, compresa la salvaguardia della sicurezza, e della difesa nazionale;
– tutela dei consumatori, ivi compresi gli investitori;
ii) relativi a un determinato servizio della società dell’informazione lesivo degli obiettivi di cui al punto i) o che costituisca un rischio serio e grave di pregiudizio a tali obiettivi;
iii) proporzionati a tali obiettivi;
b) prima di adottare i provvedimenti in questione e fatti salvi i procedimenti giudiziari, anche istruttori, e gli atti compiuti nell’ambito di un’indagine penale, lo Stato membro ha:
– chiesto allo Stato membro di cui al paragrafo 1 di prendere provvedimenti e questo non li ha presi o essi non erano adeguati;
– notificato alla Commissione [europea] e allo Stato membro di cui al paragrafo 1 la sua intenzione di prendere tali provvedimenti.
(...)».
Direttiva 2006/123
9 L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2006/123 prevede quanto segue:
«La presente direttiva stabilisce le disposizioni generali che permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi».
10 Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva:
«Se disposizioni della presente direttiva confliggono con disposizioni di altri atti comunitari che disciplinano aspetti specifici dell’accesso ad un’attività di servizi o del suo esercizio in settori specifici o per professioni specifiche, le disposizioni di questi altri atti comunitari prevalgono e si applicano a tali settori o professioni specifiche (…)».
11 L’articolo 16 di detta direttiva dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri rispettano il diritto dei prestatori di fornire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti.
Lo Stato membro in cui il servizio viene prestato assicura il libero accesso a un’attività di servizi e il libero esercizio della medesima sul proprio territorio.
Gli Stati membri non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o l’esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i seguenti principi:
a) non discriminazione: i requisiti non possono essere direttamente o indirettamente discriminatori sulla base della nazionalità o, nel caso di persone giuridiche, della sede,
b) necessità: i requisiti devono essere giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente,
c) proporzionalità: i requisiti sono tali da garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non vanno al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo.
2. Gli Stati membri non possono restringere la libera circolazione dei servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, in particolare, imponendo i requisiti seguenti:
(...)
b) l’obbligo per il prestatore di ottenere un’autorizzazione dalle autorità competenti, compresa l’iscrizione in un registro o a un ordine professionale sul loro territorio, salvo i casi previsti dalla presente direttiva o da altri strumenti di diritto comunitario;
(…)».
Direttiva 2015/1535
12 L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2015/1535 prevede quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:
(...)
b) “servizio”: qualsiasi servizio della società dell’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi.
(...)
e) “regola relativa ai servizi”: un requisito di natura generale relativo all’accesso alle attività di servizio di cui alla lettera b) e al loro esercizio, in particolare le disposizioni relative al prestatore di servizi, ai servizi e al destinatario di servizi, ad esclusione delle regole che non riguardino specificamente i servizi ivi definiti.
(...)
f) “regola tecnica”: una specificazione tecnica o altro requisito o una regola relativa ai servizi, comprese le disposizioni amministrative che ad esse si applicano, la cui osservanza è obbligatoria, de jure o de facto, per la commercializzazione, la prestazione di servizi, lo stabilimento di un fornitore di servizi o l’utilizzo degli stessi in uno Stato membro o in una parte importante di esso, nonché, fatte salve quelle di cui all’articolo 7, le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri che vietano la fabbricazione, l’importazione, la commercializzazione o l’utilizzo di un prodotto oppure la prestazione o l’utilizzo di un servizio o lo stabilimento come fornitore di servizi.
(...)».
13 L’articolo 5, paragrafo 1, primo comma, di tale direttiva prevede quanto segue:
«Fatto salvo l’articolo 7, gli Stati membri comunicano immediatamente alla Commissione ogni progetto di regola tecnica, salvo che si tratti del semplice recepimento integrale di una norma internazionale o europea, nel qual caso è sufficiente una semplice informazione sulla norma stessa. Essi le comunicano brevemente anche i motivi che rendono necessario adottare tale regola tecnica a meno che non risultino già dal progetto».
Diritto italiano
Legge n. 249/97
14 La legge del 31 luglio 1997, n. 249 – Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo (supplemento ordinario alla GURI n. 177, del 31 luglio 1997), come modificata dalla legge del 30 dicembre 2020, n. 178 – Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023 (supplemento ordinario alla GURI n. 322, del 30 dicembre 2020) (in prosieguo: la «legge n. 249/97»), all’articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5, e lettera c), numero 14-bis, prevede quanto segue:
«Le competenze dell’[AGCOM] sono così individuate:
a) la commissione per le infrastrutture e le reti esercita le seguenti funzioni:
(...)
5) cura la tenuta del registro degli operatori di comunicazione e postali [in prosieguo: il “ROC”] al quale si devono iscrivere in virtù della presente legge (...) i fornitori di servizi di intermediazione on line e i motori di ricerca on line, anche se non stabiliti, che offrono servizi in Italia (...). L’Autorità adotta apposito regolamento per l’organizzazione e la tenuta del [ROC] e per la definizione dei criteri di individuazione dei soggetti tenuti all’iscrizione diversi da quelli già iscritti al [ROC] alla data di entrata in vigore della presente legge;
(...)
c) il consiglio:
(...)
14-bis) garantisce l’adeguata ed efficace applicazione del regolamento [2019/1150], anche mediante l’adozione di linee guida, la promozione di codici di condotta e la raccolta di informazioni pertinenti».
15 L’articolo 1, comma 31, della legge n. 249/97 così dispone:
«I soggetti che non ottemperano agli ordini e alle diffide dell’[AGCOM], impartiti ai sensi della presente legge, sono puniti con [una] sanzione amministrativa pecuniaria (...). Se l’inottemperanza riguarda provvedimenti adottati in ordine alla violazione delle norme sulle posizioni dominanti o in applicazione del regolamento [2019/1150], si applica a ciascun soggetto interessato una sanzione amministrativa pecuniaria non inferiore al 2 per cento e non superiore al 5 per cento del fatturato realizzato dallo stesso soggetto nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della [contestazione di tale inottemperanza] (...)».
Legge n. 266/05
16 L’articolo 1, comma 66-bis, della legge del 23 dicembre 2005, n. 266 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006) (supplemento ordinario alla GURI n. 302, del 29 dicembre 2005), come modificata dalla legge del 30 dicembre 2020, n. 178 (in prosieguo: la «legge n. 266/05»), prevede quanto segue:
«In sede di prima applicazione, per l’anno 2021, l’entità della contribuzione a carico dei fornitori di servizi di intermediazione on line e di motori di ricerca on line di cui all’articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5), della legge [n. 249/97], è fissata in misura pari all’1,5 per mille dei ricavi realizzati nel territorio nazionale, anche se contabilizzati nei bilanci di società aventi sede all’estero, relativi al valore della produzione, risultante dal bilancio di esercizio dell’anno precedente, ovvero, per i soggetti non obbligati alla redazione di tale bilancio, delle omologhe voci di altre scritture contabili che attestino il valore complessivo della produzione. Per gli anni successivi, eventuali variazioni della misura e delle modalità della contribuzione possono essere adottate dall’[AGCOM], nel limite massimo del 2 per mille dei ricavi valutati ai sensi del periodo precedente».
Delibera n. 666/08
17 Il 26 novembre 2008 l’AGCOM ha adottato la delibera n. 666/08/CONS – Regolamento per l’organizzazione e la tenuta del Registro degli operatori di comunicazione (GURI n. 25, del 31 gennaio 2009) (in prosieguo: la «delibera n. 666/08»).
18 Il regolamento per l’organizzazione e la tenuta del ROC (in prosieguo: il «regolamento dell’AGCOM relativo al ROC»), contenuto nell’allegato A della delibera n. 666/08, elenca, all’articolo 2, le categorie di soggetti obbligati all’iscrizione al ROC.
19 Ai sensi dell’articolo 5 del regolamento dell’AGCOM relativo al ROC:
«1. I soggetti di cui all’articolo 2 del presente regolamento presentano all’[AGCOM] domanda di iscrizione al [ROC].
(...)
3. I soggetti di cui all’articolo 2, ciascuno in relazione alla propria natura giuridica presentano le dichiarazioni relative all’oggetto sociale, all’organo amministrativo, all’assetto societario, ed all’attività svolta in conformità a quanto previsto nell’allegato B [della delibera n. 666/08].
(...)».
20 L’articolo 24 di detto regolamento dispone:
«Le violazioni del presente Regolamento sono punite ai sensi dell’articolo 1, commi [da 29 a 32,] della legge 31 luglio 1997, n. 249».
21 L’allegato B della delibera n. 666/08 riguarda le dichiarazioni obbligatorie ai fini dell’iscrizione al ROC.
Delibera n. 200/21
22 Il 17 giugno 2021 l’AGCOM ha adottato la delibera n. 200/21/CONS – Modifiche alla delibera n. 666/08/CONS recante «Regolamento per la tenuta del Registro degli Operatori di Comunicazione» a seguito dell’entrata in vigore della legge 30 dicembre 2020, n. 178, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023» (in prosieguo: la «delibera n. 200/21»).
23 Secondo il preambolo della delibera n. 200/21:
«(...)
[visto] il Regolamento [2019/1150] e, in particolare, l’articolo 1, comma 2, (...)
[considerato] che la legge 30 dicembre 2020, n. 178 ha prescritto, in applicazione del Regolamento [2019/1150], inter alia, l’obbligo di iscrizione al [ROC] dei fornitori di servizi di intermediazione online e dei motori di ricerca online, anche se non stabiliti, che offrono servizi in Italia (…)».
24 L’articolo 1, comma 1, di tale delibera ha modificato l’elenco di cui all’articolo 2 del regolamento dell’AGCOM relativo al ROC per inserirvi le seguenti categorie di soggetti:
«(...)
m. i fornitori di servizi di intermediazione online: persone fisiche o giuridiche che, anche se non stabilite o residenti nel territorio nazionale, forniscono, od offrono di fornire, servizi di intermediazione online, come definiti dal Regolamento (UE) 2019/1150, agli utenti commerciali stabiliti o residenti in Italia;
n. i fornitori di motori di ricerca online: persone fisiche o giuridiche che, anche se non stabilite o residenti nel territorio nazionale, forniscono, od offrono di fornire, un motore di ricerca online, come definito dal Regolamento [2019/1150], in lingua italiana o agli utenti stabiliti o residenti in Italia.
(…)».
25 L’articolo 3 di tale delibera ha modificato l’allegato B della delibera n. 666/08, in particolare inserendo il seguente testo:
«(...)
Dichiarazioni relative all’assetto societario dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica, degli operatori economici esercenti l’attività di call center, dei soggetti che usano indirettamente risorse nazionali di numerazione e dei fornitori di servizi di intermediazione online e dei fornitori di motori di ricerca online:
1. I fornitori di servizi di comunicazione elettronica, gli operatori economici esercenti l’attività di call center, i soggetti che usano indirettamente risorse nazionali di numerazione e i fornitori di servizi di intermediazione online e i fornitori di motori di ricerca online, in forma di società di capitali o cooperative, producono, all’atto della presentazione della domanda di iscrizione una dichiarazione, redatta secondo i modelli 5/1/ROC, 5/2/ROC, 5/3/ROC, 5/4/ROC, contenente:
a) l’indicazione del capitale sociale, dell’elenco dei propri soci e della titolarità delle rispettive partecipazioni con diritto di voto. Le società quotate in borsa devono comunicare le sole partecipazioni con diritto di voto superiori al 2% del capitale sociale, indicando per ciascuna di esse – attraverso il modello 5/5/ROC - le rispettive partecipazioni di controllo. (...)
b) l’indicazione del capitale sociale, dell’elenco dei soci e della titolarità delle rispettive partecipazioni con diritto di voto superiori al 2% delle società a cui sono intestate le azioni o le quote della società da iscrivere;
c) l’indicazione delle eventuali intestazioni fiduciarie, interposizioni di persone, o l’esistenza di altri limiti gravanti sulle azioni o quote delle società di cui ai livelli delle lettere a) e b).
2. I fornitori di servizi di comunicazione elettronica, gli operatori economici esercenti l’attività di call center, i soggetti che usano indirettamente risorse nazionali di numerazione e i fornitori di servizi di intermediazione online e i fornitori di motori di ricerca online, in forma di società di persone, producono, all’atto della presentazione della domanda di iscrizione, una dichiarazione, redatta secondo il modello 5/3/ROC, contenente l’indicazione dell’elenco dei propri soci».
Provvedimento n. 14/21
26 Il provvedimento presidenziale n. 14/21/PRES, recante «Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per l’anno 2021 dai soggetti che operano nel settore dei servizi di intermediazione online e dei motori di ricerca online», del 5 novembre 2021, ratificato dall’AGCOM con la delibera n. 368/21/CONS, dell’11 novembre 2021 (GURI n. 304, del 23 dicembre 2021) (in prosieguo: la «delibera n. 14/21»), ha precisato la misura e le modalità di versamento, da parte dei fornitori di servizi di intermediazione online e di motori di ricerca online, del contributo di cui all’articolo 1, paragrafo 66-bis, della legge n. 266/05.
Procedimenti principali e questioni pregiudiziali
27 La Airbnb, la cui sede sociale è stabilita in Irlanda, gestisce l’omonimo portale telematico di intermediazione immobiliare che consente di mettere in contatto, da un lato, locatori che dispongono di strutture ricettive e, dall’altro, persone che cercano un alloggio. La Airbnb riceve dal cliente il pagamento relativo alla messa a disposizione dell’alloggio prima dell’inizio della locazione e, trattenendo una commissione, trasferisce tale pagamento al locatore dopo l’inizio della locazione, in assenza di contestazioni da parte del locatario.
28 La Amazon, la cui sede sociale è stabilita in Lussemburgo, gestisce una piattaforma online volta a mettere in contatto venditori e consumatori ai fini della realizzazione di transazioni tra loro aventi ad oggetto la vendita di beni.
29 A seguito delle modifiche del quadro normativo nazionale derivanti, da un lato, dalla legge del 30 dicembre 2020, n. 178 e, dall’altro, dalla delibera n. 200/21 e dal provvedimento n. 14/21, adottati dalle autorità italiane segnatamente al fine di garantire l’applicazione del regolamento 2019/1150 (in prosieguo: le «misure nazionali controverse»), la Airbnb e la Amazon, in quanto fornitrici di servizi di intermediazione online, sono attualmente soggette, a pena di sanzioni, all’obbligo di iscriversi in un registro tenuto dall’AGCOM, il ROC, e di comunicare, di conseguenza, una serie di informazioni a tale autorità, nonché di versare un contributo economico a quest’ultima.
30 La Airbnb e la Amazon hanno proposto ciascuna ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia), giudice del rinvio, volto segnatamente ad ottenere l’annullamento della delibera n. 200/21 e del provvedimento n. 14/21.
31 Dinanzi a tale giudice, la Airbnb e la Amazon sostengono che le misure nazionali controverse, imponendo loro gli obblighi di cui al punto 29 della presente sentenza, violano il principio della libera prestazione dei servizi, il regolamento 2019/1150 e diverse direttive.
32 Al riguardo, detto giudice ricorda, in primo luogo, che, a seguito dell’adozione del regolamento 2019/1150, il legislatore italiano, con la legge del 30 dicembre 2020, n. 178, ha modificato la legge del 31 luglio 1997, n. 249, e la legge del 23 dicembre 2005, n. 266.
33 Pertanto, sotto un primo profilo, l’obbligo di iscrizione al ROC, tenuto dall’AGCOM, sarebbe stato esteso ai fornitori di servizi di intermediazione on line e di motori di ricerca on line (in prosieguo: i «fornitori dei servizi in questione») che offrono servizi nel territorio della Repubblica italiana, anche se non stabiliti in tale Stato membro [articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5, della legge n. 249/97].
34 Sotto un secondo profilo, l’AGCOM avrebbe il compito di garantire l’applicazione del regolamento 2019/1150, in particolare mediante la raccolta di informazioni [articolo 1, comma 6, lettera c), numero 14-bis, della legge n. 249/97].
35 Sotto un terzo profilo, in caso di inottemperanza ai provvedimenti adottati dall’AGCOM in applicazione del regolamento 2019/1150, al soggetto interessato si applicherebbe una sanzione amministrativa pecuniaria non inferiore al 2% e non superiore al 5% del fatturato realizzato dallo stesso soggetto nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della contestazione di tale inottemperanza (articolo 1, comma 31, secondo periodo, della legge n. 249/97).
36 Sotto un quarto profilo, i fornitori dei servizi in questione dovrebbero attualmente versare un contributo economico destinato a coprire l’importo totale dei costi amministrativi derivanti dall’esercizio delle funzioni di regolamentazione, vigilanza, risoluzione delle controversie e sanzionatorie conferite all’AGCOM dalla legge del 30 dicembre 2020, n. 178 (articolo 1, comma 66-bis, della legge n. 266/05).
37 In secondo luogo, il giudice del rinvio riferisce che, con la delibera n. 200/21, l’AGCOM ha modificato la delibera n. 666/08, il cui allegato A contiene il regolamento dell’AGCOM relativo al ROC, al fine di tener conto delle misure adottate dal legislatore italiano per l’applicazione del regolamento 2019/1150.
38 Tale giudice precisa che, per iscriversi al ROC, i fornitori dei servizi in questione devono compilare vari moduli relativi non solo all’attività esercitata, ma anche alla loro organizzazione. Pertanto, essi sarebbero tenuti a comunicare informazioni sul capitale sociale, sui nominativi dei soci e sulla titolarità delle rispettive partecipazioni con diritto di voto, sulla composizione e sulla durata dell’organo amministrativo nonché sull’identità del rappresentante legale e degli amministratori. Le informazioni comunicate dovrebbero essere aggiornate annualmente. In caso di violazione delle disposizioni del regolamento dell’AGCOM relativo al ROC sarebbero previste sanzioni amministrative pecuniarie.
39 Alla luce di tali elementi, il giudice del rinvio ritiene che l’obbligo di versare un contributo economico e di iscriversi al ROC possa, sotto diversi profili, essere incompatibile con il diritto dell’Unione, in particolare con il principio della libera prestazione dei servizi, con il regolamento 2019/1150 e con varie direttive.
40 Per quanto riguarda il regolamento 2019/1150, secondo tale giudice non vi è alcun legame tra il rispetto degli obblighi previsti da tale regolamento e le informazioni richieste per l’iscrizione al ROC, le quali riguardano principalmente gli «assetti proprietari» e amministrativi dei soggetti interessati. Detto giudice ritiene che le autorità italiane abbiano introdotto nel loro ordinamento giuridico disposizioni che prevedono un controllo relativo a elementi inerenti a tali fornitori, che sarebbe del tutto diverso dal controllo previsto da detto regolamento, il quale riguarda il rispetto da parte degli stessi degli obblighi previsti dal medesimo regolamento.
41 Per quanto riguarda la direttiva 2015/1535, il giudice del rinvio, facendo riferimento agli articoli 1 e 5 di quest’ultima, ritiene che le disposizioni nazionali che obbligano i fornitori dei servizi in questione ad iscriversi al ROC introducano specificamente un requisito generale riguardante la prestazione di servizi della società dell’informazione, cosicché, non essendo state previamente notificate alla Commissione, tali disposizioni non sono opponibili ai privati.
42 Per quanto riguarda il principio della libera prestazione dei servizi, contemplato all’articolo 56 TFUE e specificato nelle direttive 2000/31 e 2006/123, da un lato, il giudice del rinvio rileva che l’articolo 3 della direttiva 2000/31 sancisce il principio secondo cui, nell’«ambito regolamentato», ai sensi dell’articolo 2, lettera h) di quest’ultima, i servizi della società dell’informazione devono essere soggetti alla normativa dello Stato membro in cui il prestatore è stabilito e gli Stati membri possono adottare misure in deroga a tale principio solo nel rispetto di determinate condizioni, sostanziali e procedurali, previste dal paragrafo 4 dello stesso articolo 3. Orbene, secondo detto giudice, le misure nazionali controverse non soddisfano tali condizioni.
43 Dall’altro lato, il giudice del rinvio ricorda che, ai sensi dell’articolo 16 della direttiva 2006/123, gli Stati membri non possono restringere l’esercizio della libera prestazione dei servizi da parte di un prestatore stabilito in un altro Stato membro, imponendo a tale prestatore di ottenere un’autorizzazione dalle autorità competenti, compresa l’iscrizione in un registro, salvo i casi previsti da detta direttiva o da altri strumenti di diritto dell’Unione. Orbene, secondo tale giudice, le misure nazionali controverse non rientrano in tali casi.
44 Ciò premesso, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha deciso di sospendere i procedimenti e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se il regolamento [2019/1150] osta ad una disposizione nazionale che, al fine di promuovere l’equità e la trasparenza in favore degli utenti commerciali di servizi di intermediazione on line, anche mediante l’adozione di linee guida, la promozione di codici di condotta e la raccolta di informazioni pertinenti, impone ai fornitori di servizi di intermediazione on line e di motori di ricerca on line l’iscrizione in un registro, comportante la trasmissione di rilevanti informazioni sulla propria organizzazione e il pagamento di un contributo economico, oltre alla sottoposizione a sanzioni in caso di suo inadempimento.
2) Se la direttiva [2015/1535] impone agli Stati membri di comunicare alla Commissione i provvedimenti con cui viene previsto a carico dei fornitori di servizi di intermediazione on line e di motori di ricerca on line l’obbligo di iscrizione in un registro, comportante la trasmissione di rilevanti informazioni sulla propria organizzazione e il pagamento di un contributo economico, oltre alla sottoposizione a sanzioni in caso di suo inadempimento; in caso positivo, se [tale] direttiva consenta ad un privato di opporsi all’applicazione nei suoi confronti delle misure non notificate alla Commissione.
3) Se l’articolo 3 della direttiva [2000/31] osta all’adozione da parte di autorità nazionali di disposizioni che, al fine di promuovere l’equità e la trasparenza in favore degli utenti commerciali di servizi di intermediazione on line, anche mediante l’adozione di linee guida, la promozione di codici di condotta e la raccolta di informazioni pertinenti, prevedono per gli operatori, stabiliti in altro [Stato membro], oneri aggiuntivi di tipo amministrativo e pecuniario, quale l’iscrizione in un registro, comportante la trasmissione di rilevanti informazioni sulla propria organizzazione e il pagamento di un contributo economico, oltre alla sottoposizione a sanzioni in caso di suo inadempimento.
4) Se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’articolo 56 TFUE e l’articolo 16 della direttiva [2006/123] ostano all’adozione da parte di autorità nazionali di disposizioni che, al fine di promuovere l’equità e la trasparenza in favore degli utenti commerciali di servizi di intermediazione on line, anche mediante l’adozione di linee guida, la promozione di codici di condotta e la raccolta di informazioni pertinenti, prevedono per gli operatori, stabiliti in altro [Stato membro], oneri aggiuntivi di tipo amministrativo e pecuniario, quale l’iscrizione in un registro, comportante la trasmissione di rilevanti informazioni sulla propria organizzazione e il pagamento di un contributo economico, oltre alla sottoposizione a sanzioni in caso di suo inadempimento.
5) Se l’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), [della] direttiva [2000/31], impone agli Stati membri di comunicare alla Commissione i provvedimenti con cui viene previsto a carico dei fornitori di servizi di intermediazione on line e di motori di ricerca on line l’obbligo di iscrizione in un registro, comportante la trasmissione di rilevanti informazioni sulla propria organizzazione e il pagamento di un contributo economico, oltre alla sottoposizione a sanzioni in caso di suo inadempimento; in caso positivo, se [tale] direttiva consenta ad un privato di opporsi all’applicazione nei suoi confronti delle misure non notificate alla Commissione».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima, terza e quarta questione
45 Con la prima, terza e quarta questione, che devono essere esaminate congiuntamente e per prime, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 56 TFUE, l’articolo 16 della direttiva 2006/123 o l’articolo 3 della direttiva 2000/31 debbano essere interpretati nel senso che ostano a misure adottate da uno Stato membro, allo scopo dichiarato di garantire l’adeguata ed efficace applicazione del regolamento 2019/1150, ai sensi delle quali, a pena di sanzioni, i fornitori di servizi di intermediazione online stabiliti in un altro Stato membro sono obbligati, al fine di prestare i loro servizi nel primo Stato membro, a iscriversi in un registro tenuto da un’autorità di tale Stato membro, a comunicare a quest’ultima una serie di informazioni dettagliate sulla loro organizzazione e a versare alla stessa un contributo economico.
46 In via preliminare, occorre rilevare che, come risulta dal suo articolo 1, paragrafo 1, la direttiva 2006/123, adottata sulla base dell’articolo 47, paragrafo 2, CE e dell’articolo 55 CE, le cui formulazioni sono state riprese, in sostanza, rispettivamente all’articolo 53, paragrafo 1, TFUE e all’articolo 62 TFUE, persegue, in particolare, l’obiettivo di agevolare la libera circolazione dei servizi. Quanto alla direttiva 2000/31, adottata sulla base dell’articolo 47, paragrafo 2, CE, dell’articolo 55 CE e dell’articolo 95 CE, le cui formulazioni sono state riprese, in sostanza, rispettivamente all’articolo 53, paragrafo 1, TFUE, all’articolo 62 TFUE e all’articolo 114 TFUE, ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, essa persegue l’obiettivo di contribuire al buon funzionamento del mercato interno garantendo la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione tra gli Stati membri.
47 Poiché tali due direttive concretizzano la libera prestazione dei servizi sancita dall’articolo 56 TFUE, qualora fosse accertato che una di esse osta a misure nazionali come quelle di cui trattasi nei procedimenti principali, non occorrerebbe esaminare la prima, terza e quarta questione alla luce di detto articolo.
48 Per quanto riguarda detto articolo 56, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 6 delle sue conclusioni, è vero che, secondo la giurisprudenza, esso è applicabile alle misure che rientrano nel settore tributario, il quale è escluso dall’ambito di applicazione della direttiva 2000/31, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 5, lettera a), di quest’ultima (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2022, Airbnb Ireland e Airbnb Payments UK, C-83/21, EU:C:2022:1018, punto 38). Tuttavia, nel caso di specie, né il giudice del rinvio né il governo italiano sostengono che le misure nazionali controverse siano legate alla necessità di garantire l’adempimento di obblighi fiscali.
49 Peraltro, occorre rilevare che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2006/123 prevede in particolare che, se le sue disposizioni confliggono con disposizioni di altri atti dell’Unione che disciplinano aspetti specifici dell’accesso ad un’attività di servizi o del suo esercizio in settori specifici, le disposizioni di questi altri atti prevalgono e si applicano a tali settori specifici.
50 Orbene, considerato che l’articolo 3 della direttiva 2000/31 riguarda aspetti specifici dell’accesso all’attività di servizi della società dell’informazione e dell’esercizio di tale attività, come indicato in sostanza dall’avvocato generale nei paragrafi da 204 a 207 delle sue conclusioni, qualora fosse accertato, da un lato, che misure nazionali come quelle di cui trattasi nei procedimenti principali rientrano nell’ambito di applicazione di tale disposizione e, dall’altro, che quest’ultima disposizione osta a dette misure, non sarebbe necessario esaminare la prima, terza e quarta questione alla luce della direttiva 2006/123.
51 Pertanto, occorre in primo luogo interpretare l’articolo 3 della direttiva 2000/31.
52 Al riguardo, si deve rammentare che tale articolo 3 prevede, al paragrafo 1, che ogni Stato membro provvede affinché i servizi della società dell’informazione, forniti da un prestatore stabilito nel suo territorio, rispettino le disposizioni nazionali vigenti in detto Stato membro nell’ambito regolamentato. Il paragrafo 2 dello stesso articolo 3 precisa che gli Stati membri non possono, per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, limitare la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro.
53 Inoltre, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31, gli Stati membri possono, a determinate condizioni cumulative, adottare provvedimenti in deroga al principio della libera circolazione dei servizi della società dell’informazione per quanto concerne un determinato servizio della società dell’informazione rientrante nell’ambito regolamentato (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2019, Airbnb Ireland, C-390/18, EU:C:2019:1112, punto 83).
54 Per quanto riguarda l’«ambito regolamentato» di cui all’articolo 3 della direttiva 2000/31, occorre precisare che l’articolo 2, lettera h), di detta direttiva definisce tale ambito come quello comprendente le prescrizioni degli ordinamenti degli Stati membri e applicabili ai prestatori di servizi della società dell’informazione o ai servizi della società dell’informazione, indipendentemente dal fatto che siano di carattere generale o loro specificamente destinati. Tale ambito concerne le prescrizioni che il prestatore deve soddisfare e che riguardano l’accesso all’attività di servizi della società dell’informazione, quali le prescrizioni concernenti le qualifiche e i regimi di autorizzazione o notifica, e l’esercizio dell’attività di servizi della società dell’informazione, quali le prescrizioni relative al comportamento del prestatore, alla qualità o ai contenuti del servizio.
55 La direttiva 2000/31 si fonda quindi sull’applicazione dei principi del controllo nello Stato membro di origine e del mutuo riconoscimento, cosicché, nel quadro dell’ambito regolamentato definito all’articolo 2, lettera h), di tale direttiva, i servizi della società dell’informazione sono disciplinati unicamente nello Stato membro nel cui territorio sono stabiliti i prestatori di tali servizi (sentenza del 9 novembre 2023, Google Ireland e a., C-376/22, EU:C:2023:835, punto 42).
56 Di conseguenza, da un lato, spetta a ciascuno Stato membro in quanto Stato membro di origine dei servizi della società dell’informazione disciplinare tali servizi e, a tale titolo, tutelare gli obiettivi di interesse generale menzionati all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), punto i), della direttiva 2000/31 (sentenza del 9 novembre 2023, Google Ireland e a., C-376/22, EU:C:2023:835, punto 43).
57 Dall’altro lato, conformemente al principio del mutuo riconoscimento, spetta a ciascuno Stato membro, in quanto Stato membro di destinazione di servizi della società dell’informazione, non limitare la libera circolazione di tali servizi esigendo il rispetto di obblighi aggiuntivi, rientranti nell’ambito regolamentato, che esso avesse adottato (sentenza del 9 novembre 2023, Google Ireland e a., C-376/22, EU:C:2023:835, punto 44).
58 Ne consegue che l’articolo 3 della direttiva 2000/31 osta, fatte salve le deroghe autorizzate alle condizioni previste al paragrafo 4 di tale articolo, a che il prestatore di un servizio della società dell’informazione che intenda prestare tale servizio in uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio è stabilito sia soggetto a prescrizioni rientranti nell’ambito regolamentato imposte da tale altro Stato membro.
59 Nel caso di specie, è pacifico che le misure nazionali controverse, nei limiti in cui prescrivono, a pena di sanzioni, l’adempimento degli obblighi di cui al punto 29 della presente sentenza a carico dei fornitori di servizi di intermediazione online stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana, impongono agli stessi di soddisfare condizioni che non sono richieste nel loro Stato membro di stabilimento.
60 Del pari, è incontestato che tali servizi rientrano tra i «servizi della società dell’informazione», di cui all’articolo 2, lettera a), della direttiva 2000/31.
61 Per contro, il governo italiano sostiene che gli obblighi previsti dalle misure nazionali controverse non rientrano nell’«ambito regolamentato», ai sensi dell’articolo 2, lettera h), di tale direttiva, in quanto, da un lato, i fornitori dei servizi in questione possono de facto avviare e proseguire la prestazione di tali servizi senza adempiere l’obbligo di iscriversi al ROC e, dall’altro, l’obbligo di trasmettere informazioni all’AGCOM e di versarle un contributo economico è volto a consentire a quest’ultima di esercitare le sue funzioni di vigilanza. Pertanto, siffatti obblighi non mirerebbero a che i fornitori di detti servizi ottengano un’autorizzazione per l’accesso ad un’attività di servizi della società dell’informazione o per l’esercizio di tale attività.
62 A tal proposito, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi da 157 a 161 delle sue conclusioni, per quanto riguarda, da un lato, l’obbligo di iscriversi in un registro, per il cui inadempimento sono comminate sanzioni, il fatto che un fornitore possa de facto avviare e proseguire la prestazione di un servizio della società dell’informazione senza adempiere a tale obbligo non incide sulla necessità di assolvere a quest’ultimo per poter legittimamente esercitare l’attività in questione.
63 Per quanto riguarda, dall’altro lato, l’obbligo di trasmettere ad un’autorità di uno Stato membro informazioni relative alla struttura e all’organizzazione dell’impresa interessata nonché l’obbligo di versare a tale autorità un contributo economico, obblighi per l’inadempimento dei quali sono parimenti comminate sanzioni, il fatto che questi ultimi siano imposti ai fini della vigilanza, da parte di detta autorità, sulla regolarità dell’esercizio dell’attività di servizi della società dell’informazione non incide in alcun modo sulla portata di detti obblighi, in forza dei quali i fornitori di siffatti servizi che sono stabiliti in un altro Stato membro e che intendono prestare tali servizi nel primo Stato membro sono tenuti a rispettare i suddetti obblighi.
64 Pertanto, contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, obblighi come quelli previsti dalle misure nazionali controverse costituiscono prescrizioni riguardanti l’esercizio dell’attività di servizi della società dell’informazione, cosicché tali obblighi rientrano nell’«ambito regolamentato», ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2000/31.
65 Di conseguenza, l’articolo 3 della direttiva 2000/31 osta a misure adottate da uno Stato membro in forza delle quali, a pena di sanzioni, i fornitori di servizi di intermediazione online, stabiliti in un altro Stato membro, sono obbligati, al fine di prestare i loro servizi nel primo Stato membro, a iscriversi in un registro tenuto da un’autorità di tale Stato membro, a comunicare a quest’ultima una serie di informazioni dettagliate sulla loro organizzazione, nonché a versare alla stessa un contributo economico, salvo che dette misure non soddisfino le condizioni previste al paragrafo 4 di tale articolo 3.
66 Tale interpretazione non può essere messa in discussione dall’argomento del governo ceco secondo cui detto articolo 3 potrebbe non ostare a siffatte misure, alla luce della giurisprudenza relativa all’articolo 56 TFUE, che sarebbe applicabile per analogia, secondo la quale una normativa nazionale opponibile a tutti gli operatori che esercitano determinate attività sul territorio nazionale, che non ha lo scopo di disciplinare le condizioni relative all’esercizio della prestazione dei servizi delle imprese interessate e i cui eventuali effetti restrittivi sulla libera prestazione dei servizi sono troppo aleatori e troppo indiretti perché l’obbligo da essa sancito possa considerarsi idoneo a ostacolare tale libertà, non contrasta con il divieto di cui a detto articolo (sentenza del 22 dicembre 2022, Airbnb Ireland e Airbnb Payments UK, C-83/21, EU:C:2022:1018, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
67 Infatti, come indicato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 166 e 167 delle sue conclusioni, da un lato, le prescrizioni rientranti nell’ambito regolamentato non possono soddisfare le condizioni risultanti da tale giurisprudenza, in quanto, per definizione, esse hanno lo scopo di disciplinare l’accesso all’attività consistente nel fornire servizi della società dell’informazione nonché l’esercizio di tale attività. Dall’altro lato, con un atto di diritto derivato, il legislatore dell’Unione può concretizzare una libertà fondamentale sancita dal Trattato FUE, ponendo in essere condizioni ancora più favorevoli al buon funzionamento del mercato interno rispetto a quelle previste dal diritto primario (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 16 giugno 2015, Rina Services e a., C-593/13, EU:C:2015:399, punto 40).
68 Occorre pertanto verificare se misure nazionali come quelle menzionate al punto 65 della presente sentenza soddisfino le condizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31.
69 A tal fine, in primo luogo, è necessario sottolineare che, come risulta dalla formulazione stessa di tale disposizione, possono rientrare nell’ambito di applicazione di quest’ultima solo i provvedimenti «adottati per quanto concerne un determinato servizio della società dell’informazione».
70 Al riguardo, si deve ricordare che, nella sentenza del 9 novembre 2023, Google Ireland e a. (C-376/22, EU:C:2023:835), la Corte ha dichiarato che l’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31 dev’essere interpretato nel senso che provvedimenti generali e astratti, riguardanti una categoria di determinati servizi della società dell’informazione descritta in termini generali, e applicabili indistintamente a qualsiasi prestatore di tale categoria di servizi, non rientrano nella nozione di «provvedimenti adottati per quanto concerne un determinato servizio della società dell’informazione», ai sensi di tale disposizione.
71 Nel caso di specie, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, sembra che le misure nazionali controverse abbiano una portata generale e astratta, cosicché esse non possono essere qualificate come «provvedimenti adottati per quanto concerne un determinato servizio della società dell’informazione», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2000/31.
72 Inoltre, ai sensi di tale disposizione, i provvedimenti nazionali, per essere considerati conformi a quest’ultima, devono essere necessari al fine di garantire l’ordine pubblico, la tutela della sanità pubblica, la pubblica sicurezza o la tutela dei consumatori.
73 Pertanto, occorre esaminare se ciò si verifichi per quanto riguarda misure nazionali adottate allo scopo dichiarato di garantire l’applicazione del regolamento 2019/1150.
74 A tal proposito, si deve rammentare che, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 5, del regolamento 2019/1150, quest’ultimo non pregiudica il diritto dell’Unione, in particolare nel settore del commercio elettronico.
75 Poiché è evidente che la direttiva 2000/31 rientra in tale settore, misure come le misure nazionali controverse possono essere considerate conformi all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), di tale direttiva, in quanto mirano a garantire l’applicazione del regolamento 2019/1150, solo qualora sia dimostrato che l’obiettivo di quest’ultimo corrisponde a uno degli obiettivi elencati in tale disposizione.
76 Orbene, dai considerando 7 e 51 del regolamento 2019/1150 risulta che quest’ultimo si prefigge di fissare una serie mirata di norme vincolanti a livello dell’Unione al fine di garantire un contesto commerciale online equo, prevedibile, sostenibile e sicuro nell’ambito del mercato interno. In particolare, gli utenti commerciali, ai sensi dell’articolo 2, punto 1, di tale regolamento (in prosieguo: gli «utenti commerciali»), dovrebbero beneficiare di un’adeguata trasparenza e di efficaci possibilità di ricorso in tutta l’Unione, al fine di facilitare le attività economiche a livello transfrontaliero all’interno dell’Unione e così migliorare il corretto funzionamento del mercato interno.
77 L’articolo 1, paragrafo 1, di tale regolamento precisa che quest’ultimo contribuisce al corretto funzionamento di detto mercato stabilendo norme intese a garantire che gli utenti commerciali e gli utenti titolari di siti web aziendali che siano in relazione con motori di ricerca online dispongano di un’adeguata trasparenza, di equità e di efficaci possibilità di ricorso.
78 Come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi da 186 a 190 delle sue conclusioni, anche supponendo che misure nazionali come le misure nazionali controverse mirino a garantire l’obiettivo del regolamento 2019/1150, non sussiste un nesso diretto tra, da un lato, tale obiettivo e, dall’altro, quelli elencati all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), punto i), della direttiva 2000/31, richiamati al punto 72 della presente sentenza.
79 Infatti, è pacifico che l’obiettivo del regolamento 2019/1150 non riguarda l’ordine pubblico, né la tutela della sanità pubblica, né la pubblica sicurezza.
80 Per quanto concerne la tutela dei consumatori, occorre rilevare, anzitutto, che essa non riguarda la tutela delle imprese. Orbene, il regolamento 2019/1150 stabilisce norme relative ai rapporti tra i fornitori di servizi di intermediazione online e gli utenti commerciali.
81 Inoltre, dal considerando 3 del regolamento 2019/1150 risulta che il nesso tra, da un lato, «la trasparenza e la fiducia nell’economia delle piattaforme online nei rapporti tra imprese» e, dall’altro, il «[miglioramento della] fiducia dei consumatori nell’economia delle piattaforme online» è solo indiretto.
82 Infine, tale considerando 3 precisa che «[l]’impatto diretto dello sviluppo dell’economia delle piattaforme online sui consumatori [è] tuttavia [affrontato] da altre norme del diritto dell’Unione, in particolare per quanto riguarda l’acquis relativo ai consumatori».
83 Occorre aggiungere che il paragrafo 4 dell’articolo 3 della direttiva 2000/31, in quanto eccezione al principio del controllo nello Stato membro di origine, deve essere interpretato restrittivamente (v., per analogia, sentenze del 22 novembre 2012, Probst, C-119/12, EU:C:2012:748, punto 23, e del 21 giugno 2022, Ligue des droits humains, C-817/19, EU:C:2022:491, punto 70). Pertanto, tale eccezione non può essere applicata a misure che possono, tutt’al più, presentare un nesso soltanto indiretto con uno degli obiettivi contemplati da tale disposizione.
84 Perciò, non si può dedurre dal fatto che misure nazionali sono state adottate allo scopo dichiarato di assicurare l’applicazione del regolamento 2019/1150 che esse siano necessarie per garantire uno degli obiettivi elencati all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), punto i), della direttiva 2000/31.
85 Di conseguenza, misure adottate da uno Stato membro in forza delle quali, a pena di sanzioni, i fornitori di servizi di intermediazione online, stabiliti in un altro Stato membro, sono obbligati, al fine di prestare i loro servizi nel primo Stato membro, a iscriversi in un registro tenuto da un’autorità di tale Stato membro, a comunicare a quest’ultima una serie di informazioni dettagliate sulla loro organizzazione, nonché a versare alla stessa un contributo economico, non soddisfano le condizioni previste all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2000/31.
86 Poiché le misure nazionali controverse rientrano nell’ambito regolamentato di cui alla direttiva 2000/31 e poiché l’interpretazione di tale direttiva consente di rispondere alla prima, terza e quarta questione, come riformulate al punto 45 della presente sentenza, non è necessario, in base alle considerazioni esposte ai punti da 46 a 50 della presente sentenza, interpretare anche l’articolo 56 TFUE o la direttiva 2006/123.
87 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima, terza e quarta questione dichiarando che l’articolo 3 della direttiva 2000/31 deve essere interpretato nel senso che esso osta a misure adottate da uno Stato membro, allo scopo dichiarato di garantire l’adeguata ed efficace applicazione del regolamento 2019/1150, ai sensi delle quali, a pena di sanzioni, i fornitori di servizi di intermediazione online stabiliti in un altro Stato membro sono obbligati, al fine di prestare i loro servizi nel primo Stato membro, a iscriversi in un registro tenuto da un’autorità di tale Stato membro, a comunicare a quest’ultima una serie di informazioni dettagliate sulla loro organizzazione e a versare alla stessa un contributo economico.
Sulla seconda e quinta questione
88 La seconda e la quinta questione riguardano gli obblighi di previa notifica previsti dalle direttive 2000/31 e 2015/1535, la cui inosservanza comporta l’inopponibilità ai privati delle misure che avrebbero dovuto essere notificate e che non sono state oggetto di notifica.
89 Tuttavia, tenuto conto delle risposte fornite alla prima, terza e quarta questione, non occorre rispondere alla seconda e alla quinta questione.
Sulle spese
90 Nei confronti delle parti nei procedimenti principali le presenti cause costituiscono incidenti sollevati dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
L’articolo 3 della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»),
deve essere interpretato nel senso che:
esso osta a misure adottate da uno Stato membro, allo scopo dichiarato di garantire l’adeguata ed efficace applicazione del regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online, ai sensi delle quali, a pena di sanzioni, i fornitori di servizi di intermediazione online stabiliti in un altro Stato membro sono obbligati, al fine di prestare i loro servizi nel primo Stato membro, a iscriversi in un registro tenuto da un’autorità di tale Stato membro, a comunicare a quest’ultima una serie di informazioni dettagliate sulla loro organizzazione e a versare alla stessa un contributo economico.
Prechal
Biltgen
Wahl
Passer
Arastey Sahún
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 30 maggio 2024.
Il cancelliere
A. Calot Escobar
La presidente di sezione
A. Prechal
*Lingua processuale: l’italiano.