La detenzione degli animali produttiva di “gravi sofferenze”, ai sensi dell’art. 727 C.p., è solo quella che può determinare un vero e proprio processo patologico nell'animale?
La Terza Sezione penale della Cassazone, con la sentenza 21 ottobre 2022, n. 39844, risponde di no, precisando che è tale anche la condotta produttiva di meri patimenti e che non è neppure necessaria la volontà di provocare lesioni o sofferenze all'animale, essendo sufficiente la colpa.
Gli animali godono infatti di una tutela penale diretta orientata a ritenerli esseri senzienti.
Il fatto. Il ricorrente era stato condannato in sede di giudizio abbreviato al pagamento della pena dell'ammenda di euro 6.600,00 in relazione al il reato p. e p. dall'art. 727 c.p., per avere detenuto all'interno della propria abitazione sette cani in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze fisiche e psichiche.
In particolare, il Tribunale aveva ritenuto integrato il reato avuto riguardo: alle condizioni di sporcizia dell'appartamento del ricorrente, che presentava ambienti angusti, incrostati di sporco, escrementi e rifiuti, nonché ulteriormente ridotti dalla presenza di mobili e oggetti vari ammassati; alla mancanza di luce nella stanza in cui erano detenuti i cani che, per via di una tapparella guasta, rimanevano senza luce naturale; alla noncuranza delle condizioni igieniche degli stessi animali che presentavano il pelo ingiallito dall'urina.
La sentenza veniva impugnata con appello, convertito in ricorso (trattandosi di sentenza inappellabile perché comminatoria della sola pena dell'ammenda), con il quale l'imputato contestava la ricorrenza della fattispecie di cui all'art. 727 c.p. assumendo che il giudice non avesse tenuto conto del fatto che i cani non versavano in condizioni di malnutrizione e osservando che le sofferenze degli animali fossero state meramente presunte non essendo stato provato che la custodia fosse inconciliabile rispetto alla natura degli animali.
Ulteriori motivi venivano dedotti in punto pena, essendo stata applicata, per la scelta del rito, la diminuzione di un terzo in luogo della metà (trattandosi di contravvenzione) su una pena calcolata partendo dal massimo edittale ed escludendo circostanze attenuanti e benefici con argomentazioni ritenute generiche e apodittiche.
Gli animali come esseri senzienti. La tutela giuridica degli animali da compagnia assume particolare interesse al giorno d'oggi in ragione dell'accresciuta sensibilità sociale nei confronti di coloro che, pur essendo tecnicamente “cosa” per il diritto, sono affettivamente “qualcuno” per coloro che se ne prendono cura. Nella stessa giurisprudenza sono sempre più presenti definizioni che danno conto di questa evoluzione del “sentire” sociale: ed invero si parla di “esseri senzienti” capaci di reagire agli stimoli del dolore così come alle cure amorevoli degli uomini, e, con particolare riguardo al cane, di “animale gregario”, destinato a vivere non isolatamente ma in comunione con gli uomini nei cui confronti riversa “i segni della sua evidente affettività” e dai quali ha bisogno di ricevere, in caso di rapporto di proprietà, le necessarie cure e assistenza. Si tratta di definizioni che riflettono la comune esperienza e implementano la disciplina penalistica verso una tutela dell’animale come essere vivente, e non già meramente del sentimento di pietà che l'uomo nutre verso l'animale.
L’art. 727 c.p. punisce, come noto, con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro chiunque abbandoni animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività nonché chiunque detenga animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze.
Trattasi di un reato di natura contravvenzionale, e pertanto punibile sia a titolo di dolo sia a titolo di colpa.
L’autore è individuato con il pronome chiunque che ne determina la qualificazione come reato comune.
Per quanto concerne gli elementi costitutivi della fattispecie, secondo l'interpretazione consolidata della giurisprudenza di legittimità, costituiscono maltrattamenti idonei ad integrare il reato di abbandono non soltanto i comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e di mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell'animale procurandogli dolore e afflizione; sotto il profilo soggettivo, non è poi necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull'animale cagionandogli lesioni all'integrità fisica, potendo le lesioni o anche solo i patimenti essere cagionati da colpa dell'agente.
Quanto alla casistica, a titolo esemplificativo, mette conto di ricordare come siano stati ricondotti nell’alveo dell’art. 727 c.p.:
Vedremo come la sentenza che si annota si pone in linea con la giurisprudenza dianzi richiamata sottolineando come rientri nell’art. 727 c.p. la condotta, anche solo colposa, che sia idonea a cagionare patimenti all’animale.
Con la sentenza in esame la Corte ha ricordato come la modifica dell’art. 727 c.p. ad opera della legge n. 473/1993 abbia radicalmente mutato il presupposto giuridico di fondo sotteso alla tutela penale degli animali, i quali sono considerati “non più fruitori di una tutela indiretta o riflessa”, nella misura in cui il loro maltrattamento offende il comune senso di pietà, “ma di una tutela diretta orientata a ritenerli esseri viventi”.
Ne consegue che ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 727 c.p. la detenzione degli animali in condizioni incompatibili con le loro caratteristiche etologiche e produttive di gravi sofferenze è non solo quella che può cagionare lesioni all’integrità fisica dell’animale ma anche quella che può produrre meri patimenti.
In tal senso la detenzione, come nel caso di specie, di sette cani di razza Husky e Samoiedo in luogo angusto, privo di luce naturale e in precarie condizioni igieniche è suscettiva di configurare il reato di abbandono ex art. 727 c.p. a prescindere dalla volontà del soggetto di infierire sull’animale.
Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte ha dichiarato l’irrevocabilità della declaratoria di responsabilità, annullando con rinvio la sentenza solo ai fini della rideterminazione della pena che, fra l’altro, era stata diminuita di un terzo anziché della metà così come previsto dalla legge 103/2017.
La pronuncia: